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Nepal, tragica conta dei morti

Nel documento RASSEGNA STAMPA del 30/04/2015 (pagine 129-133)

Si temono oltre 10 mila vittime

Quattro giorni dopo la prima devastante scossa di magnitudo 7.9 in Nepal, comincia ad emergere, anche se confusamente, l'entità della catastrofe che ha colpito 8 milioni di persone, ovvero un terzo del Paese himalayano. Il bilancio ufficiale delle vittime ha superato i 5 mila, ma il governo stima che i morti potrebbero salire a oltre 10 mila, come ha ipotizzato il premier Sushil Koirala. Fra le vittime anche tre trentini: Renzo Benedetti, Oskar Piazza e Marco Pojer. Mano a mano che i soccorsi arrivano nelle valli a nord di Kathmandu, quelli più vicini all'epicentro, il quadro della tragedia si fa sempre più drammatico. Oggi è giunta la notizia di 250 dispersi sotto una valanga che ha travolto il villaggio di Ghodatabela, a oltre 2500 metri di quota, situato su un popolare trekking nella scenica valle di di Langtang. Si teme che ci possano essere anche turisti stranieri.

Il posto è stato raggiunto dagli elicotteri solo ora, ma il maltempo ha impedito le operazioni di ricerca. Anche a Kathmandu la pioggia torrenziale ha aggravato le già precarie condizioni delle decine di migliaia di sfollati che vivono all'addiaccio nei parchi e sui marciapiedi. Moltissimi di loro non possono tornare nelle case perchè sono pericolanti, e migliaia di bimbi - afferma Save the Children - sono a rischio ipotermia. Nella capitale cominciano a scarseggiare acqua in bottiglia, cibo e benzina. Soltanto in alcune aree è stata ripristinata la corrente elettrica. La buona notizia è che i telefonini sono di nuovo funzionanti e hanno permesso quindi di comunicare con i distretti che erano isolati. Si teme però che nei prossimi giorni a Kathmandu arrivi un esodo di profughi dalle zone terremotate. Decine di migliaia di persone hanno lasciato i villaggi con trasporti pubblici o con i propri mezzi.

I giornali stamane pubblicavano foto drammatiche di persone che prendevano d'assalto i pochi autobus per fuggire dai villaggi ormai 'invivibilì per i cadaveri in putrefazione sotto le macerie. Il distretto di Gorkha, da cui proviene un famoso battaglione di soldati, è stato completamente distrutto. Alcuni volontari giunti sul posto hanno riferito che il 90% delle case sono crollate. Non ci sono però delle stime complessive sul numero dei dispersi. Il governo nepalese, che più volte ha ammesso di non essere in grado di far fronte all'emergenza, sostiene che c'è ancora molta confusione. Sui muri degli ospedali di Kathmandu sono comparse delle liste di persone scomparse, ma non esiste un conteggio totale. Grazie all'arrivo di squadre di soccorso straniere, tra cui un efficiente team di cinesi, sono riprese le ricerche in alcune parti della città.

Diversi corpi, ormai in avanzato stato di decomposizione, sono stati tirati fuori dai detriti di case e templi. Oltre alla Cina, anche l'India, Regno Unito e Usa hanno inviato generi di prima necessità, medicinali e anche elicotteri per trasportare i

Nepal, tragica conta dei morti

feriti. Tuttavia all'aeroporto è ancora emergenza per il grande numero di aerei in partenza con i turisti evacuati e quelli in arrivo con l'assistenza umanitaria. Alla tragedia del sisma va aggiunta anche quella delle valanghe che hanno travolto circa 150 alpinisti che si trovavano tra il campo base dell'Everest e il campo 2 e oltre 120 turisti che stavano facendo un trekking in direzione di Pangoche. Per ora le vittime confermate sono 18, ma soltanto nei prossimi giorni, quando i superstiti convergeranno a Lukla (dove c'è l'aeroporto), si potrà finalmente avere un quadro chiaro di cosa è successo sul 'tetto del mondò, dove per il secondo anno consecutivo non ci saranno salite alla vetta. Infine gli italiani. La Farnesina ha fatto sapere che finora sono stati rintracciati 375 connazionali, mentre dieci risultano ancora irreperibili. Al momento restano quattro le vittime confermate.

Anche la Provincia autonoma di Trento si è attivata nella catena della solidarietà, stanziati 50 mila euro e aperto un conto corrente per sostenere finanziariamente progetti di solidarietà in favore della popolazione del Nepal.

