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1.4. Nuove modalità di governo per un nuovo territorio come il cyberspace

1.4.2. Una struttura di governo per il cyberspace

Dopo aver verificato come la gestione partecipata, che mira a includere anche i soggetti privati nei momenti decisionali, sia la modalità di governance preferibile per lo spazio cibernetico, occorre riflettere su quale struttura di governo debba poggiare il mondo virtuale, ossia tramite quali accordi i diversi Stati e i privati possano governare il

cyberspace.

La prima opzione possibile prevede la mancanza di una struttura di governo, ed è la strada percorsa attualmente; con l’eccezione di trattati per alcune questioni specifiche, come il cybercrime74 o gli standard tecnici per la connessione e la navigazione in Internet, non esistono ad oggi convenzioni internazionali che regolino in maniera omnicomprensiva il mondo cibernetico. La mancanza di specifici accordi a livello interstatale non significa però che non venga applicata alcuna legge; il diritto

74 Trattato n.185 del Consiglio di Europa, Convenzione sulla criminalità informatica, a cui hanno aderito

ad oggi 61 Paesi,

https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=09000016 80081561 (consultato il 21 agosto 2018).

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internazionale consuetudinario, ove non trovi spazio la normativa nazionale, regolamenta le nuove fattispecie, incluse le azioni dei singoli Paesi nel contesto cibernetico.

Vi possono essere numerose ragioni alla base della mancanza di un accordo in merito alla governance di un determinato territorio75. Gli Stati possono infatti non avere le capacità per operare in uno specifico ambito, rendendo quindi superfluo riflettere su come governarlo; era questo il caso dello spazio celeste nel periodo antecedente alle prime esplorazioni avvenute negli anni ’50 del secolo scorso. Inoltre, le norme consuetudinarie possono essere così ben sviluppate e comunemente accettate da rendere non necessario un accordo a livello interstatale per trovare una nuova regolamentazione: questo spiega il regime di governance dell’alto mare nel periodo antecedente alla stesura di UNCLOS. Un simile accordo può essere sì auspicabile, ma vi possono permanere dubbi e incertezze in merito alle conseguenze per i diversi Stati a seguire delle prime esplorazioni di un territorio completamente inesplorato, che impediscono il concreto raggiungimento di un accordo in tal senso; la complessa situazione giuridico-politica dello spazio celeste negli scorsi anni ’60 può essere un esempio paradigmatico in tal senso.

La mancanza di un accordo tra i diversi Paesi coinvolti in merito alle modalità di governo e gestione dello spazio cibernetico trova invece le sue motivazioni nelle diverse opinioni, apparentemente inconciliabili tra loro, a proposito delle metodologie più efficaci per risolvere le problematiche relative alla governabilità del mondo virtuale76. L’assenza di una chiara struttura di governance porta a una sostanziale instabilità del contesto cibernetico, lasciando spazio a potenziali conflitti tra gli Stati attivi in tale ambito. La mancanza di una governance congiunta in ambito cibernetico ha indubbie conseguenze sulla salvaguardia dei diritti considerati dal presente studio. Viene infatti meno un quadro uniforme di tutela, lasciando spazio a una frammentazione normativa che mette a repentaglio la navigazione virtuale dei cibernauti. La possibilità di fruire dei propri diritti dipenderà infatti da fattori quali il luogo di connessione o la nazionalità del provider. La crescente importanza, sia sotto l’aspetto politico che economico, del cyberspace, nonché le evidenti minacce che possono arrivare da tale ‘territorio’ (si pensi a fenomeni come il cyberterrorismo o la cyberwarfare) stanno conducendo i vari Paesi a concordare sulla

76 D.P.FIEDLER, Recent developments and revelations concerning cybersecurity and cyberspace:

implications for international law, in ASIL Insights, 20 giugno 2012,

http://www.asil.org/insights/volume/16/issue/22/recent-developments-and-revelations-concerning- cybersecurity-a (consultato il 22 agosto 2018).

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necessità di una regolamentazione completa e uniforme dello spazio cibernetico, considerando inoltre come norme consuetudinarie non si siano ancora sviluppate per tale ambito.

Pur essendo quindi comunemente avvertita la necessità di una nuova struttura di governo per il cyberspace, occorre identificare attraverso quali modalità possa essere raggiunto tale risultato.

Una prima opzione potrebbe essere l’utilizzo dello strumento del trattato internazionale, come avvenuto per i domini tradizionali quali l’alto mare, lo spazio celeste e l’Antartide. Una convenzione che affronti ogni tematica relativa al cyberspace, una sorta di ‘costituzione cibernetica’, sembra però ancora lontana dal vedere la luce, per diversi motivi.

