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Necessità di considerare il rischio in azienda

Nel documento Risk management & assessment (pagine 43-46)

È evidente che un’impresa non può essere indifferente al rischio ovvero alla possibilità di perdere: soprattutto dove il controllo di un’impresa implica il possesso da parte di un singolo

shareholder di una quota rilevante della proprietà; per i managers o i dipendenti il cui reddito

(e quindi lo status e la carriera) dipende dalle performances dell’impresa; per la crescente interdipendenza dell’azione e delle performances delle imprese24(Drezè, 1979), soggette a comuni fattori di mercato e a comuni tendenze di evoluzione della tecnologia e delle conoscenze; ed infine, in condizioni di moral hazard, connesse al fatto che le possibilità di generare profitti, per un’impresa rappresentano una informazione privata che può impedire – in un certo intervallo temporale – la diversificazione dei rischi, (Grossman-Hart, 1982).

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In prima approssimazione si può tuttavia concludere che ex-ante non possono essere formulate regole semplici di ottimalità di risk-sharing. Si può assumere la natura non-

assimetrica dei comportamenti verso il rischio dei soggetti costitutivi la corporation.

La disciplina è essenziale per determinare comportamenti efficienti, rigorosità nell'osservanza delle norme di legge e consapevolezza nell’assunzione dei rischi. Se un’impresa è carente sotto questi profili, si trova esposta a vari pericoli: di attacco da parte di concorrenti più coerenti nelle loro decisioni ed efficienti nel loro agire, di insorgenza di passività potenziali, di distruzione di risorse materiali ed immateriali, di danno per l'immagine e la reputazione aziendale che possono pregiudicarne lo sviluppo se non la stessa sopravvivenza.

Assumere e gestire adeguatamente il rischio è diventato indispensabile al fine di creare valore e profitto per gli azionisti. Tuttavia, emerge chiaramente che molte aziende non comprendono pienamente i rischi commisurati all’agire dell’impresa e il processo di assicurarne il governo, a livello di board, risulta generalmente inefficace o addirittura inesistente.

Il focus del management è generalmente centrato sui mercati, sui clienti e sui prodotti ma troppo poco sui rischi; le decisioni strategiche sono inoltre, quasi sempre condizionate da condizioni cognitive che, a causa di un eccesso di ottimismo o al contrario della tendenza a percepire le perdite/danno più acutamente dei vantaggi/benefici, distorcono il modo in cui gli esseri umani raccolgono ed elaborano le informazioni.

È anche sostanzialmente condiviso che adottare un modello di business cosiddetto “risk

adverse”, nel tentativo di proteggere da danni o perdite i propri assets tangibili e intangibili, è

ancor più problematico perché disincentiva il management dall’assumere il rischio, riducendone la capacità imprenditoriale.

Il punto è quindi di assicurare il giusto equilibrio che protegga l’azienda da potenziali perdite finanziarie e di immagine lasciando spazio all’imprenditorialità diffusa; il management dovrebbe cioè avere la libertà di agire sapendo che la potenziale ricompensa di ogni decisione di business è consapevolmente ponderata con i rischi corrispondenti e che i ritorni derivanti da questa decisione sono allineati ai livelli di rischio accettati dall’azienda.

La conseguente ineliminabilità del rischio aziendale, non deve essere associata all’incapacità di selezionare e gestire singolarmente i rischi, bensì all’impossibilità di eliminare congiuntamente tutti i rischi d’impresa senza che vengano meno le condizioni di funzionamento della stessa. Per il Ferrero: “il rischio d’impresa non può essere eliminato, senza determinare contemporaneamente il dissolvimento dell’impresa medesima”. Per il Bertini: “data la sua natura, il rischio economico generale tende a identificarsi con gli

andamenti essenziali della vita dell’azienda: esso è perciò ineliminabile. Ciò significa che i singoli rischi particolari possono essere eliminati, ma solo in tempi diversi: la simultanea eliminazione degli stessi significherebbe, infatti, la eliminazione del rischio economico generale”.

Al fine di soddisfare le crescenti attese di investitori, clienti e altri stakeholder, le imprese devono cambiare e innovare continuamente, esplorando nuove opportunità di business, modificando i propri processi operativi, adottando nuove tecnologie. Tutto ciò genera in continuazione nuovi rischi o, comunque, modifica il profilo di rischio in essere, alla cui definizione contribuiscono i rischi provenienti dall’ambiente interno (indotti dalla limitata affidabilità di risorse e sistemi) e quelli provenienti dall’ambiente esterno (connessi a mutamenti nel modo di funzionare e nelle regolamentazioni dei contesti economico, politico, sociale).

Siamo dunque ad una situazione nella quale il rischio industriale tende a crescere rapidamente e, superata una soglia di sicurezza, si scontra con figure chiave del capitalismo industriale, sia dell’imprenditore “puro” (speculatore o rent-seeker), sia dell’imprenditore-capitalista. Il primo tende a minimizzare i propri investimenti entro la fascia di quelli a rischio contenuto e a elevata profittabilità differenziale di breve periodo. Il secondo ha interesse a divenire un

capitalista-finanziatore, trasferendo quote rilevanti di rischio verso istituzioni a questa

funzione deputate (banche, borsa, fondi, ecc.), operando tramite una differenziazione dei propri impieghi e uno “scambio” fra minori rischi / minori profitti unitari e una maggiore certezza di una “soddisfacente” redditività di medio-lungo termine, (Pilotti, 1991).

Un’insufficiente considerazione del rischio in situazioni di incertezza può condurre: a strategie non efficaci, a insuccessi nel lancio di prodotti, a scarsa competitività dei processi competitivi o contenziosi legali che, a loro volta, possono avere un impatto significativo sul valore della società.

Lo stesso Bertini sostiene che non tenendo conto del rischio si rinuncia esplicitamente a colmare l’eventuale distacco tra il mondo delle ipotesi e quello della realtà; in definitiva si accetta l’idea di danno. Se invece, in sede di formulazione di ipotesi si tiene conto dei rischi in modo preventivo, questi possono arrivare anche a pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi aziendali; senza la conoscenza del rischio, infatti, non c’è la possibilità di preparare o di adottare azioni correttive migliorative. Ovviamente, l’inclusione del rischio nelle ipotesi non elimina la possibilità di danno; ma ne riduce sensibilmente gli effetti.

Infatti, per trasformare le minacce in opportunità un’azienda deve conoscere, gestire e avere una comprensione profonda dei rischi, a cui è potenzialmente esposta, identificarne la portata

e collegare il piano di risk management alla strategie aziendale. Oltre a modificarne le prospettive e gli obiettivi strategici, i rischi fanno mutare anche le posizioni attuali dell’azienda, determinando il sorgere di fenomeni reali, i quali incidono immediatamente sulle performance dell’impresa.

Nel documento Risk management & assessment (pagine 43-46)