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Attraverso gli occhi di Luisa. Itinerari etnografici tra storia e storia di vita. Cuba, Matanzas.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale

in Antropologia Culturale, Etnologia, Etnolinguistica

Tesi di laurea

Attraverso gli occhi di Luisa.

Itinerari etnografici tra storia e storia di vita.

Cuba, Matanzas.

Relatore Ch. Prof. Gianluca Ligi

Correlatrici Dott.ssa Olivia Casagrande Dott.ssa Valentina Bonifacio

Laureanda Camilla Fabris Matricola 843621

Anno Accademico

2016 \ 2017

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Attraverso gli occhi di Luisa.

Itinerari etnografici tra storia e storia di vita.

Cuba, Matanzas.

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Ai miei genitori, per il loro sostegno.

A Luisa,

per aver condiviso con me la sua storia.

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Le tracce di quello che è stato ci sono:

relegate ai margini, però, e bisogna lavorare per farle emergere, per far loro raccontare una storia che non è quella che leggiamo sui manuali.

Paolo Jedlowski

Il racconto come dimora. Heimat e le memorie d’Europa, 2009.

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INDICE

13 Ringraziamenti

16 1. Uno sguardo introduttivo

18 1.1. Perché Cuba ed una biografia.

32 1.2. Metodologia, le storie di vita.

45 1.3. Un accenno di storia cubana.

53 2. La viejita que vende hielo 55 2.1. Luisa Rodriguez Morales.

63 2.2. Tra socialismo e capitalismo.

76 2.3. Dalla nonna alle nipoti.

90 3. Yo soy del campo 91 3.1. Eravamo poveri.

112 3.2. L’infanzia conclusa.

125 3.3. Prima e dopo la dittatura.

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138 4. Me arreglaron la casa sin cobrar nada 140 4.1. Dalla campagna alla città.

156 4.2. Un divorzio e due figli.

170 4.3. Grazie alla Rivoluzione.

179 5. Una libra de carne valía hasta setenta pesos 182 5.1. Dalla dogana alla pensione.

190 5.2. L’embargo ci ha chiusi.

202 5.3. Abbiamo resistito a tutto.

214 6. Considerazioni conclusive 214 6.1. Un’isola in fermento.

227 6.2. Un luogo considerato casa.

236 6.3. I segni di una vita.

247 Appendice I Interviste 249 Luisa, intervista 1.

257 Luisa, intervista 2.

273 Luisa, intervista 3.

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285 Luisa, intervista 4.

302 Luisa, intervista 5.

314 Ercilio, intervista 6.

336 Daylin, intervista 7.

347 Appendice II Immagini 349 Fig. 1 - Carta geografica di Cuba.

349 Fig. 2 - Io e Luisa, Matanzas.

350 Fig. 3 - Carta geografica della città di Matanzas.

351 Fig. 4 - Casa di Luisa, Matanzas.

352 Fig. 5 - Carta geografica della provincia di Matanzas.

353 Fig. 6 - Carta geografica della zona Jovellanos - Pedro Betancourt.

354 Fig. 7 - Luisa da bambina, Pedro Betancourt.

355 Fig. 8 - Libretto dei prodotti statali.

356 Fig. 9 - Jovellanos.

357 Fig. 10 - Chiesa di Jovellanos.

358 Fig. 11 - Luisa negli anni ’60, Matanzas.

359 Fig. 12 - Quartiere Dubrocq, Matanzas.

360 Fig. 13 - Luisa il giorno del suo matrimonio, 1963, Jovellanos.

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361 Fig. 14 - Luisa con i suoi due figli, 1969, Matanzas.

362 Fig. 15 - Luisa negli anni ’80, Matanzas.

363 Fig. 16 - Jesus, figlio di Luisa, 1986, Matanzas.

365 Albero genealogico di Luisa

368 Cronologia minima della vita di Luisa

372 Cronologia minima della storia di Cuba

400 Bibliografia

410 Sitografia

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RINGRAZIAMENTI

La mia ricerca sul campo è stata resa possibile grazie al sostegno di più persone, alle quali dedico queste due pagine.

Sono infinitamente grata, in primis, ai miei genitori, Raffaella e Vladimiro, le mie due colonne portanti, i miei più grandi fan, i quali mi hanno appoggiata nel mio progetto di ricerca in tutto e per tutto, non solo a livello economico.

Ringrazio il mio Professore e Relatore Gianluca Ligi, per i suoi saggi consigli e per la pazienza avuta nel seguirmi in tutte le fasi della mia ricerca, dalla progettazione, al campo, alla stesura della tesi.

Il mio riconoscimento va anche ai miei nonni materni, Annamaria e Tullio, i quali non solo mi hanno appoggiata con le loro mance, ma anche e soprattutto con il loro affetto.

