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Parigi: specchio della concezione spazio-temporale in Tender is the night.

Un passo in particolare di Tender is the night14 si costituisce come una vera e propria mise en abîme della nuova concezione spazio-temporale e quindi dei procedimenti descrittivi. Dick Diver e Rosemary Hoyt, dopo aver assistito alla proiezione di “Figlia di papà”, film primo della giovane attrice, si recano a una festa in una casa in Rue Monsieur. L'ordine della storia procede attraverso lo sdoppiamento metonimico dello spazio in reale e immaginario, arrivando ad annullare le linee di frontiera e a creare una onnipervasiva dimensione di irrealtà. Se la rappresentazione filmica costituisce a livello metanarrativo la chiave interpretativa

14 Tender is the night ha una complessa e controversa storia editoriale che Fernanda Pivano,

traduttrice del romanzo per Einaudi, ricostruisce con precisione e pazienza anche per illustrare ciò che l’ha portata a scegliere, tra le tante versioni e i numerosi rimaneggiamenti, quella pubblicata in volume nel 1934, l’ultima che Fitzgerald curò di suo pugno” (Pivano, F., Introduzione a Fitzgerald, F.S, Tenera è la notte (1949), Einaudi, Torino, 1990, p VII), ignorando quindi la revisione praticata da Cowley al testo nell’edizione del 1951. La differenza non si limita alla correzione degli oltre cento errori ortografi che Scribners, il primo editore, si rifiutò di modificare, ma consiste in una riorganizzazione dell’ordine della storia che segue solo parzialmente le indicazioni di alcuni appunti lasciati da Fitzgerald prima di morire. Nella versione di Cowley viene seguito un ordine rigorosamente cronologico sconvolgendo l’originaria tripartizione del testo, che si apriva ambientando la storia nella Riviera francese e presentando i personaggi dall’esterno attraverso il punto di vista della giovane attrice americana Rosemary Hoyt. Nell’edizione così sostanzialmente rivista ed edita ora da Penguin, la digressione centrale contenuta nel secondo libro del romanzo sull’incontro tra Dick e Nicole in Svizzera e quindi sulle vicende iniziali che portano alla loro unione diventa il Book One dal titolo Case History: 1917-1919. Seguono: Book Two Rosemay’s angle: 1919-

1925, Book Three Casualties: 1925, Book Four Escape: 1925-1929, e infine il conclusivo Book Five The way Home: 1929- 1930. Nell’edizione del 1934 il primo Libro corrisponde al libro II e III della

versione rivista da Cowley, ma con delle modifiche relative alla parziale omissione dell’episodio contenuto nel capitolo ventunesimo sull’incontro tra Dick Diver e un oscuro affarista americano e al fatto che nella versione originale il primo libro si chiude con il tragico episodio dell’assassinio del nero Peterson mentre nella versione del 1951 ci si sposta in riviera seguendo i movimenti dei coniugi Diver. Il Book II della versione orginale include tutta quella parte indicata da Cowley col titolo di “Storia della vicenda” nonché quella contenuta nel Book Four Escape. La terza e ultima parte della versione del 1934 coincide con il libro finale dell’edizione del 1951, The way Home. Secondo la ricostruzione genetica di Pivano, il romanzo conobbe due prime versioni mai pubblicate e peraltro segnate da numerosi e successivi rimaneggiamenti: la prima, stesa tra il 1925 e il 1930, s’intitolava

The world’s Fair e aveva come protagonista un giovane americano del Sud, Francis Melarky, che

