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Per una sicura collocazione dell’imposta unica

Nel documento L’imposizione dei giochi e delle scommesse (pagine 147-157)

IL SISTEMA SPECIALE DEI TRIBUTI IN MATERIA DI GIOCHI CAPITOLO III

4. Ricostruzione ragionata sulla reale natura giuridica dei prelievi erariali sui giochi e le scommesse. giochi e le scommesse

4.3 Per una sicura collocazione dell’imposta unica

L’esatta collocazione dell’imposta unica nell’ambito delle imposte non mi pare possa essere messo in discussione. Volendo sorvolare sul valore indicativo del nome stesso del tributo280 non si può non vedere come tale obbligazione contenga tutte le caratteristiche che contraddistinguono l’istituto.

Intanto, l’attuale D.Lgs. n. 504/98 indica il prelievo erariale con la locuzione “imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse”. L’utilizzo del termini imposta, pur non costituendo un argomento conclusivo per la individuazione della natura giuridica del prelievo, assume se non altro un valore indicativo della tendenza legislativa a considerarlo, almeno nominalisticamente, come tale.

Tralasciando la valenza di tale argomentazione letterale, non si può non vedere come l’imposta unica mostri tutti i caratteri che i diversi autori attribuiscono al tributo in generale ed all’imposta in particolare.

Il prelievo è strutturato sul paradigma dell’obbligazione ex lege (e perciò coattivo), nasce cioè dalla legge che lo ricollega (come si vedrà) ad un presupposto economico ed è dovuto, a titolo definitivo, dal soggetto passivo indipendentemente dalla sua volontà – e direi contro i suoi desideri - ed al fine di contribuire alle spese pubbliche.

Anche la fase dinamica del prelievo (ovvero il meccanismo di attuazione dell’imposta) richiama l’istituto dell’imposta tantoché essa è imperniata su uno schema di attuazione simile a quello predisposto per le imposte sui redditi.

280 La cui scarsa vincolatezza per l’interprete è denunciata dalla dottrina DE MITA E., Principi di

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Infine, la struttura della disciplina ricalca pedissequamente il paradigma della norma tributaria (presupposto, soggetti passivi, base imponibile, aliquota, accertamento, riscossione).

Tali considerazioni mi sembrano che dimostrino in modo incontestabile la natura di imposta del tributo.

4.4 Le quote di prelievo rispetto alla riserva di legge e i conseguenti riflessi sulla determinazione dell’imposta unica.

Nei precedenti paragrafi si è avuto modo di esaminare sinteticamente il rispetto del principio di riserva di legge da parte della legge delega. In particolare, sono stati esposti i dubbi circa la congruità dei criteri contenuti nella legge delega n. 288/98 rispetto alla concreta determinazione dell’imposta unica in linea generale. Qui vorrei trattare l’ulteriore e connesso aspetto della legittimità costituzionale nella determinazione delle quote di prelievo e dei relativi riflessi sull’imposta unica.

A tal riguardo è indispensabile richiamare le conclusioni cui si è pervenuti nei precedenti paragrafi a proposito della natura delle quote di prelievo. L’analisi svolta ha permesso (lo spero) di ricondurre le quote di prelievo nel novero dei tributi e presumibilmente tra le imposte.

Tale natura sottopone il prelievo erariale al rispetto del principio costituzionale della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. che, per consolidatissima interpretazione, è da ritenere di natura relativa e non assoluta281.

Quindi, in linea generale si ritiene che la legge debba contenere una sia pur parziale disciplina della materia. A tal riguardo la Corte costituzionale per individuare il minimun della disciplina utilizza il criterio della sufficiente determinatezza, in quanto idoneità a limitare la discrezionalità

281 In dottrina per tutti FEDELE A., Commento all’art.23 Cost., in Commentario della Costituzione, in op. cit., p. 97 e ss.. In giurisprudenza vedasi tra gli altri Corte Cost. n. 36/59, Corte Cost. n. 48/66, Corte Cost. n. 67/73, Corte Cost. n. 157/96, Corte Cost. n. 180/96.

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dell’amministrazione. Le diverse tesi dottrinarie282 paiono concordi nel ritenere sufficiente la legge che disciplini:

- il presupposto ovvero l’evento al cui verificarsi la prestazione si rende dovuta ovvero l’oggetto, le fattispecie imponibili e il presupposto del tributo;

- i soggetti obbligati ad effettuarla;

- la determinazione quantitativa della prestazione o quantomeno l’indicazione di criteri direttivi, di limiti e controlli, pur riconoscendo in taluni casi che la riserva possa operare in modo più elastico.