Un ringraziamento speciale non può non andare a Luisa, la quale non solo mi ha aperto le porte della sua casa prendendosi cura di me, ad esempio preparandomi il brodo di pollo quando avevo mal di stomaco e non riuscivo a mangiare nemmeno un biscotto, ma anche perché ha deciso di accogliermi nella sua vita condividendo con me la sua storia, gliene sarò eternamente grata.

Altri ringraziamenti, ma non meno importanti dei primi, vanno a Belkis, una donna straordinariamente altruista, la quale mi ha accolta in casa sua senza nemmeno conoscermi

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come se fossi una figlia, alle sue due figlie, Jenny che mi ha aiutata ad ambientarmi e Laura, diventata praticamente una sorellina minore, ed a tutti i vicini di casa di Belkis, gli abitanti del Cuartel Dubrocq, i quali venivano spesso a trovarmi per sapere come stavo.

Un sentito grazie va a tutti i collaboratori dell’Oficina de Historia, con sede a Matanzas, presso la quale io mi potevo rivolgere in qualsiasi momento per qualsiasi cosa, in particolare ringrazio Ercilio Vento Canosa, sempre disponibile nei miei confronti, Adianes Ponce, con la quale ho condiviso diversi momenti di svago, Luis Molina, sacerdote santero che spesso mi affascinava con i racconti sulla sua religione, e Daylin Bilvao, diventata un’amica.

Ringrazio anche Antonio Danieli per avermi messa in contatto con la Fundacion Antonio Núnez Jiménez de la Naturaleza y el Hombre con sede all’Havana, tramite la quale ho avuto il visto per poter permanere così a lungo a Cuba, ringrazio inoltre un impiegato della fondazione, Esteban Grau, che vive a Matanzas, il quale in svariate occasioni mi ha aiutata con la mia ricerca, portandomi in giro con la sua motocicletta rossa, armato di macchina fotografica, per farmi conoscere e catturare più luoghi possibili.

Infine ringrazio tutte le persone conosciute durante lo svolgimento della mia ricerca sul campo, che posso definire mie interlocutrici, le quali mi hanno aiutata a scoprire ed a comprendere una parte della cultura cubana.

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CAPITOLO 1

UNO SGUARDO INTRODUTTIVO

In questa tesi mi sono posta l’obbiettivo di analizzare alcuni eventi cruciali della storia di Cuba, volendo documentare alcune trasformazioni subite dall’isola nel corso degli anni. Il tentativo è quello di cercare di capire, di cogliere, il significato di determinati avvenimenti, come essi possono essere stati interpretati dalle persone, cosa hanno significato per chi li ha vissuti. Ho voluto soffermarmi su alcuni periodi, su alcune tappe storiche che ho ritenuto particolarmente interessanti, significative, probabilmente salienti, quali il periodo prerivoluzionario capitalista, i cambiamenti apportati dalla rivoluzione socialista, il periodo especial (tradotto periodo speciale) durante il quale Cuba è stata afflitta da una grave crisi economica, ed ovviamente non ho potuto non prendere in esame anche l’attualità nella quale sono stata immersa.

Lo scopo che inizialmente, ancora prima di partire per la ricerca sul campo, mi ero posta era quello di ricostruire una sorta di storia di Cuba utilizzando dei racconti individuali, personali, per tentare di mettere in risalto la differenza tra storia generale, stereotipi ed il vissuto dei singoli individui. Una volta sul luogo ho deciso invece di svolgere

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il mio lavoro di ricerca basandomi su un’unica storia di vita, sulla biografia di Luisa Rodriguez Morales, una donna cubana di settantotto anni, con la quale ho vissuto per tutti e quattro i mesi della mia permanenza sul campo. Questa tesi prende quindi in considerazione dei periodi, degli accadimenti, della storia generale di Cuba, volendo però analizzarli attraverso la storia individuale di questa anziana signora. Nello specifico, attraverso l’utilizzo della metodologia antropologica delle storie di vita, vengono di seguito trattate quattro fasi storiche differenti, ovvero: quella attuale, quella prerivoluzionaria nella quale Luisa ha vissuto in una famiglia contadina, passando dalla dittatura di Batista al trionfo della rivoluzione di Fidel Castro, quella del socialismo, dove questa donna è passata dal vivere in campagna come figlia al vivere in città come sposa e madre di famiglia, ed infine quella del periodo especial con tutte le sue difficoltà.

