• Non ci sono risultati.

L’evoluzione normativa italiana sulle società pubbliche local

1. NASCITA E SVILUPPO DELLE SOCIETÀ PUBBLICHE IN ITALIA.

Ripercorriamo la legislazione che ha portato alla nascita e allo sviluppo delle società a partecipazione pubblica.

Come accennato nel primo capitolo, la diffusione delle società a partecipazione pubblica si collega a tre fattori: l’affermarsi dello “Stato imprenditore” dagli anni trenta del 1900, la formale privatizzazione di numerosi enti pubblici avvenuta nei successivi anni novanta e l’esternalizzazione di attività svolte da organi amministrativi.1

Lo “Stato imprenditore” come attore economico è presente anche in periodi antecedenti. La prima impresa pubblica dell’Italia unita è la Cassa depositi e prestiti, costituita nel 1863 come grande banca del Ministero delle Finanze, in un periodo storico istipato ai principi liberisti e, pertanto, contraddistinto dalla mancanza di un apparato statale di governo dell’economia.2

1 Clarich M., L’organizzazione, in Appunti per le lezioni di diritto amministrativo, a.a. 2012-2013. 2 Cassese S., La nuova costituzione economica, pag. 11, Laterza II ed., 2005.

Nel periodo tra la fine del 1800 e gli anni venti del successivo 1900, abbandonato il modello liberista in cui lo Stato si limitava a creare le condizioni per lo sviluppo del libero mercato, lo Stato ha iniziato ad intervenire direttamente con la gestione di imprese e la produzione di beni e servizi. I settori principali erano quello delle telecomunicazioni e quello del credito.3

Tale intervento si concretizzava in diverse occasioni con la sostituzione coattiva delle società private con l’impresa pubblica in posizione monopolistica, riscattando le precedenti concessioni ai privati, come nel caso delle Ferrovie dello Stato.

Dagli anni venti fino alla metà del 1900, lo Stato ha esteso la propria attività nei settori più vari del mercato: accanto agli enti pubblici tradizionali si affermava una nuova organizzazione di esercizio dell’attività economica pubblica, la società a partecipazione pubblica statale, con lo Stato che assumeva il ruolo di azionista. Nel 1926 sono state istituite l’AGIP (Azienda generale italiana petroli) e la ROMSA (Raffinerie olii minerali e società per azioni), mentre nel 1933 è nato l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) per il salvataggio delle imprese italiane, durante la globale crisi finanziaria. A tal fine, L’IRI ha acquisito coattivamente la proprietà delle Banche e delle società da esse controllate, divenendo una holding di controllo del sistema bancario e industriale italiano. Dal 1937 l’IRI è diventato ente per il conseguimento degli obiettivi di politica economica tramite il cui lo Stato interveniva in economia per perseguire il comune benessere.4

Tale fase, nota come Stato del benessere, si procrastinava fino alla metà degli anni settanta del 1900. La Costituzione repubblicana, successiva al periodo fascista e al secondo conflitto mondiale, non poneva disposizioni limitative del fenomeno di riferimento, ma sembrava anzi giustificare lo sviluppo di un’economia mista, continuando la crescita del settore pubblico che aveva contraddistinto il regime fascista.5

L’art. 41 Cost. comma 3, infatti, consente l’attività economica pubblica “indirizzata e coordinata a fini sociali”. L’art. 43 precisa che, “a fini di utilità generale”, la legge può riservare originariamente o trasferire allo Stato e a enti pubblici “determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a

3 Cassese S., La nuova costituzione economica, pag. 13.

4 Urbano G., Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e

amministrativizzazione, pag. 4, Amministrazione In Cammino.

5 Urbano G., Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e

fonti di energia o a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale.” Lo Stato può dunque farsi imprenditore in modalità differenti. Negli anni cinquanta è istituito l’ENI (Ente nazionale idrocarburi), per la gestione in esclusiva della ricerca e delle coltivazioni di giacimenti di idrocarburi, cui sono state affidate le partecipazioni statali nell’AGIP e il patrimonio dell’Ente nazionale metano.

Per far ordine nel frammentato sino ad allora panorama delle partecipazioni pubbliche, con la legge n. 1589/1956, veniva istituito il Ministero delle partecipazioni statali al quale erano devoluti tutti i compiti e le attribuzioni di poteri direzionali e di controllo sulle partecipazioni, precedentemente frazionate tra più ministeri e organi del governo, attraverso nuovi enti di gestione.

A IRI ed ENI si aggiungevano infatti EFIM, EGAM, EAGC ed EAGAT.

