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CAPITOLO 3 YO SOY DEL CAMPO

3.1 Eravamo poveri.

Luisa nasce il 25 agosto 1938 in una finca di campagna, situata tra Jovellanos e Pedro Betancourt (Fig. 5). Quando le chiedevo dov’era nata, di dov’era, la risposta era: “Yo soy del campo”, ovvero io vengo dalla campagna, sono nata in un campo, e questo campo non aveva coordinate specifiche, in una zona, in una via, in un civico. Le coordinate spaziali più precise che è riuscita a darmi sono state appunto un’area di terra compresa tra Jovellanos e

Pedro Betancourt, due paesi che sorgono in mezzo ad un’area sconfinata di campi (Fig. 6), ma la zona esatta non sapeva indicarmela.

Di dove sono? Io sono del campo, sono nata in una finca, i miei genitori erano.. Noi eravamo tre fratelli con mia mamma e mio papà, mio padre era un contadino [campesino], lavorava e vivevamo in campagna [nel campo].

Si dove io sono nata era un luogo di campagna, e il Betancourt di cui ti parlo è un paesino [pueblecito], un paese piccolo, però è un paese. Io sono nata nel campo stesso, io si sono nata nel campo, in un batey , come dicevano [como lo hablamos], noi lo chiamavamo un batey, una 1 2

finca, li sono nata io. 3

Luisa sa di essere nata vicino a queste due cittadine di riferimento, ma non saprebbe indicare il punto esatto, mi ha sempre detto che non ci saprebbe nemmeno arrivare, che neanche all’epoca, quando vi viveva, conosceva bene la zona o le strade, in quanto si muoveva ben poco dalla finca. Si ricorda di essere nata e cresciuta in mezzo ai campi, che raramente lasciava, mi ha raccontato che ogni tanto suo padre la portava in centro a

Il batey di cui parla Luisa era il modo in cui, in gergo, i contadini chiamavano il luogo dove vivevano. Questo

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luogo era costituito da campi, per lo più di canna da zucchero, e casette; era un villaggio dove i contadini risiedevano, non lontani dalla casa e dall’azienda agricola del proprietario terriero.

Il noi viene usato da Luisa per intendere tutti i contadini che vivevano come lei, insieme a lei, nella stessa

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finca. Il noi diventa una categoria che identifica un determinato tipo di persone, di lavoratori, i contadini, delle

Jovellanos per mangiare un gelato, ma che lei non saprebbe indicare la strada per arrivare dove viveva, suppone inoltre che da anni quel posto nemmeno esista più, in quanto da dopo la rivoluzione le fincas sono state praticamente del tutto abolite, e sa che il proprietario della finca dov’è nata, poco dopo il suo matrimonio, ha lasciato le sue terre e Cuba per emigrare negli Stati Uniti.

La finca era una sorta di podere agricolo, nel quale vi vivevano svariati contadini che lavoravano la terra per conto di un proprietario terriero, assimilabile al feudo o al sistema del latifondo. Prima della rivoluzione, avvenuta nel 1959, Cuba era colma di queste tenute agricole all’interno delle quali i contadini vi lavoravano per diverse ore al giorno, ricevendo un minimo profitto dal padrone delle terre. Una delle prime riforme effettuate dal governo rivoluzionario fu proprio quella agraria, secondo il principio di dare la terra ai contadini che la coltivano:

Di tutte le misure adottate dalla rivoluzione in questa tappa [1959-1960], la più trascendentale fu, senza dubbi, la legge della riforma agraria, firmata a La Plata, Sierra Maestra, il 17 maggio 1959, ne beneficiarono più di 100 mila famiglie contadine. Questa inflisse un colpo mortale [asestó un golpe de muerte] al vecchio cancro che era il sistema latifondista e, con esso, al dominio imperialista su Cuba (Navarro 2009: 13).

Il sistema del latifondo era sparso per tutta l’isola ed i contadini erano la classe sociale più diffusa ed anche la più povera in assoluto, non pochi libri cubani assimilano il contadino allo schiavo, date le sue condizioni di vita e di lavoro alquanto precarie. Il contadino normalmente viveva in piccole case, delle quali spesso non era nemmeno il proprietario, lavorando duramente nei campi per un misero salario, coltivando un piccolo appezzamento di terra ad uso personale del quale tantomeno era proprietario.

