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La medicina e la chirurgia si occupano dei fatti di natura, appartenenti al mondo fisi- co, del tutto accessibile ai sensi. Ad esempio una cisti da echinococco è una cosa che si vede – con gli esami complementari – quando è in sede e si apprezza con i sensi quando è estratta chirurgicamente.

La Psichiatria – una delle specialità della medicina – si occupa di comportamenti. La medicina, oltre alla Psicologia ed alla Psicopatologia dello Sviluppo, ci hanno ormai da tempo abituato a pensare che di fronte ad un qualsivoglia comportamento o funzione, questa vada osservata nel modo più “oggettivo” possibile, adottando metodi quantitativi per misurare tale funzione.

Ma qual è la natura dei disturbi mentali? La domanda è quanto mai attuale.

A questo proposito, in un editoriale comparso nel 2016 sulla rivista World Psychiatry, Kenneth S. Kendler analizza tre diversi modelli teorici: la prospettiva realista, la prospetti- va pragmatica e la prospettiva costruttivista (Kendler, 2016).

Per il realismo si assume che l’oggetto del sapere scientifico sia reale e di per sé in- dipendente dalle attività umane. Tale modello è quello adottato nell’ambito delle Neuro- scienze e dalla Psichiatria Biologica. Al pari della materia i cui elementi costituenti – gli atomi – sono classificabili sulla Tavola Periodica, così i disturbi mentali esistono in natura come entità discrete, riconducibili in disfunzioni complesse del sistema nervoso centrale che tentiamo di localizzare con le moderne tecniche di Neuroimaging e che classifichiamo all’interno dei Manuali Diagnostici.

Il pragmatismo è un approccio più moderato che chiede alle categorie diagnostiche di descrivere nel modo più valido possibile, ma soprattutto utile, i fenomeni psicopatologici, non ponendosi affatto la questione sulla presenza dei disturbi mentali nel mondo reale come entità autonome. Tra i possibili limiti di tale prospettiva, Kendler (2016) sottolinea soprattutto lo scarto che si porrebbe tra i professionisti della salute mentale e gli altri spe- cialisti in campo medico, che non hanno alcun dubbio sulla realtà delle malattie che tratta- no. Evitare la questione, secondo Kendler, espone la disciplina a critiche di insussistenza. Nell’analisi della terza prospettiva, Kendler fa riferimento al modello del Costruttivismo Sociale: i disturbi mentali sarebbero entità non reali, costruzioni determinate da complesse influenze storico-culturali.

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Il confronto teorico offerto da Kendler (2016) permette innanzitutto di chiarire che quando poniamo la questione relativa alla natura dei disturbi mentali, stiamo in realtà cercando di definire se si tratta di nozioni con una reale esistenza o se si tratta di puri “nomi” (nomina in Latino, o in termini più moderni, costrutti).

Come suggerito da Laszlo Tringer (2006), il dibattito ha delle profonde analogie con la Disputa sugli Universali (Quaestio de Universalibus), la maggiore questione filosofico- teologica della Scolastica, sviluppatasi nel XII secolo d.C, a partire dalla traduzione di Boezio delle Isagoge di Porfirio, un testo del terzo secolo d.C. introduttivo alle Categorie di Aristotele; Porfirio, di formazione neoplatonica, aveva qui posto il problema della natura e della realtà di termini universali come quello di genere e specie.

La Quaestio de Universalibus si sviluppò pertanto intorno al quesito se nella relazione tra gli Universalia e le Res, i primi potessero vantare una propria esistenza autonoma, extra-mentale, nel mondo reale e, in questo ultimo caso, se fossero realtà corporee o in- corporee. In estrema sintesi si distinsero pertanto tre diverse posizioni:

– la posizione realista secondo cui gli universali esistono nel mondo indipendente- mente dalle reali entità che esse denotano (universalia ante rem), come il Mondo delle Idee nella filosofia di Platone;

– la posizione antirealista, secondo cui non si può riconoscere uno statuto di realtà naturali ai concetti nati per descrivere la realtà stessa (universalia post rem);

– infine la posizione detta di realismo moderato, per cui gli universali esistono in quanto essenza delle cose ma non possono essere astratti completamente da esse (universalia in rem).

Laszlo Tringer (2006) osserva come l’impressionante edificio diagnostico del modello- DSM rappresenti una forma moderna di raccolta di universali, categorie che tendono a guadagnare lentamente una propria ragion d’essere, al pari della posizione realista (uni- versalia ante rem). Ciò, però, comporta il rischio di ridurre progressivamente l’importanza attribuita al soggetto portatore del disturbo, l’individuo. Secondo Tringer, per non cadere in un eccesso di realismo, è utile accogliere una posizione di realismo moderato, che in- dividua infine nel contributo offerto dal Costruttivismo.

I sintomi e i disturbi mentali sono innanzitutto costrutti. Secondo German Berrios (2012) un costrutto è una nozione (come il concetto di virtù o malattia) o un’immagine (un quadro) il cui scopo è quello di mappare o rappresentare qualcos’altro. Sono griglie semantiche per dar forma a fenomeni comportamentali poco chiari e informi, in modo da consentire che possano essere colti. La resistenza all’idea che le categorie della psichiatria siano costrutti può nascere dalla paura che questa idea possa compromettere la loro onto- logia (e di conseguenza mettere a rischio la loro localizzabilità, il neuroimaging e la gestio- ne delle medicine). A sua volta questa paura può derivare dalla credenza (sbagliata) che i costrutti “non facciano parte della natura”, ma siano artefatti del linguaggio o finzioni.

I sintomi mentali sono nuclei biologici formattati da densi configuratori culturali (Ber- rios, 1999): «[…] i sintomi mentali sono azioni comunicative, espressione di un segnale biologico, che risentono pesantemente della mediazione dei codici personali, sociali e culturali, e che dopo essere state pronunciate vengono a loro volta ulteriormente concet- tualizzate all’interno di un’interpretazione “professionale”. Quindi la natura della “realtà”

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psichiatrica non è di per sé puramente biologica o un vuoto costrutto sociale ma la com- plessa combinazione fra i due fattori». L’idea cardine è che i disturbi mentali sono «oggetti ibridi» (Berrios, 2012), cioè costrutti frutto dell’elaborazione di segnali biologici sulla base della cultura accessibile, a seconda del momento storico, nella società. Tale posizione, a nostro parere, coincide con la prospettiva di realismo moderato (universalia in re), pro- spettava da Tringer (2006) come soluzione alla questione relativa alla natura ontologica dei disturbi mentali.