Diritto del Lavoro
1. Il sistema di prevenzione aziendale a seguito del Covid-19
(P. Pascucci)
1. Com’era prevedibile, la pandemia da SARS-CoV-2 ha riportato al cen-tro del dibattito politico e scientifico il tema della tutela della salute e del-la sicurezza di chi del-lavora: un tema che, nonostante del-la sua attualità perdu-rante da fin troppo tempo, ha registrato in passato altalenanti indici di interesse, per lo più coincidenti con vicende drammatiche.
Se è evidente che, di fronte alla grave minaccia dell’eccezionale emergenza pandemica per l’incolumità di chiunque, sarebbe stato impos-sibile non dedicare particolare attenzione anche alla salute e alla sicurez-za di chi lavora, rispetto ad altre occasioni una differensicurez-za c’è stata, e non di poco conto.
Infatti, mentre quasi sempre la reazione ai più eclatanti eventi infor-tunistici si è tradotta soprattutto nella richiesta di maggiori controlli e di sanzioni più severe – un fenomeno ripropostosi anche di recente dinnan-zi alle ripetute morti sul lavoro verificatesi in questa delicata fase di c.d.
“ripresa” o “ripartenza” alla quale il Governo ha risposto con l’emanazio-ne del d.l. n. 146 del 2021 –, l’emanazio-nel caso della pandemia, per le più che ovvie caratteristiche di tale evento, l’attenzione si è concentrata soprattutto sul-la dimensione delsul-la prevenzione del rischio in atto.
2. Fin dalla prima ora è così emerso un vivace dibattito che, a partire dal-la questione redal-lativa aldal-la necessità o meno di aggiornare il documento di valutazione dei rischi e da quella sull’identificazione delle misure di con-tenimento da rispettare (ben presto incentratasi sui contenuti dei proto-colli anti-contagio sottoscritti dalle parti sociali con l’avallo del Gover-no), ha evidenziato il non facile rapporto tra la disciplina ordinaria di tutela della salute e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs. n. 81 del 2008 e
A fronte di questi spiccati tratti di specialità, inestricabilmente con-nessi alla finalità di tutela della salute pubblica della disciplina emergen-ziale dovuta alla natura ubiquitaria del virus, sono emersi dubbi circa la piena applicabilità al rischio pandemico della disciplina ordinaria di pre-venzione dei rischi lavorativi.
Dubbi almeno in parte stemperati allorquando il legislatore dell’e-mergenza, traendo spunto proprio dal tradizionale armamentario dell’or-dinaria disciplina di prevenzione, ha esplicitamente richiamato alcune norme del d.lgs. n. 81 del 2008 – come l’art. 74 a proposito della con-figurazione delle mascherine chirurgiche quali dispositivi di protezione individuale (art. 16 del d.l. n. 18 del 2020) – o ha creato nuovi strumen-ti ad hoc per contrastare gli effetstrumen-ti della pandemia come la “sorveglian-za sanitaria eccezionale” per i lavoratori “fragili” maggiormente esposti al rischio del contagio per ragioni anagrafiche o per particolari condizioni di salute (art. 83 del d.l. n. 40 del 2020).
evidenziando un raccordo ancorché particolare tra disciplina spe-ciale e disciplina ordinaria, queste previsioni hanno reso un po’ più niti-da quella prospettiva di proficua interazione e integrazione tra i due siste-mi di prevenzione che già lo stesso protocollo nazionale anti-contagio del 14 marzo 2020 (ritoccato il 24 aprile 2020 e aggiornato il 6 aprile 2021) aveva lasciato intravvedere evocando l’operatività di tipici istituti del d.lgs. n. 81 del 2008 come, ad esempio, la formazione e la stessa sor-veglianza sanitaria.
