• Non ci sono risultati.

L'attenzione “entomologica” al reale nei suoi aspetti banali e nelle sue correlazioni assurde conduce il Paesano ai “confins de la réalité”, proprio come in Tropic of Cancer la visione delle storture urbane porta sino alla soglia di una galleria d'arte78, dove l'io narrante si sente letteralmente tratto nei “proper precincts of the human world”. Come si è detto nel paragrafo precedente, in tutti e due i testi si tematizza la figura della soglia come passaggio dal reale all'immaginario, si demistifica il metodo cartesiano delle idee chiare e distinte e si rifondano i paradigmi conoscitivi e creativi. Miller si affida alla mediazione di un genio artistico per consegnare al lettore le linee della sua prassi descrittiva quando, a proposito del “poem” di Matisse scrive:

No searching for formulae, no crucifixion of ideas, no compulsion other than to create. Even as the world goes to smash there is one man who remains at the core, who becomes more solidly fixed and anchored, more centrifugal as the process of dissolution quickens.79

78 È forse opportuno riportare almeno in nota il desolato panorama urbano che l’io narrante ci offre

prima di arrivare alla galleria d’arte in modo da cogliere pienamente quel rovesciamento radicale della prospettiva conoscitiva che si verifica on the threshold della galleria d’arte , in modo non dissimile da quanto accade al Paesano au seuil del Passage. Si legge: “(…) I think of Lucienne sailing down the boulevard with her wings outstretched, a huge silver condor suspended over the sluggish tide of traffic, a strange bird from the tips of the Andes with a rose-white belly and a tenacious little knob. ;Sometimes I walk home alone and I follow her through the dark streets, follow her through the court of the Louvre, over the Pont des Arts, through the arcade, through the fents and slits, the somnolence, the drugged whiteness, the grill of the Luxembourg, the tangled boughs, the snores and groans, the green slats, the strum and tinkle, the points of the stars, the spangles, the jetties, the blue and white striped awnings that she brushed with the tips of her wings. In the blue of an electric dawn the peanut shells look wan and crumpled; along the beach at Montparnasse the water lilies bend and break. When the tide is on the ebb and only a few syphilitic mermaids are left stranded in the muck, the Dôme looks like a shooting gallery that' s been struck by a cyclone. Everything is slowly dribbling back to the sewer. For about an hour there is a deathlike calm during which the vomit is mopped up. Suddenly the trees begin to screech. From one end of the boulevard to the other a demented song rises up. It is like the signal that announces the dose of the exchange. What hopes there were are swept up. The moment has come to void the last bagful of urine. The day is sneaking in like a leper. . . . One of the things to guard against when you work nights is not to break your schedule; if you don't get to bed before the birds begin to screech it's useless to go to bed at all. This morning, having nothing better to do, I visited the Jardin des Plantes. Marvelous pelicans here from Chapultepec and peacocks with studded fans that look at you with silly eyes. Suddenly it began to rain. (…) At the Café de l’Avenue, where I stop for a bite, a women with a swollen stomach tries to interest me in her condition. She would like me to go to a room with her and while away an hour or two. (…) As soon as the baby is born and handed over to the authorities she will go back to her trade, she says. She makes hats. (…) I fell something stirring inside. It takes my appetite away. (…) I am speaking naturally of that world which is peculiar to the big cities, the world of men and women whose last drop of juice has been squeezed out by the machine-the martyrs of modern progress. It is this mass of bones and collar buttons which the painter finds so difficult to put flesh on” (Miller, H.,

op. cit. (1934), p. 164-66).

79

Non si deve cercare la formula perché la verità è l'inclassificabile, perché il mondo come “sogno di un entomologo” è il trionfo del caos. In una mise en abîme per così dire di secondo grado del tema dello spazio, si coglie il rovesciamento del paradigma visivo: il centro è paradossalmente il “mozzo di questa ruota [il mondo] che va a pezzi” e la descrizione è descrizione del collasso, attraverso la rappresentazione pittorica dei pigmenti di colore. L'artista è quindi, in quanto tale, figura dell'estremo confine che, operando la trasfigurazione metafisica dello spazio nel “domaine interdict” dell'immaginario a partire dal piano fisico della realtà, sovverte il tradizionale processo simbolico della creazione. Non è più l'indiscussa supremazia dell'Idea, di quella “grossa macchia bianca” che tanto opprime il protagonista della Nausea, a costituire il filo conduttore latente della descrizione, quanto piuttosto l'immagine della sua dispersione. Il racconto diventa vero e proprio contro-canto “centrifugo” sul versante dell'immaginario del movimento centripeto del mondo.

