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Osservazioni conclusive

Diritto del Lavoro

7. Osservazioni conclusive

Prima di concludere volevo riprendere un punto cui ha accennato il prof. Pascucci. In realtà, anch’io credo che i protocolli non esauriscano le misure di cui all’art. 2087 c.c. e qui, secondo me, c’è un dato testua-le. L’art. 1 del d.l. n. 33 del 2020, al comma 15, prevede che il datore di lavoro possa attuare l’art. 2087 c.c. in materia di prevenzione da Covid anche al di fuori dei protocolli, allorché adotti delle misure, degli “ade-guati livelli di protezione”. L’art. 1 co. 15 parla, invero, al negativo, cioè dice che i datori di lavoro, che non rispettino i protocolli e non assicurino adeguati livelli di protezione, sono sanzionati con la sospensione dell’atti-vità fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.

Allora qui, secondo me, c’è spazio per dire che il protocollo non esaurisce tutto, perché la legge ipotizza anche un’altra possibilità, appun-to che vengano adottati adeguati livelli di protezione per i lavoraappun-tori anche

“oltre” e “al di fuori” dei protocolli. I protocolli, dunque, non esaurisco-no tutto il contenuto dell’art. 2087 c.c.; soesaurisco-no un parametro importante, ma non completamente esaustivo.

In conclusione, nella normativa più recente è indubbia non solo la valorizzazione, ma anche la istituzionalizzazione dei profili collettivi della sicurezza. Si è parlato più volte - ma il discorso è molto teorico e non lo voglio affrontare in questa sede - del ruolo pubblicistico delle rappresen-tanze per la sicurezza, che viene in qualche modo rivitalizzato ed esaltato.

ma al di là di questo, è indubbio che la gestione concertata della sicurez-za, a livello collettivo, abbia acquistato molta importanza sia con l’intesa del 2018, sia con i protocolli. Si tratta di una novità senz’altro positiva.

La innovazione sostanziale, ripeto, è comunque l’affermazione che l’obbligazione di sicurezza ex art. 2087 c.c. – che prevede un obbligo di fonte contrattuale, in quanto si parla di obblighi per l’imprenditore che derivano dal contratto di lavoro che stipula con il lavoratore – possa esse-re adempiuta anche, e anzi principalmente, uniformandosi ai parametri individuati in sede concertativa e negoziale. In sostanza, le parti sociali sono abilitate alla definizione e alla realizzazione del principio contenuto nell’art. 2087 c.c., e anche nel testo unico, della “massima sicurezza tec-nologicamente fattibile”.

Rimane però irrisolto il nodo dei rapporti tra rappresentanze sin-dacali RSA e RSU) e rappresentanze per la sicurezza, perché il

sinda-Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1972, 156), in cui già all’e-poca si profilavano rappresentanze per la sicurezza dei lavoratori esterne all’impresa.

Ciò potrebbe essere realizzabile senza particolari sconvolgimenti del quadro esistente, proprio perché il sindacato, comunque, si riserva già una competenza aggiuntiva e diversa rispetto al RLS. Allora, perché non pensare ad un RLS estraneo alla comunità di rischio in ambito aziendale?

È in fondo la logica del RLSt. Quello che volevo rimarcare, per conclu-dere, è che sicuramente i profili collettivi della salute e sicurezza sul lavo-ro, da questa legislazione post-pandemica, sono stati rivitalizzati e que-sto è un ottimo segnale; un segnale che, a mio avviso, mancava nel teque-sto unico. È forse una delle poche eredità positiva della pandemia. Grazie dell’attenzione.

(R. Dalmasso)

Grazie per l’invito, sono davvero molto contento di poter essere qui con voi in questi mesi come visiting. Ancora grazie Andrea per l’invito e ringrazio anche tutta l’università di modena e Reggio emilia. Ci sareb-bero tantissime cose da dire sulla esperienza francese, in quanto abbiamo avuto tantissime fasi e testi che hanno tramite i quali si è cercato di fron-teggiare questa crisi. tuttavia, anziché fare una panoramica generale, ho preferito parlare solo di due leggi recenti, ovverosia la legge del 5 ago-sto del 2021 e la legge del 22 gennaio 2022. Sono le leggi ancora attuali in Francia e si occupano di una problematica che esiste anche in Italia, e cioè quella della vaccinazione dei dipendenti e dell’eventuale rifiuto dei dipendenti di vaccinarsi.

