• Non ci sono risultati.

Piano operativo

Nel documento STRATEGIA & BUSINESS PLAN (pagine 71-79)

Capitolo 3: La strategia negli aspetti tecnico-quantitativi

3.2 Piano operativo

“Il consumo è l’unico fine e scopo di ogni produzione; e l’interesse del produttore dovrebbe essere considerato solo nella misura in cui esso può essere necessario a promuovere

l’interesse del consumatore.”

(Adam Smith, La ricchezza delle Nazioni, 1776)

Poiché l’impresa eccellente mira ad un consenso sociale oltre che economico è molto importante a livello di descrizione del business, cogliere la qualità e la tipologia dei rapporti allacciati con gli interlocutori (in special modo fornitori e distributori), evidenziando la

113

Cfr. Kotler e Scott, Marketing Management cit., p. 364 114

Previsioni inadeguate possono condurre a scorte sovradimensionate, a costose riduzioni di prezzo o a mancate vendite causate dall’inesistenza di scorte a magazzino.

67

location scelta strategicamente dall’impresa e i punti di forza del proprio Business Model.

Oltre ad una fotografia della situazione corrente devono essere portati all’attenzione dei consumatori eventuali fattori innovativi che potrebbero modificare lo scenario, quali il progressivo ingresso sul mercato di materie prime destinate a soppiantare l’offerta tradizionale di un altro materiale, oppure l’utilizzo in alcune aziende leader di un innovativo sistema di distribuzione che sarà prontamente imitato.

3.2.1 Localizzazione

Questa sezione contiene una sintetica descrizione dei locali ove l’azienda commercializza o intenderà commercializzare i propri prodotti, o di quelli dove invece avverrà la produzione. Per quel che concerne la location commerciale, bisogna distinguere tra i beni di consumo e quelli industriali. Nel primo caso è rilevante considerare l’accesso ai beni e/o servizi da parte dei consumatori: un locale di vendita verrà aperto, nel rispetto dei vincoli esterni, nel luogo che garantirà un forte flusso di clientela. Ovviamente tale presa di posizione non può essere scissa da valutazioni di costo/beneficio: il costo dell’affitto o dell’acquisizione del locale deve

essere rapportato al beneficio delle sue caratteristiche115. Tuttavia occorre sempre esaminare

le peculiarità dell’area in relazione alla natura del business: una certa circoscrizione può essere estremamente importante per players dello stesso settore, ma non per l’azienda oggetto di analisi. Al contrario, qualora la disamina sia rivolta al mercato dei beni industriali, fattore critico diviene la logistica della distribuzione, ovvero l’esistenza di infrastrutture che

agevolino al massimo il placement dei prodotti. Si tratta di un business to business116 in cui la

natura del servizio è differente dal business to consumer così come la funzione che il prodotto deve assolvere. In genere la scelta tra alternative valide è ben più ampia rispetto al caso della

location per i beni di consumo: spesso è strategicamente rilevante un’intera circoscrizione e

non necessariamente l’esatta posizione commerciale dell’impresa (come nel caso del mercato di consumo).

Per contro, in riferimento alla scelta dell’area di produzione, occorre in entrambi i casi legarla alle esigenze di approvvigionamento (vicinanza a fonti di materie prime o infrastrutture efficienti) e alla disponibilità di manodopera adeguata al tipo di lavorazione effettuata (personale qualificato, a costi sostenibili). Ovviamente le predette considerazioni valgono sotto un punto di vista prettamente economico: in realtà la scelta della location commerciale o produttiva deve essere inserita in considerazioni di più ampio respiro quali il contesto legislativo e socio‐economico dell’area geografica considerata, la disponibilità e il costo di

115

Dato che il mercato della domanda e dell’offerta determina di per sé l’onerosità delle soluzioni immobiliari in funzione dell’attrattività dell’area può essere conveniente per un’impresa, soprattutto se si tratta di una start‐up, ripiegare su un locale più economico in una zona di minor valore purché sia comunque strategicamente valida.

