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Ebbene se è così, prendiamolo in parola: il vero è che il Gentile non è stato liberale mai; ma tendente nella sua gioventù al socialismo e poi sempre più fossilizzato nell'imparaticcio tedesco, ha sempre cercato di imporre alle scuole la dottrina e ora ahimè anche la pratica più illiberale; prendiamolo in parola : se la libertà è da attuare, attuiamola, rivendichiamola.

La libertà si esercita, si pratica. E la prima pratica della libertà è insegnarla. Noi non abbiamo nulla a temere dalla più ampia discussione e dalla luce, « non dobbiamo mai stancarci di opporre la verità all'errore che non si stanca mai di ^apparire » sostegno perpetuo della sopraffazione e della frode. Insegniamo a tutti la libertà, cos'è, quanto vale, tutto, non parte, fine non mezzo, feconda di tutti i beni che senza di essa o non si ottengono o anche goduti non giovano, poiché sono ingrasso, non spirito.

Non contraddice al principio essere doveroso l'esercizio della libertà, l'insegnamento della libertà l'altro principio della neces-sità di un governo.

Osserviamo e riconosciamo gli uni e gli altri una cosa: l'istinto infallibile della conservazione ci ha fatto invocare un governo forte, tutto patria, che frenasse, schiacciasse le forze disgregatrici e liberticide, che tenevano lo campo e non nega-vano neanche più, anzi talora ostentanega-vano l'aiuto e il comando straniero. Onde quando tale governo apparve

« Benigno a'suoi ed ai nemici crudo »

fu accolto dal plauso quasi universale e dalla resa a discrezione degli impauriti avversari che avevano minacciato le mitraglia-trici per poi correre alla cuccia come cani bastonati.

Se la piglino in pazienza gli uni e gli altri, la verità non fa mai male ; gli è che eravamo arrivati a tal punto, che il popolo stanco di disordine, affamato di pane, di quiete e di lavoro, di sicurezza, e fra esso i migliori pure di dignità, era disposto a plaudire e seguire chiunque questi beni promettesse, e desse, vera o falsa, la sicurezza di procurare.

Già per lo innanzi a tali miraggi e alle seguite delusioni si dovette il sorgere, il mantenersi fra biasimi e vergogne e final-mente il cadere dei governi tra l'armistizio e il 28 ottobre 1922. Il popolo non' vuole la soluzione idealmente ottima, ma quella

che si presenta immediata, semplice, sicura. Chiunque avesse osato quello che si osò dal discorso di Udine alla marcia su Roma, avrebbe avuto seco la nazione: il popolo stanco di fazioni aveva sete di governo, la fazione che si è fatta governo ebbe il plauso dei più, e a ragione o torto, non soltanto dei giovani fanatici, ma dei vecchi che avevano misurato gli anni di pericoli e di vergogne. La Camera fustigata a sangue non ebbe un gesto di ribellione, ma rispose col consentire i pieni poteri ; e questo atto pur desiderato, pure preteso, fu per il pubblico contro di essa nuovo motivo di biasimo e di disprezzo. Dunque sotto l'apparente dedizione cieca e indiscussa a un uomo c'è nel popolo un nuovamente ridesto amore di libertà e di dignità. Per amore di questi beni, per assicurarne il possesso e l'attuazione, esso, sotto la sovrana autorità del Re si è dato un duce, non un padrone. Inutile provocazione ricorrere alla forza fin che dura questo fortissimo consenso, e il giorno che il consenso venisse a mancare, il ricorso alla forza sarebbe per breve ora pericolo, perchè troverebbe contro di sè la forza vera, costante, nazionale, fedele alle istituzioni e alla patria. E forse per chi non si lascia sgomentare dalle voci grosse, il quotidiano obbligato vituperio non solo contro coloro che, insinceri gli uni sì, ma sincerissimi gli altri, invocano la libertà, ma pur contro la libertà stessa è un segno confortante che c'è della gente che ha paura di un ridestarsi, comporsi, riformarsi, rieducarsi e salire a infallibil segno della coscienza italiana. Ora se la paura è tanta che da molte bocche, almeno quattro o cinque a Roma, due o tre a Milano, due o tre a Torino, due a Firenze e a Napoli non ignare di pietanza come noi sono di verga le curve schiene rispettive, grida su metro obbligato, questo è indizio se non prova che questa temuta coscienza c'è, e forse anche se in un primo momento la fustigazione ha fatto piegare a nuova dedizione, poi è stata stimolo a ricordarsi che la vera liberazione viene dall'intimo: e il liberatore esterno (a meno che non fosse Dio stesso) disfarebbe l'opera propria o ne svelerebbe l'inganno e gli intenti non puri se non ci lasciasse liberi. Peggio poi se per tenerci schiavi chiamasse in soccorso dottrine alcooliche che fan Dio un uomo potente e sacramento il manganello.

