• Non ci sono risultati.

Uno sguardo al passato: la denuncia nel codice

2. Le notizie di reato qualificate

2.1.1. Uno sguardo al passato: la denuncia nel codice

«La denuncia consiste nella comunicazione trasmessa alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero, avente ad oggetto la conoscenza di un reato da parte di un soggetto».39 Essa rientra tra quelle che la dottrina definisce notizie di reato qualificate, giacché il legislatore ha provveduto ad attribuirle un nomen iuris specifico ed un’autonoma disciplina normativa: ad essa sono infatti dedicati gli artt. 331 e seguenti c.p.p.. L’entrata in vigore del nuovo codice ha dunque permesso una nuova allocazione della disciplina in questione, rientrando nel Titolo II del Libro V del codice di procedura penale. Netta dunque la differenza rispetto al codice previgente, che dedicava alla denuncia gli artt. 1, 7 ed 8 del c.p.p., determinandone natura, funzione e forma. L’art. 1 c.p.p., includendola appositamente tra alcune forme di notitia criminis , la definiva come un «atto la cui funzione è quella di portare a conoscenza dell’Autorità giudiziaria situazioni penalmente rilevanti, stimolando così l’avvio dell’azione penale».40 La denuncia costituiva dunque l’espressione non di un diritto soggettivo o di un potere, bensì di una mera facoltà. Disponeva, infatti, così l’art 7 c.p.p., laddove affermava che: «Ogni

39G. SPANGHER, Trattato di procedura penale, p. 17. 40

G. VIGLIONE, Denunce obbligatorie, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. III, p. 388.

persona, anche diversa dall’offeso, che ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio, può farne denuncia al procuratore della Repubblica, al pretore o ad un ufficiale di polizia giudiziaria». Se la facoltatività rappresentava indubbiamente la regola, esistevano però casi eccezionali e tassativamente previsti dalla legge, in cui la denuncia diveniva obbligatoria. L’art. 7 c.p.p. proseguiva infatti: «La legge determina i casi nei quali la denuncia è obbligatoria».41 Le due forme, tipicamente previste, di denunce obbligatorie erano il rapporto e il referto. «Il rapporto è, infatti, la denuncia obbligatoria di un reato da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio che ne sia venuto a conoscenza nell’esercizio e a causa delle sue funzioni e del suo servizio».42 Esso era un atto funzionale dovuto, in ottemperanza di un preciso dovere penalmente sanzionato e trovava la sua ratio giustificatrice nel principio di legalità, che deve investire l’operato della Pubblica Amministrazione. Per quanto riguarda la sua struttura, l’art. 2 c.p.p. precisava come il rapporto «espone succintamente il fatto con tutte le circostanze che possono interessare il procedimento penale; dà notizia di tutti gli elementi di prova raccolti e, quando è possibile, contiene le generalità di chi è indicato come reo, della persona offesa dal reato e dei testimoni, o quant’altro valga alla loro identificazione». L’obbligo del rapporto investiva anche i giudici civili ed amministrativi, e le autorità amministrative titolari di funzioni disciplinari per ogni fatto amministrativo o disciplinare, in cui siano ravvisabili gli estremi di un reato. Lo stesso obbligo incombeva anche sul giudice istruttore che, nel corso di un’istruzione penale, sappia di altro reato per cui si debba procedere d’ufficio.43

41

G. VIGLIONE, Denunce obbligatorie, in Digesto delle discipline penalistiche,

vol. III, p. 388. 42

G. VIGLIONE, Denunce obbligatorie, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. III, p. 388.

43

G. VIGLIONE, Denunce obbligatorie, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. III, p. 389.

L’altra forma tipica di denuncia obbligatoria era il referto, «definito come quella speciale informazione a cui sono tenuti gli esercenti una professione sanitaria che, nell’espletamento della loro opera professionale, abbiano avuto notizia di fatti che rivestono i caratteri di delitti perseguibili d’ufficio».44 L’art. 4 c.p.p. precisava gli aspetti strutturali dell’atto in questione, affermando che esso deve appositamente indicare: «la persona o le persone che hanno determinato l’intervento del referente, il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento, il luogo in cui attualmente trovasi l’offeso e, se possibile, le generalità di questo o quant’altro valga ad indentificarlo; dà inoltre tutte le notizie che servono a stabilire le circostanze, le cause del delitto, i mezzi coni quali fu commesso e gli effetti che ha cagionato o può cagionare». Il referto doveva essere presentato al procuratore della Repubblica, al pretore o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria entro 24 ore dall’intervento o, in caso di pericolo nel ritardo, immediatamente. Qualora più persone avessero prestato la loro opera o assistenza, erano tutte obbligate a presentare referto, o attraverso atti separati ed individuali o attraverso un unico atto sottoscritto da tutte le parti interessate.

Una volta individuate le forme di denuncia obbligatoria, l’art. 8 c.p.p. precisava le formalità a cui la denuncia doveva sottostare: essa poteva essere presentata in forma scritta od orale. Se era presentata oralmente, l’ufficio che la riceveva doveva provvedere a documentarla mediante apposito verbale, sottoscritto dal verbalizzante e dal denunciante mediante apposizione della propria firma autografa in calce all’atto; qualora venisse invece presentata in forma scritta, essa veniva redatta in carta libera, non richiedendosi necessariamente la presentazione da parte del denunciante, ma potendosi tranquillamente effettuare anche tramite terze persone o tramite servizio postale.

44

G. VIGLIONE, Denunce obbligatorie, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. III, p. 389.

Il medesimo articolo, al suo 3° comma, si soffermava su una particolare questione, quella delle delazioni anonime. Esso affermava che: «La denuncia presentata per iscritto deve essere sempre sottoscritta dal denunciante o dal suo procuratore speciale». Il legislatore non ha prescritto la sottoscrizione a pena di nullità, con la conseguenza che esse non possono essere sottoposte al medesimo regime giuridico delle denunce anonime, come risultava dal 4° comma dell’art. 8 c.p.p., laddove si ricavava che ciò che rende anonima la denuncia «non è la mancanza di sottoscrizione o l’imperfezione della stessa, ma la mancanza di indicazioni da cui sia obiettivamente rilevabile l’identità dell’autore»45. Quando si tratta di delazioni anonime, infatti, trova applicazione l’art. 141 c.p.p. attraverso cui «gli scritti anonimi non possono essere uniti agli atti del procedimento, né può farsene alcun uso processuale, salvo che costituiscano corpo del reato, ovvero provengano comunque dall’imputato». Lo stretto legame esistente tra l’art. 8 e l’art. 141 c.p.p. ha acceso un ampio dibattito in dottrina, orientata sin dal principio ad «escludere la riconducibilità della denuncia anonima sia al modello legale disciplinato nell’art. 8 c.p.p., che al più vasto genus delle notizie inqualificate. Le notizie anonime si riducono ad un atto di informativa, che, seppur idoneo a stimolare inchieste, preclude al pubblico ministero di svolgere personalmente o per mezzo della polizia giudiziaria indagini dirette a verificare la fondatezza dell’incolpazione contenuta nell’anonimo».46 Gli scritti anonimi dunque non assumono il ruolo di fonte di informazione, bensì, assurgendo al rango di elementi di valutazione, finiscono per porsi come elemento costitutivo della motivazione di provvedimenti istruttori.

45

U. PIOLETTI, Il concetto di «scritto anonimo» è diverso e più vasto di quello

«non sottoscritto», in Rivista Penale, 1935, p. 1218. 46

L. BRESCIANI, Denuncia e rapporto, in Digesto delle discipline penalistiche, vol. III, p. 398.