Il Paesano compie un processo identico sul piano gnoseologico ma il suo risultato sembra diverso in quanto la rivendicazione della facoltà di immaginazione porta alla riqualificazione ontologica del reale, scoperto come “fantastique héreux”. La demistificazione del mito del concatenamento delle idee, e quindi la riscoperta quasi ieratica dell'hasard 80 come unico pattern conoscitivo, non porta come in Miller a una costituzione dell'immaginario artistico come mera fantasmagoria, quanto piuttosto a una rifondazione del concetto stesso di realtà. Sovvertendo le stesse linee poetiche del surrealismo, Aragon non si limita a una semplice inversione allegorica dei piani di lettura che produrrebbe l'evocazione pur trasfigurata di un'altra dimensione occulta svelabile solo per illuminazione estemporanea. Se, come sostiene Benjamin, la città è in sé “realizzazione dell'antico sogno del labirinto” e se le profondità dell'immaginazione portano il Paesano negli abissi di “un labirinto senza Minotauro”, questo stesso labirinto è figura del reale in quanto intreccio di differenze e luogo di contraddizione. Nel rifiuto radicale della filosofia della ragione e dell'Io, ma anche della prassi simbolista e allegorica81, Aragon non mira alla ricostituzione di altre distinzioni binarie ma a una “poesia in quanto phronesis, in quanto sapere per la vita, in quanto sapere che emerge dal pathos e dal complesso dell'esperienza umana”82 attraverso l'ibridazione dei generi e del linguaggio.

La differenza con Miller appare evidente se si considera un passo di Tropic of Cancer, immediatamente successivo a quelli citati sopra, dove l'immaginazione non

80 “Par ces temps magnifiques et sordides (…) je vivais au hasard, à la poursuite du hasard, qui seul

parmi les divinités avait su garder son prestige.. ” (Aragon, L., op. cit.(1926) , p. 141).

81 “Il me semblait bien que l’essence de ces plaisirs fût toute métaphysique, il me semblait bien

qu’elle impliquât à leur occasion une sorte de goût passionné de la révélation. Un objet se transfigurait à mes yeux, il ne prenait point l’allure allégorique ni le caractère du symbole ; il manifestait moins une idée qu’il n’était cette idée même. Il se prolongeait ainsi profondément dans la masse du monde. Je ressentais vivement l’espoir de toucher à une serrure de l’univers : si le pêne allait tout à coup glisser” (Aragon, L., op. cit.(1926) , p. 143).

82

si pone come strumento di rifondazione del reale e dove l'immaginario costituisce, sul piano epistemologico, un mero concetto limite cui la conoscenza deve tendere e, sul piano ontologico, una duplicazione fantasmagorica e disvelante del mondo reale.

In the evening now and then, skirting the cemetery walls, I stumble upon the phantom odalisques of Matisse fastened to the trees, their tangled manes drenched with sap. A few feet away, removed by incalculable eons of time, lies the prone and mummy-swathed ghost of Baudelaire, of a whole world that will belch no more. In the dusky corners of cafés are men and women with hands locked, their loins slather-fleeked; nearby stands the garçon with his apron full of sous, waiting patiently for the entr’acte in order to fall upon his wife and gouge her. Even as the world falls apart the Paris that belongs to Matisse shudders with bright, gasping orgasms, the air itself is steady with a stagnant sperm, the trees tangled like hair. On its wobbly axle the wheel rolls steadily downhill; there are no brakes, no ball bearings, no balloon tires. The wheel is falling apart, but the revolution is intact... 83

