• Non ci sono risultati.

Il piccolo teatro di Raffaele Petra

Mi sem bra di vederlo, Raffaele Petra, marchese di Caccavone. Ha il viso m a lin c o n ic o , gli occhi acuti. E’ uno di noi, della nostra razza. Un intellettuale napole­ tano. E’ sce ttico, iro n ic o , deluso. Noi fum m o sempre scettici, iro n ic i, delusi. Uno sce tticism o storico, direi, divenuto sce tticism o di sangue. E perciò fatalism o, rassegnazione, rin u n c ia : i nostri mali ereditari.

I lo c a lc a n to ri ce li hanno sem pre sospirati, questi mali. La vita, ci hanno detto, è un rapido affacciarsi a una triste finestra, poi ce ne andiam o, quella finestra resta aperta per altri che, per poco, vi s’affacceranno a n c h ’essi. Anche Raffaele Petra la pensava così. In un epigram m a ad A ch ille T ore lli, gli fa m alinconim am ente presente che la vita è « u n ’antica com m edia a tu tti in­ grata / e, per quaranta secoli, fisch ia ta ! ».

Amarezza, delusione: le c o m p o n e n ti prim arie d ’u n ’ antica « v is io n e della v ita » : la medesim a che ne ebbe il marchese. Deluso dai B o rbo ni, deluso dai Liberali, dal Piem onte, d agli a rtisti, dai letterati, dai nobili, dai borghesi, dai plebei, dalla vita, d a ll’umanità. Eredità di sangue, ripeto: p ro p ria di certi p allid i intellettuali m eri­ d io na li, napoletani, specie se a risto cra tici. Così, questa e redità se la portò dentro, fin o allo spasimo, un altro di questi a ris to c ra tic i: però la patì come tragico cor- rom pim en to di tu tte le cose e di tu tte le creature, vi­ vendola com e dolente m editazione di m orte sopra il m acabro s im b olo d ’un g a tto p a rd o siciliano.

Raffaele Petra, tale eredità la stem però n e ll’arguzia, nel sarcasm o, nel distacco: distacco, come istintiva autodifesa.

Difendersi: cosi è sc ritto sulla bandiera ideale di noi m eridion ali, alm eno di gran parte di noi. Difendersi dalla vita, p un tua lm e nte ingrata; dalla società, iniqua per defin izio ne ; dalla p olitica, co rro tta per antonom a­ sia; dalla natura, m alvagia in forza d ’una cicatrice, mai rim arginata, sotto la fe rita d ’un a ntico peccato.

D ifendersi è dunque il dogm a quotidiano, l’im perati­ vo ca teg orico a cui ta nti di noi sacrificano (a meno che non si ch ia m in o C am panella o Bruno o Vico o De Sanctis o Pisacane o S e tte m brin i o C olletta o Cuoco,

ecc.).

Lui, il m archese di Caccavone, si chiama soltanto Raffaele Petra. E’ un d istin to , irreprensibile gentiluom o d ’ordine, le co sp ira zio n i dei p a trio ti lo disgustano, al­

tre tta n to certa borghesia intellettuale, sovversiva, ever­

siva. Invece il B orbone assicura l’Ordine, ci preserva

dagli sprechi della Libertà. Così dunque pensando,

Raffaele Petra riverisce il T rono: per logica coerenza

m entale e sentim entale. Ma Ferdinando muore, gli

succede lo s p au rito Francesco, già duca di Calabria, e

il m archese si ravvede, g li sp un ta un'anim a repubblica­

na, un cuore liberale. La sua etica, resta però un'etica

statale, da quel p e rfetto C onservatore delle Ipoteche

ad A vellino, da quel più p e rfe tto D ire tto re del Gran Li­ bro a N apoli che e gli è e sarà.

Gli piace fre q u e n ta re i c a ffè , p re d ilig e il C affè di S. B rigida, il C affè d ’E uropa. C om e ta n ti dei suoi c o lle ­ ghi. Da un ta v o lin o di ca ffè si p o s s o n o "o s s e rv a re ” m olte cose: p u rc h é con il d o v u to , irre p re n s ib ile , m a lin ­ co nico, d iv e rtito "d is ta c c o ” . La stra d a è sem pre a ffo l­ lata, g u a rd a n d o la da un ta v o lin o di ca ffè è possibile im parare tante ma ta nte cose; a s c o lta re i "si d ic e ” , ce nte llin are i p ette g o le zzi, d e lib a re i d is c o rs e tti sui c o rn u ti, i c o n tro d is c o rs e tti sui c o rn ific a n ti.

