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Piano di marketing

Nel documento STRATEGIA & BUSINESS PLAN (pagine 63-71)

Capitolo 3: La strategia negli aspetti tecnico-quantitativi

3.1 Piano di marketing

“Il marketing è talmente importante che non può essere considerato come una funzione separata … esso è l’intera impresa considerata dal punto di vista del suo risultato finale,

cioè il soddisfacimento della clientela”

(Peter Drucker, Manuale di Management, 1978)

Concluse la descrizione dell’ambiente di riferimento generale e la valutazione di come questi possa influenzare l’operatività dell’impresa, si tratta ora di individuare in modo più analitico l’ambito economico di diretto riferimento, ovvero lo spazio competitivo nel quale l’impresa concorre con i propri antagonisti soddisfacendo il medesimo target di clientela. In altri termini ci si propone di delineare quello che in letteratura viene definito come task

environment (ambiente di primo riferimento), ovvero quella porzione di mercato che risulta

effettivamente significativa per l’impresa.

Terminata la fase di segmentazione della clientela, si procede con l’analisi del Marketing Mix al fine di illustrare le leve di marketing e mostrarne la coerenza rispetto agli obiettivi strategici definiti all’inizio del Business Plan, e con la stima della domanda attuale e futura. I primi due

steps rappresentano il cuore del piano di marketing: sono siti alla base del processo di scelta

delle strategie commerciali dell’impresa e consentono di individuare le opportunità di mercato, incrementando l’efficacia delle politiche di marketing.

3.1.1 Segmentazione.

Partendo dal presupposto che attraverso la segmentazione l’impresa è in grado di individuare in primis il target di mercato (il cosiddetto target obiettivo) che si prefigge di

penetrare98, è possibile definire la segmentazione stessa come un frazionamento del mercato

in una serie di sub‐mercati di consumatori con caratteristiche proprie ed autonome e composti da soggetti il più possibile simili tra loro per quel che concerne i caratteri e/o le modalità e le motivazioni di consumo di un prodotto che li contraddistinguono.

Si basa sull’ipotesi che i consumatori di un bene o gli utenti di un servizio, pur avendo gli stessi bisogni di base, presentano caratteri ed esigenze peculiari, sì da costituire segmenti specifici con insiti i seguenti requisiti:

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In un secondo momento tale pratica può essere utilizzata ad esempio in una campagna pubblicitaria per differenziare i messaggi pubblicitari secondo le caratteristiche dei segmenti, o in un’azione di fidelizzazione della clientela al fine di apportare varianti agli attributi di un prodotto o servizio, in linea con le aspettative dei diversi segmenti di consumatori.

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 Misurabilità: deve essere possibile misurare la dimensione e il potenziale di acquisto dei sottoinsiemi omogenei individuati;

 Accessibilità: i segmenti devono poter essere effettivamente raggiungibili e serviti;  Importanza: lo screening deve individuare sottoinsiemi omogenei con una dimensione

tale da far raggiungere all’impresa risultati profittevoli;

 Praticabilità: deve poter essere possibile per l’impresa impostare programmi di

marketing tali da attrarre e servire i segmenti da essa prescelti.

All’interno del Business Plan la segmentazione si attua tramite metodi idonei a suddividere un insieme di unità in sottoinsiemi omogenei di consumatori, definiti come segmenti; il top

management sceglierà poi uno o più di detti segmenti come obiettivo di marketing su cui

puntare (target obiettivo). Tale procedura è pressoché necessaria nell’analisi e nella scelta degli attributi dei prodotti che l’impresa intende offrire sul mercato in funzione non dell’acquirente medio ma di uno o più specifici segmenti di consumatori omogenei.

Il vantaggio che ne deriva è di facile intuizione: focalizzarsi su un determinato target di clientela, soprattutto nella fase di start‐up, consente innanzitutto una riduzione delle risorse (economiche e non) da impiegare e, in secondo luogo, permette di evitare un notevole dispendio di energie su svariati fronti che porterebbe l’impresa a perdere di vista la mission aziendale prefissata. Ultimo aspetto, ma non per questo meno importante, è rappresentato senza dubbio dall’immagine aziendale: l’azienda deve dare un senso di appartenenza alla propria clientela, la quale deve potersi rispecchiare e identificare nel prodotto offerto.

