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Al termine di questa breve analisi, è opportuno proporre alcune osservazioni conclusive in merito al dibattuto tema della natura del diritto all’accesso a Internet.

Il ruolo del world wide web nell’epoca attuale non può essere più relegato semplicemente a mero mezzo di comunicazione; attraverso le nuove tecnologie di comunicazione una persona può compiere innumerevoli attività di carattere sociale, culturale ed economico. Il cyberspace è una dimensione dove i cittadini si incontrano, si informano, scambiano idee e opinioni e stringono rapporti di ogni tipo, sia con altri privati che con i pubblici poteri. La disponibilità di una connessione a Internet è un elemento importante per sfruttare efficacemente ogni opportunità di partecipare alla vita sociale e politica della propria comunità.

Considerato ciò, è corretto affermare che il diritto all’accesso a Internet è un nuovo diritto fondamentale? Trovare una risposta a questa domanda è stato l’obbiettivo principale del presente capitolo. Le posizioni in merito a tale dibattito sono ampie e articolate: voci autorevoli sostengono il carattere primario e assoluto di tale diritto dato che, come precedentemente accennato, le tecnologie informatiche sono adesso uno

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strumento indispensabile per la realizzazione della cittadinanza digitale, e opinioni altrettanto meritevoli di attenzione sostengono proprio che Internet non è altro che uno strumento per la realizzazione di ulteriori diritti autonomi e non un diritto a sé stante.

Una breve analisi della normativa internazionale ha rivelato che attualmente non esiste alcun Trattato vincolante che affermi o da cui possa desumersi la natura di diritto fondamentale dell’accesso a Internet, ma solo alcuni documenti di soft law. La prassi giuridica a livello nazionale si presenta inoltre assai difforme e variegata; alcuni Paesi hanno deciso di inserire all’interno del proprio ordinamento tale diritto, ma sono attualmente un’esigua minoranza. Non si può quindi riconoscere la formazione di una norma consuetudinaria a tal proposito, mancando per l’appunto sia il carattere della

diuturnitas (Internet è ancora un fenomeno relativamente recente) che dell’opinio juris ac necessitatis (la maggioranza degli Stati non ha alcuna norma a tal proposito).

Per formulare una prima conclusione, il diritto all’accesso a Internet non può essere attualmente definito come diritto fondamentale, mancandone i presupposti giuridici. Non si rinviene infatti alcuna previsione esplicita a riguardo, né sono stabiliti mezzi di tutela giurisdizionale per tale supposto diritto. Non è certamente da escludere che la connessione al web raggiunga entro breve tempo tale status, specialmente considerando l’importanza di Internet nell’epoca moderna e l’avvertita esigenza di una sua salvaguardia come rete libera, indipendente e accessibile, ma non è ancora questo il momento.

Pertanto, le tecnologie informatiche possono essere considerate strumenti adeguati per l’esercizio di ulteriori diritti autonomi, come quello alla libera espressione. La presente analisi ha seguito questa linea di indagine, soffermandosi su Trattati internazionali come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. L’art.19 di entrambi i documenti riconosce il diritto alla libera espressione attraverso ogni mezzo scelto dall’utente. La scelta intenzionale di non proporre un elenco tassativo degli strumenti utilizzabili per comunicare informazioni lascia intendere come tali disposizioni possano essere attuali anche nel contesto digitale.

Come osservato più volte, Internet non ha più una funzione esclusivamente comunicativa svolgendo anche un ruolo importante nella realizzazione del cittadino all’interno della propria comunità. A tal proposito, l’accesso al web non può essere considerato come una mera libertà negativa, concretizzabile ossia nella pretesa della

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persona di non subire ingerenze e restrizioni da parte di terzi o dai pubblici poteri nell’esercizio di tale libertà, ma si afferma come diritto sociale.

