2.3 Le imprese recuperate
3.1.2 La piena informazione degli attori
La scelta terminologica di Hardin nel parlare di tragedy rispetto ai beni comuni `e spesso tradotta nel senso di tragedia, un termine che tuttavia viene spesso equivocato con il generale significato di sventura o disgrazia14. Pi`u corretto appare interpretare il termi-ne con riferimento al teatro greco: la tragedia si definisce quindi non tanto come una
10Armen A. Alchian, Uncertainty, Evolution, and Economic Theory, in The Journal of Political Economy, 1950, 58, 3, 211-221.
11Si pensi, ad esempio, all’accesso a una palestra: l’uso dei locali `e consentito a tutti coloro che sosten-gano il costo dell’ingresso, ma il livello di godimento ottimale `e comunque limitato in base alla capienza della struttura e agli attrezzi disponibili. C’`e quindi escludibilit`a e una parziale rivalit`a nel consumo.
12Riconducibili ai design principles descritti in Elinor Ostrom, Self-governance of Common Pool resources, in The New Palgrave Dictionary of Economics and the Law, Macmillan, 1998.
13Giuseppe Francesco Dallera, La teoria economica oltre la tragedia dei beni comuni, in Maria Rosaria Marella (a cura di), Oltre il pubblico e il privato, Ombre corte, 2012, 93-94.
14Treccani la definisce “fatto, evento luttuoso, grave sventura o disgrazia, che suscita sentimenti di dolore e di terrore”, in aggiunta al significato classico, in senso teatrale e storico.
rappresentazione di generica sofferenza, quanto come un dilemma, un conflitto irridu-cibile tra diversi valori, una scelta che conduce in ogni caso a una soluzione dolorosa. Chiarito questo equivoco, `e dunque possibile accostare la considerazione della tragi-cit`a della gestione dei beni comuni alla teoria dei giochi e, in particolare, al cosiddetto Dilemma del prigioniero.
Due persone vengono imprigionate e accusate di aver commesso un cri-mine. Il giudice le confina in due locali separati, senza possibilit`a di con-sultarsi, e informa separatamente ciascuna delle conseguenze della sua de-cisione, che pu`o essere quella di confessare o quella di negare di aver com-messo il crimine. Se entrambi confessano, verr`a loro comminata una pena di 6 mesi di reclusione; se entrambi negano, la pena sar`a per entrambi di solo 3 mesi, poich´e le prove sono unicamente di natura indiziaria; se uno confessa e l’altro nega, la pena verr`a ridotta a chi ha ammesso la responsa-bilit`a del crimine a un solo mese di reclusione, mentre verr`a raddoppiata a 12 mesi a chi nega15.
Questo dilemma, presentato la prima volta da Albert William Tucker nel 1950, `e stato formulato con diverse narrazioni: trattandosi di uno schema astratto, non de-vono essere prese in considerazione le implicazioni giuridiche o etiche del caso, n´e la quantit`a temporale di pena (in altre formulazioni, la durata della pena `e di gran lunga maggiore), quanto le strategie dei diversi giocatori. Il dilemma del prigioniero si quali-fica infatti come un gioco non cooperativo a mosse simultanee, in cui quindi ognuno dei giocatori decide valutando il proprio pay-off, che in questo caso `e la pena prospettata.
In assenza di informazioni sulla scelta del compagno, la strategia dominante del giocatore razionale (dove per razionale continua a intendersi il modello egoistico di homo oeconomicus) sar`a la confessione: infatti, sia che l’altro confessi, sia che l’altro non confessi, il giocatore si porrebbe al riparo dall’evenienza di dover scontare la pe-na massima. Tuttavia, questa soluzione, individualmente ottimale, non rappresenta la combinazione collettivamente migliore: se, infatti, nessuno dei due confessasse, si giungerebbe al cosiddetto ottimo paretiano, ossia la situazione in cui non `e possibi-le migliorare il benessere (o l’utilit`a) di un soggetto senza peggiorare il benessere (o l’utilit`a) degli altri soggetti partecipanti.