In applicazione dell’art. 43 Cost., nel 1962, con la creazione dell’ENEL (Ente nazionale per l’energia elettrica), veniva nazionalizzata l’industria elettrica a mezzo esproprio e previo indennizzo delle imprese elettriche, precludendo in tale settore l’iniziativa economica privata.

Al vertice del sistema delle partecipazioni statali venivano posti il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e il Cipi (Comitato interministeriale per la politica industriale), con il Ministero delle partecipazioni statali che esercitava funzione di vigilanza e poteri di direttiva nei confronti degli enti di gestione delle partecipazioni. Si trattava di enti pubblici economici con funzione di

holding finanziaria, titolari delle azioni delle società a partecipazione pubblica, sulle

quali esercitavano l’influenza attraverso il diritto di voto nelle assemblee e la nomina degli amministratori.6

Negli anni sessanta e poi, in maggior misura, negli anni settanta, il sistema delle partecipazioni pubbliche entrava in crisi, causando gravi perdite economiche allo Stato. Il principio di economicità, previsto dall’art. 3 della legge istitutiva del Ministero delle partecipazioni statali, era del tutto inosservato per l’incapacità degli amministratori di evitare che i costi delle imprese pubbliche siano superiori alle entrate.

Tale crisi derivava da una serie di problematiche:

6 Urbano G., Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e

a) l’eccessiva crescita delle aree di intervento, tale da non consentire un agile controllo e coordinamento del sistema;7

b) il progressivo allontanamento dal criterio imprenditoriale a favore del sostegno dei settori in crisi strutturale e il perseguimento di scopi politici e sociali;8

c) il finanziamento gestito dal potere politico che, di conseguenza, ne condizionava la gestione;9

d) la carenza di stimoli nelle società partecipate al raggiungimento di un risultato economico positivo e l’estraneità alle logiche di mercato.10

Il sistema ha adottato i princìpi di libero mercato solo a seguito di numerosi interventi della Comunità Europea. Con le politiche di liberalizzazione si è arrivati alla soppressione dei monopoli nei servizi pubblici, al blocco del rifinanziamento delle imprese in perdita, alla necessità di recuperare risorse correnti per rispettare i vincoli di bilancio imposti a livello europeo, alla progressiva riduzione della partecipazione statale nell’esercizio dell’attività di impresa che ha portato alla liquidazione o alla privatizzazione di numerose imprese pubbliche.

Nel 1993, a seguito di un referendum popolare, è stato soppresso il Ministero delle partecipazioni statali.

Il processo di privatizzazione ha portato al cambiamento della forma giuridica dell’impresa pubblica adattandola a un sistema più adeguato all’esercizio imprenditoriale e, in particolare, alla trasformazione delle aziende autonome e degli enti di diritto pubblico in società di diritto privato. In altri casi, più sostanziali, si è provveduto a cedere a privati quote di società pubbliche, alcune delle quali sono state quotate in borsa. Molto spesso, per la difficoltà di trovare acquirenti, la privatizzazione si è limitata al cambiamento dell’aspetto giuridico-formale, che lasciava inalterato l’ente titolare.11 Il mero cambiamento della forma giuridica costituisce solo una diversa forma organizzativa dell’intervento pubblico in economia. Il classico esempio è rappresentato dell’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato divenuta società per azioni in mano pubblica.

7 Merusi F. e Iaria D., Partecipazioni Pubbliche, pag. 4 Enciclopedia Giuridica XXII, Roma, 1999. 8 Minervini G., Società a partecipazione pubblica, pag. 182, GCO, 1982.

9 Roversi Monaco M., Indirizzo delle partecipazioni statali e prospettive di riforma, pag. 478 e segg.

Studi in onore di Vittorio Bachelet, III, 1987.

10 Visentini G., Partecipazioni pubbliche in società di diritto comune e di diritto speciale, pagg. 174 e

175, Milano, 1979.

11 Jaeger P.G., Problemi attuali delle privatizzazioni in Italia, Giurisprudenza commerciale, pag. 990,

Più di recente, un ulteriore stimolo alla diffusione delle società a partecipazione pubblica è derivato dai processi di razionalizzazione degli apparati pubblici. Molti enti pubblici, infatti, per migliorare la propria efficienza ed efficacia operativa, anziché svolgere in economia alcune attività strumentali alle proprie funzioni, hanno deciso di affidarle a società strumentali, da esse costituite e partecipate, che svolgono la propria attività in prevalenza per conto degli enti di riferimento.