116

Il Business to Business, spesso indicato con l'acronimo B2B, è un termine comunemente utilizzato per descrivere le transazioni commerciali effettuate tra imprese in genere (partner commerciali) o in una catena di valore industriale, prima che il prodotto finito venga venduto al consumatore finale. In sostanza ricomprende le relazioni che un'impresa detiene con clienti professionali, cioè altri players collocati in punti diversi della filiera produttiva, oppure con i propri fornitori per attività di approvvigionamento, di pianificazione e monitoraggio della produzione, o di sussidio nelle attività di sviluppo del prodotto. Si differenzia dal Business to Consumer, spesso abbreviato in B2C, con il quale si indicano le relazioni che un'impresa commerciale detiene con i suoi clienti per le attività di vendita e/o di assistenza.

68

licenze e la concorrenza, che potrebbero completamente stravolgere le conclusioni emerse in

precedenza117.

3.2.2 Business Model

Il Business Model può essere definito come uno strumento concettuale che consente di esprimere la logica di business dell’impresa e di interpretare lo scenario di riferimento, decidendo quali e quante risorse utilizzare al fine di raggiungere l'output desiderato. Si tratta di un complesso sistema architettonico che espleta l’organizzazione della società nel suo insieme, definendo le linee di collegamento tra infrastrutture, value proposition, finanza e relazioni strutturali con clienti, fornitori, distributori e partner commerciali, senza entrare nei dettagli pedanti e complessi di cui si articola il funzionamento dell’impresa.

H. Chesbrough e R. S. Rosenbloom, nel paper “The role of the Business Model in Capturing

Value from Innovation”118, presentano il framework di base che descrive i sei elementi contenuti nel Business Model:

1. Value Proposition. Descrizione delle esigenze dei consumatori e dei prodotti idonei a sopperire un determinato bisogno, oltre al valore assunto dal bene/servizio nella prospettiva dei clienti;

2. Target di clientela. Definizione del segmento di consumatori a cui l’impresa intende rivolgere la value proposition;

3. Value Chain. Esposizione non eccessivamente dettagliata dell’architettura necessaria a produrre e distribuire il prodotto offerto;

4. Value Network. Identificazione della tipologia e della struttura delle relazioni stabilite con i fornitori, i partner commerciali e la clientela;

5. Struttura dei costi e dei potenziali profitti. Stima dei costi fissi e variabili e dei flussi in entrata derivati e/o generati dal Business Model che permettono di implementare la value proposition e la value chain scelte;

6. Strategia Competitiva. Si verifica se sussiste la fattibilità della strategia formulata

dall’impresa per acquisire un vantaggio nei confronti dei principali competitors.

Le sinergie del network e del framework in cui l’azienda si colloca, unitamente alla value

proposition offerta, al target obiettivo e alle core competence (già valutate nelle sezioni

precedenti del Business Plan), permetteranno all’impresa di definire in ultima istanza la

117

Cfr. Borello, Il business plan cit., p. 70 118

Cfr. H. Chesbrough e R. S. Rosenbloom, The role of the Business Model in Capturing Value from Innovation, «Industrial and Corporate Change», Vol. 11, No. 3, Giugno 2002. Il paper può essere reperito in full text all’url:

69

struttura dei costi e dei ricavi che le consentono di evidenziare il margine di profitto o di perdita. È necessario, oltre alla mera descrizione dei processi, definirne con chiarezza i fattori critici di successo e le attività svolte all’interno. È altrettanto importante decidere quali di queste attività verranno gestite internamente e quali si affideranno all’outsourcing, dandone idonea motivazione.

L’obiettivo ultimo del Business Model è quello di constatare il successo o la failure del progetto dal punto di vista quali-quantitativo, definendone la duplice fattibilità.

3.3 Organizzazione strutturale

“Le sfide che sorgono dallo sforzo di sviluppare una nuova idea e di garantire il suo successo di mercato comunicano

anche a chi lavora un elevato livello di stimoli mentali, accrescono la capacità di risolvere problemi, sviluppano nei

lavoratori il senso dell'impegno e della crescita personale.”

