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La posizione dell’Italia in Europa misurata dal sistema degli indicatori strutturali

Nel documento RAPPORTO ANNUALE (pagine 89-96)

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in linea con l’insieme dell’area dell’euro. A confronto col 2000 si è però ridotto, sempre in termini relativi, di quasi 10 punti percentuali rispetto alla prima e quasi 7 punti rispetto alla seconda. L’andamento della crescita appare strettamente asso-ciato con la perdita di competitività internazionale: nel quinquennio, le esporta-zioni italiane di beni e servizi (a prezzi costanti del 1995) sono diminuite a un ritmo dello 0,6 per cento annuo, mentre per l’Uem e l’Ue sono aumentate, rispet-tivamente, del 3,5 e 3,6 per cento (il 9,1 per cento nei nuovi paesi membri). Parallelamente, la produttività del lavoro, misurata in termini di Pil per occupa-to, è passata dal 121,2 al 108,8 per cento del valore medio dell’Ue, e dal 112 al 102,8 per cento rispetto all’Uem, mentre il costo del lavoro per unità di prodot-to nell’intero periodo 2001-2005 in Italia è aumentaprodot-to dello 0,4 per cenprodot-to, e nell’Uem è diminuito del 2,1 per cento.

Negli ultimi anni in Italia l’inflazione al consumo misurata sulla base

dell’in-0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 4,5 S pagna R egno U n it o Ue Franci a U e15 Uem Germani a Italia 1996-2000 2001-2005 Tassi medi annui di crescita del Pil

0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 1996 1998 2000 2002 2004 Uem Italia Germania Francia Inflazione (a) Obiett. Bce -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 1996 1998 2000 2002 2004 Liv. obiettivo

Deficit pubblico in percentuale del Pil

100 105 110 115 120

125 Debito pubblico in percentuale del Pil

50 55 60 65 70 75 1996 1998 2000 2002 2004 Liv. obiettivo 100 105 110 115 120 125 1996 1998 2000 2002 2004 Italia Uem

Pil a parità di potere d'acquisto (Ue=100) 100 105 110 115 120 125 1996 1998 2000 2002 2004 Italia Uem

Produttività del lavoro per occupato (Ue=100)

Fonte: Eurostat: indicatori strutturali

(a) Variazione percentuale media annua dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo. Per il 1996 indice generale dei prezzi al consumo.

Figura 1.25 - Indicatori del quadro macroeconomico per l’Italia, l’Uem e le principali economie dell’Unione europea - Anni 1996-2005 (valori percentuali e numeri indice)

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dice armonizzato è stata solo leggermente superiore rispetto alla media dell’Uem: i prezzi al consumo tra il 2000 e il 2005 sono cresciuti del 12,8 per cento in Italia e dell’11,6 nel complesso dell’Uem. Considerando, invece, l’indicatore che com-para il livello assoluto dei prezzi dei diversi paesi, nel 2004 l’Italia ha raggiunto il livello medio dell’Uem. La debole crescita economica ha contribuito al deteriora-mento dell’andadeteriora-mento di finanza pubblica che, pure, è peggiorato anche nelle altre maggiori economie dell’Unione. Nell’ultimo quinquennio, il rapporto defi-cit/Pil si è collocato in media al 3,4 per cento in Italia, e al 2,5 per il complesso dell’Uem. Nel valutare questi risultati va tenuto presente che i margini di mano-vra della politica di bilancio, nel nostro Paese, sono comparativamente ridotti, in ragione del peso più elevato del debito pubblico. Negli anni più recenti, il rap-porto debito/Pil è salito leggermente per l’insieme dell’Uem e nel 2005 è tornato a crescere, per la prima volta da un decennio, anche in Italia. Si è così tempora-neamente interrotto il percorso di convergenza che ha consentito di ridurre il divario con la media dell’Uem da 40,8 punti percentuali nel 2000 fino a 34 nel 2004; nel 2005, la differenza è risalita a 35,6 punti.

L’occupazione

Il Consiglio di Lisbona, per gli allora quindici paesi dell’Unione, aveva fissato come obiettivo al 2010 un tasso d’occupazione pari al 70 per cento della popola-zione in età di lavoro (15-64 anni); si tratta di un livello simile a quello degli Stati Uniti, del Giappone e delle economie europee più avanzate, che implica un incre-mento di quasi sette punti percentuali rispetto al valore del 2000. A metà percorso, anche a causa del rallentamento della crescita economica, i progressi sono stati deci-samente modesti. Per l’Ue15, infatti, la crescita complessiva dell’occupazione nel quinquennio è stata pari al 3,2 per cento, con un impatto di appena 1,3 punti

per-centuali sul tasso di occupazione, salito dal 63,4 al 64,7 per cento12.