Le “fantomatiche odalische” di Matisse così come “lo spettro prono” di Baudelaire sono i segni della stratificazione temporale inscritta nel tessuto urbano, l'ultima resistenza dell'Io prima che “la ruota” si spezzi definitivamente. Alla rivoluzione della conoscenza non può più seguire negli anni neri, gli anni trenta, una rivoluzione ontologica. Nessuno forse può più dire come il Paesano: “je n'avais pas compris que le mythe est avant tout une réalité, et un nécessité de l'esprit, qu'il est le chemin de la conscience, son tapis roulant”84. Il Miller descrittore descrive il mondo reale mostrandone l'altro da sé e individuando nell'ora del tessuto urbano la compresenza simultanea di passato e futuro. In un oscillare straniante tra reale e immaginario, le “verità” annunciate nello spazio metafisico dei quadri di Matisse vengono riattualizzate dallo spazio fisico. Proprio nel cimitero, che contiene in sinistra contiguità i più distanti “eons of time”, riappaiono le creature fantomatiche del pittore. La loro rievocazione non è semplice trasfigurazione del luogo sul piano dell'immaginario, ma, più radicalmente, definizione dello spazio creativo. Nel quadro di Matisse la rappresentazione “di una Parigi che vibra di chiari, ansanti orgasmi” è possibile solo nella consapevolezza dell'annientamento del mondo. Si realizza una isotopia tra la morte attualizzata dal luogo fisico del cimitero e la fantasmagoria della morte presentita nello spazio metafisico della creazione artistica. Si può ipotizzare che il modello descrittivo di Tropic si organizzi sul paradigma del quadro come trasfigurazione mitica del reale osservato, come lettura dei frammenti del passato e insieme come fantasmagoria del futuro di morte.

83

Miller, H., op. cit.(1934), pp. 174-5.

84

Se il mito non è per Miller una realtà, come lo era invece per l'Aragon del Paysan, il paradigma critico di indagine si basa per contro sulla stessa concezione dialettica. Rifiutata la possibilità di sintesi idealistica dei contrari, l'opera letteraria nasce dalla mancata risoluzione della contraddizione dando vita a una dialettica tragica che scopre nel linguaggio l'unica possibilità di rappresentazione del reale. Si allude a quel movimento del discorso che parte dalla descrizione della sinistra contiguità delle immagini nel luogo del loro massimo conflitto ermeneutico, ovvero nella Città, per arrivare alla esposizione della paradossale simultaneità dei livelli temporali di quelle stesse immagini. Lo spazio urbano è un sistema attuale di segni che vivono della loro negazione, in quanto spezzano l'immediatezza della certezza sensibile dell'istante per aprire allo sguardo l'oltre del loro passato e del loro futuro. Se, come evidenziato sopra, la “soglia” funziona a livello tematico come termine sincretico globale, capace di operare la distribuzione tra le due liste paradigmatiche, e di giustificare, in Aragon, la deriva metonimica e l'ipertrofia dei dettagli, e in Miller gli improvvisi rovesciamenti prospettici85, questa complicata trama temporale costituisce l'intelaiatura dello spazio distribuzionale. Ogni immagine evocata, che sia un particolare architettonico o un oggetto esposto nello spazio, vive all'interno di un sistema conflittuale di segni contigui e di diversa natura perché è in sé, al di là dell'immobilità effimera dell'istante, contraddizione. Ogni immagine è quindi in sé quel “golfe hétéroclite des apparences” che è lo spettacolo urbano, perché contiene la traccia del suo essere stato e la premonizione del suo futuro, provocando quindi uno slittamento metaforico dal piano dell'istante ermeneutico a quello genealogico dell'Atemporalità.