Più del 40% dell’area totale di Cuba era dominata dal latifondo. Dentro questa enorme porzione della sua patria, il coltivatore cubano non poteva allentare l’aspirazione più profonda e viva dell’uomo che ha una famiglia e desidera garanzie per il suo destino futuro: possedere un pezzo di terra proprio per erigere la sua dimora [levantar su hogar] e coltivare, come lavoratore libero, la terra dov’è nato. Nei domini del latifondo doveva vivere come colono feudatario dello zuccherificio, come impiegato o come bracciante giornaliero, e siccome il latifondo si espandeva, ogni giorno si riduceva la parte del suolo cubano dove si poteva vivere indipendentemente (Rodríguez 2012: 187).

Le condizioni di vita contadina erano davvero dure, a dimostrarlo anche il fatto che i

campesinos furono i più grandi sostenitori della rivoluzione, appoggiando ed aiutando i

vita. La rivoluzione avvenne sotto il principio dell’equità sociale, si volevano cacciare gli oppressori americani, molti dei quali grandi proprietari terrieri, e ridistribuire le terre, dandole ai contadini cubani per fargliele coltivare, facendoli diventare proprietari degli appezzamenti coltivati, come infatti avvenne nel novembre del 1959, quando iniziò il lavoro statale di distribuzione delle terre ai contadini (Rivero 2015: 183).

Era povera [La gente], non tutti, erano poveri i disoccupati ed i contadini [Prima della rivoluzione]. Il contadino era poverissimo, soprattutto perché non era il proprietario della terra che coltivava, non lo era, a volte lo buttavano fuori, gli bruciavano la casa, lo buttavano fuori. Per loro [Per i contadini] non c’era una scuola, non c’era un ospedale, non c’era un medico, non c’era nulla, non contavano per niente, contava soprattutto quello che un contadino poteva produrre e basta. I contadini morivano di fame, erano dei poveracci senza diritti. E tutti questi erano argomenti di Fidel.

Chi era dello strato popolare più basso, il più sofferto, i contadini, dovevano cambiare, ha cominciato la rivoluzione [Fidel Castro] per i contadini. La prima legge è stata la riforma agraria.

Chi erano le persone che hanno aiutato molto [La rivoluzione]? Erano i contadini, i contadini hanno aiutato moltissimo. 4

Brani presenti nell’intervista fatta ad Ercilio.

I contadini erano per lo più gente povera, che viveva in condizioni esistenziali di miseria e precarietà, soddisfando a malapena i propri bisogni primari, lavorando tanto, guadagnando poco, non essendo proprietari di nulla. Luisa mi ha sempre fornito con minuzia descrizioni precise delle sue condizioni di vita, ogni racconto del suo passato contadino ruota attorno al concetto di povertà, concetto che sparirà dalle sue narrazioni da dopo il suo trasferimento in città. Nonostante il fatto che la sua vita, come si vedrà nei capitoli seguenti, sia passata per tappe forse ancor più difficili e problematiche rispetto all’infanzia in campagna, il concetto di povertà scompare totalmente. Per Luisa si era poveri solamente nella finca, dopodiché, dopo l’abbandono del campo, e dopo l’avvento della rivoluzione che ha smantellato il sistema del latifondo, si sono passati periodi difficili, duri, precari, di ristrettezze, e via dicendo con sinonimi analoghi, ma non si tratta più di povertà. La povertà appartiene ad un mondo che scompare nel 1959, e con esso questo aggettivo, il quale viene sostituito con altre parole, di valenza simile, ma non più utilizzato; di ciò ne parlerò anche nelle pagine successive. Nei libri di storia cubana che ho letto in loco ho riscontrato la stessa cosa, si parla di povertà quasi solamente quando si prendono in considerazione i periodi prerivoluzionari, in particolare quando si parla della condizione della schiavitù o contadina, dopodiché il termine scompare. Si scrive o si parla dei tempi postrivoluzionari come duri, difficili, ai quali la gente ha imparato a sopravvivere, ma non segnati dalla povertà; le persone che vivono nel socialismo cubano vivono in ristrettezze

economiche, ma non sono povere. Ho avuto l’impressione, leggendo libri e parlando con i miei interlocutori, non solo con Luisa, che la povertà riguardi un capitolo chiuso ed archiviato del passato, da dopo la rivoluzione non si parla più di povertà, come se la rivoluzione avesse cancellato la povertà da Cuba.