A ben guardare, l’interazione tra i due sistemi non sarebbe venuta del tutto meno neppure sostenendo la non necessità, almeno nella pri-missima fase dell’emergenza, di aggiornare il documento di valutazione dei rischi essenzialmente in virtù della natura generica del rischio
biologi-co in atto (nei settori non sanitari) e dell’assunzione della sua valutazione da parte della pubblica autorità. Infatti, come ha riconosciuto il tribu-nale di matera, anche chi ha escluso nella primissima fase l’obbligatorietà di tale aggiornamento non ha mai negato che il datore di lavoro, in virtù dell’art. 2087 c.c., fosse tenuto a garantire la puntuale attuazione di tut-te le misure e le cautut-tele tipizzatut-te previstut-te dalla pubblica autorità per con-trastare la diffusione del contagio e che, perdurando l’emergenza, sarebbe stato necessario riconsiderare la valutazione dei rischi.
3. Alla dimensione della prevenzione evocata dalla pandemia non pote-vano risultare estranei i profili delle responsabilità relative al rispetto delle misure finalizzate a contrastare il contagio, come ha dimostrato la discussa richiesta di uno “scudo penale” per i datori di lavoro dopo che il legislato-re – ribadendo noti principi plegislato-revidenziali – ha configurato come infortu-ni sul lavoro, ai fiinfortu-ni del relativo indeninfortu-nizzo, i casi accertati di infezione da SARS-CoV-2 in occasione di lavoro (art. 42 del d.l. n. 18 del 2020).
Alla preoccupazione dei datori di lavoro che dalla configurazione del contagio come infortunio sul lavoro, al di là del rilievo previdenziale, potessero scaturire conseguenze sul piano delle loro responsabilità penali e civili il legislatore ha risposto in modo meno tranchant con l’art. 29-bis del d.l. n. 23 del 2020, ai sensi del quale, in relazione all’emergenza pan-demica, l’adempimento dell’obbligo di sicurezza datoriale di cui all’art.
2087 c.c. si estrinseca nell’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo anti-contagio generale del 24 aprile 2020 ed in quelli settoria-li di cui all’art. 1, co. 14, del d.l. n. 33 del 2020.
Anche il dibattito sul significato dell’art. 29-bis ha riguardato il modo in cui apprestare un’efficace ed effettiva prevenzione del rischio pandemico nel momento in cui si è concentrato sulla capacità o meno di tale previsione, al di là del suo dato letterale, di sterilizzare le misure di sicurezza innominate che la giurisprudenza da sempre ricomprende nell’oggetto dell’art. 2087 c.c.
Secondo l’opinione prevalente, l’art. 29-bis non poteva comporta-re la sterilizzazione dell’art. 2087 c.c. né pcomporta-recludecomporta-re le misucomporta-re innominate anche perché molte prescrizioni dei protocolli hanno un contenuto aper-to da declinare secondo le specificità della singola azienda con un’ovvia discrezionalità datoriale. Lo stesso protocollo generale prevede che le pro-prie misure vadano integrate con altre “equivalenti o più incisive
secon-starne l’effetto senza rischiare di produrre ulteriori conseguenze dannose o che “future possibili nuove acquisizioni e rimedi possano essere pretesi retroattivamente dal datore dell’oggi”. Così come è evidente che le misu-re dei protocolli vanno applicate nelle diverse misu-realtà alla luce dell’altro cri-terio codicistico della “particolarità del lavoro”. L’art. 29-bis ha dunque interpretato il tendenziale raggio di azione dell’art. 2087 c.c., precisando
“i limiti della diligenza esigibile dal datore di lavoro nel quadro delle pre-scrizioni dell’art. 2087 c.c., in rapporto ai caratteri dell’infezione”.
Peraltro, se lo stesso protocollo non esclude l’adozione di misu-re innominate pmisu-revedendo l’integrazione delle proprie misumisu-re con altmisu-re equivalenti o più incisive, queste ultime, in quanto “integrative”, più che sostituire quelle protocollari parrebbero piuttosto potersi affiancare ad esse o appunto integrarne il contenuto là dove sia generico, dovendo comunque trattarsi di misure non distoniche rispetto alla filosofia rego-lativa del protocollo a causa dello stato di grave incertezza regnante in materia e senza trascurare i rischi insiti nella eterogeneità delle misure di prevenzione a fronte di un rischio universale presente dentro e fuori i luo-ghi di lavoro.
La stessa giurisprudenza ha ammesso che se in via di principio non sarebbe astrattamente consentito limitare l’obbligo datoriale di sicurez-za alle sole misure sin qui emerse nella gestione emergenziale, è tuttavia anche ragionevole ritenere che, allo stato, l’autorità pubblica, con il con-corso delle parti sociali, abbia dettato, in modo tendenzialmente esausti-vo, le misure necessarie alla prevenzione del rischio da Covid-19 secon-do l’esperienza e la tecnica ad oggi nota, spettansecon-do al datore di lavoro un obbligo essenzialmente attuativo/traspositivo di quelle misure al massimo livello di sicurezza tecnica disponibile nello specifico contesto aziendale.
Senza diffondersi ulteriormente sul valore dei protocolli, di cui par-lerà il collega tampieri, vale però la pena sottolineare la straordinaria importanza di questa esperienza che, evidenziando il ruolo delle istan-ze sindacali al loro massimo livello come coprotagoniste della tutela del-la salute e sicurezza sul del-lavoro, ha fatto sì che un prodotto dell’autonomia collettiva, seppur indotto dalla pubblica autorità, assurgesse, grazie alla sua sostanziale recezione da parte del legislatore, al rango di fonte norma-tiva con efficacia generale.
tanto che ci si potrebbe chiedere se questo ruolo delle confederazio-ni sindacali non possa in qualche modo perpetuarsi anche con riferimen-to alle sempre più pressanti esigenze di sostenibilità dell’agire impren-ditoriale con riferimento tanto all’ambiente interno di lavoro quanto all’ambiente circostante all’impresa.
Quanto infine alla necessità di considerare il fattore dell’incertez-za ai fini della valutazione delle responsabilità, non va trascurato l’ulte-riore intervento del legislatore relativamente al settore sanitario quando, con l’art. 3-bis del d.l. n. 44 del 2021, ha previsto che, durante lo stato di emergenza, le ipotesi di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravis-sime commesse nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza siano punibili solo nei casi di colpa grave, dovendo il giudice tenere conto, ai fini della valutazione del grado della colpa, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limita-tezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tec-niche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fron-te all’emergenza.
4. Una volta divenuti disponibili i vaccini, è sempre nella prospettiva della prevenzione del rischio che si è andato sviluppando un vivacissi-mo dibattito sull’obbligo vaccinale, così come, successivamente, quello sull’obbligo di possedere ed esibire il green pass per accedere al luogo di lavoro.
Prima ancora che il legislatore introducesse per il personale sanitario l’obbligo vaccinale, è proprio con riferimento al tema della prevenzione che la discussione sulla sussistenza o meno di tale obbligo è
letteralmen-anche dal richiamo – peraltro non sempre a proposito – a varie disposi-zioni del d.lgs. n. 81 del 2008: dall’art. 20 relativo agli obblighi di coope-razione alla sicurezza gravanti sui lavoratori, fino all’art. 279 che, nell’am-bito delle attività della sorveglianza sanitaria relative ai rischi biologici, prevede, là dove ritenuto necessario dal medico competente, la messa a disposizione da parte del datore di lavoro di vaccini efficaci o, in alter-nativa, l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedu-re dell’art. 42.
ma è soprattutto inquadrando l’art. 2087 c.c. come norma attuati-va dell’art. 32 Cost., che si è tentato di far leattuati-va per sostenere la sussisten-za dell’obbligo vaccinale.
Senonché, se è indubbio che la vaccinazione costituisce una misu-ra di prevenzione che mimisu-ra a tutelare la salute del lavomisu-ratore, non si deve tuttavia dimenticare che essa è innanzitutto un “trattamento sanitario”
che presenta un elemento fenomenologico aggiuntivo rispetto alle altre misure di prevenzione in quanto il lavoratore è sottoposto ad una spe-cifica attività medica che riguarda la sua sfera personalissima e interagi-sce direttamente con la sua dimensione psico-fisica. Un elemento assen-te nelle altre misure di prevenzione, le quali al più incidono, in assen- termi-ni comportamentali, sul modo in cui il lavoratore esegue la prestazione:
si pensi all’uso dei dispositivi di protezione individuali o collettivi o alle altre misure relative all’organizzazione del lavoro.
Ben può il vaccino costituire una misura di prevenzione purché però si consideri e si rispetti la sua peculiare natura di trattamento sanita-rio che, in quanto tale, non può essere imposto se non in virtù di una spe-cifica disposizione di legge ai sensi dell’art. 32 Cost. che appunto espres-samente lo contempli, non essendo sufficiente a tal fine l’art. 2087 c.c.
Più convincenti sono apparse quelle ricostruzioni che, pur ricono-scendo l’esigenza di una specifica norma ad hoc per imporre la vaccinazio-ne, nondimeno hanno ritenuto che, nonostante l’assenza di tale norma, la mancata vaccinazione possa comunque rilevare sul piano del sistema di prevenzione ordinaria sulla scorta delle misure generali di tutela del-l’“eliminazione dei rischi” e della loro “riduzione alla fonte” ex art. 15 del d.lgs. n. 81 del 2008, proponendo di valorizzare il ruolo della sorveglian-za sanitaria e del medico competente (artt. 41 e 42) in relazione alla ini-doneità alle mansioni “di contatto” dei lavoratori non vaccinati.
Analoghe questioni sono riemerse in parte nel momento in cui il legislatore ha introdotto l’obbligo di vaccinazione per il personale sani-tario, sulla base di una specifica disposizione di legge (art. 4 del d.l. n.
44 del 2021) – come postulato dall’art. 32 Cost. – la cui inosservan-za dava luogo in origine ad alcune conseguenze non molto dissimili da quelle previste dal sistema di prevenzione generale nel caso di inidonei-tà alla mansione, vale a dire, l’adibizione, ove possibile, a mansioni non
“di contatto”, eventualmente anche inferiori (senza però la conservazione del trattamento economico originario), prevedendosi peraltro, in caso di impossibilità di tale adibizione, la sospensione senza emolumenti dell’e-sercizio della professione o del rapporto di lavoro.
Anche le criticità rilevate nell’originaria formulazione dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 hanno riguardato la dimensione della prevenzione, come è emerso con la discutibilissima limitazione dell’obbligo vaccinale solo ad alcune categorie (gli esercenti le professioni sanitarie e gli operato-ri di interesse sanitaoperato-rio) così trascurandosi inspiegabilmente che il operato-rischio di contagio – per sé e per gli altri – non fa distinzioni tra i diversi ruoli professionali quando operano nello stesso contesto lavorativo: un aspetto colto e peraltro risolto parzialmente dal legislatore solo in seguito.
Né va sottaciuta la sottovalutazione, anch’essa pertinente alla dimensione della prevenzione, del possibile ruolo del medico competen-te in merito alla valutazione/individuazione di possibili mansioni “non di contatto” per i sanitari non vaccinati che la prima versione dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 ha affidato letteralmente al solo datore di lavoro.
5. Non è questa la sede per diffondersi sui complessi e spesso critici intrecci che si sono andati progressivamente evidenziando tra l’obbligo vaccinale e l’obbligo di possesso ed esibizione del green pass per l’accesso al lavoro, entrambi oggetto di ripetuti interventi legislativi.