L’accostamento alla gestione dei beni comuni di questo dilemma `e utile a compren-dere la tesi di Hardin (o, meglio, degli economisti che hanno proposto soluzioni in ter-mini di privatizzazione o amter-ministrazione pubblica), ma rischia di tralasciare elementi collaterali della gestione dei beni comuni.
Il numero, ad esempio. La tragedia dei beni comuni `e tale nel momento in cui le persone coinvolte nel loro uso sono in numero tale da non accorgersi
te dell’impatto individuale sul bene comune16, ossia che “la tragedia pubblica `e anche privata: in altre parole, se i pastori del pascolo comune fossero solo due, ognuno ve-drebbe facilmente che il suo uso eccessivo del pascolo lo sta distruggendo, e il problema da pubblico (di tutti, cio`e di nessuno) diventerebbe privato (anche mio)17”.
Inoltre, nel dilemma del prigioniero si presuppone che i giocatori abbiano come ob-biettivo la massimizzazione dell’utilit`a, che tuttavia continua a essere intesa come self-interest, ossia un modello applicabile a schemi concorrenziali e non cooperativi, oltre che a breve termine. Di maggior interesse appare quindi la proposizione del medesimo dilemma in via dinamica, attraverso giochi ripetuti, o di altri giochi sperimentali, come il gioco della contribuzione a beni pubblici18. In una delle varianti di questo gioco19, si consegna ai partecipanti una somma iniziale. I giocatori possono decidere di trattenere questo capitale per s`e o di destinarne una parte a un progetto di interesse collettivo. Nella prima fase del gioco, i partecipanti si esprimono senza conoscere le scelte degli al-tri giocatori, mentre nella seconda parte viene mostrato ai partecipanti il livello medio di contribuzione degli altri partecipanti. I risultati dell’indagine hanno evidenziato due diverse tendenze. Il primo dato significativo riguarda la disponibilit`a dei partecipanti ad aumentare il proprio contributo in caso di aumento del contributo degli altri: questo sembra evidenziare la tendenziale adesione a una logica di reciprocit`a20. D’altro canto, resta rilevante la quota di soggetti che continuano ad agire secondo il paradigma egoi-stico, aderendo al modello del free rider, dunque godendo del progetto comune senza aver contribuito al suo finanziamento; pur essendo una quota rilevante (circa il 30%), l’impatto negativo della loro azione `e neutralizzata dai partecipanti che cooperano.
Pi`u in generale, il ricorso a giochi sperimentali evidenzia l’importanza della pre-play communication21, cio`e della comunicazione prima del gioco, che pu`o anche consistere, tra i giocatori, in cheap talk, cio`e accordi non vincolanti. Si registra un comportamen-to tipico del modello economico competitivo in assenza di comunicazioni, mentre, a seconda dei giochi e dei meccanismi di confronto, la tendenza `e nel senso della coope-razione in caso di confronto tra giocatori22. Emergono, insomma, in caso di confronto tra giocatori, percorsi di scelta che si discostano dal modello competitivo tradiziona-li: le motivazioni ulteriori rispetto alla massimizzazione della propria utilit`a saranno oggetto di ricerca nell’ambito della behavioral game theory.
L’analisi attraverso la teoria dei giochi e le conclusioni sperimentali confermano
16Mancur Lloyd Olson, La logica dell’azione collettiva. I beni pubblici e la teoria dei gruppi, Feltrinelli, 1990 (prima edizione Harvard University Press, 1965).
17Luigino Bruni, Il significato del limite nell’economia dei beni comuni, in Sophia, 2011, 2, 218. 18Su cui si veda Giorgio Resta, Il diritto e i limiti della razionalit`a economica op. cit., 50 ss.
19Elaborata in Urs Fischbacher, Simon G¨achter, Ernst Fehr, Are people conditionally cooperative? Evidence
from a public goods experiment, in Economics Letters, 2001, 71, 3, 397-404.