Il m archese osserva, ascolta, s o rrid e : e c o n fo n d e il m arciapiede con l’um a nità , le m a c c h ie tte con le ” per- sonae” . S ce ttico , deluso, iro n ic o , il via vai d ella strada napoletana, le c h ia c c h ie re in d is c re te , le a llu s io n i a mezza voce, gli rin fo c o la n o s c e ttic is m o e sarcasm o.

S fila la fauna della fa c ile " n a p o le ta n ità ” dinanzi agli occhi suoi, e tale fa un a si c o n fig u ra , in q uegli occhi arguti e d is in c a n ta ti, com e un u n ic o g iro n e di un in fe r­ no in fim o dove, a ben vedere, tu tti i "p e c c a ti” che vi sono rappresentati ve n g o n o g ià a ssolti, p erdonati.

Assolti, perchè l’o c c h io del m arche se è s ce ttico e bonario. Lui, "p e c c a ti” e " v iz i” , non li sferza; anzi pec­ cati e vizi non ne vede, s c o rg e e in d iv id u a solo manie, tic, p ic c o li im b ro g li, p ic c o li im b ro g lio n i. Infatti non ha la tem pra del m oralista , ma il g u s to d e llo sfo ttito re . Le co m p on en ti d ella g ra nd e satira, che so no essenzial­ mente trag iche , non g li so no c o n g e n ia li. Le radici stesse dei suoi e p ig ra m m i, a p p a rte n g o n o per lo più ad altri (M arziale, Pananti), in s o m m a son ra d ici derivate.

Lui, il m archese, per suo c o n to non tende affa tto « a liqu id are il ve cchio m on do m orale », com e fu detto; a lui piace "d iv e rtirs i" , con p la c id a amarezza, con lo spettacolo q u o tid ia n o o ffe rto da p ic c o la gente; tanto piccola, da non c o s titu ire nessun m on do m orale, nè vecchio nè nuovo.

M acchiette, rip eto. P erciò una sfren ata a p o lo g ia de­ gli e pigram m i del m archese, un b la s o n a rlo con il tito lo di fu s tig a to re di ve cchi e n uo vi m ali, non è rendergli giustizia, è dire una bugia, un v o le r s o ttra rg li quel po­ co che gli è d ovu to. P erchè quel " p o c o ” che g li sp et­ ta, è poi a u te n tic o ; così com e sarebbe ina u te n tica una "g ra n d e zza ", da a ttrib u irg li con in g e n e ro sa m enzogna.

Dimesso te a trin o , il suo. Che, scena dop o scena, si a ffolla di com parse, di fu tili c o m p rim a ri: m ariti c o rn u ti o m illa n ta to ri, m ogli in sa zia b ili o fu rb e, p re sun tu osi o cupi m agnacci, m am m e ru ffia n e , ve rg in i v o lu b ili, ve rg i­ ni a due d im e n s io n i, vedove deso la ta m e nte incinte, barbieri ta nto lenti n e ll’arte loro q u a n to irre fre n a b ili c h ia c c h ie ro n i, in vid io si, b ig o tti, preti boccacceschi, frati ip o c riti, falsi am ici, te rrib ili ma c a n d id i guappi, le­ g ittim is ti b o rb o n ic i, fu n z io n a ri di polizia, p uristi pedan­ ti, ecc.

R affaele Petra, m archese di Caccavone

E, tu tti q u a n ti, non g ià d e p o s ita ri del « vecchio m on­ do m o ra le » , p iu tto s to fig u rin e mosse dai fili del m ar­ chese su un m in u s c o lo p a lc o s c e n ic o da spasso p ic c o ­ loborghese, d in a n z i a una platea che confonde P u lcin e lla con M o liè re , la c ro n a c a con la storia, la strizzata d 'o c c h io con la fo rz a d e g li occhi.

D’altra parte, sa rebbe a lm e n o paradossale pretende­ re un L u c ia n o da un R affaele Petra, o una seconda so­ fistica da una c u ltu ra m u n ic ip a le . Luciano, pur igno­ randolo co m p le ta m e n te , con la fo rz a della sua grande satira spacca la c u ltu ra tra d iz io n a le e apre perciò una strada al C ris tia n e s im o che avanza; il marchese non ne apre nessuna, ta n to m eno ai g ia c o b in i. S cettico e deluso c o m ’è, anche se vive in un perio d o di estremi so vvolgim en ti, più che a ll’avvenire pensa al passato.

Com e m olti n a p o le ta n i del suo ta g lio mentale, egli "ripiega” . R ipieg a sul passato, in q u a nto cosa im m uta­ bile. E com e tale, g li o ffre rifu g io e consolazione, sere­ ni stu di e ozi beati. E di che cosa, poi, consolazione? Del c o nvu lso presente? Dei m o ti libe ra li? Dei co n tro ­ m oti b o rb o n ic i? D e ll’avvenire da cui cautam ente, pes­ sim istica m e nte rifu g g e ? N iente di tu tto questo. Più sem plicem ente, il passato g li o ffre garanzia di riposan­ te quiete, lo c o n fo rta a non im m ischia rsi, insomma a sentirsi e a essere al di so pra d ella m ischia.