La giurisprudenza di legittimità sembra abbracciare le tesi dottrinali nonostante nei fatti le proprie pronunce diano rilievo per lo più alla verifica che la legge contenga i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente impositore, in guisa da non lasciare all’arbitrio di quest’ultimo la determinazione della prestazione. Inoltre, nei fatti il sindacato svolto dalla Corte tiene conto della variabile intensità della riserva di legge in ragione della diversa natura delle prestazioni imposte283.

I criteri utilizzati dalla Corte per l’accertamento della sufficiente delimitazione dei poteri rimessi alla pubblica amministrazione sono così individuabili:

- il controllo. In questo caso la Corte accerta la presenza nella legge di disposizioni che assoggettino a specifici controlli gli atti a cui è demandata la porzione di disciplina. Tale criterio ancorché idoneo in linea di principio a delimitare l’ambito di discrezionalità della pubblica amministrazione, viene svalutato dalla dottrina o comunque ricondotto entro determinati limiti di efficienza per cui può essere apprezzato se ed in quanto utilizzato in concorso con altri criteri più incisivi284;

282 FEDELE A., Commento all’art.23 Cost., in Commentario della Costituzione, in op. cit., p. 100.

283 FANTOZZI A., Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria, in

Riv. dir. trib, 2005, I, p. 8, rileva la diversa rigidità della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost., a

seconda dei diversi tipi di prestazione imposta e dei molteplici interessi generali e pubblici. Per l’insigne Autore, il contenuto minimo della riserva di legge potrebbe variare in dipendenza della natura della prestazione patrimoniale imposta e, soprattutto, della sua giustificazione e funzione: distributiva della spesa, piuttosto che redistributiva della individuale ricchezza.

284 FEDELE A., Commento all’art.23 Cost.,cit, p. 109 ritiene che «la sussistenza di adeguati e pur

penetranti controlli non può mai, da sola, determinare una sufficiente delimitazione, ai sensi dell’articolo in esame, dei poteri di integrazione normativa rimessi dalla legge ad altri atti giuridici».

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- la partecipazione degli interessati. Riguarda le ipotesi in cui i rappresentanti dei soggetti obbligati partecipino alla formazione dell’atto che integra la formula legislativa nella determinazione quantitativa della prestazione patrimoniale. Ciò consente indirettamente una delimitazione dei poteri degli enti cui è rimessa l’integrazione della disciplina della prestazione. Anche tale criterio viene sminuito in ordine alla sua effettiva portata in quanto può assicurare che determinati interessi siano prospettati agli organi decidenti, ma non che siano presi in considerazione285. Pertanto, anche tale criterio è utile se ed in quanto utilizzato in concorso con altri criteri;

- limiti alla determinazione quantitativa della prestazione. Si tratta di indicare i limiti massimi e minimi dell’entità della prestazione o, laddove la legge indichi la base imponibile, dell’aliquota. Anche in questo caso la giurisprudenza di legittimità in un’ottica di attenuazione della riserva ritiene che non sia necessario la prefissione di un limite massimo da parte della legge; - vincolatezza al fabbisogno finanziario dell’ente. Trattasi dell’argomento

maggiormente utilizzato – insieme a quello descritto nel successivo punto – dalla Corte. In tale ottica viene ritenuta legittima la legge che preordinando la destinazione della prestazione patrimoniale ai fini istituzionali dell’ente, consente allo stesso organo di determinare quantitativamente la prestazione con il vincolo del suo fabbisogno finanziario. Tale criterio è stato criticato dalla dottrina286 per la sua estrema elasticità dovuta:

 all’inesistenza di un obbligo che imponga la commisurazione dell’entrata alle spese effettivamente sostenute (il gettito può essere maggiore delle spese);

 è impossibile stabilire prima del bilancio consuntivo l’entità del fabbisogno;  esistono ampi margini di discrezionalità da parte dell’ente nell’individuare il

livello delle proprie spese;

- regole tecniche. La Corte ha ritenuto legittima la norma qualora contenga l’indicazione delle regole tecniche la cui applicazione è necessaria alla

285 Cfr. FEDELE A., Commento all’art.23 Cost.,cit, p. 111.

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determinazione quantitativa della prestazione. Tuttavia, è stato rilevato come la Corte abbia di fatto con tale formula ampliato i casi ritenuti legittimi anche in considerazione del fatto che è quasi sempre agevole individuare elementi di natura tecnica che influiscono sulla fissazione dell’entità della prestazione287. Ciò stante, in linea di massima è consentito che atti diversi dalla legge contengano la disciplina relativa alla determinazione della prestazione, all’accertamento ed alla riscossione purché la legge stabilisca idonei criteri direttivi, limiti e controlli288.

