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Professore ordinario di Diritto costituzionale Università degli Studi di Teramo

3. Qualificazione delle fattispecie

3.1 Norme di riconoscimento di diritto interno

Dopo aver esaminato quale siano in astratto le possibili evoluzioni della forma statale sorge la seconda - e ben più difficile – domanda: quali, di tali evoluzioni, sono legittime? Occorre pertanto verificare se esistono,

nel diritto vigente, norme di riconoscimento capaci di qualificare in termini di legittimità/illegittimità le diverse tipologie che abbiamo passato in rassegna.

La questione ha natura empirica perché riguarda la concreta individuazione di parametri normativi capaci di qualificare le fattispecie e, allo stesso tempo, essa ha natura prescrittiva perché presuppone un ordinamento di riferimento, sia esso l’ordinamento giuridico interno oppure l’ordinamento internazionale.

Tutte le fattispecie sopra esaminate sono ovviamente rilevanti, tanto per il diritto internazionale, quanto per il diritto interno e per quello costituzionale: nel senso che esse sono capaci di determinare in quegli ambiti conseguenze giuridiche.

Nel diritto internazionale alla formazione di un nuovo Stato conseguono una serie di effetti come la successione nei trattati10; nei beni, nei debiti e negli archivi11; più in generale nei diritti e doveri che gli enti

sovrani reciprocamente si riconoscono.

Ancor di più nel diritto interno la formazione di un nuovo Stato - per secessione o per unione poco cambia - corrisponde addirittura alla genesi di un nuovo ordinamento giuridico perché essa costituisce la decisione politica fondamentale che determina la forma e la specie dell’unità di un popolo su un territorio. Ma in entrambe le dimensioni - per ragioni diverse che cercheremo di indagare - manca un sistema di regole capace di qualificare questi fenomeni secondo la normale dinamica tra sein e sollen. Allora di fronte alla domanda “Quando è legittima una secessione?”, è possibile dare una risposta scientificamente fondata? Oppure essa attiene a fenomeni che possiamo solo descrivere per cui la successione è legittima quando riesce e illegittima se fallisce. Si tratta di una questione che appartiene al mondo dell’essere e di fronte alla quale il giurista deve arrestarsi? Oppure è possibile rispondere in termini giuridici e prescrittivi? Il primo fronte da indagare è quello dell’ordinamento nazionale che sia oggetto di rivendicazioni indipendentiste o separatiste. In linea generale, se la questione viene posta in astratto diviene una questione di teoria generale ovvero sul fondamento dell’ordinamento giuridico e della sua grundnorm. In questi termini non pare possibile ragionare di legittimità di una secessione perché si cadrebbe nel noto paradosso: da un lato essa sarebbe gravemente eversiva dell’ordine costituito e, dall’altro lato, essa stessa rappresenterebbe il fatto costituente (ed epico) del nuovo ordine che al primo irriducibilmente si oppone. La scelta fra quale parametro assumere sarebbe dunque una decisione arbitraria (cioè extra-giuridica) da effettuare in premessa che priverebbe di qualunque valore scientifico la successiva analisi.

10 Cfr. la Convenzione di Vienna del 23 agosto 1978. 11 Cfr. la Convenzione di Vienna del 8 aprile 1983.

Se invece la domanda viene posta in concreto rispetto a determinate vicende storiche la risposta potrebbe essere diversa nel caso in cui una determinata Costituzione contenga specifiche disposizioni aventi ad oggetto modifiche territoriali capaci di incidere sugli elementi costitutivi dello Stato. In questi limitati casi è allora possibile individuare un parametro normativo non arbitrario in quanto posto all’interno dell’ordinamento nazionale vigente.

In realtà deve riconoscersi che la gran parte delle Costituzioni vigenti - proprio in quanto costitutive della specie e della forma dell’unità politica dello Stato - non prevedono il diritto di secessione ed in generale la riduzione degli elementi costituitivi dell’ente sovrano. Possono prevedere modificazioni territoriali che incidono sugli enti autonomi (ad esempio, gli artt. 132 e 133 della Costituzione italiana) ma esse lasciano inalterati il territorio, il popolo e la sovranità.

Invece, per individuare parametri non arbitrari, occorre cercare specifiche costituzionali che disciplinino la secessione e le altre forme di evoluzione dello Stato e dei suoi elementi costitutivi. Solo in presenza di disposizioni espresse di questo tipo, pur nella contrapposizione politica fra vecchio e nuovo ordine, sarebbe possibile salvare la continuità giuridica senza precipitare nel baratro dell’effettività.