(Edmund S. Phelps, Premio Nobel per l’economia, 2006)

Ulteriore aspetto non trascurabile riguarda le scelte organizzative, sia dal punto di vista giuridico in merito alla forma societaria scelta, sia in senso gestionale per quel che concerne l’organizzazione strutturale delle risorse umane. Occorre definire un sistema preciso di compiti e funzioni interni ed esterni disposti secondo specifiche e reciproche correlazioni e rapporti così da acquisire una chiara e lineare idea di come viene strutturata l’impresa, delle mansioni che ciascun dipendente deve svolgere e di quali linee gerarchiche si struttura.

In questa sezione deve essere inoltre evidenziata la compagine sociale, con un'indicazione del profilo dei soci, delle qualifiche professionali e delle loro esperienze precedenti, e definito in modo dettagliato un piano per la gestione delle risorse umane. È infine opportuno indicare il numero dei dipendenti ad ogni livello, presentare il curriculum professionale delle figure dirigenziali (sottolineando i punti di forza di ciascuno), esplicitare le tipologie contrattuali e le formule di collaborazione e stendere il piano di assunzione di nuovo personale, i percorsi di carriera e i progetti di formazione.

3.3.1 Forme organizzative

La struttura organizzativa di un’impresa può essere intesa come l’insieme di unità organizzative specializzate per insiemi di compiti svolti e tra loro collegate da linee di riporto gerarchico. Nella sezione operativa del Business Plan bisogna progettare l’attuale organizzazione delle risorse umane, definendo gli assetti più idonei per garantire un efficace ed efficiente svolgimento dell’attività d’impresa e la sua evoluzione nell’arco temporale a cui

70

è rivolto il progetto imprenditoriale. L’assetto organizzativo difatti cambia nel tempo seguendone l’evoluzione: la crescita dimensionale, il presidio di nuove aree di business e l’internazionalizzazione sono tutte circostanze che portano all’insorgere di nuovi bisogni di organizzazione e una conseguente necessità di coniugare due obiettivi di efficienza e efficacia. Come sostiene Daft è necessario avere ben chiara l’organizzazione delle risorse umane poiché solo così si opera in maniera efficiente facilitando l’innovazione ed evitando la confusione tra i dipendenti e gli sprechi di tempo e risorse; si crea valore per gli stakeholders e si conciliano le sfide motivazionali, manageriali ed etiche con le esigenze di un maggior coordinamento delle risorse umane.

In via molto sintetica si presentano di seguito alcune delle principali strutture organizzative adottate dalle imprese.

1. Struttura Elementare. La struttura organizzativa elementare rappresenta una configurazione tipicamente rinvenibile nelle imprese di piccola dimensione; prevede un numero limitato di unità organizzative, una concentrazione del potere decisionale in capo alla direzione aziendale e un controllo diretto da parte della stessa sulle operazioni e i processi di gestione nella loro interezza. In questo tipo di struttura non sono presenti organi direttivi, ma solo ruoli di mera natura esecutiva, e l’operatività delle singole funzioni è governata in modo diretto dalla direzione, talvolta affiancata e supportata da un’unità incaricata di compiti di natura prettamente amministrativa; 2. Struttura Funzionale. La struttura funzionale emerge come conseguenza dello

sviluppo dimensionale dell’impresa; la crescita del volume delle operazioni comporta un’espansione su due fronti: in orizzontale, poiché l’azienda tende a frazionare i propri processi operativi su più fasi, e in verticale in quanto le singole funzioni assumono al proprio interno una crescente complessità e gerarchizzazione. Ciascuna mansione viene affidata al governo di un responsabile funzionale, con un certo grado di autonomia decisionale, che riporta direttamente alla direzione aziendale. Quest’ultima, nello sviluppo della propria opera di integrazione, coordinamento e decisione, viene progressivamente supportata da un numero crescente di unità di staff. Il vantaggio più significativo della struttura funzionale è rappresentato da un’efficiente organizzazione dell’attività d’impresa: la divisione del lavoro viene realizzata secondo criteri tecnico‐economici che ne permettono di approfondire e sviluppare le competenze. Tuttavia tende a perdere di efficacia con la crescita dell’impresa, soprattutto di fronte ad una progressiva diversificazione delle attività produttive;