Il cittadino vanta infatti una pretesa nei confronti dei pubblici poteri affinché questi si attivino su due distinti versanti: uno più prettamente tecnologico che consiste nel fornire gli strumenti e le infrastrutture necessarie alla connessione Internet, e uno sociale che si concretizza nel garantire alla popolazione l’adeguata alfabetizzazione e cultura digitale.

La qualificazione dell’accesso a Internet come diritto sociale rivela però delle problematiche di fondo. Una norma basata su tali presupposti rischierebbe di diventare obsoleta entro breve tempo: il costante progresso tecnologico potrebbe infatti rendere velocemente inadeguati gli interventi previsti a carico dei pubblici poteri. Non bisogna inoltre trascurare l’ampio potere di determinazione che avrebbe il legislatore in tale evenienza; sarebbe suo compito determinare l’an e il quantum di tale diritto. Si vuole intendere, ad esempio, quali investimenti fare, quali infrastrutture garantire per la connessione Internet. Paesi con diverse disponibilità economiche garantirebbero quindi possibilità diverse di accedere a Internet, a discapito di un approccio uniforme.

Il carattere sociale del diritto al web si ritrova anche nella normativa europea: la Direttiva 2002/22/CE ha infatti classificato la connessione al cyberspace come “servizio universale”. Tale terminologia vuole indicare un insieme minimo di prestazioni che devono essere rese disponibili da parte dello Stato a tutti i cittadini ad almeno uno standard qualitativo minimo prefissato.

Il principio di uguaglianza alla base del diritto all’accesso a Internet rischia però di essere svuotato di significato se viene impedito al singolo utente di fruire di ogni contenuto presente nello spazio cibernetico. A tal proposito, entra in gioco il concetto di neutralità della rete: un network dove ogni informazione è trattata allo stesso modo di qualsiasi altra. Applicare tale valore al web attuale richiede però un’adeguata riflessione. Le grandi compagnie di telecomunicazione che si occupano di gestire le connessioni a Internet devono spesso ricorrere a pratiche di gestione del traffico informatico, al fine di evitare congestioni e collassi della rete. Non bisogna inoltre trascurare l’aspetto economico; gli ISP adottano discriminazioni tra i contenuti che offrono nell’ottica di ottenere un legittimo profitto.

L’approccio europeo alla questione della net neutrality è caratterizzato da una visione concreta e prettamente tecnica, priva di preconcetti ideologici. L’Unione europea ha infatti riconosciuto il valore di una rete Internet aperta e neutrale come presupposto

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imprescindibile per un’efficace applicazione della libertà di espressione, ma non ha trascurato le esigenze degli operatori del settore tecnologico. Le grandi compagnie di telecomunicazioni possono infatti operare pratiche di gestione del traffico dati per prevenire “ingorghi” con conseguente detrimento per gli utenti e per privilegiare servizi specializzati ritenuti di particolare valore, a patto che questo non comporti discriminazioni ingiustificate per i consumatori.

Si ritiene, in conclusione, che l’accesso a Internet non può essere ancora considerato un diritto fondamentale. Con questo non si vuole però sminuire il ruolo che le nuove tecnologie hanno nella società attuale, ma solo sottolineare come non vi siano attualmente i presupposti giuridici per far rientrare la connessione al web nella categoria appena menzionata. Si può però correttamente affermare che la navigazione nel

cyberspace è un diritto sociale, data la sua importanza più volte menzionata nel corso

della presente trattazione. Coloro che non sono in grado di connettersi al web risultano infatti “esclusi” da molte opportunità di integrazione nella propria comunità. La normativa Ue ha preso coscienza di questo attraverso la categoria del “servizio universale”: lo Stato deve quindi impegnarsi attivamente per garantire ai propri cittadini i mezzi, sia tecnologici che culturali, per poter navigare in Internet

La rete dovrebbe inoltre rispecchiare i caratteri di neutralità per permettere agli utenti di godere effettivamente dei suoi benefici. La classificazione come “servizio universale” perderebbe infatti di significato qualora il cittadino non avesse le disponibilità economiche per usufruire dei contenuti eventualmente disponibili a pagamento in rete. Questo studio auspica quindi, pur nei limiti delle disponibilità in termini di risorse di ogni Stato, che l’Unione europea e la comunità internazionale proseguano nella strada verso uno spazio cibernetico liberamente accessibile e neutrale.

