Professore associato di Diritto amministrativo Università degli Studi G d’Annunzio
4. Uno sguardo d’insieme, e al futuro
L’analisi compiuta consente dunque di proporre qualche risposta al quesito formulato in coda alla premessa, che riguarda il modo in cui l’Ue stia rispondendo al bisogno di rafforzare il modello sociale europeo per sostenere lo sviluppo economico, e riguarda, soprattutto, il rapporto fra essa e la sovranità degli Stati membri nel perseguimento di questo obiettivo.
La strategia adottata, come si è visto, trova la sua più significativa rappresentazione nella proclamazione interistituzionale del Pilastro europeo dei diritti sociali, ma non vi si esaurisce, sia perché la proclamazione dovrebbe rappresentare essenzialmente un punto di partenza, più che un approdo, sia perché la stessa, come chiarito dalla Commissione nella Comunicazione n. 130/2018, altro non è che un passaggio, pur se significativo, di una azione intrapresa almeno tre anni prima e tradottasi prevalentemente nella adozione di direttive in materia di politiche del lavoro nonché di raccomandazioni rivolte agli Stati in materia di sistemi di protezione sociale. Ciò rappresenta al tempo stesso un punto di forza e di debolezza, almeno al momento, dell’intera strategia, perché la sua architettura complessa e prospettica si è tradotta sino a ora nella adozione di atti formalmente vincolanti solo in un ambito tematico circoscritto, quello delle politiche per il lavoro, pur se le proposte legislative in attesa di approvazione riguardano anche il connesso settore della previdenza sociale.
Lo stesso pilastro non è del resto vincolante, né formalmente né sostanzialmente. Non lo è formalmente poiché non è stato veicolato attraverso nessuno dei procedimenti previsti dal Trattato per l’adozione di un atto legislativo vincolante, e perché la proclamazione è semplicemente orientata a formalizzare un impegno, non sanzionato né agevolmente sanzionabile, degli organi firmatari. Ma non lo è neppure sostanzialmente in quanto, pur affermando l’esistenza di diritti nella forma lessicale appropriata (modo
30 Cfr. F. VANDENBROUCKE, Social Policy in a Monetary Union: Puzzles, Paradoxes and Perspectives, in M. BOONE
– G. DENECKERE – J. TOLLEBEEK (a cura di), The End of Postwar and the Future of Europe, 2017, in corso di pubblicazione, al momento disponibile in SSRN: https://ssrn.com/abstract=2961223; F. VANDENBROUCKE,
Automatic stabilizers for the euro area and the European social model, Tribune, Notre Europe Institut Jacques Delors, 2016,
indicativo, individuazione dei requisiti soggettivi, oggettivi e di contenuto), non prevede sanzioni per la violazione di alcuno dei precetti in esso stabiliti, neppure quello di chiusura del sistema, che rimette all’Unione e agli Stati, nell’ambito delle rispettive competenze, l’adozione delle misure attuative idonee a rendere effettivi i diritti proclamati.
In una prospettiva più ampia, peraltro, l’intera azione e ciascuna delle sue componenti annunciate nel Pilastro ben si inseriscono nel raggio degli obiettivi dell’Unione, per come definiti dai Trattati e richiamati dallo stesso Pilastro. Altra cosa è tuttavia capire se alla stessa conclusione possa giungersi quanto alle competenze esercitabili dall’Ue – ai sensi degli artt. 3, 4 e 6 del Tfue – per raggiungere quegli obiettivi. Il Pilastro pare in sostanza individuare la propria base giuridica con riferimento agli obiettivi dell’Unione, piuttosto che alle sue competenze, le quali sono concorrenti rispetto a quelle degli Stati (nel senso però che essi le possono svolgere solo se e nella misura in cui l’Unione non l’abbia fatto), oppure di sostegno, coordinamento e completamento delle loro azioni nella maggior parte dei settori interessati dalla strategia, a eccezione dell’ambito delle libertà di circolazione, riservato in via esclusiva all’Ue. Si scorge dunque una prima area grigia fra gli obiettivi annunciati e i mezzi attualmente a disposizione per conseguirli.
Proprio alle libertà di circolazione si correla inoltre uno dei più importanti limiti del Pilastro: si è infatti visto che esso si rivolge ai Paesi dell’area euro, mentre gli altri Stati membri possono scegliere se aderirvi o meno. In sostanza, posto che le libertà di circolazione riguardano l’intero ambito Ue, e non solo l’area euro, oltre che un settore in cui l’Ue detiene competenze esclusive, il Pilastro a due velocità, così come concepito, rischia di minare il mercato interno e dunque si pone in contrasto rispetto ai Trattati.