visita l’Europa in compagnia della madre dalla quale è talmente dominato da sviluppare una depressione nervosa durante la quale finisce per ammazzarla, mentre la seconda racconta la storia del regista Lew Kelly e della moglie Nicole in viaggio per l’Europa. Compare in questa stesura, che liquida definitivamente il tema del matricidio alla base della prima, anche il nucleo di quello che diventerà il personaggio di Rosemary, giovane di condizione sociale modesta che cerca, su pressioni della madre, di irretire il regista. La terza versione, l’ultima a essere curata dall’autore e la prima a venire pubblicata, inizialmente a puntate sullo Scribner’s Magazine nel 1933 e infine in volume sempre per Scribners nel 1934, ha per protagonista Dick Diver, subisce vari rimaneggiamenti trovando il titolo solo all’ottava revisione grazie a un prestito tratto da un verso di Ode all’usignolo di John Keats. L’edizione apparsa in volume costituisce, sempre secondo le preziose indicazioni di Fernanda Pivano, addirittura la quinta versione conosciuta del romanzo. Nel presente lavoro si prenderà in considerazione la versione del 1934 e quindi la relativa traduzione di Pivano apparsa per la prima volta nel 1949, due anni prima dell’edizione curata da Cowley, riservandoci però di fare cenno a quest’ultima versione, segnalando di volta in volta le più significative discrasie siano esse lessicali o piuttosto relative alla disposizione del contenuto. Per un ulteriore approfondimento si rimanda a Bruccoli, M., The composition of “Tender is the Night”, University of Pittsburgh Press, 1963.

della vita vissuta dai personaggi, una sorta di “stanza” analitica nella quale mettere in scena i loro dissidi psichici anticipando lo stesso racconto, essa è anche, a livello metadiscorsivo, il paradigma descrittivo in atto nel testo. La realtà come referente extralinguistico, come luogo onirico dell'expatrié, è già un “effet du réel” e la sua descrizione letteraria è una rappresentazione che in via provvisoria potremmo definire di secondo grado. Il contesto spazio-temporale del testo è dunque quello esemplificato dal modello concettuale ed esistenziale della Unreal city dell'esilio, setting cinematografico dove i personaggi mettono in scena il dramma del loro sradicamento fisico e psichico.

Nel brano, cui si è fatto accenno sopra come luogo del testo dove meglio emerge la riconfigurazione derealizzante dello spazio, si legge:

It was a house hewn from the frame of Cardinal de Retz's palace in the Rue Monsieur, but once inside the door there was nothing of the past, nor of any present that Rosemary knew. The outer shell, the masonry, seemed rather to enclose the future, so that it was an electric-like shock, a definite nervous experience, perverted as a breakfast of oatmeal and hashish, to cross that threshold, if it could be so called into the long hall of blue steel, silver-gilt, and the myriad facets of many oddly bevelled

mirrors. The effect was unlike that of any part of the Decorative Arts

Exhibition-for there were; people in it, not in front of it. Rosemary had the detached false-and-exalted feeling of being on a set and she guessed that everyone else present had that feeling too.15

Già dall'incipit, la descrizione della casa in Rue Monsieur sembra percorsa da un latente intento metadescrittivo, come suggerisce la presenza di frame, termine che la Pivano omette nella sua traduzione italiana rendendo l'intera espressione “hewn from the frame of Cardinal de Retz's” con il semplice “ricavata dal palazzo del Cardinale di Retz”. Ma se si considera la polivalenza semantica di frame che tra i suoi significati ha, insieme a quello di “armatura” e “intelaiatura”, quello di cornice, l'utilizzo del termine appare rilevante perché anticipa la connotazione derealizzante che attraversa lo spazio. Il descrittore, prendendo in prestito lo sguardo naif della giovane attrice, sottolinea come in quella casa ricavata dall'armatura/cornice di un palazzo storico, non vi sia traccia di “nulla del passato né di alcun presente conosciuto da Rosemary”, coniugando in tal modo il motivo della rarefazione temporale a quello della perdita delle radici storiche. L'ingresso nella casa, metaforizzata dall'immagine latente del quadro, assume l'aspetto di un rito di

15

Fitzgerald, F. S., Tender is the night , first published in USA by Charles Scribner’s sons, citato dalla raccolta di romanzi Fitzgerald, F. S., The Great Gasby, Tender is the night, The Side of

Paradise, The Beautiful and the damned, The Last Tycoon, published in Great Britain in 1991 by

BCA by arrangement with Reed international Books Ltd, London, p. 160; trad. it di Fernanda Pivano