Per comprendere meglio quanto esplicitato, è possibile descrivere un semplice esempio in relazione al settore dell’abbigliamento: un’impresa che decide di lanciare una collezione dedicata all’uomo deve necessariamente definire il target obiettivo degli articoli con cui si presenta sul mercato, dato che i gusti di un giovane consumatore divergono da quelli di un individuo di media età. La decisione di lanciare una collezione ibrida, ossia contenente capi adatti per soggetti più giovanili e altri preferiti da consumatori di media età, porta sì il vantaggio di ampliare il target di penetrazione e di conseguenza conseguire maggiori profitti, ma per contro si ha lo svantaggio di perdere la propria identità generando confusione tra la clientela di riferimento e non fidelizzando il cliente.

Il punto di partenza del processo di segmentazione nella fase di start‐up è rappresentato dalla selezione delle variabili attraverso cui classificare i consumatori, tra cui le più significative da menzionare sono le seguenti:

 Geografiche. Si procede con la suddivisione del mercato in diverse unità geografiche quali nazioni, Stati, regioni, province, città e quartieri. L’impresa potrebbe decidere di operare in una sola o in alcune se non addirittura in tutte le aree all’uopo individuate, prestando attenzione alle caratteristiche (quali ad esempio la circoscrizione amministrativa del consumatore, la dimensione del comune di residenza, la densità

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demografica e il clima) che le contraddistinguono in quanto a bisogni e desideri dal punto di vista geografico;

 Demografiche e socio‐economiche. Consente di individuare delle microaree omogenee sia sotto il profilo demografico, sulla base di variabili quali l’età, il sesso e la dimensione del nucleo familiare, sia nell’ambito socio‐economico prendendo in considerazione una serie di aspetti tra cui il reddito disponibile, il livello occupazionale, la professione, il grado di istruzione e la classe sociale di appartenenza, oltre a religione, razza e nazionalità.

 Psicografiche. La popolazione viene segmentata vagliando le differenti tipologie di stili di vita adottati dai consumatori, ovvero esaminando un elevato numero di caratteri psicologici, comportamentali e demo‐sociali che entrano in gioco (personalità, autonomia, caratteri etici e politici, conservatorismo, ambizione, autoritarismo,

leadership e così via).

 Comportamentali di consumo. Attraverso questa metodologia gli acquirenti vengono suddivisi sulla base della conoscenza che mostrano di un dato prodotto, dell’atteggiamento assunto nei suoi confronti e dell’uso che ne fanno. Si impernia

sostanzialmente su informazioni inerenti il comportamento d’acquisto della clientela99

e mira ad adeguare nel tempo l’offerta alle caratteristiche del target obiettivo, allo scopo di fidelizzarlo.

Il processo di segmentazione del mercato si articola in cinque fasi: inizialmente si procede

con il definire il mercato potenziale100, ovvero delineare i confini entro cui l’impresa intende

operare, per poi scegliere i criteri base di segmentazione dello stesso. Una volta scomposto in modo più o meno analitico, si misura il valore di ciascun segmento analizzandone la dimensione, il tasso di sviluppo e l’attrattività.

A questo punto l’impresa deve decidere la strategia di copertura, ossia il numero di segmenti obiettivo che si propone di servire e, in ultima analisi, il posizionamento dell’offerta (figura

9).

Sostanzialmente si tratta di identificare la collocazione del prodotto e definire il Marketing

Mix per ogni segmento obiettivo, oltre che procedere con la distribuzione del budget

commerciale tra i segmenti selezionati.

99 Col termine “comportamento d’acquisto” si intende focalizzare l’attività di segmentazione su variabili quali la frequenza d’acquisto, le preferenze dei canali distributivi, la fedeltà alla marca e la sensibilità ai fattori di marketing, quali il prezzo o la promozione.

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Il mercato potenziale è rappresentato dall’insieme di consumatori che dichiarano un qualche livello di interesse per la

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3.1.2 Marketing Mix

Il passo successivo alla segmentazione consiste nel definire gli obiettivi e le strategie di

marketing rispettivamente da conseguire ed implementare a livello aziendale o di unità di business. L’esplicitazione di questo step avviene attraverso un’analisi e un complesso di

decisioni da assumere relativamente alle quattro componenti del Marketing Mix (le cosiddette “4 P” inglesi: product, price, place e promotion), note anche come leve di marketing.