Con riferimento alla natura degli atti della pubblica amministrazione che possono integrare la disposizione legislativa è stato rilevato come sia irrilevante la natura normativa o meramente provvedimentale dei poteri rimessi alla pubblica amministrazione289.

È stato da tempo rilevato come fin dall’inizio la giurisprudenza di legittimità si sia contraddistinta per la pervicacia con cui ha condotta la persistente opera di attenuazione della rigidità della riserva di cui all’art. 23 Cost290. Ciò è avvenuto anche attraverso la maggior sensibilità dalla Corte rispetto all’operare con diverso intensità della norma costituzionale rispetto ai diversi aspetti della materia da essa coperta. In tale ottica, è stato evidenziato come la dottrina e la giurisprudenza

287 Cfr. FEDELE A., Commento all’art.23 Cost.,cit, p. 116.

288 Cfr. FEDELE A., Commento all’art.23 Cost.,cit, p. 105.

289 FALSITTA G., Manuale, op. cit. p. 158, rileva come la dottrina concordemente ammette che ai fini dell’integrazione non è essenziale la natura normativa dell’atto, per cui ritiene che la disciplina legislativa mancante possa essere dettata anche da atti amministrativi generali ovvero addirittura da provvedimenti amministrativi individuali nei limiti in cui ciò non determini una violazione di altri precetti costituzionali. GIANNINI M. S., I proventi degli enti pubblici minori e la riserva di legge, in Rivista di dir. fin. e sc. delle fin., 1957, I, p. 12, ritiene che rispetto alla validità costituzionale delle norme, può considerarsi in certo

modo indifferente la natura dell’atto dell’amministrazione attraverso il quale si risolve l’indeterminatezza. Per l’insigne Autore, tale atto può essere un regolamento governativo o un regolamento ministeriale, ma può anche essere un provvedimento amministrativo generale, così come un provvedimento amministrativo individuale.

290 Cfr. FEDELE A., Commento all’art.23 Cost.,cit, p. 31. Su tale aspetto ANTONINI L., Commento

all’art.23 Cost., in Commentario alla Costituzione, AA.VV. (a cura di BIFULCO R.- CELOTTO A. - OLIVETTI M.) Torino, 2006, p. 492, afferma che «considerando l’evoluzione della giurisprudenza

costituzionale si avverte come questa, da un lato, abbia ampliato notevolmente l’ambito concettuale della nozione di prestazione imposta ma, dall’altro, proprio a causa di questa estensione, si sia trovata costretta – per evitare non trascurabili ripercussioni ‘nel campo così delicato delle entrate degli enti pubblici’ – a rendere alquanto evanescente il vincolo derivante dalla riserva di legge». Dello stesso

parere CIPOLLINA S., La riserva di legge in materia fiscale nell’evoluzione della giurisprudenza

costituzionale, in Diritto tributario e Corte costituzionale, AA.VV. (a cura di Perrone-Berliri),

Napoli-Roma, 2006, p. 171 per la quale l’allargamento della sfera della garanzia ex art. 23 Cost. avviene a scapito dell’intensità.

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tenda ad attenuare l’incidenza della riserva di legge in luogo del concorrente operare di altri principi costituzionali291.

Fatta questa breve panoramica verifichiamo se le indicazioni succitate sono state rispettate con riferimento alle quote di prelievo.

Esse sono richiamate nell’art. 4 del D.L.gs. n. 504/98 il quale, distinguendo fra le varie tipologie di scommesse, stabilisce che per le scommesse ippiche l’aliquota d’imposta vada commisurato ad un importo qualificato: “le quota di prelievo”, ossia una percentuale della raccolta. Pertanto, con riferimento alle scommesse ippiche la determinazione quantitativa dell’imposta unica è influenzato da un valore: la “quota di prelievo” frutto di una determinazione amministrativa. Questa non rappresenta altro che lo strumento giuridico attraverso il quale è finanziata l’UNIRE (e prima ancora il CONI) per il perseguimento dei propri fini istituzionali292.

La formulazione legislativa ha subito molteplici modifiche nel tempo interessando per lo più l’inserimento o meno della quota di prelievo fra i fattori che determinano l’imposta unica. Attualmente, come dianzi esposto, la quota di prelievo incide unicamente nella determinazione dell’imposta afferente le scommesse ippiche mentre in passato essa era determinante anche nel computo dell’imposta sulle scommesse sportive diverse dalle corse ai cavalli.