Una volta, all’epoca di mia mamma, la gente era povera. Adesso grazie a dio no, nessuno muore di fame da dopo la rivoluzione, diciamo che non viviamo nel lusso ma non siamo poveri, il minimo non manca [no falta], le cose indispensabili ed importanti ci sono [están]. 5 6

Che all’epoca della madre di Belkis molta gente fosse povera è un dato di fatto, Luisa infatti, come già detto, non può parlare del suo passato vissuto in una tenuta di un proprietario terriero in campagna (pressapoco dal 1938 al 1958) senza parlare di una situazione esistenziale, sociale, di povertà e miseria. Tutti i racconti di questo periodo della sua vita ruotano intorno alla povertà, una povertà materiale che rende la vita nel campo non facile.

Ho avuto molte mancanze [He pasado muchas necesidades], avevo pochi vestiti, poco riso, si viveva in una casa malconcia [mala] e piccola, senza mobili, senza luce né acqua, però per

Per Belkis queste cose sono la casa, la sanità, l’istruzione, e via dicendo. Tutte istanze che sono state

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introdotte a Cuba dal governo rivoluzionario e che prima non erano presenti, o meglio non erano accessibili a tutti, non erano universali e gratuite per tutti i cittadini come lo sono ora.

fortuna senza mangiare non andavamo mai a dormire [no acostábamos nunca], perché mio padre era un gran lavoratore. Eravamo poveri , però abbiamo sempre mangiato cose del 7

campo, scarseggiava soprattutto il denaro, non era come adesso [ahora] che il governo rende facile [te facilita] alimentarsi.

Quando io ero piccola avevamo più necessità, con poco cibo e senza vestiti, però dopo le cose cambiarono [fueron cambiando], ho vissuto [pasé] molta povertà a casa mia, vivevamo in una casa piccola, non avevamo molte cose.. Già dopo le cose iniziarono ad evolversi [fueron

evolucionando], migliorarono, cambiarono, in questo anno della dittatura, prima del trionfo

della rivoluzione c’era molta povertà, tutto era peggio, i poveri facevano fatica [pasaban 8

trabajo]. 9

Fondamentalmente le descrizioni di Luisa della vita nella finca parlano di tre ambiti ricorrenti, tutti collegati alla povertà, ovvero: la casa, il cibo ed il lavoro. Nelle sue narrazioni, personali ed individuali, dove riporta ciò che ha vissuto in prima persona, si possono però anche scorgere elementi della collettività di quella realtà, come le abitazioni tipiche, l’alimentazione base ed il lavoro svolto pressapoco da tutti i contadini del latifondo.

Luisa utilizza il plurale riferendosi al suo nucleo famigliare.

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Per “i poveri” Luisa intende fondamentalmente i contadini.

Per quanto riguarda l’abitazione Luisa mi ha sempre parlato a lungo di essa (Fig. 7), descrivendomela nei minimi dettagli, in quanto ci teneva a farmi capire le sue passate condizioni di vita, le quali testimoniavano la miseria passata nei campi. Nonostante ciò era fiera di raccontarmi il suo passato umile, con me non si è mai lamentata, i suoi racconti avevano la valenza di una testimonianza storica del passato; quello che Luisa voleva farmi comprendere erano in parte le sue vicende ed in parte quello che la gente contadina aveva dovuto passare, come si viveva in quegli anni.

Si una casa di campagna, una casa povera, una casetta di campagna dove noi vivevamo, fatta di legno e senza tetto, il tetto era dritto [recto] e fatto non so di quale materiale, credo tipo gesso. Era una casetta piccola, povera, di campagna.