Ancor prima di partire per la mia ricerca, svariate volte mi è capitato di leggere notizie relative a Cuba in riviste, articoli, giornali e siti internet, l’ho sentita nominare per televisione ed alla radio, ho udito diverse persone parlarne, solitamente per la sua ideologia politica. Penso che la particolarità della storia di quest’isola sia innegabile, ho sempre avuto l’impressione però, parlando con le persone, a prescindere dall’approvazione o dalla repulsione per la svolta politica cubana, che questo Paese venga spesso intriso di un’aurea mistica, il mio parere è che Cuba venga abbastanza mitizzata, idealizzata, sia vittima di

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molti stereotipi e generalizzazioni che personalmente ritengo abbastanza superficiali.

Questa tesi quindi vorrebbe anche, oltreché confrontare macro-storia e micro-storia, contribuire a sfatare, almeno in parte, la visione leggermente esotizzante che diverse persone hanno dell’isola. Nello specifico vorrebbe mostrare una realtà che si discosta totalmente da alcune affermazioni che, non di rado, possono circolare nei riguardi di Cuba, quali ad esempio, tra le più popolari, che l’isola sia un luogo nel quale lo scorrere del tempo si sia fermato agli anni ’50-’60, oppure che la vita dei cubani, nonostante tutto, sia rosea in quanto lo Stato si faccia garante di ogni aspetto della vita dei cittadini. Nulla di più errato, ho appreso infatti durante la mia ricerca sul campo quanto possano essere errate diverse visioni nei confronti di questo angolo di mondo caraibico, in particolare quelle sul comunismo e sul socialismo, sullo stile di vita, sull’embargo, e via dicendo.

1.1 Perché Cuba ed una biografia.

Prima di un luogo, di un campo di studio, vi è l’amore per una lingua. Ero solo una bambina quando iniziai ad appassionarmi allo spagnolo, non saprei indicare precisamente quando e perché iniziò questo mio interesse, so solo che scaturì molto presto; ho da sempre sentito una forte attrazione verso questa lingua e verso un mondo, che per semplificazione,

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mi permetto di definire ispanico, un’attrazione che perdura con l’età senza affievolirsi.

Grazie all’università scoprii il mondo dell’America Latina, alla triennale scelsi il mio percorso universitario, cercando di inserire all’interno del mio piano di studi dei corsi che potessero combaciare con i miei interessi, avevo già l’idea di iscrivermi alla laurea magistrale di antropologia e avevo già deciso che avrei fatto ricerca sul campo in America Latina. Poi arrivò l’ora di scegliere effettivamente dove andare, inizialmente non avevo le idee chiare, non sapevo che posto scegliere, sarei andata ovunque, purché in questa parte del mondo. Dall’America Latina in generale, stilando liste, facendo ricerche, chiedendomi cosa davvero mi interessasse studiare emerse una meta, Cuba. Questa scelta è stata postuma e ponderata, a differenza della scelta più amplia della zona, stabilita per passione già da mesi se non da anni; Cuba, non lo nascondo, era però una delle mete che già avevo in mente tra quelle preferite. Era un’isola che mi attraeva per la sua storia, un po' particolare, affascinante, mi incuriosiva, anche perché mio padre ha sempre avuto (ed ha tutt’ora) nel suo studio un post-it attaccato su una mensola di legno sopra la sua scrivania che riporta la scritta: “Hasta la victoria siempre!” (Celebre frase di Che Guevara, la qual ideologia spesso riecheggia tra i miei familiari paterni). Ho scelto questa meta per curiosità e per andare a scovare una realtà differente da quella che può essere proposta da alcuni articoli, notizie, luoghi comuni, eccetera, che circolano in Italia. Non nascondo inoltre la mia passione per la storia, ho sempre pensato che fare una ricerca sul campo in questo

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luogo mi permettesse, mi desse l’opportunità, di unire due materie che personalmente trovo meravigliose, l’antropologia e la storia, e infatti fortunatamente così è stato.

Sono arrivata a Cuba il 10 luglio, i primi tre giorni li ho passati in una casa particular in campagna, a Matanzas (Fig. 1), completamente isolata dalla città, a parlare con la proprietaria della casa, Dori, una signora gentile ed ospitale, la quale mi fornì delle prime informazioni sul luogo. Quelle che a Cuba vengono chiamate case particolari sono paragonabili all’incirca ai nostri Bed & Breakfast, in pratica sono case, a volte ville, molto grandi con più stanze, i proprietari affittano le camere in eccesso a chi ne ha bisogno e su richiesta forniscono vari servizi quali la colazione, i pasti, la pulizia, e via dicendo. Trascorsi questi tre giorni venni colta dalla disidratazione, non ero in gran forma, mi faceva male lo stomaco e la nausea era perenne, così mi spostai in città a casa di una ragazza di nome Daylin, la quale lavora in una fondazione, l’Oficina de Historia, collegata ad un’altra associazione (Fundacion Antonio Núnez Jiménez de la Naturaleza y el Hombre) con sede nella capitale, all’Havana, grazie alla quale ho avuto il visto, diverso da quello turistico, per poter permanere così a lungo nel Paese (circa quattro mesi). Sono rimasta solo una notte, quindi circa due giorni, a casa di Daylin, la quale si era offerta di ospitarmi per aiutarmi a riprendermi dal malessere, dopodiché mi sono trasferita definitivamente a casa di Belkis, una dottoressa di quarantanove anni, la quale, senza nemmeno conoscermi, tramite