Il Timelessness, figura di apertura di Tropic, è speculare al Placelessness se il “da sempre presente” si realizza solo nell'ovunque metropolitano. La letteratura “urbana” raccoglie il canto isolato dei vertici poetici dell'800, e spinge fino al

85

Il passo, analizzato sopra e relativo all’arrivo del narratore a Rue de Sèze, è un esempio al riguardo illuminante perché, come già si è avuto modo di notare, la soglia della galleria costituisce la frontiera tra la realtà urbana, definita peculiar e descritta attraverso le figure della prostituta Lucienne e della donna incinta pronta a concedersi, e il mondo autentico racchiuso all’interno dei precincts dello spazio che ospita le tele di Matisse. Senza voler essere ripetitivi, è forse opportuno insistere sul fatto che l’ingresso nella galleria opera un rovesciamento della prospettiva: dall’osservazione del desolante panorama fenomenico che non lascerebbe alcuna speranza, si passa alla trasfigurazione lirica e noumenica di quella realtà negativa attraverso la mediazione intertestuale di Proust e Matisse. Il rovesciamento della prospettiva è relativo alla stessa posizione del descrittore in uno spazio chiaramente metaforizzato, al suo sostare nei territori della realtà o piuttosto in quelli catartici dell’immaginario. Non siamo di fronte a una dicotomia né a una riproposizione di schemi binari perché l’immaginario non è creazione ex nihilo né approssimazione verosimile alla realtà descritta, quanto piuttosto verità di questa realtà, désœuvrement, per dirla con Aragon, dell’essenza nascosta nei lineamenti urbani. Si rimanda ai paragrafo II e III del presente capitolo per l’analisi più approfondita del transito tra le due dimensioni e della rivoluzione epistemologico-conoscitiva operata, a mio avviso, dal descrittore di Tropic of Cancer. Inoltre, senza anticipare oltre, si nota che tale aspirazione, in Miller quasi metafisica, trova in Voyage au bout de la nuit, romanzo di Céline analizzato nel IV capitolo, una formulazione ancora diversa che condivide con il testo dell’americano una certa urgenza di ostentazione della verità, con la differenza che le vérités absolues pronunciate da Bardamu partono da un orizzonte tutto fisico e fenomenico per ricaderci inesorabilmente e anche che la rivelazione riguarda piuttosto la demistificazione dicotomia tra bugia scintillante della retorica propagandata dal sistema e autenticità degradata di periferie indomabili.

parossismo il sentimento di sradicamento metropolitano. Ogni scrittore in quanto abitante diventa il Je “éphémère et point trop mécontent”86 del Rimbaud delle Illuminazioni, “citoyen d'une métropole crue moderne”. Ma il Tu poetico, la Ville cui si rivolge Rimbaud, è investito, nel '900, dallo stesso processo di dispersione cui va incontro il soggetto, processo innescato dalla “potenza del fascino formale del continuo”. Il flusso della moltiplicazione delle merci, così ben esemplificata a livello metonimico dal passage, subisce l'interruzione generata dai cambiamenti della moda andando incontro a dei salti temporali. L'unico radicamento del soggetto- oggetto rimane quello nel terreno della precarietà e del transitorio, il cui paradigma descrittivo è fornito dall'esistenza nella metropoli.

L'impianto descrittivo di Tropic of Cancer si costruisce sull'intuizione straniante del paradosso spazio -temporale che caratterizza la vita nella e della città e il cui paradigma per eccellenza è Parigi. Una Parigi che “hardly lends itself to a tour, even with the best of intentions”, una Parigi che “has to be lived, that has to be experienced each day in a thousand different forms of torture, a Paris that grows inside you like a cancer, and grows and grows until you are eaten away by it”87. L'esperienza urbana è non solo Erlebnis della molteplicità ma inversione della relazione uomo – mondo. La prima spia linguistica è offerta dall'uso della forma passiva per i verbi to live e to experience, che indicano l'azione del soggetto sull'oggetto urbano. Immediatamente dopo, Parigi guadagna addirittura lo statuto di Soggetto (that Paris that grows inside you) fino a modalizzarsi secondo le categorie dell'eroe. L'uomo, in quanto abitante della metropoli, non è più il Soggetto ma l'oggetto-preda dell'azione della Città, cancro maligno che divora l'Io sul suo stesso terreno. Parigi, in quanto attante collettivo88, si presta a molteplici letture. A un