In realtà, poste queste premesse, l’analisi empirica sembra confermare l’assunto iniziale secondo cui esiste una contrapposizione ontologica fra un ordinamento sovrano e il diritto alla secessione. La ragione di fondo è che l’appartenenza del cittadino alla comunità statale è coattiva e giammai facoltativa o a base volontaristica.

La storia umana non attesta la sottoscrizione di alcun “contratto sociale” ogni volta che si è formato un ordinamento sovrano e tantomeno una tale manifestazione di volontà è stata mai richiesta al cittadino che, divenendo maggiorenne, acquisisce la piena capacità di agire sul piano giuridico. La mitizzazione che la celebre opera del 1962 di Jean Jacques Rousseau ha prodotto, testimonia in realtà l’esatto contrario e cioè che ogni essere umano, per il solo fatto di essere nato in un certo luogo e in un certo tempo, è insindacabilmente integrato in un determinato ordinamento sovrano che pretende da lui assoluta obbedienza alle proprie regole.

Non è dunque accidentale la circostanza che nel diritto positivo non sia dato individuare norme che consentano la secessione perché esse intaccherebbero una norma costitutiva dell’ordine giuridico: ammessa la possibilità per un gruppo di cittadini di essere sciolti dal vincolo di appartenenza allo Stato (cittadinanza) non vi sarebbero ragioni per negare tale “diritto” a tutti gli altri, sia collettivamente che singolarmente. Se lo status di cittadino fosse nella disponibilità del cittadino il corpo del Leviatano si disgregherebbe in un istante, perché ciascuna delle cellule che lo compongono acquisirebbe vita propria ed indipendente.

A conferma di tale considerazione i pochi esempi di disposizioni costituzionali che riconoscono il diritto di secessione riguardano ordinamenti federali e non già stati unitari.

I primi esempi possono essere individuati nelle diverse costituzioni (1918, 1923, 1936, 1977) che si sono succedute nella Federazione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS). In esse con formulazioni sostanzialmente identiche si riconosce che “ad ogni Repubblica è assicurato il diritto di libera secessione dall’unione”12.

Un secondo esempio è rappresentato da una disposizione che ha acquisito celebrità a seguito della c.d. Brexit e cioè dalla decisione del Regno unito nel 201613 di recedere dall’Unione europea. L’articolo 50 del

Trattato sull’Unione Europea stabilisce infatti che “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione”.

Senza dilungarci nelle complesse questioni procedurali che l’attuazione di simili disposizioni comporta, il dato rilevante è che il diritto alla secessione in realtà non viene riconosciuto al popolo o una parte di esso (una popolazione) bensì ad un ente sovrano: la Repubblica o lo Stato membro. Ciò significa che non viene in alcun modo incrinata la sovranità di uno Stato nazionale il quale, al contrario, con la secessione riacquisisce la pienezza della propria sovranità revocando le “cessioni” a suo tempo effettuate in favore di un ordinamento sovranazionale di natura federale.

Dall’altro lato, il soggetto passivo della secessione non è un ente originario ma un ordinamento derivato che ha visto la propria genesi grazie alle volontarie cessioni di sovranità effettuate in proprio favore da una serie di stati sovrani. Il recesso, dunque, è possibile solamente se riguarda un vincolo di natura volontaria (come il contratto federativo fra Stati) e giammai se riguarda un vincolo coattivo per sua natura irretrattabile.

Pertanto, sulla base delle considerazioni svolte, non sembra che sia possibile individuare parametri non arbitrari di valutazione della legittimità delle evoluzioni degli enti sovrani nelle norme degli ordinamenti statali.

12 Cfr. art. 48, Cost. U.R.S.S. del 1918; art. 4, Cost. U.R.S.S. del 1923; art. 17, Cost. U.R.S.S. del 1936 e art. 72, Cost.

U.R.S.S. del 1977).

13 A seguito del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea che si è svolto il 23 giugno

2016 nel Regno Unito e a Gibilterra: il risultato ha visto prevalere i favorevoli con il 51,9% dei voti contro il 48,1% degli elettori che ha votato per la permanenza.

3.2 Norme di riconoscimento di diritto internazionale e il principio di autodeterminazione dei

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