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l’Oficina de Historia, si è offerta di ospitarmi per tutta la durata della mia permanenza a Cuba in cambio di un aiuto economico per le spese minime quali acqua, corrente, cibo e cose analoghe. Dopo alcune settimane il senso di spaesamento provato inizialmente iniziò ad abbandonarmi, giravo per la città e parlavo con le persone, le mie prime impressioni su quel luogo, composto da moltissime case ed edifici che cadono a pezzi, o in via di costruzione, iniziarono a cambiare. I primi tempi non facevo altro che notare il degrado materiale della città, tutto mi pareva vecchio, decrepito, incompleto, mi scocciavo perché nei negozi non trovavo quello che cercavo, nemmeno il bagnoschiuma, mi sembrava strano che in casa spesso non ci fosse l’acqua corrente, mi chiedevo dove fossi finita e chi me l’avesse fatto fare.

Ancora una volta emerge, malgrado tutto, la realtà del sottosviluppo. In definitiva in America Latina tutto continua a ruotare attorno ad esso (Segre 1993: 9).

La realtà, l’idea del sottosviluppo che mi colpì inizialmente ben presto mi abbandonò, parlando con le persone e scoprendo nuove cose a poco a poco Cuba mi apparve tutt’altro che sottosviluppata. Capii che le carenze, soprattutto materiali, erano svariate, ma non per questo definirei Cuba un Paese sottosviluppato, aggettivo che nell’uso comune comprende all’interno di se varie accezioni applicabili a più varianti. Sfogliando un dizionario, sotto la definizione di sottosviluppato, vi si trova indicato che se applicato ad un’area geografica

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s’intende che questa presenta condizioni economiche e sociali di profonda arretratezza.

Cuba ha certamente a che fare con grandi problemi economici ereditati dal suo passato, ma io col tempo non riuscii più a collocarla all’interno di questa categoria. In questo angolo di mondo, soprattutto a causa dell’embargo economico, mancano moltissime cose, non ci sono i soldi per sistemare le città, per i restauri, per far arrivare l’acqua nelle case, e per molte altre cose, eppure lo Stato riesce a garantire istruzione e sanità gratuite ed universali, nonostante i vari problemi tutti i cittadini mangiano ed hanno un tetto sotto il quale vivere, moltissime persone sono laureate, vi è libertà di parola, di culto, sono pochi i problemi sociali quali la violenza, la povertà assoluta e via dicendo. Da ciò si può evincere il motivo per il quale l’aggettivo “sottosviluppato” non calza proprio a pennello se applicato a questo Paese.

Iniziai a scoprire la storia di Cuba parlando con Luisa, ed ovviamente iniziando anche a leggere libri di storia generale, Luisa è la madre di Belkis, la protagonista della mia tesi, ha quasi ottant'anni e vive con sua figlia e le due nipoti, Jenny e Laura. Parlavamo anche per ore, lei aveva qualcosa da raccontare ed io ero interessata a ciò che lei aveva da dirmi, dopo un mese di conoscenza decisi che avrei stravolto il mio progetto di tesi. L’idea di concentrarmi sulle storie di vita, prediligendo la qualità alla quantità, vi era già, solo che prima di partire il progetto era quello di scegliere tre o quattro interlocutori privilegiati dei

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quali documentare la storia per poi ricostruire la storia di un luogo. Decisi invece in corso d’opera di concentrarmi solamente su Luisa, data la sua propensione a parlarmi della sua vita, appoggiata anche dal mio Relatore, il quale, dopo aver letto la mia e-mail nella quale lo informavo di questa mia idea, mi rispose: “Se ha possibilità di trascorrere molto tempo con questa persona anziana (Luisa) e riesce a capire bene quando le parla, potrebbe senz’altro sviluppare una sorta di storia di vita”. Le circostanze mi erano d’aiuto, passavo molto più tempo con Luisa che con chiunque altro, ci vivevo insieme, ci intendevamo perfettamente, capivo molto meglio lei che alcuni ragazzi della mia età, che spesso parlavano velocissimi, in una sorta di dialetto o slang giovanile, mangiandosi le parole ed utilizzando abbreviazioni. Quando illustrai a Luisa il mio progetto, chiedendole se avessi potuto documentare la sua storia, magari tenendola anonima se non le fosse piaciuta l’idea che scrivessi il suo nome e cognome in una tesi di laurea che poi sarebbe stata letta da un certo numero di persone, ne fu entusiasta. Sembrava che non aspettasse altro, non solo mi permise di documentare la sua vita, mi impose anche di scrivere il suo nome ed il suo cognome, dicendomi che ne sarebbe stata orgogliosa. Ho scelto di concentrati su una storia di vita non perché essa sia particolarmente significativa, Luisa non fu una combattente dell’esercito ribelle, non è un’attivista del Partito Comunista, non venne arrestata sotto una dittatura, nulla di simile. Luisa è una normale cittadina cubana con la voglia di raccontare,