In Italia, invece, l’occupazione è aumentata di oltre il 6 per cento, e il tasso di occupazione è salito di 2,7 punti percentuali (dal 54,8 al 57,5 per cento),

nonostante la deludente performance di crescita del Pil13. Partendo da un quadro

caratterizzato da tassi di occupazione molto inferiori alla media dei paesi europei, con associate forti disparità tra regioni e tra gruppi d’età e di genere, questo pro-gresso ha consentito di avvicinare la situazione dell’Italia alla media europea e di ridurre parzialmente i divari interni. Il miglioramento complessivo netto di 1,4 punti percentuali rispetto all’Ue15 lascia, infatti, un ritardo ancora da colmare pari a oltre sette punti. I progressi più significativi si sono realizzati per la com-ponente femminile, il cui tasso d’occupazione tra il 2000 e il 2005 è salito dal 41,8 al 45,3 per cento. In questo caso, tuttavia, il divario iniziale rispetto all’Ue15 era molto più ampio, e anche negli altri paesi l’occupazione femminile è

cresciu-12

Il tasso di occupazione è aumentato ancora meno (appena 1 punto percentuale) nell’Ue, per effetto della profonda ristrutturazione produttiva avvenuta nei nuovi paesi membri, dove pure la cre-scita economica è stata più vigorosa.

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Un caso opposto si è verificato in Germania dove, a fronte di un risultato di crescita economica simile a quello italiano, il tasso d’occupazione è leggermente diminuito ed è aumentata la produtti-vità del lavoro.

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ta più della media; pertanto lo scarto, pur ridottosi di 0,8 punti percentuali, è rimasto ancora pari a 11,5 punti.

L’andamento complessivamente favorevole dell’occupazione in Italia ha favori-to la riduzione del tasso di disoccupazione dal 10,1 per cenfavori-to del 2000 fino al 7,7 per cento nel 2005, al di sotto dei livelli medi dell’Ue15 (7,9 per cento), dell’Uem (8,6 per cento) e dell’Ue (8,7 per cento), che sono invece leggermente aumentati. Parallelamente, si è registrata una consistente riduzione del tasso di disoccupazio-ne di lunga durata (dal 6,3 al 4 per cento), che è ora poco superiore al livello dell’Ue15 (rimasto stabile al 3,4 per cento). In entrambi i casi, tuttavia, va segna-lato l’effetto della persistente minor partecipazione al mercato del lavoro e, di recente, anche di fenomeni di uscita dall’offerta di quote significative delle com-ponenti più deboli. Questa situazione si associa al primato negativo tra tutti i paesi dell’Ue che continua a caratterizzare l’Italia per quel che riguarda l’indicato-re di disparità l’indicato-regionale (coefficiente di variazione) della disoccupazione, sia in termini aggregati (15 per cento, contro una media dell’11,1 per cento nell’Ue15) sia, in particolare, per la componente femminile (oltre il 25 per cento, contro una media europea del 17 per cento) (Figura 1.26).

L’economia della conoscenza

L’obiettivo fissato a Lisbona di giungere nel 2010 a un livello di spesa per ricerca e sviluppo (R&S) pari al 3 per cento del Pil (come nei paesi nordici e in Giappone) a quasi metà dell’arco temporale di riferimento sembra assai lontano.

35 40 45 50 55 60 65 70 75

Ue15 Italia Ue15 Italia Ue15 Italia Tasso di occupazione totale Tasso di occupazione femminile Tasso di occupazione maschile 2005 2000 Obiettivo 2010 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

Ue15 Italia Ue15 Italia Disparità regionali nell'occupazione Disoccupazione di lunga durata 2000 2004

Fonte: Eurostat: indicatori strutturali

(a) Tassi di occupazione: occupati in percentuale sulla popolazione 15-64 anni; Disoccupazione di lunga durata: percentuale di disoccupati da almeno 12 mesi sulle forze lavoro; Disparità regionali: coefficiente di variazione tra regioni.