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Capitolo 3

Il diritto alla libera espressione nell’era cibernetica e gli strumenti per tutelare la libertà di parola nel web

Sommario: Introduzione - 1. Dai media tradizionali al web: l’evoluzione del mercato dell’informazione e le sue conseguenze giuridiche. - 1.1. Il pluralismo delle fonti di informazione: visioni critiche a confronto. – 1.2. Internet e la nuova struttura della comunicazione nell’era digitale. - 2. L’evoluzione filosofico-normativa del diritto alla libera espressione: dall’Antica Grecia al riconoscimento nei trattati internazionali. - 2.1. Il diritto alla libera espressione nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. - 2.1.1. Il lavoro del Consiglio per i Diritti Umani e dello Special Rapporteur sulla libertà di espressione. - 2.2. Il riconoscimento nel Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici della libertà di espressione indipendentemente dal mezzo di comunicazione utilizzato. - 2.3. La tutela del diritto alla libera espressione negli accordi regionali. - 2.3.1. Il diritto alla libera espressione nell’azione del Consiglio di Europa e il suo riconoscimento nel diritto europeo primario. - 2.3.2. La Carta di Parigi a tutela della libertà di espressione. - 2.3.3. La difesa della libertà di espressione nel continente africano: la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. - 2.3.4. Gli accordi regionali nel continente americano a difesa della libertà di espressione. - 3. La responsabilità degli Internet Service Provider nella tutela del diritto alla libera espressione nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. - 4. I limiti della libera espressione nel contesto cibernetico secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani e della Corte di giustizia dell’Unione europea. - 5. Gli effetti collaterali della comunicazione nell’epoca digitale: il fenomeno della filter bubble e l’imperativo dello sharing. - 6. La diffusione delle fake news. I possibili rimedi giuridici all’inquinamento del public discourse. - 6.1. Il report della Commissione europea sulle fake news. - 7. Riflessioni conclusive.

Introduzione

“L’idea di alcune persone della libertà di parola è che sono liberi di dire quello

che vogliono, ma se qualcuno gli risponde, lo considerano oltraggio” (W.Churchill)246. Le parole dell’ex primo ministro inglese sono un chiaro esempio della dimensione antagonista del diritto alla libera espressione, volto a tutelare le idee espressione di una parte minoritaria della collettività. Risulta di per sé evidente che il pensiero dell’élite dominante non ha bisogno di alcuna protezione.

Il mantenimento dell’ordine democratico è garantito dal dibattito politico quale strumento di una proficua crescita sociale; non è un caso che qualsiasi dittatura o regime autoritario succedutosi nel corso dei secoli ha visto la più grande minaccia al proprio successo nel libero pensiero e nella diffusione delle idee.

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L’importanza del libero pensiero per la tenuta delle moderne democrazie è quanto mai attuale nella moderna epoca digitale. I social media come Facebook o Twitter sono piattaforme digitali divenute fondamentali per il dialogo politico e per la formazione di una coscienza pubblica.

Il diritto alla libera espressione è strettamente collegato al diritto all’informazione: solamente una persona adeguatamente informata può esprimere la propria opinione in maniera efficace e con cognizione di causa. Alla luce di ciò, giova sottolineare che gli stessi social sono diventati una delle fonti primarie di informazione247; il 62% dei cittadini americani dichiara di utilizzare le piattaforme sociali per leggere le ultime notizie e il 18% di loro afferma di farlo frequentemente. La percentuale cresce nella fascia di età tra i 18 e i 29 anni, raggiungendo la cifra dell’81%. Nell’epoca attuale, portali informatici gestiti da società multinazionali private svolgono funzioni fondamentali per l’intera collettività, garantendo la circolazione delle informazioni e dando altresì ai propri utenti uno spazio dove esprimere la propria opinione. Il possibile corto circuito politico-normativo è presto evidente: grandi compagnie imprenditoriali, che rispondono esclusivamente alla logica del profitto economico e che non devono rispondere in alcun modo ai pubblici poteri, hanno il potere pressoché insindacabile di censurare determinate idee, impedendone la diffusione sui propri portali e condannandole quindi all’oblio.