Nel 2020, finalmente, il legislatore si è preoccupato di assicurare la cd. “chômage partiel” (cassa integrazione) per i dipendenti in stato di qua-rantena. Siamo stati così giunti ad avere – e questo è stato storico in Fran-cia – più di dieci milioni di dipendenti in orario ridotto per alcune set-timane. Con le ondate successive e lo sviluppo del vaccino del 2021, si è data priorità all’organizzazione aziendale; ciò al fine di garantire il rientro al lavoro dei lavoratori, evitando il più possibile nuovi lockdown. Soprat-tutto all’inizio molti dipendenti si sono, tuttavia, dimostrati contrari o comunque riluttanti al vaccino.

Di fronte a questa corrente anti-vax, condivisa anche da alcuni medici e deputati dei partiti politici, il legislatore ha risposto nel seguen-te modo. Si è in primo luogo prevista la rinuncia, da parseguen-te del Governo, all’obbligo di vaccinazione, eccetto per i sanitari (medici, infermieri ecc).

tale esplicita rinuncia ha trovato riscontro nella legge del 5 agosto 2021 con cui si è introdotto il cd. “pass sanitaire”. Di fronte alla persistente riluttanza di alcuni dipendenti a farsi vaccinare, il legislatore francese è poi successivamente intervenuto con la legge del 22 gennaio 2022 che ha, invece, previsto l’introduzione del cd. “passe vaccinal”. Si è così trasfor-mato il “passe sanitaire” in “passe vaccinal”.

L’applicazione di questi testi ha causato molti problemi nel diritto e nella gestione delle risorse umane nelle aziende.

ne corredato da scadenze abbastanza rigide. Nel dettaglio, il personale ha dovuto fornire la prova della somministrazione di almeno una prima dose di vaccino tra il 15 settembre e il 15 ottobre 2021: si doveva, quindi, forni-re la prova della somministrazione di due dosi o anche di una dose singola in caso di previa contrazione della malattia. A partire dal 30 gennaio 2022, i dipendenti dovevano poi adempiere all’obbligo di richiamo (corrispon-dente alla terza dose di vaccinazione, o alla seconda dose in caso di prece-dente contrazione del Covid-19). Peraltro, si è avuta una discrasia in rela-zione alle terre francesi d’oltremare. In particolare, in Guadalupa e mar-tinica, gran parte del personale sanitario si è dichiarato ostile ai vaccini, rischiando di disorganizzare gli ospedali già indeboliti dalla crisi del Covid.

tuttavia, il legislatore ha mantenuto l’obbligo di vaccinare il personale, concedendo un ulteriore lasso di tempo entro cui adempiere all’obbligo.

Per alcune categorie di lavoratori, il legislatore dell’agosto 2021 ha introdotto il cd. “pass sanitario”. Si tratta di un pass che ha, nel dettaglio, interessato tutti coloro che frequentano luoghi di svago, convivialità, o che comunque lavorano nei trasporti pubblici o in certi grandi magazzini. Per poter visitare questi luoghi o comunque per svolgere il proprio lavoro, le persone dovevano presentare alternativamente un certificato di vaccinazio-ne (in grado di attestare un ciclo di vaccinaziovaccinazio-ne completo) o un tampovaccinazio-ne effettuato 72 ore prima con esito negativo, o un certificato medico conte-nente la controindicazione al vaccino.

La situazione si è poi modificata con la legge del 22 gennaio 2022 che ha determinato la trasformazione del “pass sanitario” in “pass di vacci-nazione”, per cui attualmente i dipendenti che lavorano in luoghi pubbli-ci devono essere vacpubbli-cinati. Non è più, pertanto, suffipubbli-ciente fornire un tam-pone con esito negativo.

Il legislatore ha quindi aumentato gradualmente la pressione sui dipendenti. Si deve tuttavia sottolineare che i lavoratori non hanno un obbligo in senso stretto di vaccinarsi, ma se non lo fanno non possono lavorare.

Un numero abbastanza considerevole di lavoratori del settore sani-tario è tuttavia ancora contrario al vaccino. Alcuni citano una cifra che si aggira a circa 15.000 operatori sanitari non vaccinati, anche se si trat-ta di un importo difficile da verificare. Nessuna cifra è strat-tatrat-ta, invece, resa pubblica per i dipendenti che frequentano e/o lavorano in luoghi di sva-go o divertimento.