Figura 1.26 - Indicatori chiave di occupazione per l’Ue15 e l’Italia: Anni 2000, 2004 e 2005 (a)

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Tra il 2000 e il 2004 (ultimo dato disponibile), l’incidenza della spesa per R&S per il complesso dell’Ue (a quindici e venticinque paesi), si è mantenuta stabile appena al di sotto del 2 per cento del Pil. Alcuni progressi sono stati invece rea-lizzati per quanto attiene alla formazione di capitale umano e all’introduzione del-l’innovazione tecnologica nei processi produttivi.

La situazione dell’Italia è caratterizzata dal permanere di un forte ritardo, con particolare riferimento alla produzione delle tecnologie e al loro impiego nel siste-ma economico. Qualche miglioramento relativo si è invece siste-manifestato per quan-to riguarda la formazione di risorse umane, sia pure in maniera non uniforme.

Tra 2000 e 2004, l’incidenza della spesa per R&S è restata stabile in tutte le maggiori economie europee. Tuttavia, mentre in Germania questa si è mantenu-ta intorno al 2,5 per cento del Pil, in Francia al 2,2 e nel Regno Unito all’1,8-1,9 per cento, in Italia è rimasta intorno a un livello di poco superiore all’1 per cento del Pil, come a metà degli anni Ottanta. Il distacco con le altre grandi economie dell’Unione è notevole anche per la quota dei prodotti ad alta tecnologia (At) sul totale delle esportazioni di beni, che coglie la posizione competitiva del paese nel-l’area più dinamica del commercio internazionale e al tempo stesso può essere considerato un indicatore di output dell’attività di ricerca. In Italia, tra il 2000 e il 2004 questa si è ridotta dall’8,5 al 7,1 per cento del totale, scendendo al di sotto del livello di dieci anni prima (nel 1994, era il 7,6 per cento). Riguardo a questo indicatore si è registrata una diminuzione anche per l’insieme dell’Ue15 (dal 20,6 per cento del 2000 al 17,7 del 2004; nel 1994 era pari al 15,1 per cento), per la Francia (dal 25,5 al 20,0 per cento) e per la Germania (dal 16,1 al 14,8 per cento), che si mantengono tuttavia su valori notevolmente superiori a quelli dell’Italia. Questa evoluzione, combinandosi con una performance complessiva delle espor-tazioni italiane decisamente peggiore di quella del resto dell’Ue, è il segno di un ulteriore indebolimento nel periodo in esame della già fragile posizione del nostro paese sui mercati delle nuove tecnologie.

Un divario notevole emerge anche nell’ambito delle tecnologie dell’informa-zione (It). Con riferimento al periodo 2002-2005, la spesa per It in Italia è rima-sta intorno al 2 per cento del Pil, rispetto al 3 per cento medio dell’Ue15 e dell’Ue, mentre la quota dell’e-commerce sul fatturato delle imprese è passata in Italia dallo 0,3 allo 0,7 per cento e nell’Ue15 dallo 0,9 all’1,3 per cento (in Germania nel 2005 è stata pari l’1,7 per cento e nel Regno Unito al 4,1 per cento). Al di sopra della media europea risulta, invece, l’utilizzo dei servizi di e-government da parte delle imprese (73 per cento contro il 56 dell’Ue15), men-tre è molto inferiore quello da parte degli individui (12 per cento contro il 24). Inferiore alla media europea, ma in recupero, è la diffusione delle connessioni a banda larga, che nell’Ue15 è passata dal 2,3 al 12 per cento della popolazione e in Italia dall’1,0 al 9,5 per cento.

I livelli e gli andamenti nella produzione e nell’utilizzo produttivo delle tecno-logie sono associati strettamente, in una relazione di mutua causalità, con le carat-teristiche delle risorse umane su cui si appoggia ciascuna economia. L’Italia, che in quest’ambito ha un deficit storico, negli ultimi anni ha consolidato l’azione di recupero in atto già dall’inizio degli anni Novanta. Rispetto a tale evidenza va pre-cisato che (a differenza di altri strumenti quali l’indagine Pisa dell’Ocse), gli