3.1.3 Product

Il termine prodotto viene definito come tutto ciò che può essere offerto ad un mercato a fini di attenzione, acquisizione, uso e consumo, in grado di soddisfare un desiderio o un

bisogno101; può consistere in beni fisici, servizi, persone, località, istituzioni o idee.

Nel processo di pianificazione della value proposition all’interno del Business Plan, il

management deve descrivere il prodotto in modo accattivante e puntuale, indicandone gli

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I principali strumenti meccanici che permettono all’impresa di capire il grado di attrattività del prodotto offerto agli occhi dei potenziali clienti invece sono due, ovvero il galvanometro (impiegato per misurare l’intensità dell’interesse o delle emozioni di un soggetto susseguenti all’esposizione dello stesso soggetto ad una descrizione o una illustrazione; esso rileva il minimo grado di trasudazione che si accompagna al sorgere delle emozioni) e il tachistoscopio (strumento che proietta un annuncio pubblicitario ad un intervistato con un tempo di esposizione che può variare da meno di un centesimo di secondo a parecchi secondi. Dopo ogni esposizione l’intervistato descrive tutto ciò che ricorda di avere visto).

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attributi tangibili (quali il livello di qualità, le caratteristiche e lo stile)102 e specificando gli

eventuali segni distintivi che lo contraddistinguono da quello offerto sul mercato dai concorrenti dell’impresa.

Oltre agli attributi intrinsechi del prodotto possono assumere forte rilevanza, dando un maggiore imprinting allo stesso, due aspetti accessori: il packaging e l’etichetta. Il primo può giocare un ruolo secondario o di importanza fondamentale e viene definito come la quinta “P” del Marketing Mix: una confezione accattivante o semplicemente meno ingombrante può generare un forte interesse nel consumatore. L’etichetta invece può avere come compito quello basilare di identificazione del prodotto o della marca, oppure può servire a classificare la value proposition descrivendone le caratteristiche tecniche, ovvero a promuoverla grazie ad una grafica attraente.

L’obiettivo ultimo, soprattutto per quelle organizzazioni operanti in settori fortemente competitivi, consiste nell’impegnare tutti i propri sforzi per cercare di soddisfare il target di riferimento in modo differenziale rispetto ai concorrenti.

3.1.4 Price

Il compito più difficile consiste nel definire il prezzo per i prodotti che si intendono offrire sul mercato: fra gli errori più comuni si ritrovano determinazioni di prezzo troppo orientate ai costi o effettuate senza tener conto delle altre leve di marketing, una scarsa differenziazione dei prezzi relativi ai diversi articoli e segmenti obiettivo, oltre ad una scarsa tempestività di aggiornamento dei prezzi che non consente di trarre vantaggio dai cambiamenti del mercato. Nel momento in cui l’impresa sviluppa o acquisisce un nuovo prodotto o quando ne introduce uno già esistente in un diverso canale distributivo o in una nuova area geografica, si deve decidere come posizionarlo con riferimento alla qualità e al prezzo.

L’azienda deve innanzitutto stabilire quali risultati intende raggiungere attraverso la propria strategia: a seconda che l’obiettivo sia la sopravvivenza, la massimizzazione dei profitti correnti, dei volumi di vendita o dei ricavi attuali, la scrematura del marcato o la leadership di qualità del prodotto, il management aziendale deciderà di perseguire l’una o l’altra strategia di prezzo.

La scelta implica due tipi di coerenza: una interna, connessa alla necessità di stabilire il prezzo rispettando i vincoli di costo e redditività oltre alle decisioni di posizionamento del prodotto, e una esterna che tenga conto della capacità di acquisto del mercato e dei prezzi

fissati dai competitors103. L’analisi dei costi che l’impresa sostiene nella fase realizzativa del

prodotto (costi di produzione, distribuzione e vendita) rappresenta il punto di partenza necessario ma non sufficiente per l’elaborazione della suddetta strategia: il top management deve tener altresì presente che il livello di prezzo stabilito nella value proposition condurrà ad

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La qualità infatti rappresenta la capacità che si ritiene abbia il prodotto di svolgere le sue funzioni; le caratteristiche intrinseche invece sono uno strumento competitivo utile per differenziare la value proposition dell’azienda da quella dei concorrenti, rendendo l’impresa innovativa agli occhi del target di clientela. Lo stile e il design infine rappresentano una modalità con cui ampliare le caratteristiche del prodotto: un design accattivante può dare personalità ad un prodotto lanciato sul mercato in modo che emerga rispetto a quello dei competitors oppure può comunicare valore al consumatore così da semplificare la scelta finale.