A tal riguardo, in passato, con riferimento alle scommesse sportive diverse da quelle sulle corse ai cavalli, il menzionato paradigma applicativo dell’imposta ha fatto sorgere dubbi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni che commisurano l’aliquota d’imposta sulle “quote di prelievo” anziché sull’introito delle scommesse, in ragione della materiale determinazione amministrativa delle quote. Infatti, la “quota di prelievo” essendo il portato di una determinazione

291 DOLFIN N., Commento all’art. 23 Cost., in AA.VV. Commentario breve alle leggi tributarie –

Diritto costituzionale tributario e Statuto del contribuente, (a cura di FALSITTA G.), Padova, 2011, p. 105, pone in risalto come anche nel quadro delle prestazioni patrimoniali vengono in rilievo interessi e valori costituzionali diversamente tutelati che conseguentemente esigono una diversa intensità della riserva.

292 L’analisi svolta in questo paragrafo prescinde dalle recentissime novità introdotte dall’art. 23 quater, comma 9, del D.L. del 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, con il quale l’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico-ASSI (già UNIRE) è stata soppressa. Tali modifiche incidono maggiormente sulla natura delle quote di prelievo in ordine alla quale si rimanda all’apposito paragrafo.

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amministrativa (D. Int.le 15 febbraio 1999), ha fatto ritenere che violassero il principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., in quanto la quantificazione degli importi viene appunto stabilita da una norma secondaria in apparente assenza di criteri e limiti legislativamente imposti.

La questione è stata oggetto di una pronuncia da parte della Corte Costituzionale.

La pronuncia ha tratto origine dall’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Pistoia in merito, tra l’altro, all’art. 4, comma 1, lettera b), numero 2, del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, nel testo all’epoca vigente (2001), nella parte in cui calcola l’imposta unica sulle scommesse applicando un’aliquota nominale ad una base, quella relativa alla quota di prelievo spettante al CONI, non risultante da un atto avente forza di legge, per violazione dell’art. 23 Cost., per il fatto che viene affidato ad un organo amministrativo la determinazione dell’aliquota effettiva.

Nell’analizzare la normativa all’epoca vigente la Corte ha rilevato che «la quota di prelievo è determinata in relazione all'esigenza di finanziare in parte il funzionamento del CONI, in parte (attraverso la mediazione dello stesso CONI e degli enti territoriali competenti) le infrastrutture sportive, al fine di favorire la diffusione dello sport e della pratica motoria, particolarmente nelle zone carenti di impianti sportivi ed a favore delle attività agonistiche dei giovani. Tuttavia il legislatore non ha lasciato libera la pubblica amministrazione di fissare arbitrariamente l'entità delle risorse da impiegare per soddisfare la suddetta esigenza, ma ha posto al riguardo vari vincoli. L'art. 1, comma 1, lettera o), della legge n. 288 del 1998 ha stabilito, quale criterio direttivo cui deve attenersi il legislatore delegato alla revisione dell'imposta sulle scommesse, “il mantenimento del livello complessivo del gettito”, nonostante le modifiche e le abrogazioni apportate alla precedente normativa fiscale in materia. Ciò comporta che le norme delegate devono essere interpretate nel senso che la quota di prelievo, influendo sul gettito dell'imposta unica, dovrà essere determinata in misura tale da non compromettere la suddetta invarianza del livello del gettito complessivo. Nell'àmbito di tale limite generale, l'entità del finanziamento del

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CONI trova l’ulteriore limite quantitativo dell'effettivo fabbisogno dell'ente, quale risulta dai bilanci approvati e controllati. In conclusione, l'indicazione con legge delle finalità perseguite dal Ministro delle finanze con la fissazione della quota di prelievo devoluta al CONI e delle modalità necessarie per la determinazione delle esigenze del CONI (proprie ed in relazione ai servizi resi in ambito sportivo) induce a ritenere obiettivamente e ragionevolmente limitata la discrezionalità dell'amministrazione nella integrazione tecnica della base imponibile dell'imposta unica e ad escludere, pertanto, la violazione dell'art. 23 Cost.».

Dalla citata pronuncia emerge come per la Corte l’arbitrio amministrativo venga eliminato in conseguenza dei seguenti limiti imposti dal legislatore delegante:

- il mantenimento del livello complessivo del gettito (art. 1, comma 1, lettera o), della legge n. 288 del 1998);

- effettivo fabbisogno dell’ente CONI.

