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CENTRI TERRITORIALI PERMANENTI NELL’AREA URBANA DI ROMA

3.9 I tre pilastri del metodo Asinitas 1 Corpo e canto.

3.9.2 Narrazione e ascolto

Io fuori dal mio paese Mali, mia madre è morta un giorno prima dipartire, dopo io parto. Io ho due sorelle.

Io saluto tutti il giorno prima di partire.

Io saluto le mie sorelle. Io ho tanti amici dal Mali. Mi piace parlare la lingua italiana difficile. Alassane

Prima di partire

Posso andare alla nuova vita?

Io vado a chiedere consiglio a Dio perché posso conoscere come è la via quando la via è buona. Io non ho soldi perché io perché io voglio andare.

Io parlo con mia madre e mio padre così poi ho trovato la benedizione. Io prendo la foto della mia famiglia e lascio la mia foto a loro.

Dopo io prendo la mia valigia, io saluto la famiglia, gli amici. Ma sono tutti tristi perché loro non vogliono che io parto. Adama Diallo

140 Quando io voglio viaggiare in Italia

io prendo i miei vestiti e le mie scarpe. Io preparo la mia valigia.

Anche io mangio buono mangiare come riso e pollo. Quando io ho finito di mangiare io saluto la mia famiglia. Loro non vogliono io parto perché

loro pensano io non ritorno, anche io sono triste.

Amadou Diallo

Una storia del mio paese

Quando il Bangladesh e il Pakistan erano insieme, il Pakistan sempre dava un cattivo ordine alle cose, allora tutti pensavano, pensavano quale soluzione bisognava trovare? Il popolo del Bangladesh non sapevano leggere scrivere e allora loro non trovavano una soluzione, ma piano piano questa è cresciuta. Il cielo del Bangladesh era coperto di nuvole nere, i bengalesi non capivano nulla, come potevano pulire questo cielo? Allora un tempo è arrivata la guerra, questa loro l’hanno vinta

Prima di ogni guerra che chi ha fatto del male. Quando c’è la guerra iniziano a morire i poveri, dopo la vittoria i ricchi vengono per secondi perché i ricchi si nascondono dietro ai poveri quando c’è la guerra.

Dopo la guerra i poveri che non sono morti devono spingere le macerie sul bordo della strada, perché i poveri ci sono per puntellare, i ricchi non hanno rischi.

Così è il nostro mondo i rischi sono dei poveri, tutte le cose buone invece sono per i ricchi

Shabecle

I testi riportati in apertura, sono delle narrazioni di alcuni studenti della classe base e avanzata di italiano. Sono stati scelti per la potenza comunicativa che racchiudono.

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Perché consente alle persone di parlare di sé, di guardare la persona oltre la lingua. L’empatia è il principio che guida questo metodo, ritrovare la voce, riprendere la parola, mettersi in una situazione di paritarietà nella relazione. Se ti racconti agli altri, glia altri ti conoscono e non hai paura di confonderti. La narrazione consente la condivisione e lo scambio delle memorie.

“Non ci interessa conoscere la verità oggettiva, la successione degli eventi, ma la storia dei sentimenti delle persone, ovvero come gli eventi storici, anche quelli più drammatici, hanno trasformato la loro vita. (…) sintonizzandoci su una frequenza: quella dei racconti. I racconti non si preoccupano tanto della chiarezza, delle distinzioni. Sono il territorio della confusione, dell’ambiguità, del molteplice e del disordine, sono insomma il territorio di come stanno realmente le cose. Siamo nel mondo delle soggettività che vanno a tessere le trame, il tessuto dell’esperienza collettiva umana.”89

Il fatto che gli studenti abbiano poca lingua, non deve scoraggiare le proposte narrative, si è già visto nel paragrafo “Che lingua insegnare? Il testo libero e la lingua meticcia” che lo scopo è quello di lasciare tracce della propria presenza per acquisire pian paino la consapevolezza di essere qui e ora. La narrazione consente di rivivere delle esperienze , dei vissuti, anche dei traumi e di rielaborarli, grazie alla loro estroversione e condivisione.

Rivivere una ricordo, bello o brutto che sia, e raccontarlo nella nuova lingua, permette di riunire passato e presente e aiuta a rimarginare la frattura identitaria che causa la migrazione.

Inoltre la narrazione ha un profondo potere evocativo, nel momento in cui vengono narrate le cose prendono una forma che fino a un istante prima non avevano.