indi-Approfondimenti

catori strutturali misurano aspetti di natura quantitativa, e non necessariamente qualitativa. In particolare, la percentuale di giovani diplomati tra il 2000 e il 2005 è cresciuta di un punto percentuale per l’Ue15 (dal 73,5 al 74,5 per cento) e di oltre 4 punti in Italia (dal 68,8 al 72,9 per cento; era appena il 55 per cento nel 1992). I laureati in discipline scientifico-tecnologiche tra il 2000 e il 2003 sono passati dall’11 al 13,3 per mille della popolazione tra i 20 e i 29 anni per l’Ue15 e dal 5,7 al 9,0 per mille in Italia (partendo, nel 1993, dal 2,9 per cento); il nostro Paese ha superato così la Germania rimasta stabilmente intorno all’8 per cento. Un’eccezione negativa è costituita dall’ambito della formazione continua, più vici-na al mondo del lavoro: nel periodo 2000-2005, infatti, la quota degli adulti inte-ressati da programmi d’istruzione e formazione è salita dall’8,8 all’11,9 per cento per l’insieme dei paesi dell’Ue15 e, soltanto dal 5,5 al 6,2 per cento in Italia.

-13 -12 -11 -10 Differenziali 2000 Differenziali 2005 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1,14 7,1 1,9 0,7 18,2 9,0 72,9 6,2 R&S (% Pil) Export At (% totale) Spesa It (% Pil) E-commerce (% fatturato) Ut.banda larga (% pop.) Laurea S&T (‰ 20-29) Diplomati (% 20-24) Form. continua (% 25 e più) Italia 2005 (a)

Fonte: Eurostat: indicatori strutturali

(a) Oppure anno più recente: R&S ed esportazioni di alta tecnologia: 2000-2004; Spesa IT=2002-2004; E-commerce e Banda larga=2002-2005; Laureati in S&T=2000-2003; Diplomati e formazione continua=2000-2005.

Figura 1.27 - La posizione dell’Italia nell’economia della conoscenza: livelli e differenze con l’Ue15 - Anni 2000 e 2005 (a)(punti percentuali)

2.1 Struttura e tendenze evolutive del sistema produttivo

Il contesto congiunturale descritto nel capitolo precedente mette in luce co-me l’economia italiana, a differenza dei principali partner europei, non sia sta-ta in grado di trarre vansta-taggio dall’accelerazione del commercio internazionale. Questa circostanza ha acuito per il nostro Paese le difficoltà cicliche che da al-cuni anni affliggono le economie continentali. Nel quadro generale di rallenta-mento dell’attività, il sistema produttivo italiano è stato particolarmente debo-le sotto il profilo della crescita del Pil, dell’andamento deldebo-le esportazioni e del-la produttività del del-lavoro. Per meglio comprendere l’evoluzione delle dinami-che macroeconomidinami-che, il Rapporto annuale analizza in chiave comparata le ca-ratteristiche strutturali del sistema delle imprese, la sua evoluzione e le deter-minanti della performance.

L’imprenditorialità diffusa e la specializzazione nei settori manifatturieri delle filiere dei beni per la persona e la casa (il cuore del made in Italy) e nella meccanica strumentale hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo eco-nomico del Paese ancora in tempi recenti, come sarà illustrato nel capitolo 3. Eppure, le difficoltà del sistema produttivo italiano a fronteggiare il mutamen-to profondo dello scenario competitivo degli ultimi anni derivano in buona parte dagli aspetti di dimensione e specializzazione. Da una parte, in Italia si ri-scontra un “eccesso di imprenditorialità”, ovvero la prevalenza di imprese con ridotte dimensioni medie (misurate dal rapporto tra addetti e imprese), che in pochi casi riescono a crescere. Dall’altra, la specializzazione è debole proprio nei settori ad alta tecnologia ed elevata intensità di conoscenza, caratterizzati da livelli di produttività più elevati, meno esposti alla concorrenza delle economie emergenti, e dove la domanda è cresciuta più rapidamente.

Dimensione e specializzazione sono dunque aspetti chiave per valutare la performance della nostra economia. Nelle pagine che seguono la situazione ita-liana viene messa a confronto con quella delle altre maggiori economie dell’U-nione europea e si analizza l’evoluzione nel periodo tra il 1999 e il 2003, ulti-mo anno per il quale sono disponibili dati per tutti i paesi. Per esigenze di com-parabilità, dall’analisi sono esclusi l’agricoltura e i servizi finanziari, sociali e personali: il livello di copertura però è comunque pari a circa il 65 per cento dell’occupazione totale e all’85 per cento di quella nel settore delle imprese.

Evoluzione del sistema delle imprese

Nel documento RAPPORTO ANNUALE (pagine 89-96)