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2. Le notizie di reato qualificate

2.2.3. Omissione di referto

L’ultimo aspetto da dover analizzare, riguarda la disciplina concernente l’omissione di referto. In materia, due sono gli aspetti che meritano di essere analizzati: da un lato l’elemento oggettivo, ovvero i presupposti dell’obbligo; dall’altro l’elemento soggettivo. Per quanto riguarda il primo aspetto, è opportuno soffermarsi sulla situazione tipica, ovvero l’insieme degli elementi che fanno sorgere l’obbligo di attivarsi, penalmente sanzionato. Da questo punto di vista, affinché sorga l’obbligo di referto occorre che il soggetto qualificato in termini di «professionista sanitario» abbia effettivamente prestato «assistenza od opera». Il concetto di «opera» è una novità aggiuntasi grazie ai lavori preparatori al codice Rocco, al fine di potervi ricomprendere «qualsiasi intervento occasionale e transitorio»; mentre il concetto di «assistenza», unico riferimento nel codice del 1889, ricomprende prestazioni continuative. Le prestazioni in questione, che possono essere remunerative o gratuite, sollecite o spontanee, devono però aver comportato il contatto diretto con il caso. A ciò segue la necessità che si tratti di un reato perseguibile d’ufficio: si deve fare riferimento alla situazione in cui l’operatore sanitario ha esercitato la propria prestazione professionale. Qui devono essere esaminati due ordini di valutazioni: l’uno volto ad inferire notazioni di criminosità dall’episodio che ha dato luogo all’intervento, l’altro teso ad appurare nel fatto la concreta perseguibilità d’ufficio. Il primo tipo di giudizio è meramente tecnico, in quanto frutto delle conoscenze scientifiche dell’operatore sanitario: l’indagine clinica non deve spingersi alla causalità delittuosa, ma arrestarsi semplicemente ad un esame obiettivo del caso, ad una diagnosi e prognosi sommarie. Fino all’approvazione del codice penale del 1988, ciò era garantito nonostante l’art. 4 del previgente codice facesse riferimento esplicito alle «cause del

delitto», tra i requisiti del contenuto del referto. La formula è stata eliminata dal nuovo art. 334 c.p.p..

Il secondo tipo di giudizio invece, consequenziale al precedente, è di tipo tecnico-giuridico. L’art. 365 c.p., infatti, afferma come non basti l’apparenza di un qualsiasi reato perché sorga l’obbligo di referto, ma si debba prospettare l’apparenza di un delitto perseguibile d’ufficio. Ciò offre il fianco ad ampi margini di inesatte rappresentazioni, compiute in buona fede dal soggetto: si tratta in tal caso di un errore penalmente rilevante. Le condotte che integrano tale errore sono l’omissione o il ritardo, ed è per questo che sono sorte esigenze di celerità che hanno imposto scadenze temporali ben precise. La scansione temporale si ritiene coincidente con l’immediata presentazione del referto, quando vi sia pericolo nel ritardo, e, negli altri casi, entro le quarantotto ore dall’acquisizione del sospetto.66 La trasmissione può essere effettuata personalmente, ma può anche essere affidata a persone di fiducia, o eseguita telefonicamente, con l’obbligo, però, di una successiva trasmissione scritta. I destinatari del referto sono l’autorità giudiziaria o un ufficiale di polizia giudiziaria del luogo dove è stata prestata assistenza, o, in mancanza, del luogo più vicino.67

Secondo la giurisprudenza, «perché sorga l’obbligo di referto non basta che il caso possa presentare in astratto un’ipotesi di reato perseguibile d’ufficio, ma occorre che tale possibilità sussista in concreto e cioè non sia esclusa dalla valutazione del sanitario».68 Pur bastando la possibilità, e non richiedendosi la probabilità o certezza, appare in giurisprudenza chiara consapevolezza che tale possibilità va valutata in concreto: cosicché è tal fine devoluta al

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«L’ampliamento del termine rispetto alle ventiquattro ore previste nel codice abrogato mira ad evitare che si creino situazioni eccessivamente gravose per il redigente». P.P. PAULESU, Art. 334, in A. GIARDA e G. SPANGHER (a cura di)

Codice di procedura penale commentato, vol. II, Ipsoa, 2001, p. 39. 67

G. SPANGHER, Trattato di procedura penale, p. 22.

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sanitario una valutazione «oltre che clinica anche empirica e discrezionale, delle circostanze che hanno accompagnato il fatto e che permettono di stabilire se questo possa o meno presentare i caratteri del delitto».69 Parte della dottrina ha però diversamente rilevato che la ratio della norma esigerebbe che l’autorità giudiziaria venga informata «della notitia criminis relativamente a fatti cui si sia acquisita una conoscenza tale da giustificare, quanto meno, un sospetto di criminosità e di punibilità», concludendo che «se tale è l’interesse tutelato dall’art. 365 c.p., perché sia offeso tale interesse, e quindi perché sussista il reato in esame non può bastare che l’esercente una professione sanitaria abbia acquisito di un fatto conoscenza tale da giustificare un sospetto di criminosità, ma occorre che sia giustificabile anche un sospetto di punibilità». In conclusione, «è vero che il sanitario non deve arrogarsi il potere di selezionare tra le notizie criminis che possano essersi evidenziate al suo sguardo; ma è pur vero che non necessariamente ogni fatto lesivo della persona debba essere refertato senza alcuno spazio a considerazioni che attengano alla concreta dinamica del fatto ed anche, in concreto, all’elemento soggettivo che appaia prospettabile».70 La condotta

omissiva, ovvero il mancato compimento dell’azione prescritta dalla norma penale, consiste nella ritardata od omessa presentazione del referto: si ritiene in tal caso che l’irregolarità di forma non realizzi il delitto in esame quando non sia tale da equivalere l’omissione di referto. Il delitto si consuma con lo scadere dei termini senza che il referto sia stato presentato: non rileva che il delitto si sia poi accertato inesistente o non perseguibile d’ufficio.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, il delitto ex art. 365 c.p. è di carattere doloso, richiedendosi dunque la coscienza e volontà degli

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G.P. VOLPE, Referto, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. XII, p. 6. Così Cassazione Penale, 06 novembre 1948, in Giurisprudenza Italiana, 1949, vol. II, p. 295 ss.

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elementi oggettivi della fattispecie. Trattandosi di reato istantaneo, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come «la sussistenza del dolo va accertata con riferimento al momento del suo perfezionarsi e non successivamente».71 Per l’omissione di referto, il codice di rito ha previsto due cause di non punibilità: una collocata nel secondo comma del medesimo articolo, l’altra dall’art. 384 c.p., che, tra le innumerevoli figure di reato, contempla anche l’art. 365 c.p.. La causa di non punibilità prevista dall’articolo in questione consiste nell’esposizione a rischio penale della persona assistita. Il fondamento della non punibilità risiede qui in un dovere solidaristico, dato dal rapporto di fiducia instauratosi tra il sanitario e colui che vi è entrato in relazione. Il sanitario è dunque tenuto a presentare referto, solo laddove il proprio assistito possa apparire come soggetto passivo di un possibile delitto, e non anche quando esso possa essere esposto al rischio di un procedimento penale. «Le esigenze della giustizia vengono subordinate così alla necessità che l’assistenza sanitaria non sia ostacolata dal timore che, richiedendola, si possa essere esposti a procedimento penale»72.

L’altra causa di non punibilità invece risiede nell’art. 384 c.p.: qui vengono genericamente riassunti casi di non punibilità e, la norma, richiama esplicitamente l’art. 365 c.p., laddove si afferma che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore».