LE TERME DELLA X REGIO: CATALOGO
2. PADOVA: LE TERME
Come ampiamente ribadito, uno dei principali edifici delle grandi città romane erano le terme pubbliche, costruite secondo canoni bene precisi esposti da Vitruvio nel De Architectura; trattandosi dunque di un edificio tipico della romanità, è ragionevole pensare che anche nel centro di Patavium vi fosse almeno un impianto termale pubblico, unito poi ai possibili impianti privati presenti nelle domus più lussuose. Tuttavia il caso di studio di Padova si configura come uno dei più particolari e più complessi all’interno della Venetia et Histria dato che mancano scavi sistematici a quello che è stato identificato come probabile impianto pubblico e che le poche notizie che abbiamo a nostra disposizione ci arrivano da una iscrizione oggi perduta.
I resti delle probabili terme pubbliche di Patavium furono scavate negli anni Venti del Novecento in occasione di alcuni interventi nel nuovo palazzo del municipio, tra lo Storione e via Oberdan (Fig. 63). Del ritrovamento ne dà notizia Ghislanzoni nel 1926: “Per la costruzione della nuova fronte del palazzo del Municipio di contro all’Università, nell’area compresa tra il palazzo del Municipio a ovest, la via VIII Febbraio ad est e le vie Oberdan (già del Sale) e del Municipio a nord ed a sud, è stato fatto un ampio sterro in cui si è raggiunta la profondità di m. 5. Il luogo era vicino alla piazzetta del caffè Pedrocchi in cui nel 1812, 1819 e 1877 si scoprirono i resti di un colonnato e di una piazza lastricata, dal Noale a torto ritenuto un tempio, e dal Selvatico, non meno erroneamente il forum di Patavium. […] In verità lo scavo di cui parliamo non ha dato alcun risultato per
654 BONETTO 2009,pp. 149-151. 655 MAMBELLA 1991,pp. 50-51.
ciò che riguarda la topografia del centro dell’antica Patavium, certo perché il terreno in quel punto venne già in età antica sconvolto per costruzioni, di una delle quali daremo un breve cenno. L’area scavata ha forma di due rettangoli uniti in modo da formare un angolo retto, di cui il maggiore, coi lati lunghi paralleli alla fronte dell’Università, è di m. 41 x 12, e l’altro, col lato lungo quasi parallelo alla via del Municipio, è di m. 19 x 14”657.
Nel 1932, verso via Oberdan, e precisamente sotto il palazzo degli Anziani, alla profondità di circa 4 metri, fu effettuata un’importante scoperta: accanto ad una sala con pavimento a mosaico, rinvenuta nel 1925, ne fu portata alla luce un’ulteriore, anch’essa caratterizzata da decorazione musiva. Tale mosaico si trovava al di sopra di tre strati di mattoni bipedali romani i cui angoli poggiavano su colonne alte circa 80 cm formate da piccoli mattoni quadrati; tale area è stata riconosciuta come la zona in cui tra le colonne passavano il fumo e l’aria cala che veniva emessa dal praefurnium e poi saliva nella parte superiore attraverso i mattoni forati presenti nelle pareti. Si tratta di quindi di un vano dotato di suspensurae e quindi interpretato come il calidarium delle terme. In quest’area è stata rinvenuta una testa ritratto femminile che presenta una pettinatura caratteristica dell’ultimo periodo del regno di Traiano e di quello di Adriano; si è ipotizzato che il ritratto in questione potesse rappresentare un membro della famiglia imperiale da identificare forse o con Marciana, sorella dell’imperatore Traiano, o di sua figlia Matidia. Anche in base a questo rinvenimento Ghislanzoni e De Bon ipotizzarono si potesse trattare di un impianto pubblico escludendo la possibilità si trattasse del balneum privato di una ricca domus658. Venne poi effettuato, a poca distanza, una seconda scoperta: si tratta di un’epigrafe, nello specifico di una lastra scorniciata, databile in base a indizi paleografici al I secolo d.C.659.