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la sua storia non ha nulla di straordinario, le sue vicende non sono epiche, ha semplicemente vissuto varie epoche storiche, dal 1938 ad oggi.

Questa tesi è stata mossa da svariate domande di ricerca, alcune rimaste invariate ed altre cambiate durante lo svolgimento del lavoro sul campo. Sul piano storico vi erano molti avvenimenti che mi incuriosivano: la Cuba capitalista dominata da governi alleati degli Stati Uniti, la dittatura di Batista (1952-1958), il periodo della rivoluzione (1953-1959), la svolta politica socialista e l’embargo (1960), l’invasione della baia dei porci (1961), la morte di Ernesto Che Guevara (1967), il periodo especial (1990-2000). Volevo capire se queste date “classiche”, che si trovano nei manuali di storia, e che quasi tutti conoscono in relazione alla situazione di Cuba, sono effettivamente le più rilevanti, o se invece vi sono altre date ed altri avvenimenti (magari meno conosciuti) dotati di grande rilevanza per le persone del luogo. Ovviamente non sono riuscita ad approfondire ogni aspetto che mi ero preposta di analizzare, mi sono focalizzata solo su alcune tappe storiche, facendomi guidare dalle narrazioni di Luisa.

Interessandomi anche del rapporto esistente tra la memoria e l’oblio inizialmente volevo scoprire quali erano a Cuba le cose maggiormente ricordate, rimarcate, non solo perché è doveroso ricordare alcuni avvenimenti o certe persone, ma anche perché possono essere

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ritenute parte integrante dell’identità. Volevo scoprire quali ricordi venissero tramandati alle nuove generazioni e se anche le persone più giovani narrassero vicende ritenute importanti seppur non vi hanno partecipato direttamente. Al contrario volevo anche scoprire se vi fossero argomenti celati, di cui le persone o hanno poca memoria o intenzionalmente non vogliono trattare perché preferiscono rimuovere e dimenticare;

eventi che possono essere ritenuti troppo dolorosi o di cui si prova vergogna, o semplicemente ritenuti di poco conto, e scoprirne le motivazioni. Di fatto mi sono sicuramente inoltrata nelle tematiche della memoria e dell’oblio, ma più nel particolare che nel generale, ovvero per quanto riguarda la storia di vita da me analizzata.

La domanda principale che aveva ispirato la mia ricerca dall’Italia, e che posso dire mi abbia accompagnata per tutta la durata della mia ricerca sul campo, è stata pressapoco la seguente: com’è cambiata la vita a Cuba da prima a dopo la rivoluzione? Diversi fenomeni, tra i quali quelli socio-economici e politici, trasformano la percezione delle persone, sono parte integrante di ciò che può essere definito come il plasmare identità e memoria di una comunità. Dopo la rivoluzione moltissime norme e leggi hanno trasformato la vita delle persone, io sono riuscita ad avvicinarmi a questi aspetti non solo parlando con più interlocutori, ma anche attraverso le narrazioni di una singola persona, Luisa. Ovviamente

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altre mille domande di rilevanza cruciale ai fini della stesura della mia tesi sono sorte durante la ricerca sul campo.

Un altro aspetto che inizialmente mi interessava esaminare era la concezione del tempo, quindi il fatto che la rivoluzione potesse essere un evento che taglia in due la storia, che orienta i ricordi in modo tale da dividerli, da renderli pensabili in base ad un prima e ad un dopo (Ligi 2009: 35). Volevo scoprire se la rivoluzione, con tutte le conseguenze che ha portato negli anni successivi, fosse considerata dagli abitanti di Cuba come un evento determinate, che differenzia in modo evidente il prima ed il dopo della storia. Sul campo ho scoperto che la rivoluzione sicuramente divide alcuni avvenimenti rendendoli pensabili da alcune persone, specialmente le più anziane, in base ad un prima e ad un dopo, ma che anche il periodo speciale riveste la sua importanza in merito a tale questione.