Tenera è la notte (1949), Einaudi, Torino, 1990. Nell’edizione Penguin Books il passo si trova,

iniziazione. La stessa trama linguistica, attraverso l'utilizzo di similitudini sempre più stranianti e di sapore quasi orfico, e il ricorso a termini di chiara matrice psicoanalitica (“electric-like shock”, “nervous experience”, “perverted”) autorizza l'interpretazione dello spazio in chiave allucinatoria e onirica. La scelta dell'espressione “outer shell” rinforza l'inciso “masonry” attualizzando una delle sue valenze semantiche, quella di “arte muraria” e connotando così il luogo in senso metaforico. Se a un primo livello di lettura il “guscio esterno” è la semplice “muratura”, a un livello più profondo è anche metafora dell'esperienza analitico- onirica e quindi artistica, come conferma il ricorso al termine threshold, che, usato in Tropic of Cancer per designare/connotare l'ingresso della galleria d'arte in Rue Sèze, è qui ulteriore spia linguistica della trasfigurazione del luogo che sempre più perde il suo significato concreto per assumere quello di spazio onirico/creativo. La dimensione sembra essere quelle rarefatta dell'immaginario artistico, come segnalato dal ricorso a espressioni che richiamano da vicino le esperienze delle prime avanguardie, contaminandole con i motivi di ascendenza psicoanalitica (“pervertita come una colazione a base di hashish”). Rosemary, appena varcata “la soglia”, ha una specie di “scossa elettrica”, di esperienza nervosa, che si potrebbe interpretare, se si tiene conto dell'espressione “enclose the future”, come una fantasmagoria del futuro individuale suo e degli altri personaggi, come una premonizione di segno collettivo e anche come una riflessione metaletteraria. Infatti, quel luogo, da un lato proietta l'inevitabile dissoluzione cui l'emergere del desiderio incontrollato porta i due amanti, e dall'altro sembra alludere più in generale alla decostruzione modernista dello spazio. L'introduzione del motivo dello specchio, per di più nella significativa forma della moltiplicazione della superficie in una “miriade di sfaccettature”, produce un ulteriore slittamento metaforico che dal piano onirico porta verso quello artificiale e costruito della rappresentazione teatrale esplicitata in chiusura. Se la casa dall'esterno è come un quadro scolpito nella cornice della storia, al suo interno è quel quadro in quanto frammentato e disperso sulle “sfaccettature di specchi tagliati stranamente”. L'espressione potrebbe sembrare una riformulazione intertestuale del “prisma” dell'immaginazione del Paesano e delle suddivisioni prismatiche dell'Idea di Mallarmé, ma, a una lettura più attenta, ci si accorge come il paragone sia fuorviante perché in Fitzgerald si trova piuttosto la parodia modernista di quel “prisma” che, nella sua straniante metamorfosi “riflettente”, diventa da strumento di indagine per penetrare meglio il senso del reale quel reale stesso. Non c'è più frontiera tra le due dimensioni come segnala tra l'altro l'insicurezza lessicale del descrittore che nomina la “soglia” per poi ammettere, in un inciso, il suo “scetticismo” linguistico. Non più non threshold nella sua definitività concettuale, ma “threshold, if it could be so called”.

Il motivo dello specchio e quello del quadro arrivano a una sintesi drammatica nelle due ultime frasi. Il richiamo alla Mostra d'Arte per via negativa serve a ribadire la valenza “artistica” dello spazio e insieme a decentrarla verso la metafora del teatro. L'effetto di Rosemary non è quello provato alla Mostra perché la differenza tra i due

contesti, significativamente colta per associazione negativa, risiede nel fatto che ora, qui, nella casa, non si è “davanti” ai quadri, ma dentro. La chiusura riprende il rovesciamento antifrastico della polarità dentro/fuori, e quindi il motivo della dissoluzione del confine esterno/interno, attraverso il richiamo al set, vero contro- canto di tutta la storia. Se lo spettatore diventa attore della rappresentazione sulla scena teatrale, la sua parte è quella dell'uomo senza più storia, con un copione improvvisato tra le mani, e il suo luogo di riferimento è la sospensione dell'irrealtà16. Questa interpretazione è suggerita dalla connotazione “artificiale” del teatro, realizzata attraverso il ricorso all'espressione “detached false-and-exalted feeling” che, riconducendo la metonimia ancora sul terreno della metafora, estrae definitivamente il luogo e l'uomo che lo abita da ogni referenza con il reale. Nella traduzione italiana della Pivano, l'aggettivo “detached” scompare e questo colpisce considerando che la sensazione “falsa ed esaltata” è tale proprio in quanto “staccata”, in quanto l'essere-nel- set si pone come l'inverso speculare dell'essere- nel- mondo. Dalla prima metafora latente, quella della cornice, si arriva, attraverso la mediazione metonimica del motivo del quadro e quindi dello specchio, alla metafora scoperta del teatro.