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Nepal, tragica conta dei morti

Nepal, caos e sgomento nel sisma Iniziamo a lavorare per il dopo

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Intervista

Nepal, caos e sgomento nel sisma

"Iniziamo a lavorare per il dopo"

La disorganizzazione nei soccorsi. E il dramma della popolazione. Anche per i quattro milioni di emigrati che lavorano altrove. Parla da Kathmandu Maurizio Busatti dell'Oim. Che ammonisce: «Bisogna fare tesoro degli aiuti prima che l'opinione pubblica venga distratta dalla prossima crisi»

di Francesca Sironi 29 aprile 2015

Una madre con la figlia in un campo per sfollati a Kathmandu «Sì c'è il caos. Ma cerco di essere comprensivo rispetto a questa disorganizzazione, di incoraggiare al meglio, di non criticare, adesso. Perché mi ricordo la nostra confusione, quando arrivai in Irpinia il giorno dopo il terremoto del 23 novembre 1980. Trovo ora, qui, lo stesso sgomento di allora.

La stessa paralisi di fronte allo shock del sisma».

Maurizio Busatti è un operatore dell' Organizzazione Internazionale per le Migrazioni . Da quattro giorni aiuta sul campo l'attività di 100 tecnici che hanno attrezzato in poche ore tre campi di raccolta, con tende, container e logistica per gli aiuti che arrivano da tutto il mondo. «Kathmandu è ancora anestetizzata, sgomenta per la paura delle scosse. Oltre che vuota: la gente è raccolta in campi spontanei, e chi può è partito verso i villaggi dove è nato per cercare i parenti e aiutare le vittime».

Nepal, il dramma degli sfollati dopo il terremoto

L'epicentro infatti è ancora coperto di fango. Su 39 distretti colpiti, di cui 16 duramente, cinque sono ancora pressoché irraggiungibili. «Solo per il conto esatto delle morti bisognerà aspettare giorni», e infatti il premier nepalese, nonostante gli accertati siano poco più di cinquemila, teme già 10mila uccisi dai crolli, oltre le decine di migliaia di feriti.

«Mancano bulldozer per togliere le macerie e camion pesanti per trasportare gli aiuti», spiega Busatti: «Le strade principali sono aperte, ma quelle minori sono spesso crollate. E nella capitale rischiamo la congestione di mezzi, fra militari e civili che si contendono i pochi spazi dall'aeroporto e le vie per arrivare ai villaggi. Per questo è stato attivato anche lo scalo di Pokhara».

Nella complessità della gestione, la priorità ora è dare rifugio a milioni di sfollati, sotto la pioggia e nei singhiozzi della terra che trema: «C'è tantissimo nervosismo. Sono sorti circa 30 “opensites”, punti di raccolta, spontanei, con

addensamenti spesso insostenibili, dove mancano latrine, acqua, ordine pubblico. Il rischio di esasperazione è forte».

Intorno ai campi, poi, c'è il macigno del dolore: «Si formano code per le cremazioni», sussurra Busatti, colpito anche lui dall'enormità della sofferenza: «Aspettano il loro turno per piangere i morti». Tutto questo nella capitale, mentre fuori è ancora difficile fotografare solamente la situazione. I primi voli in elicottero hanno riportato la notizia di interi villaggi sepolti. Smottamenti e valanghe non si sono fermati.

«Provvidenzialmente lavoravamo qui da quattro anni», spiega l'operatore dell'OIM: «Avevamo ricevuto un finanziamento internazionale per attrezzare quattro campi di raccolta che fossero pronti in caso di una calamità naturale. Non dico che ce l'aspettassimo, ma quasi. Solo che è arrivata prima e in modo più disastroso di quanto chiunque potesse immaginare».

Così l'organizzaione internazionale era riuscita a costruire un solo accampamento, di fianco all'aeroporto, ora usato come base logistica. «Siamo state delle cassandre, purtroppo».

«Dobbiamo ricordare poi che il Nepal è una terra di emigrazione», continua Busatti: «più di quattro milioni di nepalesi lavorano fuori dal paese. Nei villaggi così restano spesso solo le famiglie, le donne, i bambini, gli anziani. Per i quali è ancora più difficile l'autosoccorso». Per gli emigrati, l'India ha predisposto voli gratuiti per tornare a casa e traffico telefonico libero per contattare i familiari. «La maggior parte di loro si trova però fra Dubai, Qatar e Malesia», ricorda lui:

Nepal, caos e sgomento nel sisma "Iniziamo a lavorare per il dopo"

«Un milione vive solo nella penisola araba», ma da lì, al momento, non sono stati dati mezzi collettivi per tornare nel paese colpito dal sisma.

E ora? «Ora dobbiamo già pensare al dopo», spiega Busatti: «Tenere il tesoro degli aiuti per quando l'attenzione mediatica e l'opinione pubblica saranno distratte dalla crisi successiva. Fra un mese ci sarà il raccolto del riso, in queste condizioni sarà un disastro, potrebbe presentarsi sul serio il problema della fame. E ci preoccupano i monsoni». Il suo suggerimento è anche per chi vuole aiutare da casa: «Gli sms sono importanti, ma ora bisognerebbe aiutare anche quelle associazioni, come l'Unicef, che hanno una lunga esperienza nella gestione prolungata delle crisi, dopo l'emergenza».

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