Ora, relativamente al primo punto, occorre rilevare come la proposizione contenuta nell’art. 1, comma 1, lettera “o” della L. 288/98 sembra rappresentare più un criterio direttivo posto a base della revisione complessiva dell’imposizione su spettacoli, sport, giochi ed intrattenimento.293 Non a caso la norma di cui al 1° comma dell’art. 1 delle legge delega, nel premurarsi che dalla gestazione della disciplina sugli intrattenimenti non nasca una normativa che vari il gettito complessivo, consente al legislatore delegante non solo di rimodulare il sistema impositivo degli introiti derivanti dal Totocalcio e dal Totogol ma anche quello afferente la distribuzione di tali giochi nonché di applicare l’IVA con aliquota ordinaria sugli spettacoli sportivi e su quelli cinematografici. Ordunque, dalla lettura dell’enunciato normativo sembra potersi desumere che il limite del livello complessivo di gettito debba riferirsi tutt’al più all’intera riforma contemplata

293 Infatti la disposizione recita testualmente: «Il Governo della Repubblica è delega to ad emanare,

entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, che lo esprimono entro trenta giorni dal ricevimento dei relativi schemi, uno o più decreti legislativi in materia di imposizione su spettacoli, sport, giochi ed intrattenimenti, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: … mantenimento del livello complessivo del gettito anche mediante la rimodulazione dell'attuale sistema di imposizione e distribuzione degli introiti derivanti dal Totocalcio, dal Totogol o da altri giochi gestiti dal CONI e l'eventuale applicazione dell'aliquota ordinaria dell'IVA sugli spettacoli sportivi con prezzo del biglietto inferiore a lire venticinquemila e su tutti gli spettacoli cinematografici…»

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nella legge delega (relativa soprattutto all’imposta sugli intrattenimenti) e non solo a quella sull’imposta sulle scommesse. Inoltre, il delegante specifica come il rispetto di tale limite possa essere adempiuto anche mediante la rimodulazione di settori estranei all’imposta sui giochi.

Con riguardo al secondo punto294 si richiama quanto sostenuto da autorevole dottrina295 circa l’estrema elasticità di un criterio così determinato in ragione delle seguenti criticità:

- all’inesistenza di un obbligo che imponga la commisurazione dell’entrata alle spese effettivamente sostenute (il gettito può essere maggiore delle spese); - è impossibile stabilire prima del bilancio consuntivo l’entità del fabbisogno; - esistono ampi margini di discrezionalità da parte dell’ente nell’individuare il

livello delle proprie spese.

In conclusione si ritiene sommessamente che il fabbisogno finanziario del CONI e l’esigenza di conservare un generalizzato (ed indeterminato) gettito fiscale (per di più riferibile a due diverse imposte) non delimita la discrezionalità, arrivando a giustificare paradossalmente aumenti illimitati delle quote di prelievo, con contestuale azzeramento delle capacità di previsione economica dei concessionari, in lesione dell’affidamento e delle scelte imprenditoriali. Ciò è ancor più vero se si tiene conto che in ambito tributario la dottrina, pressoché unanimemente, ritiene che affinché venga rispettato il principio di legalità tributaria la legge debba contenere quantomeno gli elementi essenziali destinati a caratterizzare le singole fattispecie impositive: soggetto passivo, presupposto, criterio per la determinazione della base imponibile e le aliquote296. Ciò è anche la conseguenza del fatto che le decisioni di fondo riguardanti la ripartizione dei

294 In merito al limite individuato nel fabbisogno finanziario di un ente si richiamano le considerazioni svolte da REPACI F.A., L’imposta unica sui giochi, op. cit., p. 214 per il quale «la reciproca fiducia tra

stato e contribuente si stabilirà se e soltanto quando la coscienza di quest’ultimo non sarà turbata dal pensiero che grosse e crescenti entrate a favore del bilancio statale vanno nelle casse di altri enti; i quali, se compiono attività delegate dallo stato nell’interesse della collettività, dovrebbero essere convenientemente sovvenzionati ma in misura precisa, a ragion veduta, e in modo tale che il costo di quel dato servizio non risulti sproporzionato alle altre esigenze della complessa attività statuale».

295 Cfr. FEDELE A., Commento all’art.23 Cost.,cit, p. 114. Nella giurisprudenza sembra dubitare della valenza positiva del limite la Corte Cost. che nella sentenza n. 2/69 ha precisato che il riferimento al fabbisogno globale dell’ente non costituisce un limite idoneo.

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carichi pubblici devono essere riservate al Parlamento alla luce di criteri di meritevolezza politica, sociale ed economica. Tuttavia, come si è avuto modo di

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