In primis, le divergenze tra i Paesi occidentali e gli Stati dell’ex blocco sovietico, già affrontate in precedenza, in merito all’approccio con cui affrontare la governance dello spazio cibernetico e alle modalità con cui coinvolgere i soggetti privati in tali questioni. Questa differenza di vedute rappresenta un ostacolo rilevante per raggiungere un accordo tra i vari Stati presenti e attivi nel modo virtuale su come regolamentare tale realtà.

Come precedentemente esposto, nel contesto cibernetico non si sono ancora formate norme consuetudinarie tali da poter portare a una loro codificazione in un trattato; non vi è quindi una base normativa condivisa da cui prendere le mosse per formare la nuova “costituzione cibernetica”. Bisogna inoltre considerare che, potenzialmente, ogni Stato può avere interessi rilevanti nel mondo virtuale e può agire di conseguenza per difenderli; così tanti interessi contrapposti possono però rallentare significativamente il raggiungimento di una posizione condivisa da ratificare poi in un trattato.

Il contesto cibernetico, a differenza di quanto accaduto per l’Antartide o per lo spazio celeste, coinvolge infatti un numero rilevante di Stati e di attori privati, presentando quindi una realtà ben più complessa e in costante divenire, anche a causa dell’inarrestabile progresso tecnologico del settore. Il Trattato Antartico è stato ratificato solo da 12 Paesi, inclusi i 7 che inizialmente avanzarono pretese territoriali nel nuovo continente.

Appare evidente che ridurre il numero di parti contraenti porta a diminuire il tempo delle contrattazioni e ad aumentare i possibili risultati condivisi77.

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In conclusione, si può affermare che lo strumento del trattato internazionale non sembra essere adatto a regolamentare una realtà complessa e in continuo divenire come lo spazio cibernetico, dove gli interessi spesso contrapposti degli Stati, nonché il continuo progresso informatico, impediscono il raggiungimento di un punto di vista comune e la stesura di una “costituzione cibernetica” atta a individuare i valori caratteristici del nuovo mondo virtuale.

Un sistema di principi generali può derivare anche dallo sviluppo di norme consuetudinarie e prassi comuni. I soggetti internazionali devono infatti rispettare gli obblighi imposti dal diritto consuetudinario78, come ricordato dal famoso brocardo latino

consuetudo est servanda. L’art. 38 dello Statuto79 della Corte Internazionale di Giustizia elenca la consuetudine tra le fonti del diritto che verranno applicate dai propri giudici nella risoluzione delle controversie, definendola come “prova di una pratica generale

accettata come diritto”.

La formazione del diritto consuetudinario avviene attraverso un processo spontaneo e non formalizzato80, a differenza di quanto accade per la stesura di un trattato internazionale che richiede l’accordo degli Stati contraenti; la consuetudine, secondo una concezione positivista81 del diritto internazionale, presenta perciò una forma più sfumata, ma non per questo meno rilevante, della volontà degli Stati rispetto alla fonte pattizia.

Gli elementi fondativi della norma consuetudinaria sono, come noto, essenzialmente due; uno di natura oggettiva o materiale, chiamato usus o diuturnitas, che indica l’esistenza di una prassi generalizzata e diffusa82, e uno soggettivo o psicologico, denominato opinio juris ac necessitatis, ossia la certezza da parte degli Stati che la prassi di cui sopra trovi fondamento in una specifica norma di diritto o in una data necessità sociale. Il fattore del tempo è un elemento determinante da tenere in considerazione qualora si concepisca la consuetudine come frutto di un processo di formazione spontaneo

78 A.CASSESE, Diritto internazionale, Bologna, 2013, pp. 213 ss; T.TREVES, Diritto internazionale.

Problemi fondamentali, Milano, 2013, pp.222 ss; P.ZICCARDI, voce Consuetudine (dir.intern.), in

Enciclopedia del diritto, vol. IX, Milano, 1961, pp.486; M.PANEBIANCO, Diritto internazionale, Napoli, 2009, pp.160 e ss.

79 Statute of the International Court of Justice, https://www.icj-cij.org/en/statute (consultato il 26 agosto

2018).

80 La ricostruzione giuridica che vede la consuetudine come frutto di un processo spontaneo e non formale

è comprovata dalla giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia, in particolare dal caso “Piattaforma Continentale del Mare del Nord”. A tal proposito si veda Sentenza della Corte di Giustizia Internazionale, North sea continental shelf cases, 20 febbraio 1969, pp.41-43, https://www.icj- cij.org/files/case-related/51/051-19690220-JUD-01-00-EN.pdf (consultato il 27 agosto 2018).