Q uanto al presente, g li basta il suo teatrino. Gli ba­ stano le "c a ric a tu re ” che, su quel teatrino, egli fa m uovere. C aricatu re, e n ie n t’a ltro . E m otti arguti, come si dice in società. E p ette g o le zzi. T utte cose alquanto divertenti, ma d e s titu ite di q u e lla "g ra n d e zza " che si a ttrib uisce al m archese.

Il grande epigra m m a, co m e è noto, per sua natura contiene il riso, ma è un riso tra g ic o . Quel riso, diceva Rabelais, che d is tin g u e l'u o m o dall'anim ale. Chi pos­ siede questo riso, è uno che sente com e le cose vada­ no male: e ha d olore , ira, pietà. A llora la sua risata è legittim a, p erchè è una risata che spacca le pietre. Il marchese, invece, infra ng e, al più, qualche vetro del Caffè d 'E u rop a.

Il conte è sulle furie / però, che la contessa ha desinato

/ senza di lui... N'è nato / un chiasso!... Eh via, che matto!

/ Ella, senza di lui, ben altro ha fattoi

E com e non d iv e rtirc is i? E' però d iffic ile forse ravvi­ sarvi, com e a m o lti è p ia c iu to , non so che sferzante satira a n tin o b ilia re , a m eno che non ci si voglia accon­ tentare di un p re sun to V o ltaire partenopeo, avido di rovesciare il P rim o S tato col rin fa c c ia rg li strenue corna.

Ai morti anche una prece / presta ad usura il conte... /

Non dà il "Buon dì"; ma invece / dice: « Presto il buon giorno! ». / E della propria fronte ! p u r non darebbe un corno...

Ma il m archese non si diverte so ltan to con le corna

nobiliari, nei versi suoi avvam pa tu tta un'epopea di corna anche borghesi, anche plebee: spasso tip ic a ­ mente piccoloborghese, che assolve nel m om ento stesso in cui accusa, con una sorta di bonaria e rid a n ­ ciana com prom issione.

Raffaele Petra m uore a setta nta cinq ue anni, nel 1873. Uno dei suoi ultim i e pigram m i, dice:

Gli occhi mi vengon meno: / m i son talmente infidi, /

che nitida la morte / veggo qual mai non vidi... / Sordo divengo appieno, / lubricamente invecchio... / Sento / ’ eternità... / E la mìa sordità / me ne parla a l'orecchio!

Gli ultim i tre versi, sono stupendi. Vi risuona la s to i­ ca, alta m alinconia d'un uom o che, al term ine della vi­ ta, sa ridere di se stesso com e forse non ha mai sapu­ to. Un lim pido, te rrib ile addio.

Luigi Compagnone

• Le théàtre de Raphael Petra, marquìs de Caccavone, est un mode­ ste petit théàtre. D une scène à I autre, on assiste à l’entrée d ’un grand nombre de comparses, de second ròles: maris cocus ou fanfa- rons, épouses insatiables et rusées. protecteurs présomptueux, mères à la complicité facile, pucelles ambigues, prètres roués, vauriens can- dides... Ce sont tous des personnages qui n'appartiennent pas « au vieux monde moral » mais qui font partie du divertissement petit bourgeois, si bien que lo n confond la chronique avec l'histoire et Po- lichinelle avec Molière.

• The theatre of Raffaele Petra, thè Marquìs of Caccavone, is modest and small. Scene by scene it fills with actors of only marginai impor- tance: deceived or boasting husbands, unsatisfied and sly wives, mat-

chmaking mothers, equivocai virgins, Boccaccioesque priests, har-

mless rowdies... all figures, who have nothing to do with thè «old

moral world », but with petty-bourgeois pleasure. thus changing chronicle for.history and Pulcilella for Molieère.

• Bescheiden und klein ist das Theater von Raffaele Petra, Marquìs

von Caccavone. Akt um Akt fuellt es sich mit Komparsen und unbe-

deutenden Nebenfiguren. betrogene oder prahlerische Ehemaenner, unzufriedene und gerissene Ehesrauen, kupplerische Muetter, zwei-

deutige Jungfrauen, Priester nach Boccaccios Art. harmlose Raudis...

alles Figuren, »die nicht mit der « alten moralischen Welt » zu tun ha- ben sondern mit kieinbuergerlichem Vergnuegen, so dass man die Chronik mit Geschichte und Pulcinella mit Molière verwechseln koen-

nte.

- v

" V -,

exQuando il cinema