20Armin Falk, Ernst Fehr, Appropriating the commons. A theoretical exploration, in CEPR, 2001, 2925. 21Lorenzo Sacconi, Beni comuni, contratto sociale e governance cooperativa dei servizi pubblici locali, in in Lorenzo Sacconi, Stefania Ottone (a cura di), Beni comuni e cooperazione op. cit., 191 ss.
22Si vedano, ex multis, Joseph Farrell, Communication, Coordination and Nash Equilibrium, in Economics
Letters, 1988, 27, 209-214; Matthew Rabin, A Model of Pre-Game Communication, in Journal of Economic Theory, 1994, 63, 370-391.
quanto gi`a ipotizzato da Ostrom sul ruolo dell’informazione nella gestione collettiva dei commons, ossia che “ci`o che viene goduto in comune dagli attori economici [...] non `
e soltanto uno specifico bene, quanto piuttosto le informazioni sistemiche riguardanti l’uso e il godimento del bene medesimo, informazioni di cui tutti i soggetti devono essere a conoscenza quando accedono ad esso23”.
Il tema dell’informazione `e stato a lungo tralasciato nelle scienze economiche, fi-no a essere poi considerato un dato implicito, tanto che lo stesso strumento centrale nell’analisi economica, la cosiddetta legge della domanda e dell’offerta, si basa su un presupposto di piena informazione tra gli operatori, che completa il modello astratto, ai limiti del mitologico, di funzionamento del mercato. Solo a partire dagli Anni Sessanta l’informazione sar`a oggetto di studio da parte di economisti (come Akerlof, Grossman, Rotschild, Stigler e Stiglitz) che arriveranno a teorizzare come l’informazione sia non soltanto un fattore da tenere in considerazione nelle dinamiche del mercato, ma che costituisca anzi un elemento determinante nel guidare le scelte degli attori24.
Nell’ambito della gestione dei beni comuni, il valore dell’informazione sembra as-sumere un valore ulteriore, che si esplica in senso oggettivo e relazionale.
Sotto il primo profilo, l’informazione riguarda il bene comune da gestire. La trage-dia dei commons `e evitabile, o almeno mitigabile, attraverso la costruzione di consa-pevolezza dei fruitori del bene. Beni comuni come le risorse naturali25 possono essere gestiti (e goduti) entro limiti fissati con una valutazione competente delle potenzialit`a di conservazione della riserva e della sostenibilit`a delle azioni umane. L’informazione riguarda quindi sia intrinsecamente il bene, sia gli atti che individualmente vengono svolti su di esso, per poterne valutare l’impatto collettivo. Nel noto esempio del pa-scolo, dunque, il dilemma `e affrontabile efficacemente a partire dalla conoscenza delle propriet`a del pascolo (superficie, tipo di piante presenti, tempi di ricrescita dell’er-ba...), delle caratteristiche degli utenti (quantit`a di capi di bestiame, quota di consu-mo, frequenza del pascolo...), unita al monitoraggio delle azioni compiute (aumento o diminuzione dei pastori, aumento o diminuzione dei capi di bestiame).
Sotto il secondo profilo, l’informazione costituisce il presupposto per la partecipa-zione e l’autodeterminapartecipa-zione del gruppo che gestisce il bene comune. In tali esperienze di autogoverno della risorsa, l’individuo `e contemporaneamente utente e gestore, do-vendo confrontare la propria utilit`a personale con il beneficio marginale derivante dal-l’azione collettiva. In un ambito simile, l’informazione sul livello di contribuzione degli altri partecipanti e la possibilit`a di comunicazione nel gruppo costituiscono condizioni di base per la gestione collettiva efficiente del bene comune26.
23Antonello Ciervo, I beni comuni, Ediesse, 2012, 29.
24Marco Ziliotti, L’economia dell’informazione. Modelli, applicazioni, sviluppi, Il Mulino, 2001. 25Sulla cui classificazione meglio si dir`a INFRA 3.2.2.
26Amy R. Poteete, Marco A. Janssen, Elinor Ostrom, Working Together. Collective Action, the Commons,