81 F.SALERNO, Diritto internazionale. Principi e norme, Padova, 2011, pp.140 e ss. 82 A.CASSESE, op.cit.

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e inconsapevole; è infatti evidente che la creazione di norme consuetudinarie richiede necessariamente il trascorrere di un dato periodo di tempo, che può essere più o meno lungo a seconda di quanto un determinato comportamento è diffuso tra i membri della comunità internazionale

In caso di mancanza di un corpus normativo di origine pattizia, il diritto consuetudinario può quindi proporre una struttura regolamentare adatta a governare la vita in un determinato territorio/ambiente; si può ipotizzare il funzionamento di una sorta di clausola Martens83 anche per il contesto cibernetico. La clausola in questione, redatta in materia di diritto dei conflitti armati, sancisce che, in mancanza di un codice completo applicabile a suddetti conflitti, gli Stati e le popolazioni belligeranti restano sotto la salvaguardia dei principi del diritto delle genti (ius gentium), come stabiliti fra le nazioni civili, dalle leggi di umanità e dalle esigenze della coscienza pubblica.

La clausola sembra far riferimento alle norme consuetudinarie, ossia a comportamenti ripetuti nel tempo che, nella convinzione dei vari Paesi, hanno un fondamento giuridico e/o sociale. La consuetudine può quindi svolgere un’importante funzione regolamentatrice in un universo relativamente nuovo ed inesplorato, come quello cibernetico. La risposta data dagli Stati a fenomeni specifici (si pensi al cyber- terrorismo) può funzionare da best practice e linea guida a cui attenersi, in caso di simili evenienze, arrivando con il tempo e la prassi a formare una vera e propria base di un diritto consuetudinario cibernetico.

L’opera di rilevazione delle norme consuetudinarie è assai complessa, considerato che possono contribuire alla loro formazione gli interventi diretti degli Stati, attraverso strumenti quali documenti diplomatici, posizioni politiche o dichiarazioni internazionali. Le azioni di Paesi più ‘rilevanti’ da un punto di vista economico e politico (si pensi agli Stati Uniti, alla Russia o alla Cina) possono perciò influenzare le convinzioni di altri Stati.

La mancata visione comune per quanto riguarda sia lo status giuridico dello spazio cibernetico che il ruolo che i privati possono ricoprire nella sua gestione comporta inoltre che difficilmente potrà essere raggiunta in tempi brevi un’opinione condivisa (opinio juris

ac necessitatis) tra i diversi Stati in merito a una determinata prassi da tenere, impedendo

83 La clausola Martens è parte integrante del Preambolo della II Convenzione dell’Aja del 1899 sulla guerra

condotta per via terra, per poi essere confermata nella IV Convenzione dell’Aja del 1907 sul medesimo tema. La clausola venne poi adottata in altri trattati, come la Convenzione di Ginevra del 1949 e i Protocolli Addizionali del 1977, diventando inoltre base giuridica per numerose pronunce giurisdizionali, come si evince dal parere consultivo emanato dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 1996 sulla Liceità della

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quindi la formazione di una norma consuetudinaria rilevante nel contesto cibernetico. Rimane però la possibilità che la consuetudine emerga anche attraverso la sola azione comune di un ristretto numero di Stati, ovviando in questo modo al problema del mancato conenso che impedisce la stipula di un trattato internazionale.

Lo spazio cibernetico è un contesto in continua evoluzione, spinta da un incessante progresso tecnologico; considerato ciò, si può dedurre che un sistema normativo derivante da un trattato internazionale rischierebbe di diventare ben presto inadatto a regolamentare nuove circostanze ed evenienze, a causa della sua staticità e fissità. La consuetudine si evolve con la pratica da parte dei singoli Stati, dimostrandosi quindi pronta a rispondere all’evoluzione del mondo virtuale e potendo coordinare le azioni dei diversi Paesi coinvolti nello scenario cibernetico, evitando rischi di incomprensioni.

La conclusione della presente analisi evidenzia che l’attuale mancanza di chiarezza e uniformità in merito ai principi basilari atti a regolare le azioni dei soggetti, sia pubblici che privati, coinvolti nel mondo virtuale, non è più sostenibile. Gli Stati devono raggiungere il prima possibile una posizione comune in merito ad alcune definizioni cardine del cyberspace, al fine di evitare possibili conflitti che possono originarsi in esso, per poi sfociare nel mondo ‘concreto’. Le attuali divergenze in merito alle modalità di governo dello spazio virtuale tra gli Stati più influenti sullo scenario internazionale rendono assai arduo ipotizzare che, entro breve tempo, possa essere stilata una sorta di costituzione cibernetica.

Si può perciò ipotizzare che, allo stato attuale, le modalità più adatte a regolamentare la complessa realtà cibernetica siano trattati internazionali focalizzati su argomenti specifici e settoriali, su cui è perciò più agevole raggiungere un punto di incontro, e lo sviluppo di un sistema di diritto consuetudinario, originato da dichiarazioni e prese di posizione da parte dei singoli Stati a livello multilaterale e/o regionale e dalla costante prassi comune delle parti coinvolte. La natura globale e diffusa dello spazio cibernetico richiederebbe un approccio globale e uniforme che però, per le motivazioni appena esposte, non è attualmente praticabile

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