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Il fenomeno della maternità surrogata alla prova della regolamentazione internazionale: utopia o prospettiva

4.4 Quale possibile regolamentazione?

Come detto, a livello di Conferenza dell’Aja i tempi ancora non sono maturi per l’approvazione di uno strumento internazionale relativo alla maternità surrogata, tuttavia a livello teorico è possibile essere propositivi e ipotizzarne il contenuto. Ciò che si dirà di seguito non ha la pretesa di essere una soluzione, dato che le variabili da considerare sono molte: è solo una ricostruzione ragionata, senza la presunzione di essere esaustiva, dei punti che dovrebbero essere necessariamente presi in considerazione al momento della redazione concreta di un simile accordo. Un approccio realistico potrebbe essere quello di elaborare una proposta ispirandosi alla Convezione dell’Aja sull’adozione internazionale del 1993: quest’ultima disciplina un istituto profondamente differente, perciò “non può essere applicata direttamente a casi di maternità surrogata ma piuttosto usata come modello per una regolamentazione uniforme ad hoc”209.

209 Così Querci A., La maternità “per sostituzione” fra diritto interno e Carte

internazionali, in Famiglia e diritto, n. 12/2015, p. 1156. Inoltre l’Autrice sostiene che “alcuni principi affermati nella Convenzione sull’adozione mal si attagliano alla maternità surrogata: si pensi ad esempio a quello di

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È auspicabile che la Convenzione esprima una posizione rigida rispetto alla maternità surrogata? Probabilmente no, perché una proibizione totale o all’opposto una legalizzazione indiscriminata non raggiungerebbe lo scopo perseguito, ovvero la protezione dei diritti dei soggetti maggiormente coinvolti, e non si avrebbe consenso da parte di tutti gli Stati interessati al raggiungimento di accordi multilaterali, vanificando così qualsiasi sforzo. Fatta questa considerazione, appare ovvio che il punto di partenza per raggiungere un’intesa è quello di non prendere posizione a favore o contro la maternità surrogata ma di lasciare piena libertà agli Stati se vietarla o autorizzarla.

Sulla falsariga della Convenzione sull’adozione internazionale l’ipotetica ‘Convenzione sulla maternità surrogata’ potrebbe essere divisa in due parti: l’una contenente principi generali e l’altra composta da una normativa puntuale riguardo al riconoscimento e quindi alla conservazione dello status di figlio legittimamente acquisito in altri Stati.

Dato che non è possibile ricavare dalle legislazioni statali principi

sussidiarietà, ossia alla primaria ricerca della possibilità di collocare il bambino nel proprio Paese di origine, mentre qui il best interest of the child corrisponde, nella maggior parte dei casi, all’inserimento nel Paese dei genitori committenti; od al divieto di stipulare contratti o comunque accordi aventi ad oggetto l’adozione, che certamente non può valere per la surrogazione, che si basa, quantomeno, su due diversi agreements: uno con la madre surrogata ed uno con la clinica ove avverrà l’impianto dell’embrione.”

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comuni su cui costruire la normativa internazionale, a causa della mancanza di un orientamento uniforme sul tema, come potrebbero essere individuati? La scelta potrebbe ricadere su quei principi che se posti all’interno della Convenzione avrebbero la capacità di invogliare gli Stati a partecipare, ovvero prendere il meglio da ogni normativa ed esperienza giurisprudenziale cercando di creare un quadro giuridico il più possibile condiviso. I principi potrebbero essere i seguenti:

- l’interesse superiore del minore deve essere sempre e comunque salvaguardato;

- la surrogazione può avvenire solamente a titolo gratuito, in modo da far fronte alla deriva commerciale che la pratica ha avuto negli ultimi anni, così da proteggere le donne e il minore dallo sfruttamento economico, tutelandone così la dignità. La previsione di un rimborso spese può essere ammessa, ma la quantità e le modalità di corresponsione devono essere poste sotto stretto controllo per evitare che sia un ‘compenso camuffato’. Inoltre facendo leva sulla ‘logica del dono’, si rende più accettabile la pratica a quei paesi contrari a qualsiasi accordo;

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- il bambino deve essere legato geneticamente ad almeno un genitore, altrimenti vengono ad essere violate le norme sull’adozione internazionale;

- la surrogazione può essere praticata dalle cliniche abilitate e le agenzie possono essere intermediarie solo previa autorizzazione. Entrambe devono dimostrare di essere in possesso dei requisiti adatti per affrontare e gestire la delicata situazione al fine di prevenire abusi;210

- l’accesso deve essere concesso sia alle coppie sposate sia a quelle conviventi, e dato l’andamento generale sulla legalizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso, non deve subire discriminazioni di genere;

- l’intero iter deve essere eseguito attraverso un percorso giurisdizionale in modo che vi sia un controllo pubblico. Come è stato giustamente osservato “del fenomeno si ha contezza solo ex post, a fatto avvenuto, per la presenza di un neonato di cui si chiede il riconoscimento. Proprio al fine di evitare la ‘clandestinità’, che spesso accompagna la scelta degli adulti di ricorrere alla surrogazione di maternità

210Cfr. Querci A., op. cit., p. 1156. In analogia alla Convenzione internazionale

sull’adozione il cui art. 10 prevede che “possono ottenere l’abilitazione e conservarla solo quegli organismi che dimostrino la loro idoneità a svolgere correttamente i compiti che potrebbero essere loro affidati”.