Un’altro ambito che mi ha sempre incuriosito, sia prima che durante lo svolgimento della ricerca, è quello dell’embargo. Volevo scoprire come la cosa è stata vissuta dalle persone e come è stato affrontato il problema di non trovare più nell’isola merci straniere delle quali forse si era fatta un’abitudine. Mi sono sorpresa nell’apprendere che i problemi maggiori si sono presentati non dopo la rivoluzione, quando l’embargo è stato istituito nel 1960, ma negli anni ’90 con il crollo dell’Unione Sovietica, dalla quale Cuba dipendeva per

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gran parte delle importazioni. Un posto di rilevanza, non solo nell’isola ma anche nella mia tesi, viene occupato infatti da questo periodo storico, chiamato “speciale”.

Argomenti decisivi emersi invece solo ed esclusivamente una volta arrivata a Cuba sono stati quelli più attuali riguardanti ad esempio l’incremento del turismo, l’apertura di attività private, la crisi economica che affligge le famiglie, il problema della doppia moneta e la questione dell’emigrazione sempre più consistente di cubani, che lasciano l’isola per recarsi all’estero in cerca di fortuna, puntando a migliorare il proprio stile di vita. Queste sono tutte tematiche che sono riuscita a cogliere non solo stando a contatto con le persone, ma anche e soprattutto attraverso i racconti di Luisa e della sua famiglia.

Ho deciso di svolgere una tesi di questo tipo perché avevo scelto, ancora prima di partire, di privilegiare i vissuti rispetto alle generalizzazioni, poiché in fin dei conti sono i singoli individui, e non le culture in generale, quelli che gli antropologi incontrano, quelli con i quali si ha a che fare durante una ricerca sul campo. L’idea è stata quella di trascrivere una sorta di storia di vita, indubbiamente in rapporto con la storia del luogo, senza la pretesa però di trarre grandi generalizzazioni su Cuba o sui cubani. Mi piacerebbe far scorgere una parte di realtà, vista attraverso gli occhi di una persona che quella realtà l’ha vissuta, l’ha pensata, l’ha interpretata, l’ha agita caricandola di senso. Personalmente

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ritengo che le narrazioni personali e le biografie possano essere viste come vicende di fatti concreti e parti, seppur minuscole, della storia, anche se queste solitamente non rientrano, non fanno parte, della storia che si potrebbe definire ufficiale, istituzionale. La storia generale, a volte astratta dai vissuti dei singoli individui, costituita da eventi e date, come quella dei manuali, è sicuramente una fonte preziosa per conoscere alcune tappe del passato, ma non lo è per cogliere i significati dati al vissuto, per cogliere il senso che l’azione ha per chi la compie.

Ho ritenuto interessante svolgere un lavoro di questo tipo, incentrato sul vissuto e sulla memoria, inoltre intervistando singoli individui, in particolare Luisa, ho potuto scorgere il rapporto esistente tra memoria individuale e memoria collettiva. Prendere in esame la narrazione di un evento può offrire uno sguardo non solo sull’evento in quanto tale, ma anche sulla percezione che la persona ha avuto del fatto raccontato. In fine i racconti, le narrazioni, possono mettere in risalto un aspetto assai interessante ai fini della ricerca antropologica, ovvero la discrepanza esistente tra fatto realmente accaduto e distorsione o invenzione della persona che racconta.

Sono consapevole del fatto che una storia di vita non possa essere utilizzata come esempio generale, ma io non avevo nessuna intenzione di utilizzare il particolare per

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arrivare a delle generalizzazioni, la storia di Luisa non è la storia di Cuba, Luisa non è la cubana tipo. Il fatto è che io da diversi libri, articoli, di storia o di attualità non riuscivo a capire, ad esempio, cosa significasse vivere in un Paese nel quale vige un embargo sino a quando non mi sono rapportata con una persona che lo ha vissuto, che tutt’ora lo vive. Ciò non vuol dire che per tutti i cubani aver vissuto determinate situazioni significhi la stessa cosa, però personalmente ritengo che le storie di vita possano far avvicinare lo studioso alla comprensione di alcuni eventi per come essi sono stati vissuti ed interpretati da qualcuno, un qualcuno che è comunque e pur sempre immerso in un contesto sociale e che partecipa, anche se solo in minima parte, alla storia generale del suo luogo, della sua comunità. In fin dei conti, senza l’attività degli individui concreti non c’è produzione di storia (Passerini 1988: 58), probabilmente la storia di vita più che far scorgere la storia (intesa come storia generale, da manuale) fa scorgere una piccola sfaccettatura possibile di essa. Io ho voluto provare a comprendere, ad avvicinarmi ad un mondo, ad una cultura, a degli avvenimenti storici, tramite un vissuto, ed indubbiamente la storia di vita mi ha introdotto in uno scorcio personale ma non solo, anche collettivo, del resto, con le parole di Pietro Clemente:

Le storie di vita ci fanno assistere allo spettacolo meraviglioso (che mai potrebbe essere

“osservato” dall’esterno da un antropologo) , di una cultura vista dall’interno di una vita, e di una vita vista all’interno di una cultura (Clemente 2013: 156).