La casa era di legno, di tavole di legno [de tabla], con il tetto come in fibrocemento, era una casetta piccola, la casetta dove io sono nata, che io mi ricordo, era piccola, eravamo cinque e aveva solamente una camera, li dormivano mio papà e mia mamma in un letto, io in un lettino più piccolo, mi tenevano a me che ero la più piccolina della casa, e in un altro letto dormivano i miei fratelli, mio fratello e la mia sorella morta, loro due, io, mio padre e mia madre tutti in una stanza. Una sala, una cucinetta piccola, un portico, un piccolo portico che aveva anche il tetto, così non si bagnava. A mia mamma le piaceva curare il giardino con mazzi di fiori molto carini. Avevamo una latrina, costruirono una latrina fuori, ogni due case

c’era una latrina, era nel patio, come dire da qua fino alla tua stanza , era come una fossa 10

dove gli si buttava acqua ed era per due case, però questo si fece quando io ero già grande, quando ero piccola si facevano i bisogni in un buco e si coprivano con della terra, eravamo poveri. Eravamo poveri ed il posto era insalubre, io mi ricordo che una volta si sparse una febbre infettiva di tifo.

Un fratello di mio padre, perché aveva un bohío , lui aveva una casetta uguale alla nostra, 11

però aveva un bohío, un bohío più grande e più forte, la loro casa era uguale alla nostra, tutte le case di questo batey erano dello stesso stile, di legno […] Se uno era povero e aveva molti figli non aveva una casa grande per tutto il mondo, quindi c’era gente che dormiva nei bohíos. 12

La famiglia Rodriguez, come tante altre famiglie di campesinos, viveva in questa casa piccola e malconcia, priva di qualsiasi comfort, i contadini erano talmente poveri che anche la loro casa era povera, l’aggettivo povero viene dato da Luisa ad ogni aspetto e ad ogni cosa della vita contadina. La vita nel campo non era facile, anzi era difficile in ogni suo ambito, non c’era elettricità, non c’era gas, non c’era l’acqua corrente, non c’era nulla, fare qualsiasi cosa equivaleva al fare uno sforzo non esiguo.

La sala, dove stavamo parlando io e Luisa, e la camera dove io alloggiavo sono distanti circa quindici metri.

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Luisa utilizza questo riferimento spaziale per farmi capire quanto distante era il bagno dall’abitazione. Un bohío è una sorta di capanna fatta di legno, alcune famiglie contadine della finca dove viveva Luisa ne

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possedevano uno, solitamente veniva utilizzato come magazzino, per riporvi attrezzi o piccoli animali, le famiglie con prole numerosa però lo utilizzavano anche come dormitorio, per farci dormire i figli.

[…] noi non avevamo il frigorifero perché eravamo poveri, noi non conoscevamo che cosa era il frigorifero in questa epoca. Noi ci facevamo luce [Nos alumbrábamos] con una lampada di vetro, come te lo spiego [como te lo digo], sotto era vetro nel quale si metteva del lubrificante, e dentro vi era uno stoppino, e noi ci facevamo luce con questo, perché non avevamo la luce elettrica, non la avevamo. Io ti sto parlando della fatica [de los trabajos] che noi abbiamo passato, noi ci facevamo luce così perché vivere in campagna non era facile, era una vita povera, durante il tempo dei cicloni nemmeno parlarne.

L’acqua dovevamo caricarla, li vi era [había] un mulino a vento dove c’era un pozzo con dei tubi, era un pozzo molto profondo, io andavo fino a quel pozzo, io ero una ragazza, una adolescente, e mentre mio papà andava a lavorare nel campo io andavo a caricare acqua col secchio.

E quindi noi dovevamo caricare l’acqua da questo pozzo tutti i giorni con un secchio o due, quando dovevamo lavare riempivamo un contenitore, per poter lavare vestiti del campo sporchi [ropa de campo sucia], immagina che non c’era la lavatrice era a mano, dovevi romperti le mani per levare lo sporco.