3. Struttura Multidivisionale. La forma organizzativa multidivisionale si presenta come risposta alle problematiche conseguenti alla crescita e alla diversificazione, quindi può essere impiegata anche da una medio piccola realtà aziendale in sede di evoluzione organica ed ampliamento del business di riferimento. Tale struttura permette di ridurre il grado di complessità associato alla crescita dimensionale dell’impresa, attribuendo

71

alla direzione funzioni di coordinamento e controllo delle attività svolte dalle singole

business unit119.

Gli svantaggi potenzialmente rinvenibili possono essere colti sul versante dell’efficienza: crescono i costi da sostenere per via della duplicazione delle singole unità organizzativa all’interno delle differenti business unit;

4. Struttura a Matrice. La struttura a matrice si propone quale tentativo di congiungere i benefici risultanti dall’organizzazione multidivisionale, con la ricerca di un superiore profilo di efficienza tecnico‐economica, propria della configurazione funzionale. Si compone di colonne e righe: nelle prime sono evidenziate le unità di business nelle quali l’impresa risulta articolata, mentre le seconde rappresentano gli organi funzionali che si pongono al servizio delle business unit, supportandone le attività.

Il connubio tra efficacia ed efficienza dovrebbe essere garantito dal fatto che le attività delle business unit trovano supporto nelle risorse messe a disposizione dalle funzioni, sulla base dei bisogni di ciascuna. Si evita in questo modo di duplicare i compiti e moltiplicarne di conseguenza i costi. Data la complessità della struttura in questione, si necessita di un impegno continuo da parte dei membri dell’organizzazione al fine di garantire un equilibrato bilanciamento del potere organizzativo e di risolvere i conflitti

potenzialmente emergenti120.

3.3.2 Forma giuridica

Altro aspetto che deve emergere nella sezione organizzativa del Business Plan, specie se redatto per l’avvio di una start‐up, è la forma giuridica scelta, ovvero quella più idonea al tipo di attività che l’impresa andrà a svolgere. Esiste un’ampia scelta di forme societarie nel diritto

italiano121 che richiede un’attenta valutazione dei pro e dei contro delle diverse possibilità che

il management aziendale ha a disposizione. I principali fattori da prendere in considerazione per ottimizzare i vantaggi e ridurre i costi e i rischi sono:

 Esigenze finanziarie. Le società di capitali sono da preferire quando sia necessario accedere a ingenti finanziamenti da parte di un vasto pubblico di sottoscrittori, attraverso la quotazione nella Borsa Valori e l’emissione di azioni;

119

La direzione si occupa di allocare tra le diverse business unit le risorse complessivamente disponibili, controllandone i risultati e coordinandone le relazioni incrociate.

120

La struttura a matrice presenta due punti di maggiore criticità: da un lato i dipendenti collocati nelle unità organizzative interne alla matrice potrebbero essere disorientati dal problema della doppia dipendenza (le unità organizzative si caratterizzano per la dipendenza sia dai responsabili della business unit sia da quelli funzionali); dall’altro potrebbero emergere conflitti tra due business unit nel momento cui ciascuna di esse venisse a necessitare del supporto della medesima funzione in un contesto di risorse limitate.

121

Il Codice Civile prevede sei forme societarie a scopo lucrativo (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita, società a responsabilità limitata, società per azioni e società in accomandita per azioni) e tre tipologie societarie a scopo mutualistico (consorzi, società consortile e società cooperativa). Esiste poi tutta un’altra serie di forme possibili fra cui è opportuno citare gli studi associati, le fondazioni, i comitati e le associazioni.

