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Il pluralismo delle fonti di informazione: visioni critiche a confronto

1. Dai media tradizionali al web: l’evoluzione del mercato dell’informazione e le sue conseguenze giuridiche

1.1. Il pluralismo delle fonti di informazione: visioni critiche a confronto

Considerato ciò, diventa necessario garantire il pluralismo delle fonti di informazione; la competizione tra gli editori dovrebbe auspicabilmente impedire la formazione di monopoli e quindi di un “pensiero unico”. Lo sforzo del legislatore a tal

251 G.PITRUZZELLA,La libertà di informazione nell’era di Internet, in Rivista di diritto dei media, n.1, 2018,

pp.1-28.

252 J.B.MIR,M.BASSINI,op.cit.

253 V.ZENO-ZENCOVICH,Freedom of expression. A critical and comparative analysis, New York, 2008,

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proposito deve essere perciò indirizzato a formulare norme in materia di antitrust, per garantire un mercato dell’informazione concorrenziale254.

L’intento di tali misure è di garantire che nessuna voce rimanga inascoltata, neppure quella che si oppone al pensiero dominante; la presenza sul mercato di numerosi gruppi editoriali potrebbe assicurare questo risultato255. Incaricare i mass media di diffondere anche le voci minoritarie e potenzialmente inascoltate fa sì che i grandi

network dell’informazione non rivestano più un ruolo esclusivamente economico-

industriale, ma anche una funzione pubblica256. Se il ruolo dei media fosse solo quello di offrire il proprio prodotto in un’ottica meramente commerciale, lo Stato non dovrebbe intervenire a regolamentare il mercato dell’informazione, lasciando libero il pubblico di decidere quale telegiornale vedere e quale giornale comprare. L’azione pubblica nel settore dell’informazione è invece giustificata dal fatto che si ritiene tale ambito fondamentale per la stabilità democratica dello Stato stesso.

Le modalità attraverso le quali garantire un effettivo pluralismo delle fonti di informazione sono state per molti anni al centro del dibattito, suscitando posizioni spesso contrapposte257. Le maggiori critiche rivolte all’approccio ora menzionato sono ben esemplificate da un semplice paradosso: Per gli oppositori di tale visione258 l’idea di voler tutelare la varietà delle idee attraverso la presenza di numerose compagnie di mass media avrebbe la stessa fondatezza di voler salvaguardare l’ambiente attraverso la creazione di sempre più industrie di detergenti. Risulta infatti complesso dimostrare una qualsiasi voglia relazione causa-effetto tra il numero dei network presenti sul mercato dell’informazione e la qualità dei prodotti finali offerti. Secondo tale corrente di pensiero, il mercato concorrenziale non significa automaticamente una varietà dei contenuti prodotti; non è infatti raro che i giornali, per non diminuire il numero di copie vendute, si trovino a dover riproporre con un taglio differente le medesime notizie già pubblicate, e lo stesso vale per i telegiornali259.

254 G.PITRUZZELLA,op.cit.

255 V.PORTER,S.HASSELBACH,Politics and the Market-place. The regulation of German Broadcasting,

Londra, 1991, pp.4 ss.

256 T.GIBBONS,Regulating the media, Londra, 1998, pp.48 ss. 257V.ZENO-ZENCOVICH,op.cit.

258 D.MCQUAIL,Media performance: mass comunication and the public interest, Londra, 1992, pp.124 ss.;

D.GOMERY,Interpreting media ownership, in (a cura di) B.M.COMPAINE, D.GOMERY,Who owns the media? Competition and concentration in the mass media industry, Londra, 2000, pp.529 ss.

259 D.MCQUAIL,K.SIUNE,Media policy. Convergence, concentration and commerce, Londra, 1998, pp.56

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Non mancano certo modalità alternative per diffondere le idee minoritarie e i pensieri differenti rispetto alle ideologie dominanti; si pensi a misure per facilitarne la diffusione come sussidi economici o spazi di comunicazioni riservati sui giornali o sui canali televisivi260. Qualora una di queste idee risultasse interessante e una potenziale fonte di profitto economico, qualcuno potrebbe decidere di investirci e darle quindi un risalto ancora maggiore; la strategia da perseguire sarebbe quindi quella di una graduale differenziazione tra le informazioni messe sul mercato invece di una loro standardizzazione omogenea261. Non viene ravvisato alcun vantaggio economico nel voler diffondere in maniera forzata idee che il mercato delle informazioni non reputa profittevoli, a discapito di pensieri che invece riceverebbero ben altra accoglienza262.

Un pluralismo delle fonti di informazione imposto dalla legge potrebbe avere il risultato paradossale di limitare il diritto alla libera espressione di quei soggetti che dovrebbero tacere per dare spazio ad altre idee, anche se queste non rispecchiano che una sparuta minoranza della società263. Occorre infatti chiedersi quali pensieri meritino una

maggiore diffusione a discapito di altri e secondo quali criteri dovrebbe essere compiuta tale scelta. Sembra quantomeno contradditorio che il compito di scegliere spetti allo Stato: perché dovrebbero essere i pubblici poteri a indicare quali pensieri minoritari, atti a funzionare da contraltare all’ideologia dominante, privilegiare rispetto ad altre idee? La diversità dovrebbe essere un bene strumentale e non il fine stesso della politica statale nel campo dell’informazione264.

D’altro canto, lasciare spazio all’autoregolamentazione del mercato in un settore così delicato da un punto di vista sociale e democratico come quello dei mass media potrebbe essere una scelta avventata. La formazione di una posizione di monopolio in capo a potenti network, come si diceva poc’anzi, potrebbe infatti causare delle distorsioni nella formazione del pensiero politico dell’opinione pubblica. Le idee che non riscontrano il gradimento dei grandi editori finirebbero presto dimenticate e inascoltate.

260 O.M.FISS,Why the State?, in (a cura di) J.LICHTENBERG,Democracy and the media, Cambridge, 1990,

pp.146 ss.

261 E.NOAM, Two cheers for the commodification of information, in (a cura di) N.ELKIN KOREN,

N.W.NETANEL, The commodification of information, L’Aja, 2002, pp.48 ss.

262 T.GIBBONS,op.cit., p.33; D.KELLEY,R.DONWAY,Liberalism and free spech, in J.LICHTENBERG,op.cit.,

pp.81.

263 La Commissione europea si è espressa su questa linea di pensiero attraverso il Green Paper on pluralism

and media concentration (COM (92) 480 final). La posizione della Commissione è stata accolta da molte

critiche: a tal proposito si veda R.MAZZA,Diffusione televisiva e disciplina comunitaria della concorrenza,

Torino, 2002, p.48.

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In conclusione, il “mercato delle idee” non può essere trattato come un qualsiasi altro settore economico, data la sua importanza e la sua funzione sociale; l’intervento statale volto a tutelare le idee minoritarie e le posizioni che non rispecchiano quelle dominanti nell’opinione pubblica appare necessario per garantire la tenuta dell’ordinamento democratico. L’azione dei pubblici poteri deve però seguire linee ben precise, non andando a influenzare più del necessario la libera circolazione di idee all’interno della collettività, imponendo arbitrariamente un pensiero al posto di un altro. Occorre perciò individuare dei metodi che permettano a ogni persona di poter esprimere la propria opinione e di far sì che questa venga diffusa e ascoltata senza la necessità degli enormi investimenti necessari per la pubblicazione di un giornale o per la ripresa televisiva di un telegiornale. In poche parole, occorre uno strumento che permetta a qualsiasi individuo di diventare un produttore di informazioni.

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