Ma sì, hanno ragione, cento volte ragione quei buoni vecchi, del Senato specialmente, che mi prendono affettuosamente le braccia: ma per carità, state zitto, pensate a che punto eravamo: vi farebbe piacere che ci tornassimo?

— Oh no, mille volte no, ma non è detto che ci si torni: se uno desideri che si moderi un diluvio e un' inondazione, non gli direste: oh che sareste contento che tornasse la siccità che aveva

bruciato i raccolti, disseccate le fonti, onde bestie e uomini mori-vano? Eppure nel seguir di quei fatti non entra coscienza e volere come qui. Entriamo un momento in noi stessi: ciò che alla fine ci ha fatto esecrare la viltà socialistofila e la socialista prepo-tenza così, che avremmo plaudito pure al diavolo che avesse fatto cessare tanta jattura e tanta sconcezza, è stato appunto che l'una permetteva e favoriva e l'altra con crescente audacia compieva i più intollerabili attentati ed oltraggi alla libertà. D'accordo con voi cbe tali attentati e oltraggi, scioperi imposti, prezzi d'impero, boicotaggi a chi non si piegava alle leghe,

aqua et igni interdicere, come nel Bolognese avveniva, chiunque

per acquistare, vendere, lavorare e raccogliere nel proprio campo non fosse munito del permesso scritto dei briganti, infine, preme-ditata sanzione, gli eccidi di Bologna e di Ferrara, dei quali gli autori principali impuniti da nessun Devecchi furono ancora buttati giù dalle scale di Montecitorio, d'accordo con voi che tanta orgia di viltà e di barbarie era anche la completa rovina economica della Nazione e il suo sfacimento politico, e doveano a ogni costo, con qualunque mezzo cessare, e qualunque disagio e mala contentezza devesi sopportare piuttosto che il loro ritorno 0 qualche imprudenza cbe lo favorisca. Ma appunto per questo non deve continuare mutato nomine e sotto nuova insegna. Uno sciopero imposto col fascio littorio, un patto forzato e un prezzo d'impero a nome di qualche irresponsabile direttorio, le elezioni amministrative per delegazione del potere centrale, il permanere o meno dei Consigli comunali, la libertà di voto e di opinione alia Camera e quella di stampa sottoposta alla sovranità del manganello sono offesa giacobina, rovina soviet-tista altrettanto e più che se avvenissero sotto i segni con-fessi dell'anarchia, del disordine e dell'accordo collo straniero nemico.

Fosse anche vero, e non è proprio vero di tutti, che quelli, 1 quali oggi gridano all'offesa libertà e al conculcato Statuto, agiscano per secondi fini, non è proprio il modo migliore di confutarli il metterli di fatto dalla parte della ragione, calpe-stando sulle ossa dell'on. Misuri l'art. 51 dello Statuto e pubbli-cando come quello di un eroe il ritratto del teppista autore della prodezza.

Mai si è fatto tanto spreco della parola spirito, della parola dignità, della parola disciplina, della parola ordine ; e mai forse sono state queste parole cosi male comprese; incomprensione che in alcuno si, ma non nei più nè in tutti viene da eccesso di riflettere. Ma cosa vuol dire dignità, cosa vuol dire ordine, cosa vuol dire disciplina ? Che tutti tremino sotto la verga e la scure ? Briganti e Tartari possono imporla cosi e darla. Ordine, disciplina, libertà intendiamo il massimo rispetto assicurato alla persona umana, al suo diritto, alla sua indipendenza, alla facoltà di usare le cose sue, e di vivere davvero la vita dello spirito, che è conoscenza, amicizia, famiglia, ascensione. È ora di dirglielo una volta sul muso che soiio pur buffi coloro, quei materialisti fonciers, che tutto il giorno si sciacquano la bocca collo «spirito». Non permettono, Sant1 Ufficio di Tiro e Babi-lonia, che la gente creda allo spirito trascendente, che il Vangelo ed i «filosofi di carta pesta »(1) chiamano il Padre Celeste, s'infuriano come tori a sentirlo nominare, e poi non lo vogliono riconoscere immanente, o come noi filosofi di carta pesta diremmo, partecipato nell'uomo individuo, se non è professore egheliano e ministro in camicia nera « per stare al suo posto ». Ma via, non è un po' troppo comodo codesto io sì, voi altri no ? E se provassimo un po' noi a dire: Io son lo spirito? Ci mandereste al manicomio. Ma quale è il criterio per discernere?

No, lo spirito non sta nella sedia e nella bottega editrice.