Cionondimeno è difficile dubitare che le disposizioni emergenziali, comprese quelle sui vaccini e sul green pass, abbiano condiviso una dupli-ce finalità, come peraltro esplicitato dalle rispettive normative: quella del-la tutedel-la deldel-la salute pubblica e queldel-la deldel-la salute di chi del-lavora.
D’altronde, come ha evidenziato il Consiglio di Stato con riferi-mento all’obbligo vaccinale per il personale sanitario, l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 “interseca” tanto “il più generale e grave problema della sicurez-za nei luoghi di lavoro a tutela dei lavoratori” quanto “il principio di sicu-rezza delle cure” che, come prevede l’art. 1, co. 1, della l. n. 24 del 2017, è “parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”. “La vaccinazione obbligatoria selet-tiva” per il personale sanitario “risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dun-que, a beneficio della persona, secondo il […] principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il […] principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costitu-zione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vul-nerabili” e che “proprio per questo sono di frequente o di continuo a con-tatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assi-stenza” (Cons. Stato, sez III, n. 7045/2021).
6. Se, per un verso, per le precipue finalità perseguite, il sistema specia-le di prevenzione messo in campo con la specia-legislazione dell’emergenza ha posto talora in secondo piano la rilevanza del sistema ordinario di pre-venzione, per un altro verso non bisogna tuttavia dimenticare la fonda-mentale lezione che, nonostante la sua complessa evoluzione ed alcu-ne contraddizioni, proviealcu-ne da quel sistema speciale, i cui riflessi
paio-no destinati a trascendere l’auspicabile fase di declipaio-no della pandemia da cui è scaturito.
Quel sistema insegna che per tutelare adeguatamente tanto la salute pubblica quanto la salute e la sicurezza di chi lavora occorre prima di tut-to mettere in attut-to una seria riflessione su modelli prevenzionistici incen-trati sul principio della prevenzione primaria, mirando quindi anzitutto ad eliminare il rischio o quantomeno a ridurlo ove sia ineliminabile. ed è quanto si è riscontrato rispetto agli effetti delle vaccinazioni che, pur non scongiurando in assoluto il rischio di contagio, ne stemperano sensibil-mente le possibili conseguenze dannose.
Se si amplia la riflessione al più complessivo contesto della sicurez-za sul lavoro, ben vengano quindi maggiori controlli e più efficaci sanzio-ni, purché si sia pienamente consapevoli – come dimostra la lezione della pandemia – che ben poco potranno senza la predisposizione a monte di adeguati apparati prevenzionistici finalizzati effettivamente ad eliminare o ridurre i rischi che emergono nell’organizzazione del lavoro.
Carla Spinelli, che appartengono ad altri atenei e che hanno voluto esse-re con noi in questa importante giornata.
molte cose le ha già dette il prof. Pascucci in realtà; cose che mi vedono pienamente d’accordo, come dirò. Il mio intento è quello di mostrare un’altra prospettiva della legislazione della pandemia in rappor-to alla sicurezza sul lavoro: mi concentrerò sul nuovo ruolo del sindacarappor-to e, più in generale, sui profili collettivi della salute, che in qualche modo la legislazione pandemica anti-Covid ha evidenziato in modo positivo.
Cercherò di spiegarmi esaminando in primo luogo, molto breve-mente, il ruolo dei profili collettivi della sicurezza nel testo Unico del-la sicurezza sul del-lavoro. Poi parlerò di due fasi, queldel-la concernente i pro-tocolli per la sicurezza – perché si tratta di un aspetto centrale – e quel-la riguardante un documento del 2018, il primo attuativo del c.d. “Pat-to per la fabbrica” sot“Pat-toscrit“Pat-to nel marzo di quell’anno da Confindustria, CGIL, CISL e UIL: questo documento sulla sicurezza e salute ha avuto, come dirò, tra gli altri, il merito di aggiornare l’accordo interconfederale sulle rappresentanze per la sicurezza che risaliva al lontano 1995.
2. Sindacato e contrattazione collettiva nel Testo Unico sulla