Una volta riconfigurato lo spazio, il descrittore può occuparsi di chi lo abita. Se si tiene conto che la descrizione è condotta attraverso lo sguardo di Rosemary17, si può

16 Il motivo della trasfigurazione scenica del contesto parigino si ritrova in molti testi americani

coevi, insieme a una sempre latente tentazione derealizzante che percorre tanto l’ambiente quanto, come in questo caso, i personaggi che vi abitano. Senza anticipare, più di quanto si sia già fatto nel primo paragrafo, la sofisticata e colta variazione del tema in Nightwood , si segnala la presenza del motivo in Tropic of Cancer, testo nel quale si abbandona il terreno metonimico per tracciare una generale definizione dell’insieme del corpo parigino paragonato a un palcoscenico artificiale dove vengono consumati drammi e scene iniziati chissà in quale altro angolo del mondo. D’altronde anche nel romanzo di Barnes, Parigi, ancor più metaforizzata e depurata di ogni stretto vincolo referenziale col reale, diventa il non-luogo dove si incontrano trame che iniziano a Vienna, Berlino e negli Stati Uniti. Rimandando per questo al terzo paragrafo del presente capitolo, è opportuno leggere per intero il brano di Tropic cui si è fatto cenno poco sopra: “ It is no accident that propels people like us to Paris. Paris is simply an artificial stage, a revolving stage that permits the spectator to glimpse all phases of the conflict. Of itself Paris initiates no dramas. They are begun elsewhere. Paris is simply an obstetrical instrument that tears the living embryo from the womb and puts it in the incubator. Paris is the cradle of artificial births. Rocking here in the cradle each one slips back into his soil: one dreams back to Berlin, New York, Chicago, Vienna, Minsk. Vienna is never more Vienna than in Paris. Everything is raised to apotheosis. The cradle gives up its babes and new ones take their places. You can read here on the walls where Zola lived and Balzac and Dante and Strindberg and everybody who ever was anything. Everyone has lived here some time or other. Nobody dies here …” (Miller, H., op. cit. (1934), pp. 29- 30). Neanche i personaggi di Nightwood e di Tender is the night moriranno a Parigi perché la capitale francese è il palcoscenico del parossismo, dell’eccesso, talvolta come in Fitzgerald della disintegrazione e del degrado psichici e morali, il luogo straniero dove meglio ambientare drammi stranieri o comunque meticci, dove è più facile mettere in atto i paradigmi epistemologici modernisti e le nuove forme esistenziali. La morte è qualcosa di troppo vero e reale e insieme in fondo insignificante perché guardare un morto non rivela granché della sua storia mentre ripercorrere gli attimi che precedono la fine diventa un osservatorio quasi universale e privilegiato di indagine.

17 Come osserva Fernanda Pivano nell’Introduzione alla sua traduzione italiana di Tender is the night,

“il cambiamento sostanziale praticato da Cowley alle versioni di Fitzgerald consiste nello spostamento del ‹‹punto di vista›› del libro dall’interpretazione della giovane attrice Rosemary (…) a una obiettiva esposizione cronologica delle vicende del medico Dick Diver e della sua moglie-