Le disposizioni normative, sia a livello statale che internazionale, poste a tutela del diritto alla libera espressione rischiano di rivelarsi ora inadeguate, poiché sono state ideate e predisposte pensando ai tradizionali sistemi di comunicazione. Fino a pochi anni fa, le principali fonti di informazioni erano le Tv e la carta stampata. Le notizie seguivano un percorso verticale, fluendo dai giornalisti ai lettori/spettatori che erano i destinatari finali di questo percorso ed erano relegati a un mero ruolo passivo di fruitori. Le reti digitali hanno completamente rivoluzionato questa prospettiva, formando degli snodi di comunicazione verticali: ogni utente cibernetico, attraverso l’utilizzo del proprio device elettronico, può far sentire la propria voce via web, rivestendo nel medesimo tempo sia il ruolo di comunicatore che di fruitore delle notizie. In questa situazione, il ruolo dei mass

media tradizionali viene drasticamente ridimensionato, a discapito anche del loro

prestigio.

247 P.COSTA,Motori di ricerca e social media: i nuovi filtri nell’ecosistema dell’informazione on-line e il

potere occulto degli algoritmi, in (a cura di) G.AVANZINI,G.MATUCCI,L’informazione e le sue regole.

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L’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione ha indubbi lati positivi, poiché rende il diritto alla libera espressione all’effettiva portata di ogni persona, favorendo inoltre la rapida circolazione delle informazioni. Non devono però essere trascurati i possibili lati negativi, in particolar modo riguardanti il fenomeno delle cd. fake news.

I grandi network delle comunicazioni, come giornali e radiotelevisioni, garantivano l’attendibilità delle notizie diffuse; questo non è più possibile nel contesto cibernetico. Qualsiasi utente può infatti diffondere consapevolmente notizie artefatte e intenzionalmente false, con l’intento di inquinare il public discourse influenzando così la formazione dell’opinione pubblica. La struttura stessa dei social media, basata sull’imperativo della condivisione dei contenuti, il cd. sharing, si dimostra l’ambiente ideale per far proliferare e diffondere queste “false notizie”. Il grande numero di utenti connessi alle piattaforme sociali rende pressoché impossibile un controllo preventivo sull’attendibilità delle notizie diffuse attraverso il web; inoltre, qualora anche tale controllo fosse astrattamente possibile, si solleverebbero pressanti interrogativi su eventuali abusi e limitazioni alla libera espressione degli utenti stessi.

Simili problematiche non erano contemplate al momento dell’emanazione delle norme a tutela del diritto alla libertà di pensiero; è perciò necessario riflettere se tale principio debba essere riadattato alle esigenze del contesto cibernetico.

Per rispondere a questa esigenza, il presente studio prende le mosse da una completa analisi dei cambiamenti che le nuove tecnologie digitali hanno apportato al tradizionale sistema di comunicazioni. Si passa poi a studiare l’oggetto principale dell’articolo, ossia il diritto alla libera espressione, per comprendere come questo sia stato riconosciuto a livello europeo e internazionale nel corso degli anni. La terza parte dello studio vuole riflettere sulle risposte normative e giurisprudenziali che, nel corso degli anni, sono state date ai fenomeni appena menzionati delle fake news. Solo al termine di questa analisi sarà possibile capire le caratteristiche fondamentali del diritto alla libera espressione nel contesto cibernetico e le modalità più funzionali per tutelare tale principio adeguatamente.

1. Dai media tradizionali al web: l’evoluzione del mercato dell’informazione e le

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