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In questa tesi ho scelto di dare un nome ed un cognome a degli eventi, spero di poter dare l’opportunità a chi legge di comprendere alcuni fatti della storia cubana non solo sul piano storico generale, ma anche e soprattutto da un punto di vista di chi quei fatti li ha vissuti in prima persona. Anche alcuni testi di antropologia, diverse etnografie, non fanno trapelare il vissuto dei singoli individui, capita che gli antropologi non citino nemmeno i propri interlocutori, mischiano i resoconti ottenuti dalle loro fonti per arrivare a scrivere un testo che di fatto resta privo di soggetti. È però proprio grazie alle persone che questi studiosi svolgono il loro mestiere, è solo merito dell’interazione fra l’antropologo ed il suo interlocutore se poi vi è del materiale dal quale produrre un’etnografia. Con le parole di Clifford Geertz: “C’è qualcosa di stravagante nel costruire dei testi apparentemente scientifici partendo da esperienze ampiamente biografiche” (Geertz 1990: 17), al “costruire testi apparentemente scientifici” personalmente aggiungerei anche, alle volte, “astratti”, in quanto non si parla solo di fatti in antropologia, ma anche di persone. La scelta di dare un nome a degli avvenimenti, in questo caso Luisa Rodriguez Morales, è stata da me fatta anche per esplicitare un fatto banale ma spesso lasciato in disparte, trascurato, ovvero che oltre agli avvenimenti esistono anche e soprattutto le persone; le cose di fatto non esistono in astratto, esistono persone che hanno vissuto in determinati contesti. La dittatura, la rivoluzione, l’embargo, il periodo speciale, e via dicendo, possono talvolta venir definiti in

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modo oggettivo, nozionistico, astraendoli dal proprio contesto, eppure non bisognerebbe dimenticare che in quell’anno, in quel posto, in quel momento vi erano persone.

C’è da stupirsi a considerare quanto spesso la storia sia stata scritta dal punto di vista di coloro che hanno l’incarico di dirigere - o di tentare di dirigere - la vita degli altri, e quanto poco invece sulla base dell’esperienza di vita reale della gente (Samuel 1978: 99).

Questo il motivo della mia scelta, specifico per non essere fraintesa: la mia tesi non vuole dar voce a chi non ce l’ha intendendo con ciò una tipologia di storia delle classi subalterne o cose analoghe. Volevo semplicemente indagare, analizzare, alcuni avvenimenti basandomi sull’esperienza di vita delle persone, ed il destino, la fatalità, mi ha portata a conoscere Luisa, ad entrare in sintonia con lei e ad avere la voglia e l’interesse di documentare la sua storia di vita, sebbene non sia una persona con un trascorso particolarmente eccezionale, tantomeno un caso esemplare. La storia di Luisa, a mio parere, contribuisce a far comprendere in modo un po' più completo certi avvenimenti, li fa scorgere attraverso un filtro personale, mostra degli aspetti che da altre fonti probabilmente non si evincerebbero; il vissuto, i racconti personali infatti:

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[…] non sono però solo benvenuti perché ci somigliano, e ci fanno pensare alla condizione umana e alla vita comune, ma anche perché sono piccole finestre aperte sulla storia passata di un territorio (Clemente 1996: 99).

1.2 Metodologia, le storie di vita.

Si è da tempo superato, all’interno delle discipline antropologiche, il paradigma oggettivista delle scienze naturali, ad oggi dunque l’antropologia non è, o non dovrebbe essere, una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una scienza interpretativa in cerca di significato (Geertz 1988: 11). L’antropologo ed il suo interlocutore si osservano a vicenda, sono due soggetti umani che si pongono in relazione fra loro, e gli umani non amano essere studiati, o osservati, come se fossero dei libri o dei fenomeni naturali (Portelli 2007: 79).

L’antropologo, durante lo svolgimento della sua ricerca sul campo, vive ed osserva dei processi culturali dotati di senso, e cercando di comprenderli dovrebbe predisporsi a fornire una loro descrizione. Lo studioso infatti non intende riportare eventi esigui e puramente comportamentali, se guidato dalla teoria interpretativa si pone l’obiettivo di rappresentare il senso di ciò che gli individui fanno; ed il senso non si trova tanto negli atti in se stessi, quanto nel loro uso all’interno di un contesto significativo (Clemente 2013: 134).