confermare quanto sostenuto sopra e cioè che se lo spazio è l'elemento genealogico della storia e del suo Soggetto, è anche in un certo senso questa stessa storia e questo stesso Soggetto, in quanto è impossibile tracciare una frontiera tra rappresentazione e realtà, tra homo fictus e referente reale, tra oggetto visto e sguardo che vede. La realtà è fatta dalla miriade di sfaccettature degli specchi che sono insieme i frammenti della sua dispersione ermeneutica e gli occhi (infiniti) di chi li osserva. Il topos descrittivo realista della finestra come “thématisation du pouvoir voir du personnage”18, come confine tra luogo chiuso e luogo aperto e quindi come “cadre” del “personnage médiateur” ottocentesco, viene ripreso nel Novecento in chiave parodica, a motivo proprio della riformulazione concettuale dello spazio. In Tropic of Cancer le “finestre” sono gli occhi delle strade, “finestre cieche come occhiaie vuote di occhi che hanno visto troppo”, mentre in Tender is The Night diventano addirittura le sfaccettature degli specchi. Lo specchio modernista non è più lo specchio realista, “mise au spectacle illusioniste et réaliste du monde”19. Non può esserlo in quanto l'io e il mondo sono già in sé immagini e dunque lo spazio è già in sé specchio frastagliato. E non è neanche lo specchio barocco, quell'intuizione capace di decentrare dall'interno un quadro, come nel celebre dipinto di Velazquez studiato da Foucault20, senza fargli perdere la sua coerenza semantica. Se, infatti, del realismo non ha più il presupposto della distinzione dentro/fuori e Io/mondo, dell'estetica barocca ha perso la concezione del doppio metaforico come immagine del divino. L'immanenza dello spazio modernista è scoperta nella sua frammentazione irriducibile, mentre il posto vacante della trascendenza viene occupato dal demone dell'Inconscio, che abita l'Io esattamente come L'Io abita il mondo. Alle metafore teoretiche che, come nota Hamon, da Alberti a Zola definivano l'arte come “une fenêtre ouverte sur la création”, subentra la metafora modernista dell'arte come gioco di riflessi tra specchi.

Nel passo successivo al brano sin qui analizzato, il motivo metonimico dello specchio viene innestato nella metafora teatrale, connotata in senso oppositivo rispetto a ogni “work of art”. Il paradosso descrittivo risiede proprio nell’affermazione, meno esplicita che in Miller e meno eclatante che in Barnes, di un'autonomia del testo solo a prezzo di una costante messa in discussione della sua capacità mimetica.

paziente Nicole” (op. cit., p. VII). Alla luce di tale fondamentale considerazione il passo qui in esame diventa essenziale per svelare, oltre ai paradigmi descrittivi relativi alla rappresentazione dello spazio, anche il punto di vista del quale il descrittore si serve per costruire/decostruire il cosmo parigino artificialmente ricreato dalla cerchia di amici guidata dai coniugi Divers.

18 Hamon, P., op. cit. (1981), p. 188. 19 Ibidem .

20 Michel Foucault nel suo Les mots et les choses (Gallimard, Paris, 1966; trad. it. Le parole e le cose,

BUR, Milano, 2001) ricostruisce il percorso epistemologico che porta dalla correlazione continua tra le parole e le cose sulla base delle leggi arcaiche di somiglianza alla nascita nel XVIII secolo della teoria della rappresentazione che rifonda la categoria della relazione. L’analisi del quadro Las

Meninas di Velazquez appare in tale sede molto interessante per le illuminanti considerazioni sulla

reciprocità continua tra guardante e guardato, sul gioco infinito di scambi tra soggetto e oggetto, modello e spettatore che “invertono le loro parti all’infinito” (Ibidem, p. 19).

Quella che viene letteralmente messa in scena è una realtà di terzo grado, degradata cioè anche rispetto a quella rappresentata, perché il depotenziamento ontologico del mondo è lo “specchio” del degrado etico dell'artista. La finestra dello scrittore esule è aperta su questa perdita di fondamento esistenziale e autoriale che, a livello discorsivo, si traduce nella parole farsesca e illusionista del teatro.

Ritornando al testo, vi si legge

There were about thirty people, mostly women, and all fashioned by Louisa M. Alcott or Madame de Ségur; and they functioned on this set as cautiously, as precisely, as does a human hand picking up jagged broken

glass. Neither individually nor as a crowd could they be said to dominate

the environment, as one comes to dominate a work of art he may possess, no matter how esoteric. No one knew what this room meant because it

was evolving into something else, becoming everything a room was not;

to exist in it was as difficult as walking on a highly polished moving stairway, and no one could succeed at all save with the aforementioned qualities of a hand moving among broken glass-which qualities limited,