Il legislatore ha voluto mantenere le cose semplici per i lavoratori del settore sanitario (o dipendenti a questi assimilati): la mancata vacci-nazione determina la sospensione del loro contratto. Il datore di lavoro che scopre che il dipendente non è stato vaccinato entro i termini stabi-liti dalle leggi dell’agosto 2021 e del gennaio 2022 è, quindi, obbligato a notificare al dipendente la sospensione del contratto. Non si tratta però, di una sanzione in senso stretto, ma si palesa solo l’impossibilità di con-tinuare ad avere un contratto di lavoro. In molti ospedali e cliniche que-sto è stato un fattore di grande tensione sociale soprattutto se si considera l’importanza che questi operatori hanno.

Per i dipendenti soggetti prima al “pass sanitario” e poi, a partire dal gennaio 2022, a quello vaccinale, la procedura si articola in più fasi: il datore di lavoro è obbligato a convocare il dipendente entro 3 giorni per esaminare le modalità di regolarizzare della sua situazione. In particola-re, si valuta la possibilità di assegnazione, anche temporanea, all’interno dell’azienda ad un’altra mansione per la quale non è previsto l’obbligo di vaccinazione. Una volta che questo colloquio ha avuto luogo, se il dipen-dente persiste nel rifiutare il pass, il datore di lavoro può, e anzi deve, sospendere il contratto. La scelta di sospendere il contratto può, a prima vista, sembrare un’opzione relativamente indulgente: il contratto è salva-to e il dipendente potrà salva-tornare al lavoro non appena rispetterà il pass. Si tratta tuttavia di una misura molto incisiva e dolorosa per il dipendente:

questo, infatti, non ha più diritto al lavoro e non riceve alcuna paga. Non può, al contempo, definirsi “disoccupato” in quanto il suo contratto per-siste ancora: non ha, pertanto, diritto al “trattamento di fine rapporto”

o alle “indennità di disoccupazione”. In casi del genere, il dipendente si trova in una situazione, pertanto, difficile perché non è più pagato. Può,

ad allentare le forti tensioni che possono sussistere tra datore di lavoro e dipendente. È anche vero però, che il datore di lavoro non ha interesse a questo tipo di cessazione del rapporto di lavoro.

In caso di impasse, il dipendente può essere licenziato. tuttavia, questa scelta non è senza rischi per il datore di lavoro, tant’è che ci sono stati pochissimi casi di licenziamento. In assenza di contenzioso, è poi difficile specificare il regime di licenziamento applicabile.

La maggioranza della dottrina ritiene che il medico che rifiuta il vaccino commetta una “cattiva condotta” che giustifica il licenziamen-to. Alcuni ritengono, addirittura, che la cattiva condotta possa qualificar-si come “grave”; ciò priverebbe il dipendente del trattamento di fine rap-porto. A prescindere comunque che la cattiva condotta sia grave o meno, sembra ammissibile il licenziamento disciplinare degli operatori sanitari contrari al vaccino.

Il licenziamento di un dipendente non sanitario anti-vax è inve-ce più difficile da giustificare. Secondo la maggior parte della dottrina, è possibile avere un licenziamento per trouble objectif (“disordine ogget-tivo”). Si tratta di un licenziamento che si basa sull’incapacità oggettiva di lavorare. In Francia è una sorta di licenziamento soggettivo, ma legato a una causa oggettiva di cessazione del rapporto. In questi casi il dipen-dente avrebbe diritto ad un trattamento di fine rapporto. In Italia, questo tipo di licenziamento è più comunemente classificato come un “licenzia-mento per giustificato motivo oggettivo”.

La legge prevede la possibilità di assegnazione anche temporanea, all’interno dell’azienda, ad un’altra mansione per la quale non è previsto l’obbligo di vaccinazione per il dipendente che rifiuta il vaccino. Si tratta di una disposizione che in parte ricorda l’obbligo di “repêchage” in vigore

per i licenziamenti economici. Permangono comunque ancora incertezze su questo obbligo. In particolare ci si chiede cosa succede se il datore di lavoro non lo rispetta questa disposizione e se il dipendente possa oppure no chiedere la reintegrazione.

Altra questione aperta è quella concernente l’eventuale responsabi-lità del datore di lavoro che non controlla se il suo dipendente sia stato vaccinato. In casi del genere, ci si chiede se questo possa essere ritenuto responsabile in caso di contaminazione all’interno dell’ambiente di lavoro.