Non avevamo il gas a quel tempo, si cucinava con il carbone, e se non avevi il carbone dovevi cucinare con la legna. Mio padre tagliava legna, poi c’era un camino [fogón] in cucina, e a volte avevamo bisogno [necesitábamos] della legna perché il carbone finiva, si utilizzava per stirare, per riscaldare l’acqua per lavarsi, per tutto ciò, quindi se finiva il carbone mia madre

doveva cucinare con la legna. Mia madre cucinava nel camino con quattro pezzi di legno e un fornello, gli metteva sopra la casseruola, non c’erano pentole come oggi. 13

Qualsiasi attività domestica richiedeva tempo, impegno e fatica, le condizioni di vita erano precarie, vi erano mille difficoltà nelle fincas, eppure Luisa mi disse più volte di ritenersi fortunata, perché a differenza di altri, nonostante la miseria, il minimo indispensabile per poter vivere l’ha sempre avuto. In particolare insisteva molto sul fatto che diversa gente non aveva di che mangiare, ma ciò per fortuna non riguardava la sua famiglia, probabilmente perché non era poi così numerosa e quindi le bocche da sfamare non erano poi così tante, inoltre suo padre era un gran lavoratore, per questi motivi mi raccontava che lei, sua sorella e suo fratello non sono mai andati a dormire a stomaco vuoto. Il cibo non era abbondante ne vario, era un cibo povero, quasi sempre uguale, ma c’era, ed anzi era più facile sfamarsi in campagna che in città.

Ah si, come no, furono anni brutti, molto brutti [muy malos], e mancavano gli alimenti, e i governi che c’erano, Jenny [La nipote] sa più o meno che presidente potrebbe esserci stato in questi anni difficili, io non mi ricordo che presidente, più di uno, non prestava attenzione a ciò, avevamo fame nel senso che avevamo molta necessità di cibo [necesidades con la comida]. 14

Brani presenti nelle interviste fatte a Luisa.

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Mio padre lavorava, lavorava, e coltivava, però per esempio il riso scarseggiava, furono epoche, in altre epoche si raccoglieva più riso, e a seconda [dei raccolti, buoni o meno] il governo aiutava [oppure no], per fortuna non siamo mai stati totalmente a digiuno 15

[quedarnos sin comer nunca], però avevamo molti bisogni.

[…] li era un campo, qualcuno aveva carne da vendere, però per esempio i polli si allevavano in casa, nel giardino [en el patio] avevamo piccoli animaletti. Mio padre allevava gli animali e coltivava tuberi, ai quali si aggiungeva il mais, per darlo come alimento agli animali, con i tuberi si facevano ingrassare i maiali, a volte abbiamo avuto dei maiali, pochi, tre o quattro, ma per la famiglia, per esempio lui ne uccideva uno in agosto, giugno o maggio, ne uccideva uno per la fine dell’anno a dicembre, per festeggiare l’ultimo dell’anno o il natale, vi era si chi allevava maiali per lavoro, per poi venderli, ma non mio padre, lui lo faceva per la famiglia. Quando uccideva un maiale, siccome noi non avevamo il frigorifero friggevamo tutto, il maiale si friggeva in una grande pentola, si friggeva tutta la carne e si conservava tutta dentro ad un recipiente pieno di grasso, anche le ossa ben fritte si conservavano nel grasso in modo tale che non andassero a male [no se echaran a perder] , così la carne durava mesi e non andava a male perché il grasso la proteggeva. A seconda della stazza del maiale, c’erano volte in cui si uccideva un maiale enorme [grandísimo], e quindi la quantità di carne era spaventosa [horrible] e piena di massa, si mangiava tutto con tutta la gente della finca.

[…] carne di maiale, di pollo, che non si poteva mangiare tutti i giorni per il costo, la comprava [Il padre di Luisa] perfino di mucca a volte, beh i maiali si allevavano per non

comprarla, mio papà non aveva bisogno di andare a comprare carne di maiale, però i poveri non avevano soldi, questo io l’ho visto con i miei occhi, non mi sto inventando, tutto quello che ti sto raccontando è perché io l’ho visto. Mi ha detto mio papà che c’erano volte che andava a comprare carne, e c’era carne verde, verde perché era già decomposta, e i poveri non avevano soldi con i quali comprare e quando quello della macelleria buttava la carne loro ne prendevano un pezzetto per mangiarla.

E il gelato per esempio, quando mio papà riscuoteva lo stipendio [cobraba], guadagnava quando si terminava il raccolto o qualcosa di questo genere che guadagnava più soldi,