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Lo status filiationis instaurato all’estero: tra legame genetico e responsabilità procreativa

Il riconoscimento dello status di figlio a seguito di maternità surrogata all’estero: tra rispetto dell’ordine

3.6 Lo status filiationis instaurato all’estero: tra legame genetico e responsabilità procreativa

Dai casi sopra esposti emerge che la giurisprudenza è incline a escludere che siano espressione di un principio fondamentale derivante dalla Costituzione il divieto di maternità surrogata posto

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dalla legge italiana, sia il contenuto dell’art. 269 comma terzo c.c. Quest’ultimo è solamente indicativo di una regola relativa alla prova della maternità166 , che potrebbe essere provata con qualsiasi

altro mezzo ex art. 269 comma secondo c.c., e pertanto modificabile dal legislatore. Ragionando de iure condendo è possibile elaborare un criterio alternativo e specifico per l’individuazione della figura giuridica di genitore nei confronti di un bambino nato da maternità surrogata eseguita all’estero, orientato alla realizzazione e al soddisfacimento del suo interesse, basandosi su una serie di considerazioni tratte dalle soluzioni in concreto stabilite anche per altri casi:

166 Si tratta di una regola tradizionalmente configurata sulla certezza che la

procreazione non possa che derivare da un’unione fisica tra un uomo e una donna e, di conseguenza, madre non possa che essere colei che dà alla luce la nuova vita. Alcuni si limitano ad una interpretazione adeguatrice dell’articolo: “non è sufficiente il fatto di aver partorito per l’attribuzione della maternità, ma occorre anche che il bambino partorito provenga da un embrione alla cui creazione abbia contribuito l’ovocita della donna che partorisce. […] questa ulteriore circostanza non è stata esplicitata dall’art. 269 c.c. perché la norma risale ad un’epoca nella quale, non conoscendosi i problemi posti dalle nuove tecniche di riproduzione artificiale, essa era ritenuta ovvia dato che non era concepibile una situazione diversa. Attualmente pertanto occorre rendere esplicito ciò che prima era implicito e, quindi, madre sarà colei che partorisce il frutto della fecondazione del suo ovulo”. Questo ragionamento non è comunque in grado di risolvere il problema che la pratica di maternità surrogata pone perché la qualità di madre genetica e di madre biologica o gestazionale non è in capo alla stessa donna e così non essendo questi due requisiti propri né della committente né della gestante si arriverebbe all’assurdo che il bambino non abbia nessuna madre. Così De Tommasi M.C., Riconoscibilità dei c.d. “parental order” relativi ad un contratto di maternità surrogata concluso all’estero prima dell’entrata in vigore della legge n. 40/2004, in Famiglia e diritto, n. 3/2010, p. 270.

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- la Corte di Cassazione, sentenza n. 24001/2014, alla luce della violazione della legge del Paese in cui è stata effettuata la surrogazione e della mancanza di legame biologico da parte di entrambi i genitori ritiene violate le norme sulla filiazione e sull’adozione, disponendo lo stato di abbandono e la conseguente adottabilità;

- la Corte di Cassazione, sentenza n. 19599/2016, ritiene che debba essere tutelato un bambino nato a seguito di un processo procreativo legittimo nel paese di nascita e quindi riconosciuto il rapporto di filiazione già istaurato;

- la Corte Costituzionale, sentenza n. 162/2014, puntualizza che l’ordinamento giuridico considera con favore il progetto di formazione di una famiglia con la presenza di figli indipendentemente dal dato genetico; infatti si ammette la fecondazione eterologa, ovvero permette la procreazione ricorrendo a un contributo genetico esterno alla coppia. La parte in cui il Giudice delle leggi afferma che “il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia” deve essere interpretata nel senso che lo stato di figlio può essere riconosciuto anche in relazione a una coppia in cui un solo membro sia genitore biologico, non che il rapporto sia

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instaurabile verso genitori non biologici: dove ci sia totale estraneità genetica si apre il percorso adottivo.