Certamente, uno dei vantaggi di questi testi è che sono riusciti a prevedere la vaccinazione dei dipendenti senza introdurre, in senso pro-prio, un obbligo di vaccinazione. Parte della dottrina ha notato come il legislatore, posto di fronte alla necessità di far rispettare la vaccinazione, si sia adoperato al fine di introdurre nuove forme di vincoli o comun-que di obblighi meno stringenti e non coattivi. Si tratta comuncomun-que di un

“obbligo innominato” che può, comunque, essere causa di forti tensioni sociali nelle aziende.

Grazie per la vostra attenzione.

cia italiana e la pariteticità è garantita dalla presenza di un egual numero di partecipanti sia di estrazione dei sindacati dei lavoratori più rappre-sentativi, che delle Associazioni datoriali dell’artigianato.

Nella fattispecie l’OPtA di modena coordina l’attività di 6 Rap-presentati dei lavoratori alla sicurezza territoriali il cui lavoro a tempo pieno consiste nell’esercitare il diritto di cui all’articolo 50 comma 1 let-tera a) del d.lgs. n. 81 del 2008, ossia accedere ai luoghi di lavoro – in questo caso ditte artigiane – i cui lavoratori abbiano deciso di predilige-re un rapppredilige-resentante dei lavoratori “esterno” alla ditta (territoriale o di comparto), piuttosto che “interno”.

L’accesso viene effettuato segnalando alle ditte la volontà di un RLSt di visitarle per prendere visione di tutta la documentazione ine-rente alla salute e sicurezza sul lavoro e anche delle condizioni dell’am-biente di lavoro. Laddove possibile, il RLSt effettua anche una chiac-chierata coi lavoratori per presentarsi, riferire loro di essere il loro rap-presentante per le questioni inerenti alla salute e sicurezza e per segnala-re al datosegnala-re di lavoro eventuali criticità/non conformità rilevate durante il sopralluogo e da sanare nel più breve tempo possibile. La pariteticità ha consentito di addivenire ad un accordo tra le parti che prevede che qualora una ditta non si regolarizzi nonostante l’invito del RLSt a sana-re le irsana-regolarità, tale mancanza venga segnalata alle Associazioni dato-riali che compongono il “tavolo” OPtA prima che all’Autorità giudi-ziaria. Se nel giro di breve tempo, nonostante l’invito delle Associazioni datoriali, la ditta persiste nella volontà di non regolarizzarsi, resta impre-giudicata la facoltà del RLSt di attuare quanto previsto dall’articolo 50,

comma 1, lettera o), del d.lgs. n. 81 del 2008 (segnalare l’inadempienza agli Organi di vigilanza).

I 6 RLSt modenesi dell’artigianato sono i rappresentanti per la sicurezza di circa 5000 ditte aderenti a questo sistema e ognuno di loro visita sistematicamente le ditte assegnate.

Fatta questa debita premessa possiamo passare all’ordine del giorno in tema di Covid-19.

Per il sindacato dei lavoratori – che io qui rappresento, benché in veste di componente di estrazione sindacale dell’OPtA di modena – l’e-splosione della pandemia con la necessità di adottare misure speciali, ha costituito una situazione del tutto inedita per diverse ragioni: le aziende italiane (escluse quelle sanitarie o veterinarie), più o meno come quando nella nostra Regione ci fu il terremoto, si sono trovate davanti all’inter-rogativo se fosse o meno necessario adottare misure atte a prevenire un fattore di rischio che non scaturiva direttamente dall’attività lavorativa.

Questo infatti è normalmente quanto il Datore di lavoro è chiamato a fare in base al d.lgs. n. 81 del 2008. Poi, da una lettura attenta dell’arti-colo 28 del d.lgs. 81 del 2008 si è capito che forse il legislatore, nel dare indicazione al datore di lavoro di valutare “tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori”, aveva adottato una dicitura che verosimilmente non escludeva i rischi “esogeni” all’attività lavorativa, qualora questi aves-sero esplicato i propri effetti anche all’interno del luogo di lavoro nell’ar-co delle otto ore lavorative giornaliere. Forse erano prematuri i tempi per pensare che i fattori di rischio “esogeni”, come ad esempio gli effetti di un terremoto o di una pandemia, dovessero trovare cittadinanza in un D.V.R.; ma d’altronde, alcuni esempi in tal senso sono già presenti nell’

“Allegato IV” al d.lgs. n. 81 del 2008. Al capitolo “microclima” si dispo-ne infatti che “Nei luoghi di lavoro chiusi, è dispo-necessario far sì che tedispo-nendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavo-ratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche otte-nuta con impianti di areazione”. Ciò lascia intendere che se un ufficio si affaccia su di tratto veicolare ad altissima percorrenza il datore di lavoro, non potendo garantire aria salubre in quantità sufficiente in modo natu-rale, dovrà evitare l’ingresso dell’aria inquinata dalle finestre (fattore eso-geno) installando un impianto di areazione per far sì che l’aria respirata dai lavoratori sia salubre.

che si potesse continuare a tenere aperti i battenti delle aziende solo qua-lora si fosse data concreta applicazione ai contenuti di questi Protocolli.