Spiritua ubi vult spirat, e l'afflato è stato dato a tutta la natura

umana, e sua dignità viene dall'intelligenza costitutivo comune della specie. Il vero ordine è la giustizia, non il silenzio, non una disposizione che assicuri maggior getto giornaliero delle macchine. Buono anche questo, ma non è il fine; le scarpe sono fatte per l'uomo, non l'uomo per le scarpe. Buono anche questo, e l'economia classica insegna che giustizia ed in genere moralità sono condizioni di maggiore produzione e ricchezza, e colla moralità e la giustizia mette pure la libertà. Condizioni, ma non mezzi ; condizioni, ma lor valore, loro essenza non sta

(1) Cosi dall'alto di tribunale editoriale ci ha chiamati l'appaltatore della filo-sofia tedesca in desinenze italiane quanti siamo rimasti fedeli alla distinzione del bene e del male, mettendoci perfino al di sotto di quel canonico Ardigò che altra-volta, quando area ancora bisogno di demolirlo, aveva esposto al disprezzo dell'uni-versale riassumendone tutta la dottrina in un passo dove il decimo rifrittore di Condillac deriva la direzione pessimista od ottimista del pensiero da un bottone che stringe i calzoni o dall'avorio sbottonato.

nell'essere condizioni di ricchezza. La libertà è fine, non mezzo. Perchè la libertà è il diritto stesso. Non sono un porcellino, non sono un federato, non vi domando che m'ingrassiate, do-mando che mi rispettiate. Considerare la libertà come mezzo è non capire che cosa è libertà. La ragion d'essere dello Stato sta in questo: dalla corrotta natura umana nascono ignoranti e sopraffattori; vi deve essere una forza civile organo della ragione che li comprima acciò non rechino offesa alla libertà. Libertà mezzo vuol dire, e fu detto, cbe quando non serve più si può sostituire e si deve col mezzo contrario. In questo modo non c'è diritto che si salvi : non la proprietà, non la vita, non la costumatezza Non la proprietà, che è poi libertà, perchè troppe volte appare più utile manometterla e violarla ; e così la vita dei nemici, degli avversari, degli oziosi, degli impotenti, degli incurabili più volte parve più utile sopprimere o almeno non prolungare con cure e attenzioni. E non si dica che questi patrocinatori del furto e dell'omicidio erano falsi utilitari, misu-ratori sbagliati della vera utilità cbe c'è nel possesso indivi-duale sicuro, nella tranquillità sociale e nella carità: l'utilità, come deriva dalla dottrina del Manzoni e da altre concordi (1), è essenzialmente incerta, sta appunto nell'incertezza; ma di più, posto ed accettato il criterio dell'utilità invece di quello asso-luto e senza eccezioni della onestà e della rispettata libertà cbe è poi tutt'uno, quel che prevale nel fatto non è quasi mai l'uti-lità più probabile e duratura effettiva e misurata dagli econo-misti al lambicco ed al metro della riflessione, ma quella appa-riscente, immediata, impaziente. Se il Manzoni avesse vissuto al tempo dei personaggi del suo romanzo e fosse andato allora in piazza a fare i bellissimi arguti, profondi e pur chiarissimi ragionamenti che fanno dei Promessi Sposi anche un capolavoro di logica e di economia, avrebbe corso il rischio ed incontrata la sorte del vicario di provvisione e degli untori senza Renzo e Ferrer e monatti che il salvassero.

Gli è che più su sta monna luna. Come* ho accennato da principio, io sono persuaso che chi ha detto recentemente che la libertà è un mezzo sostituibile da altri secondo il bisogno

(1) Appendice intomo al sistema ohe pone la morale nell'utilità. V. anche i i miei Discorei Sulle più riposte armonìe fra l'economia e la morale e Se le leggi

economiche patiscano eccezione pronunziati ai Georgofili e poi stampati pure in

non intendeva di mezzi a fini bassamente utilitari, ma al fine elevatissimo dell'ordine e dello Stato civile. Ma gli è che l'ordine e lo Stato civile consiste appunto nella libertà. Lo stesso fre-nare e comprimere le rivolte, l'anarchia, la sedizione, la diser-zione è uso e tutela di libertà, poiché, rivoltosi, anarchici, sediziosi, disertori, attentano alla libertà individuale, alla pub-blica ed alla comune. Fosse anche possibile, il che non è, togliendo all'uomo la libertà aumentargli gli altri beni, sarebbero questi inutili, e tale trattamento degno di bruti ; sarebbe torgli o negargli l'umanità.

Erra l'uomo colla libertà, ma solo per la libertà è capace di giustizia, di adesione al vero, e, se ha errato, di correggersi o venir corretto e fare del non irreparabile errore scala a più vedere e più salire.