Da tali punti fermi è possibile partire per elaborare il criterio per cui il rapporto di filiazione, istauratosi all’estero con un bambino nato da maternità surrogata, possa essere riconosciuto allorquando: il bambino abbia un legame genetico con almeno un membro della coppia, la pratica si sia svolta nel rispetto delle norme dello Stato in cui gli aspiranti genitori si sono recati al fine di realizzare un progetto procreativo condiviso167. È su

quest’ultimo aspetto che è opportuno porre l’accento per individuare un criterio alternativo. I membri della coppia committente quando manifestano il consenso all’uso dell’utero della gestante e del suo patrimonio genetico (il quale potrebbe essere anche di altra persona) innescano un meccanismo che come risultato ha la nascita di un bambino, perciò, in base al principio di autoresponsabilità nella procreazione chi ha tenuto una condotta idonea a generare deve poi provvedere al mantenimento, all’istruzione e all’educazione del figlio.168 Come si è affermato

“in materia di filiazione è il criterio del preminente interesse del minore a dover orientare le decisioni in tutte quelle che lo

167 Cfr. Scalisi V., Maternità surrogata: come “fare cose con regole”, in

Rivista di diritto civile, n. 5/02017, p. 1107.

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riguardano […] ed è proprio in attuazione di tale criterio che il profilo della discendenza genetica non è più ritenuto determinante ai fini dell’attribuzione della responsabilità genitoriale nelle ipotesi in cui il rapporto di filiazione è legalmente riconosciuto per il solo fatto che il genitore sociale abbia consapevolmente partecipato al progetto procreativo”.169 Tale ipotesi contiene la

necessaria condizione di almeno un legame genetico, ma nei confronti del genitore privo di questa relazione il riconoscimento del rapporto, già istaurato, si fonda non sul fatto naturalistico ma su quello volontaristico-sociale.170 Non mancano tuttavia studiosi

detrattori del criterio appena esposto, perché “una genitorialità non più fatta di ‘carne’ ma ‘pensiero’ rischia di trascurare i fondamentali aspetti ‘materiali’ insiti nei legami biologico- affettivi di sangue”171. Se si afferma che è genitore non solo chi

fornisce legame biologico o porta avanti la gravidanza e partorisce,

169 Così Palmeri G., Riflessioni a margine della pronuncia della Corte di

Appello di Torino 4.12.2014 in tema di trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero a seguito di procreazione medicalmente assistita, in Nuova giurisprudenza civile commentata, n. 2/2015, p. 252.

170 Il principio di responsabilità procreativa non è estraneo al nostro

ordinamento. L’art. 8 l. 40/2004 stabilisce che i figli nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli riconosciuti nella coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime. Inoltre nella procreazione di tipo eterologo, l’instaurazione del rapporto parentale è basata non sulla corrispondenza tra verità biologica e verità legale, ma sulla prestazione del consenso, che dà avvio alla realizzazione delle procedure che conducono alla nascita del bambino, e ciò comporta l’impossibilità di agire con disconoscimento di paternità.

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ma chi manifesta la volontà di essere tale, niente impedirebbe il cambiare idea e non voler più il bambino una volta nato.172 Come

si è detto, “pare quanto meno preoccupante che possa affermarsi un’idea di genitorialità on demand che consenta agli adulti di affermare o negare i propri status di madre o di padre a seconda dei propri desideri e aspirazioni, indipendentemente dal fatto di avere (naturalmente o mediante procreazione medicalmente assistita) contribuito a generare una nuova vita. […] il rischio, in un’idea di genitorialità che è tale perché ‘voluta’, è di aumentare il rischio che a subirne un pregiudizio sia il minore stesso”173,

eventualità che deve essere in ogni modo prevenuta ed evitata.

3.7 Considerazioni generali sugli orientamenti della