86 Rimbaud, A., Illuminations (1886), ora in op. cit. (1965), p. 171. 87 Miller, H. op. cit. (1934), p. 183

88

Nei testi analizzati, Parigi figura come una sorta di attante collettivo la cui complessa modalizzazione rivela un autentico paradosso descrittivo e anche una demistificazione delle tradizionali logiche binarie. Oggetto del desiderio, quasi sempre frustrato, dell'eroe/ scrittore moderno, la città diventa essa stessa il Soggetto, che da "preda" diventa “cacciatore”, non più quindi oggetto di comunicazione tra Descrittore e Descrittario, ma Soggetto che comunica per antifrasi al personaggio l'impossibilità della sua azione, votata allo scacco. L'applicazione delle categorie narratologiche a tipi testuali convenzionalmente definiti come descrittivi, si giustifica proprio in considerazione della labilità del confine tra narrativo e descrittivo in testi dove si assiste a una progressiva spazializzazione delle strutture temporali della storia e a una loro proiezione erosiva sul tessuto urbano. Se si accetta di definire la logica narrativa in base alla sua stessa illogicità e cioè, come afferma Roland Barthes, in quanto applicazione dell'errore noto alla scolastica sotto la forma del post hoc, ergo propter hoc, la rinuncia ostentata dell'alibi causalistico e la demistificazione del presunto finalismo della storia potrebbero apparire come la rinuncia, meno evidente e sbandierata che negli esiti destrutturanti del Nouveau Roman, della concezione tradizionale del romanzo. Si potrebbe dire, applicando ai testi dell’entre deux guerres qui in esame l’ipotesi che Debenedetti formula a proposito del Dottor Živago di Pasternak e de La Noia di Moravia, che la scoperta del principio d’indeterminazione di Heisenberg fa piena irruzione nei territori letterari sostituendo al concetto finalistico di causa quello fluido del caso, quando non addirittura, come in Miller, del caos. La letteratura che fonda il mito di Parigi, destinandolo a una lunga vita, parte secondo Roger Caillois dalla metamorfosi della città in luogo di avventura, metamorfosi che “tient à la transposition dans son décor [della città] de la savane et de la foret de Fenimore Cooper où et toute branche cassée signifie une inquiétude ou un espoir où tout tronc dissimule le fusil d'un ennemi ou l'arc d'un invisible et

primo livello, è il “mozzo della ruota”, estremo confine di un mondo che va a pezzi, ovvero la “cornice” dove si realizza la disintegrazione della soggettività egoica. Ma, a un secondo livello, il contesto spazio-temporale non è più solo superficie di scrittura/lettura della contraddizione dell'Io, né semplicemente luogo di esperienza di questa dispersione, ma Soggetto autonomo che, nella sua paradossale conflittualità, diventa esso stesso contraddizione che agisce sull'uomo. Siamo di fronte a un cortocircuito logico: la descrizione della Città, offrendo il co-testo e il contesto dell'enunciazione, diventa essa stessa “langue”, “dictionnaire” dove “pas un mot n'en est banni” 89. Le “réalités” di Aragon sono i “segni” che il Paesano letteralmente legge nelle insegne, sulle “pancartes”, attraverso le vetrine del Passage90 mentre in

silencieux vengeur” (Caillois, R. , Paris mythe moderne , «Nouvelle revue française» (284), 1er Mai 1937, p. 685). Se come sostiene il critico, vicino agli ambienti surrealisti, “tous les écrivains, Balzac le premier, ont marqué cet emprunt ” (Ibidem), e se il romanzo poliziesco si sviluppa a partire dalla riformulazione dell’esperienza come percorso lungo le tracce che conducono a essa, trascrizione urbana della caccia nei boschi, è pur vero che, come evidenza Benjamin, gradualmente queste esperienze perdono la loro consequenzialità, il riferimento al sistema, diventando “prodotto del caso” e recando in sé “una costitutiva interminabilità” (Benjamin, W., op. cit., p. 871). D’altronde all’eroe tipo dei romanzi d’avventura di fine ottocento, “le génie di crime, l’empereur de l’épouvante, le maître des transformations saugreneuses, celui qui modifie à volonté son visage et dont le costume,