Abbiamo visto la profonda fase di ricerca continua che precede e accompagna la scelta dei temi, una domanda che riecheggia spesso tra l’equipe di lavoro e che causa delle difficoltà in particolar modo ai neofiti è la delicatezza dei temi scelti per la narrazione che spesso vanno a toccare vissuti traumatici. Non si tratta tuttavia di indelicatezza o poca consapevolezza della valenza emotiva che determinate questioni si portano dietro.

Al contrario la narrazione fa parte di quel processo delicato in cui si tocca nell’intimità e si cercano insieme le parole. Lavorare su aspetti che riguardano il passato delle persone, si inscrive all’interno più ampia scelta già descritto, e messo in luce da Cecilia Bartoli in una delle interviste sopra

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riportate: “trattare dei temi che abbiano le maglie larghe della possibilità di transitare tra il qui e il li che siamo temi di carattere antropologico universale, consentono a loro di riallacciare i fili come loro desiderano in base alla loro necessità non alla nostra.”

La narrazione si basa poi sulla reciprocità: non sono solo gli studenti a narrare di sé, ma gli operatori per primi condividono racconti che parlano della propria vita, quella che si crea è una dimensione narrante in cui ognuno apporta cioè che desidera condividere. In questo modo si scrive ogni giorno a scuola una storia attuale che affonda le proprie radici nel passato ma si nutre della contemporaneità dell’incontro.

Non sono solo le persone a raccontarsi ma si cerca di far rivivere a scuola i luoghi, i tempi, le vicende di un passato che hanno fatto la storia che gli abitanti di una comunità sentono propria. Riporto di seguito le riposte di alcuni studenti intervistati alla domanda: “quando i maestri ti chiedono di scrivere una cosa del tuo passato, come ti senti?”

Alassane:

“qualche volta io scrivo cose del mio passato, lo scrivo dopo ho iniziato a leggere questo ho iniziato a piangere perché mi ricordo ancora questa cosa si. Prima sono contento perché..non mai pensavo un giorno di scrivere italiano, parlare italiano, scrivere questa cosa prima leggere, sono felice ma dopo leggo tutto fino a mezzo e ho iniziato a piangere perché … è una cosa che ricordare ancora

Adama:

“questa cosa è bene per me perché mi fa pensare , mi fa pensare..indietro, molto buono perché ... le persone non devono dimenticare il passato, e oggi ancora il futuro.”

Ibrahim:

“a me non piace dire le cose del passato … ma io decido cosa dire e cosa no … se io non voglio non dico …”

Issa:

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Marinella Sclavi nel suo fantastico libro “Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte” dice che “le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi.(...) Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.”90

L’ascolto implica non avere fretta di risposte e saper cogliere l’eloquenza del silenzio, togliersi da una posizione etnocentrista e riuscire a cambiare il proprio punto di vista, aprirsi al confronto, allenarsi alla lettura della realtà e del contesto in cui si è calati, cogliere la ricchezza che apportano le voci degli studenti che osservando una realtà implicita per noi che ci viviamo, ne colgono degli aspetti inesplorati.

L’ ascolto è una postura da assumere sempre nella relazione con gli studenti straneri, a prescindere dal tipo di attività che si sta svolgendo. Si tratta di un caposaldo dell’approccio utilizzato dall’equipe di lavoro, e si richiede che venga posto sempre alla base della comunicazione.

È anche una delle sfide più difficili, da intraprendere. Riporto di seguito l’esperienza vissuta con due studenti, che trovo abbastanza eloquente in merito all’ascolto e all’ inter-comprensione.

Biruck e Tesafay sono due studenti etiopi, i più giovani della scuola, sono fratelli, figli di una studentessa dell’anno scorso, hanno 16 e 15 anni. All’inizio non riuscivo a comunicare con loro e ciò mi dava un profondo senso di frustrazione, provavo un’impotenza espressiva che non riuscivo a combattere. Quando gli dicevo qualcosa, leggevo nei loro sguardi l’incomprensibilità delle mie parole, e quando erano loro a parlarmi, superando la timidezza, io non ero in grado di capire. Mi sono interrogata a lungo su quale fosse il modo giusto per relazionarmi a loro, e a tutti gli altri studenti con cui avevo difficoltà di comunicazione, poi giorno dopo giorno ho trovato la risposta nella pratica del fare, nella semplicità dei gesti, nella verità degli sguardi e l’autenticità dei sorrisi. Così abbiamo iniziato a parlare insieme una lingua nuova, dove ogni girono c’era una scoperta reciproca e le incomprensioni facevano da stimolo a trovare un modo più semplice, più universale di comunicare. Incomunicabilità iniziale si è trasformata così in empatia e adesso mi accorgo che a volte mi cercano con lo sguardo quando si fanno le attività di scrittura.

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SCLAVI M. Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte. Bruno Mondadori, Milano 2003

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