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un diverso livello di domanda, producendo una serie di effetti sui volumi di vendita, sul fatturato e sul lasso di tempo impiegato per raggiungere il BEP (Break‐even Point).

Bisogna dunque capire, per ciascun segmento obiettivo, quanto la domanda sia sensibile al

prezzo104, attraverso la valutazione di nove fattori, ossia: la percezione di unicità del prodotto,

una scarsa confrontabilità dello stesso, la consapevolezza dell’esistenza di prodotti sostitutivi e/o complementari, la valutazione del rapporto qualità/prezzo, l’entità e la condivisione della

spesa, la conservabilità del prodotto e la composizione dell’acquisto105.

Prima di scegliere il metodo di determinazione del prezzo si deve procedere con un’ulteriore analisi relativamente ai prezzi applicati dalla concorrenza al fine di valutare la capacità di azione e di reazione dei competitors e di utilizzare tali informazioni come punto di riferimento per la successiva fissazione del prezzo di mercato.

Quest’ultimo step avviene calcolando il prezzo sulla base del criterio ritenuto più idoneo e consono alle considerazioni esplicitate sopra. Fra i metodi correntemente impiegati se ne possono segnalare cinque:

 Cost‐Plus Pricing (o Criterio del Mark‐up). Con questo procedimento si aggiunge un ricarico prefissato (il c.d. markup) al costo del prodotto, ignorando la domanda effettiva e potenziale, il valore percepito e la concorrenza. Spesso viene impiegato da quelle imprese che introducono un nuovo prodotto sul mercato con lo scopo di recuperare il più rapidamente possibile gli investimenti effettuati;

 Target‐Return Pricing (o Metodo del Profitto Obiettivo). L’impresa cerca di determinare il prezzo che può consentirle di ottenere il profitto cercato, a condizione che le stime dei costi fissi e variabili e delle vendite sia accurata. Questo metodo si avvale del diagramma del punto di equilibrio, meglio conosciuto come punto di pareggio o Break‐even point, che verrà affrontato analiticamente nella sezione economico‐finanziaria di tale elaborato;

 Value Pricing (o Criterio del Valore Percepito). Sempre più imprese stabiliscono i prezzi in base al valore percepito dei prodotti da parte dell’acquirente. Il fattore chiave di tale procedimento sta nell’intuire correttamente il valore che il mercato attribuisce

alla value proposition106;

 Going‐Rate Pricing (o Metodo dei Prezzi Correnti). Il management aziendale determina i prezzi da applicare basandosi principalmente sulle politiche adottate dai concorrenti; spesso si utilizza la tattica “follow the leader”: si modificano i prezzi in

104

La sensibilità degli acquirenti rispetto al prezzo viene misurata in modo diretto dall’elasticità (data dal rapporto tra la percentuale di scostamenti della quantità vendute e la percentuale di variazione del prezzo): si parla di domanda elastica ed anelastica.

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Gli acquirenti sono meno sensibili al prezzo quando l’offerta del prodotto è limitata o se possiede caratteristiche di qualità e prestigio, o ancora quando non può essere conservato e così via. I nove fattori di influenza sono stati individuati da T. T. Nagle, uno studioso che si è occupato a fondo di “determinazione dei prezzi” (Cfr. T. T. Nagle, The Strategy and Tactis of

Pricing, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1987, Cap. 3).

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Spesso si rischia di sottostimare il valore percepito fissando dei prezzi più bassi di quanto effettivamente si potrebbe o di avere una visione gonfiata del valore, fissando i prezzi ad un livello eccessivamente elevato.

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seguito alla loro variazione da parte del leader di mercato. Questa strategia è piuttosto diffusa e si applica soprattutto nei casi in cui i costi di produzione siano difficili da stimare, i prodotti presentino una scarsa differenziazione o quando la risposta della concorrenza sia di ardua valutazione;

 Metodo delle gare d’appalto. Sistema particolare impiegato da quelle organizzazioni che intendono partecipare ad una gara per l’acquisizione di appalti: l’impresa basa la sua offerta sul prezzo che si presume adottino i competitors piuttosto che su una rigida relazione tra i propri costi e la domanda. L’obiettivo è quello di vincere l’appalto e ciò implica il fissare un prezzo più basso rispetto a quello proposto dai concorrenti.