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e che aumenta il rischio di abusi a danno della gestante e dello stesso minore, occorrerebbe attribuire un unico status al minore attraverso un provvedimento giurisdizionale e non tramite l’emanazione di un certificato di nascita. […] la tutela del superiore interesse del minore viene così ad essere realizzata attraverso le garanzie del procedimento giurisdizionale, non è così mero oggetto delle scelte di genitorialità degli adulti.”211

La seconda parte dovrebbe avere un contenuto puntuale in quanto ha lo scopo di rendere certo lo status di figlio legalmente acquisito, ovvero la filiazione stabilita nello Stato di nascita del minore dovrebbe essere automaticamente riconosciuta anche negli altri Stati firmatari della Convenzione, a prescindere dalla posizione di chiusura o di apertura rispetto alla maternità surrogata, perché l’interesse superiore del minore prevale rispetto alle scelte discrezionali di ogni singolo Stato.

Qualora questa ipotetica proposta venisse accolta quali conseguenze si produrrebbero? Gli stati firmatari favorevoli alla pratica dovrebbero rivedere la loro normativa e allinearla ai principi enucleati, i contrari dovrebbero fidarsi automaticamente

211 Così Di Stefano M., Maternità surrogata ed interesse superiore del minore:

una lettura internazionalprivatistica su un difficile puzzle da ricomporre, in GenIUS, n. 1/2015, p. 173.

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di quanto fatto dallo Stato cooperante: quindi l’unico margine di discrezionalità sta nel decidere se autorizzare o no la pratica e il contenuto della Carta è da considerarsi come vincolante, se non lo fosse l’impegno ad addivenire a una Convenzione sarebbe stato inutile. Altra puntualizzazione va fatta circa la clausola dell’ordine pubblico, generalmente inserita nelle carte internazionali: se ogni Stato avesse la possibilità di sollevare tale eccezione (perché il rapporto di filiazione se si fosse istaurato sul proprio territorio sarebbe stato diverso), la situazione che si verrebbe a creare sarebbe uguale a quella che si verifica oggi - ovvero di incertezza giuridica in relazione allo status - perciò le disposizioni dovrebbero essere chiare e circoscritte in modo da evitare che tale clausola, almeno per questo motivo, sia invocata.

Riassumendo, è possibile affermare che nessuno Stato è obbligato a essere firmatario di una possibile Convenzione, e che ognuno decide se rendere lecita o meno la maternità surrogata secondo la propria discrezionalità. Qualora uno Stato a favore decidesse di partecipare dovrebbe poi attivarsi per rendere la propria disciplina permissiva conforme ai principi enucleati. Gli Stati che mantengono una posizione contraria, come l’Italia, ma che hanno deciso di far parte della Convenzione non potrebbero più accampare ragioni di ordine pubblico e ostacolare il

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riconoscimento degli status legittimamente instaurati. Sottoscrivere un tale accordo non significa ammettere la maternità surrogata, ma il fatto che questa si sia svolta in Paesi che hanno una disciplina ispirata a principi elaborati nell’ambito di un confronto internazionale è garanzia di tutela minima dei diritti dei soggetti coinvolti e ciò giustifica un riconoscimento automatico. Come prima anticipato, tale proposta può prestare comunque il fianco a delle obiezioni. Una possibile critica potrebbe essere avanzata da chi vorrebbe una proibizione globale, in quanto una tale soluzione non risolverebbe il problema di fondo (business basato sullo sfruttamento delle donne e sul traffico di bambini) perché semplicemente pone le regole di gestione di questo fenomeno, e solamente tra alcuni Stati, ovvero i firmatari. La conseguenza potrebbe essere quella per cui i cittadini di Paesi ‘proibizionisti’ si recano in paesi aderenti alla Convenzione per realizzare ciò che il proprio Stato gli vieta, perché non incontreranno nessun ostacolo al momento in cui chiederanno il riconoscimento del rapporto di filiazione istaurato legittimamente all’estero. Ma lo spirito di fondo di questa proposta, o di altro strumento che intenda fornire una disciplina, è davvero così criticabile? Dato che il fenomeno ha raggiunto ormai proporzioni globali e una recessione è altamente improbabile non è meglio

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regolare il fenomeno in modo da tutelare, almeno al minimo, i diritti dei soggetti coinvolti, invece di tentare l’impossibile, ovvero una proibizione generalizzata? Rimanere trincerati dietro prese di posizione etiche e morali crea molto più danno alla condizione dei minori e delle madri surrogate rispetto a una regolamentazione concreta.