72

 Effetti fiscali. L'obiettivo di ridurre il carico fiscale in capo a una società è uno dei primi criteri volti ad indirizzare la scelta; infatti la tassazione avviene in capo ai soci (Irpef) nelle società di persone, mentre ricade direttamente sull’impresa (Ires) nelle società di capitali;

 Adempimenti e obblighi burocratici ed organizzativi da rispettare per la costituzione ed il funzionamento della società;

 Riduzione del rischio. Il rischio imprenditoriale dipende dalla responsabilità assunta dalla forma societaria: mentre nelle società di capitali si garantisce che il rischio sia al massimo pari al capitale sociale sottoscritto (responsabilità dei singoli soci limitata al Capitale Sociale conferito), nelle società di persone i soci sono illimitatamente responsabili e rispondono per i debiti sociali con tutto il proprio patrimonio e, in caso di dichiarazione di fallimento, falliscono insieme alla società;

 Dimensioni del progetto. Non esiste una forma societaria in assoluto più conveniente: la valutazione di "convenienza" va fatta di volta in volta in relazione alla tipologia del progetto, sulla base della dimensione degli investimenti, del raggio d’azione della pianificazione e della disponibilità di risorse finanziarie da parte dei soci.

È utile spendere qualche riga sulle tre forme societarie più diffuse in Italia evidenziandone le

caratteristiche che sono oggetto di scrematura nella scelta122:

 S.p.A. (Società per Azioni): si tratta di una scelta quasi obbligata quando l'impresa supera determinate dimensioni perché consente una certa flessibilità nella composizione della compagine azionaria. Presenta obblighi organizzativi non indifferenti dal punto di vista delle risorse umane di cui si deve obbligatoriamente

comporre123, non può adottare la contabilità semplificata ed evidenzia numerosi

vincoli sia a livello assembleare sia a livello costitutivo in quanto è richiesto il versamento di un Capitale Sociale minimo di 120.000 euro;

 S.n.c. (Società in nome collettivo): richiede minori oneri per la costituzione e la gestione sociale (ad esempio non è gravata della tassa sulle società di capitali) e può facilitare la ricerca di affidamenti bancari poiché i soci rispondono di fronte ai creditori anche con il loro patrimonio personale. È la forma più diffusa nell’artigianato ed è sconsigliata per quei progetti ad vasto raggio geografico e ampia portata

finanziaria124;

122

Cfr. F. Di Sabato, Istituzioni di Diritto Commerciale, Milano, Giuffré Editore, Terza Edizione, 2006

123 Gli organi necessari al funzionamento delle società per azioni sono tre: l’assemblea che svolge funzioni deliberative, gli amministratori che esercitano compiti esecutivi ed il collegio sindacale che deve vigilare sull’operato degli amministratori (cfr. Di Sabato, Istituzioni di Diritto Commerciale, cit.).

124

Potrebbe essere la struttura ideale per l’apertura di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande o di un centro estetico e solarium.

73

 S.r.l. (Società a responsabilità limitata): è la forma societaria più usata per imprese medio piccole di nuova costituzione che non hanno carattere artigianale. In seguito

alla riforma della loro disciplina125, si caratterizzano come una società di persone che,

pur godendo del beneficio della responsabilità limitata, possono essere sottratte alle rigidità di disciplina richieste per le società per azioni. Ad oggi può essere costituita anche da un socio unico (la c.d. S.r.l. unipersonale), mentre il Capitale Sociale minimo, così come i costi di costituzione, sono notevolmente inferiori a quelli previsti per le società per azioni (rispettivamente 10.000 euro e 1.750 euro), favorendo così

l’adesione a tale forma societaria.

125

La riforma è stata disposta dalla legge delega del 3 ottobre 2001, n. 366 attualmente reperibile anche on‐line sul sito della Camera dei Deputati, all’indirizzo Internet http://www.camera.it/parlam/leggi/01366l.htm

74

Nel documento STRATEGIA & BUSINESS PLAN (pagine 71-79)