Come si è infatti rilevato, in via generale la disciplina nazionale dei sistemi di welfare influenza la circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali nell’Ue: ciò è a es. testimoniato, per l’ipotesi di elevata differenziazione orizzontale fra sistemi, dal dumping sociale che si manifesta nella delocalizzazione delle attività di produzione industriale (epifania a sua volta di una incentivazione distorta delle libertà di circolazione). Ma è anche testimoniato dal modo in cui la migrazione di pazienti fra Paesi membri è disciplinata in ambito eurounitario, con riferimento sia agli atti legislativi sia agli orientamenti giurisprudenziali, che si preoccupano invece di ridurre il livello di differenziazione quale possibile barriera alla circolazione.
Accade dunque che, in alcuni settori, un elevato livello di differenziazione orizzontale può determinare una corsa/competizione al ribasso dei sistemi di welfare nazionali a detrimento dei cittadini, e incentivare così meccanismi di circolazione fondati sull’esercizio non virtuoso della libertà di stabilimento. In altri settori, tuttavia, un elevato livello di differenziazione orizzontale può limitare la fruizione dei servizi
sociali in un Paese Ue diverso da quello di appartenenza e risultare così ostativo alla libertà di circolazione dei servizi e delle persone.
Al contempo, la circolazione delle persone può influenzare la spesa e le politiche sociali degli Stati membri, nella misura in cui l’onere della copertura della prestazione si trasferisca dal Paese di origine del migrante a quello ospitante (ciò che alimenta anche istanze separazioniste all’interno dell’Ue, per l’emergere di condizioni di sofferenza, anche solo percepite, del Paese ospitante, in relazione all’onere di garantire le prestazioni sociali o a oneri di genere diverso).
L’osservazione sulla discrasia fra il Pilastro e i Trattati per il tramite della posizione riservata ai Paesi esterni all’area euro si indebolisce, tuttavia, se si considera che gli atti legislativi vincolanti già adottati nell’ambito della strategia e quelli oggetto di proposte legislative non ancora approvate si riferiscono all’area Ue e non solamente all’area euro.
I ragionamenti sin qui sviluppati riguardano il più ampio tema degli effetti del processo di integrazione europea sulle politiche sociali degli Stati: si determina in sostanza un moto circolare in ragione del quale i welfare nazionali divengono inadeguati a rispondere a certi bisogni della popolazione, a es. in ragione di condizioni che accrescono il grado di complessità del sistema, il tasso di mobilità dei cittadini Ue e dunque anche le occasioni di intervento dell’Unione. Ciò provoca la contrazione della sovranità degli Stati, che a sua volta rappresenta un ulteriore fattore di indebolimento dei welfare nazionali.
In questo scenario il Pilastro e la strategia in cui esso si inserisce rappresentano dunque, al di là dei limiti sin qui rilevati, l’occasione per ripensare e ridefinire il ruolo dell’Unione, degli Stati e delle reciproche relazioni negli ambiti bidirezionalmente funzionali dello sviluppo economico e delle politiche sociali. L’acquisizione della consapevolezza di questa funzionalità, formalmente affermata nello stesso Pilastro, pare costituirne in realtà l’elemento più rivoluzionario, perché in grado svelare l’inadeguatezza delle politiche di contrazione della spesa a garantire ambedue gli elementi del rapporto, ossia lo sviluppo economico e il welfare. L’ordinamento eurounitario e gli Stati dovrebbero dunque collaborare alla edificazione non tanto di un sistema di welfare dell’Ue, quanto piuttosto di una unione fra i sistemi di welfare nazionali (che a sua volta sarebbe funzionale a realizzare una più effettiva unione economica), da articolarsi secondo il modello di una convergenza minima attorno a un comune denominatore e in condizioni di reciprocità, ma con il sostegno finanziario dell’Unione. Questo dovrebbe essere prestato in senso quanto meno perequativo (ove si manifesti la necessità di correggere carenze oggettive non diversamente colmabili), o anche premiale (per l’incentivazione delle virtuosità), in modo da consentire la produzione degli effetti positivi riconducibili alla competizione a rialzo fra sistemi (capacità di migliorare l’offerta, in termini assoluti e/o riducendone i costi senza pregiudicarne il livello). Tuttavia la
politica strutturale dell’Unione non è idonea a garantire questo intervento, il quale si tradurrebbe nell’esercizio di una funzione permanente di redistribuzione della ricchezza che solo la titolarità di poteri fiscali potrebbe garantire. Gli obiettivi del Pilastro risultano pertanto sotto questo profilo ancora incongrui rispetto agli strumenti oggi disponibili per conseguirli.
Restano dunque, al momento, la sua funzione orientativa per le azioni dell’Ue e degli Stati, la maggiore effettività degli altri atti della strategia (adottati o in corso di adozione) e, infine, la maturazione in fieri della consapevolezza che la crisi finanziaria e del processo di integrazione eurounitario si collochino in realtà in un contesto ove non è consentito arretrare il processo, o arrestarlo, ma unicamente accelerarlo.