Calando questo ipotetico ragionamento nel contesto italiano, qualcuno potrebbe non essere d’accordo con la sottoscrizione ad uno strumento di tale contenuto perché quanto appena descritto rappresenterebbe un ‘via libera’ posto dallo stesso Stato ad aggirare un proprio divieto. Ma in concreto non è quello che succede già oggi attraverso le decisioni giurisprudenziali che devono far fronte al silenzio inopportuno del legislatore? Come abbiamo visto, i giudici decidono i casi sulla base del supremo interesse del minore “nella consapevolezza che l’accettazione di un fatto compiuto comporta inevitabilmente la proliferazione di casi analoghi e dunque la disapplicazione generalizzata della regola, anche quando la sua ratio sia di protezione degli interessi dei minori”212. Detto questo, non si verificherebbe niente che già

non accade, anzi si conferirebbe certezza giuridica allo status del

212 Così Morozzo della Rocca P., Diritti del minore e circolazione all’estero

del suo status familiare: nuove frontiere, in La famiglia si trasforma, a cura di Cesaro G.O., Lovati P., Mastrangelo G., Francoangeli, Milano, 2014, p. 46.

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minore, una situazione che ad oggi è ‘claudicante’ e lasciata in balìa di orientamenti giurisprudenziali passibili sempre di mutare direzione.

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Conclusioni

Alla luce di quanto è stato possibile riscontrare, il problema del riconoscimento del legame di filiazione con un minore nato da maternità surrogata eseguita all’estero è stato affrontato e risolto alla luce del principio best interest of the child, sia dalla Corte di Strasburgo sia dalla giurisprudenza italiana.

La Corte Edu prospetta il riconoscimento dello status filiationis limitatamente al padre committente qualora sussista un legame biologico. Tale presa di posizione risulta essere opportuna perché idonea a tutelare l’interesse del minore, ovvero la sua identità personale, e al contempo non intacca la discrezionalità dei legislatori nazionali perché se disponesse il legame di filiazione anche nei confronti della donna committente, che non ha contribuito geneticamente alla nascita del bambino, produrrebbe l’apertura a una futura legittimazione della maternità surrogata. La giurisprudenza italiana per molto tempo è stata contraddittoria nel fornire soluzioni a tali casi, fino a raggiungere una certa stabilità, anche grazie all’influenza delle decisioni della Corte Edu. Attualmente si tende ad ammettere la trascrizione di provvedimenti stranieri che attestino il legame di filiazione

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derivante da maternità surrogata, escludendo però le ipotesi di totale estraneità genetica del minore rispetto alla coppia committente. Inoltre, dall’orientamento appena esposto emergono significativi mutamenti interpretativi: il divieto interno e il brocardo mater semper certa est non vengono più ritenuti integrare principi fondamentali dell’ordinamento, idonei ad impedire la trascrizione del provvedimento straniero per motivi di contrarietà all’ordine pubblico internazionale, perché sulla base della declinazione del limite dell’ordine pubblico in chiave internazionale non rappresentano principi fondamentali vincolanti per lo stesso legislatore ordinario.

L’interesse preminente del minore, che si sostanzia nella tutela della sua identità personale e nella continuità transnazionale dello status legittimamente acquisito all’estero, è principio supremo dell’ordinamento e per questo non può essere bilanciato con gli interessi garantiti dalle regole sopra enunciante, dotate di rango inferiore, e quindi il suo sacrificio non può trovare giustificazione nell’intento di far rispettare norme interne prive di contenuto costituzionalmente vincolato.

La risposta offerta dalla giurisprudenza ha il pregio di tutelare il minore, ma ha il difetto di vanificare il divieto interno. Le coppie, incoraggiate da tali pronunce, decidono con più facilità di recarsi

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in altri Paesi per l’esecuzione di tale pratica e una volta tornate in patria, pongono l’ordinamento di fronte all’inevitabile decisione di riconoscere il legame venutosi a creare all’estero. La giurisprudenza è ormai in via di consolidamento, ma dato il numero crescente di casi, l’intervento del legislatore è comunque auspicabile. Ciò che occorre, indipendentemente dal divieto, è l’introduzione di una normativa che prenda posizione sullo status, sul riconoscimento dei legami familiari tra il nato e la coppia committente. È solamente attraverso una disciplina ad hoc che è possibile eliminare l’alone di incertezza, il limbo in cui versano i minori nati da maternità surrogata eseguita all’estero.

Come osservato, la maternità surrogata ha ormai raggiunto dimensioni globali così come il fenomeno del “turismo procreativo”, pertanto è sempre più urgente una regolamentazione a livello internazionale. Il gruppo di studio creato nell’ambito della Conferenza dell’Aja non è ancora riuscito ad avanzare proposte formali a causa della complessità intrinseca del tema affrontato, aumentata dalle differenti legislazioni nazionali. Perciò, se in una prospettiva astratta, l’opportunità dell’introduzione di un simile strumento è considerata necessaria dagli stessi Stati che partecipano al confronto, in un’ottica di fattibilità concreta i tempi

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non sono ancora maturi per il raggiungimento di un accordo di tal genere.

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