3.1.5 Place

Il circuito di distribuzione assume un ruolo rilevante nella definizione di una politica commerciale poiché si pone come obiettivo principale quello di eliminare le disparità che esistono tra le condizioni dell’offerta e quelle della domanda di beni e servizi. Scegliere una rete di distribuzione significa decidere “chi deve fare cosa”, dando luogo ad una serie di flussi commerciali tra i soggetti coinvolti nel processo di scambio: alcuni flussi sono orientati a valle del canale, come la distribuzione fisica del prodotto o i certificati di origine, altri a monte (ordini e pagamenti in primis), altri ancora si muovono in entrambe le direzioni.

Esistono vari canali di distribuzione (vendita diretta, GDO, vendita all’ingrosso o al dettaglio, ecc.) la cui scelta dipende da diversi fattori fra cui le caratteristiche del prodotto e del mercato, il tipo di clientela da raggiungere o il rapporto costi/benefici, allo scopo di comprendere la necessaria intensità da attribuire all’azione commerciale in termini di ritorno sulle vendite. In questa sede sarà inoltre opportuno verificare se dover scegliere più canali distributivi, fissando per ciascuno di essi degli obiettivi in termini di volumi e di redditività.

3.1.6 Promotion

La promozione, essendo una politica atta a costruire il valore della marca per il pubblico, gioca un ruolo fondamentale all’interno del Marketing Mix: in essa viene fatto rientrare il

complesso di iniziative comunicazionali volte a promuovere il progetto107 descritto nel

Business Plan, col fine ultimo di influenzare le attitudini al consumo della clientela ed

incrementare le vendite. Nel realizzare tale leva bisogna tener conto della struttura complessa dell’individuo che rientra nel target obiettivo, del suo campo, della sua personalità, degli

stimoli che riceve e delle sue esperienze passate108.

107In questo caso per “progetto” si intende qualunque tipo di attività descritta nel piano strategico, sia essa un

bene/servizio o una particolare forma di partnership tra imprese. Indipendentemente dal significato che si attribuisce al termine “progetto”, la comunicazione dell’iniziativa è un aspetto da cui non si può prescindere, indipendentemente dalla forma e dall’intensità che essa assume.

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Cfr. M. Lombardi, IL NUOVO MANUALE DI TECNICHE PUBBLICITARIE. Il senso e il valore della pubblicità, Milano, Franco Angeli, Decima Edizione, 2006, p. 107. Ulteriore opportuna lettura che riassume lo strumento della “promotion” è: Lambin, Marketing strategico operativo. Market‐driven management cit., cap. 14

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Senza approfondire queste tematiche, oggetto di trattazioni ben più organiche, è comunque possibile individuare tre elementi che compongono la promotion:

1. Pubblicità diretta e indiretta. Si tratta della categoria più ampia poiché ricomprende una serie di iniziative di natura anche piuttosto diversa ma accomunate dalla finalità di far conoscere un determinato aspetto al pubblico di consumatori. La prima fa riferimento alla comunicazione che ha ad oggetto l’azienda o i suoi prodotti e che può essere avviata mediante due differenti canali diretti di pubblicità: i media della

comunicazione da un lato, che ricomprendono interviste rilasciate su giornali o riviste,

spazi televisivi o cartacei e pubblicazioni sul web, e dall’altro la comunicazione diretta attraverso sollecitazioni telefoniche, volantini, messaggi di posta elettronica o gadgets

regalo109. La pubblicità indiretta invece è una forma di comunicazione che coinvolge

l’oggetto da promuovere solo attraverso un evento esterno come può essere l’organizzazione o la sponsorizzazione di eventi o la partecipazione a fiere.

2. Promozione. Ricomprende tutti quegli strumenti volti ad allargare la diffusione e/o la commercializzazione della value proposition offerta sul mercato attraverso forme di

incentivazione non ordinarie con la peculiarità di essere utilizzate sporadicamente110;

3. Merchandising. Si tratta di un’azione di marketing comunicazionale che consiste nello studio della presentazione del prodotto o del suo posizionamento presso il punto

vendita al fine di valorizzarlo agli occhi del target obiettivo111.

3.1.7 Stima della domanda.

Individuato il mercato servito, ossia quel target di clientela cui l’organizzazione decide di

rivolgersi, il top management deve stimare la domanda112 per l’impresa su questa stessa

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