I Sindacati dei lavoratori, firmando questi accordi, erano consape-voli che avrebbero acconsentito ad una deroga alle tutele previste dallo Statuto dei lavoratori e fino a quel momento considerati inviolabili come, ad esempio, il divieto, previsto dall’art 5 della l. n. 300 del 1970, posto in capo al datore di lavoro, di verificare direttamente lo stato di salute dei lavoratori: per senso di responsabilità si è deciso di soprassedere in via transitoria al mancato rispetto di diritti individuali in nome del bene più ampio della “salute collettiva”. Credo che vada riconosciuta alle OO.SS.

(Organizzazioni sindacali dei lavoratori) il merito di essersi assunte una grande responsabilità sociale; ciò anche subendo, a tratti, pesanti conte-stazioni da parte della opinione pubblica. Non vanno, infatti, sottaciuti i numerosi atti vandalici subiti da diverse sedi sindacali in Italia.

Venendo poi al merito dei Protocolli, nel costituire una modalità del tutto nuova di regolamentare le questioni afferenti alla salute e sicu-rezza sul lavoro, fino a quel momento assegnata solo al D.V.R. (docu-mento di valutazione dei rischi derivanti dalle lavorazioni svolte in azien-da), essi hanno previsto, fra l’altro, una modalità di coinvolgimento delle Rappresentanze sindacali aziendali diversa da quanto previsto dal d.lgs.

n. 81 del 2008. In particolare, in base alle previsioni contenute nei Pro-tocolli sottoscritti a livello nazionale, il datore di lavoro – in luogo di assumere decisioni previa obbligatoria acquisizione del parere del solo RLS (Rappresentante dei lavoratori alla sicurezza) – per quanto atteneva le misure da adottare per contrasto del Covid-19, era tenuto ad acquisi-re il paacquisi-reacquisi-re di tutte le Rappacquisi-resentanza e sindacali in azienda (RSU/RSA), rinvedendo quanto già previsto prima dell’avvento del d.lgs. n. 626 del

1994, ossia il coinvolgimento, relativamente alle questioni della sicurez-za, di tutte le Rappresentanze sindacali in azienda, come previsto dall’art.

9 dello Statuto dei lavoratori e non del solo RLS come vuole la normati-va vigente (d.lgs. n. 81 del 2008).

Per quanto riguarda, poi, un aspetto dei “Protocolli Anti-contagio”

che ha particolarmente coinvolto le RSU/RSA ossia i “Comitati di veri-fica e controllo”, possiamo dire che nella stragrande maggioranza del-le aziende di grandi dimensioni essi sono stati costituti con la presen-za, oltre che del datore di lavoro e delle RSU/RSA, anche del RSPP e del medico competente aziendale ed effettuavano sopralluoghi con cadenza dapprima settimanale, poi anche quindicinale. In alcuni casi, le eventua-li difformità rilavate dal Comitato rispetto a quanto previsto dai Proto-colli venivano annotate su di un diario e prontamente sanate. Per quan-to, invece, riguarda le aziende artigiane, la Regione emilia Romagna ha previsto che le stesse potesero evitare la Costituzione di Comitati Covid, inviando presso l’OPtA una autocertificazione (check list) composta da diversi quesiti per indagare se le stesse avessero adempiuto a quanto pre-visto dai Protocolli.

In ogni caso, i RLSt del settore artigianato ci hanno riferito che in relazione ai sopralluoghi da essi compiuti, la stragrande maggioranza del-le aziende aveva correttamente applicato tutte del-le misure imposte dai Pro-tocolli.

Infine, come nota a margine, non va nascosto che avendo i Protocol-li nazionaProtocol-li previsto che il Datore di lavoro potesse emanare ulteriori pro-tocolli aziendali Covid, validi solo per la propria azienda, abbiamo

Infine, come nota a margine, non va nascosto che avendo i Protocol-li nazionaProtocol-li previsto che il Datore di lavoro potesse emanare ulteriori pro-tocolli aziendali Covid, validi solo per la propria azienda, abbiamo