In occasione degli scavi del 1925 Ghislanzoni ipotizzò che la sala vicina al calidarium fosse quella destinata ad ospitare il tepidarium anch’esso caratterizzato da decorazione musiva; egli scrive: “Più verso ovest, cioè verso il cortile del municipio si è scoperta parte di un mosaico policromo accurato nel disegno e nell’esecuzione. Quel che rimaneva formava l’angolo sud-ovest di una grande sala. Il disegno del mosaico era formato da quadrati piuttosto grandi, contornati ciascuno da una fascia di quadrati del diametro di circa 10 cm, in cui era o un altro quadrato più piccolo di color nero, oppure quattro triangoli disposti in modo che i contrapposti erano dello stesso colore, nero o
657 GHISLANZONI 1926,pp. 341-343. 658 GHISLANZONI,DE BON 1938,pp. 50-51. 659GHISLANZONI 1926,p. 345.
bianco”660. Sul tepidarium, tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo sarebbe stato costruito un edifico, la chiesetta di San Martino661; Ghislanzoni nel 1926 scriveva che essa era costituita da una sola navata, con l’asse quasi parallelo a via VIII Febbraio, cioè con orientazione N-S e che aveva l’abside semicircolare con il dosso a sud662. La conversione dell’edificio a chiesa cristiana avvenne comunque quando le terme cessarono di funzionare o furono distrutte dalla devastazione seguita alle prime invasioni663. Secondo Mambella si deve riconoscere che la presenza nella chiesa del discusso litostrato paleocristiano di IV secolo d.C. con una iscrizione augurale autorizzi a supporre l’esistenza di una domus urbana signorile e si potrebbe di conseguenza trattare di bagni privati viste anche le modeste dimensioni664.
L’edificio termale appena descritto fu quindi in via d’ipotesi attribuita dalla Gasparotto nel 1951 al complesso termale pubblico di Patavium in base, come detto in precedenza, ad una iscrizione; tuttavia in assenza di precise relazioni di scavo, alcuni studiosi ritengono che non si possa escludere il fatto che si tratti di un bagno di una abitazione privata665: poco più a sud infatti, nell’area dell’ex Storione furono rinvenuti varie stratificazioni di domus successive; altre erano allineate su entrambi i lati di via S. Lucia e via Emanuele Filiberto666. L’iscrizione esaminata dalla Gasparotto, la CIL V 2886667, si trovava su un’epigrafe oggi perduta (Fig. 64). Pertinente ad un monumento non meglio identificato, sia per quanto concerne le dimensioni sia per la tipologia, l’iscrizione apparteneva nel XVI secolo alla collezione di antichità di una famiglia di Padova, i Maggi da Bassano668; già nel XIX secolo tuttavia, periodo in cui si collocano gli studi di Furlanetto l’epigrafe era irreperibile669. L’iscrizione si configura come particolarmente interessante nello studio delle terme patavine perché essa contiene una dedica di una familia thermensis thermarum alla salute e all’eternità dei propri domini. Se come sembra ragionevole ipotizzare la parola domini viene utilizzata in questo caso (così come in 660 GHISLANZONI 1926,pp. 344-345. 661 GASPAROTTO 1951,pp. 114-115. 662 GHISLANZONI 1926,p. 343. 663 GHISLANZONI,DE BON 1938,p. 51. 664 MAMBELLA 1991,pp. 111-112. 665 ANGELINI,CASSATELLA 1980,pp. 135-136. 666 GASPAROTTO 1959,pp. 51-55.
667 CIL V 2886: [Pro salute et per]/[p]etuitate dominorum familiae thermensi(s) thermarum
urban{i}a[r(um) ].
668 BODON 2005,pp. 67-122. 669 FURLANETTO 1847,pp. 120-121.
un’altra iscrizione670 studiata da Weiss671), per indicare i municipes patavini ovvero i cittadini di Patavium, l’ iscrizione testimonierebbe l’esistenza nel municipio in esame di una familia publica, forse costituita sia da schiavi che da liberti, impiegata nella cura e nella sorveglianza delle terme cittadine e quindi di conseguenza di bagni pubblici672.
L’epigrafe appena presa in esame non risolve tuttavia i problemi legati alle terme di Patavium: secondo gli orientamenti più recenti è incerto che quelli rinvenuti nella zona dell’attuale municipio siano da attribuire ad un complesso pubblico piuttosto che ad uno privato; attualmente l’unico dato certo è che a Padova esistevano delle terme pubbliche come in tutte le principali città dell’impero e che l’iscrizione raccolta da Mommsen nel V volume del CIL faccia riferimento ad un edificio presente a Padova e non sia quindi in alcun modo collegabile agli impianti termali più noti sia storicamente sia archeologicamente di Aponus, cosa che invece Mommsen riteneva probabile (fortasse opponuntur iis quae fuerunt in agro Aponi)673. Difficile infine è attribuire all’edificio una datazione data la mancanza di ricerche sistematiche, all’assenza di una documentazione completa degli scavi dei secoli passati e all’esiguità dei rinvenimenti.