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A mio parere, l’utilizzo delle storie di vita in antropologia, può contribuire alla ricostruzione di una storia non astratta dalla realtà vissuta dalle persone, analizzare gli aspetti della vita quotidiana può aiutare a comprendere il senso delle attività umane, le quali spesso, in talune analisi, sembrano perderlo. Per ogni evento analizzato bisognerebbe chiedersi che significato ebbe quest’ultimo nella vita delle persone comuni (Samuel 1978:

105), ogni essere umano costituisce infatti la propria storia attribuendo un senso agli eventi che ha vissuto, ciò significa che non esiste una storia generale che include tutte le storie personali, ma che esistono differenti attribuzioni di senso agli eventi e che conseguentemente ciò produce dei racconti di vita differenti gli uni dagli altri (Fabietti, Matera 1999: 94). Gli interlocutori degli antropologi sono dei soggetti autori di racconti, di interpretazioni del mondo, in grado di conferire significati alla propria esperienza del vissuto (Rampazi 1991: 129), e basare un’analisi su di essi ritengo possa essere considerato un modo per arricchire la conoscenza antropologica. La conoscenza culturale e sociale, in particolare nel 1800, sino a fine 1900, ha spesso puntato ad individuare regole e leggi della vita collettiva, presentandosi come una scienza “dura”, oggettiva e con valenza generalizzante; la presa in considerazione delle storie di vita, delle biografie, per arrivare ad una conoscenza, si colloca sul versante della comprensione, proprio delle discipline storico- letterarie, delle scienze interpretative (Clemente 2013: 176), è una scelta relativamente nuova e può apportare, a mio parere, diversi contributi alla materia antropologica.

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Ho deciso di svolgere la mia ricerca sul campo focalizzandomi su una storia di vita, basandomi sulla memoria della mia interlocutrice nel tentativo di avvicinarmi alla comprensione di un mondo, della storia di un mondo. Ogni individuo è dotato di memoria, la memoria è un utile strumento nei campi d’indagine della conoscenza, non solo, è un’attività primaria per la produzione di significati; il ricordare può delinearsi come uno sforzo di rielaborazione e trasmissione di significati del passato per il presente (Passerini 1988: 106). Ho voluto dedicarmi all’analisi di una biografia per cercare di arrivare a comprendere il senso che hanno avuto determinate vicende storiche e sociali sulla vita di una persona, volevo tentare di andare oltre la storia generale per arrivare ad una comprensione più soddisfacente dei fatti, con le parole di Paolo Jedlowski:

Ciò che gli storici del quotidiano cercano di fare è andare al di là dell’impersonalità delle strutture e dei processi sociali per cogliere la vita di esseri umani concreti e il modo in cui questi la comprendono. Chi si occupa del quotidiano non è interessato agli aneddoti, ma a come i grandi processi attraversano le vite dei singoli. […] è un tentativo di collegare ciò che è macroscopico al mondo microscopico (Jedlowski 2009: 49).

Una delle più importanti finalità delle storie di vita è forse quella di conferire un senso al vissuto, la memoria delle persone infatti non viene più intesa dagli studiosi, e antropologi,

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una mediazione simbolica riguardante non tanto gli eventi in sé, quanto i loro significati (Casagrande 2015: 17). Per comprendere al meglio un evento, a mio parere, bisogna andare oltre le generalizzazioni, e l’antropologia, a differenza di alcuni modi di fare storia, ha la fortuna di poter contare sulle fonti orali, di poter interrogare le proprie fonti, le quali hanno la capacità di informare il proprio interlocutore, oltreché sui fatti, sul loro significato (Portelli 2007: 11). Probabilmente lo studio della storia individuale mette in risalto in modo più completo il manifestarsi delle istituzioni sociali non come entità, ma come luoghi di pratiche e di produzione di senso (Clemente 1991: 126). La ricerca sul campo, l’interazione con gli interlocutori, nel mio caso i lunghi colloqui con Luisa, forniscono degli elementi indispensabili per rendere comprensibili una serie di eventi, quantomeno per capire il senso che questi hanno avuto nella vita di una persona. L’immersione rende comprensibile un fatto, tenta di delineare un sistema di significati nel quale è stato possibile compiere un determinato atto, utilizzando una simile prospettiva antropologica comprendere significa strettamente comprendere, non vuol dire giustificare, legittimare o tollerare (Ligi 2011:

157). Gli studi umani dovrebbero quindi avere il compito di vedere il particolare collegato al suo contesto (Ligi 2011: 159), a mio parere raccogliere un vissuto può essere una modalità per avvicinarsi alla vita interpretata dalle persone, ciò che rende comprensibile il loro mondo è proprio il sentirlo raccontare direttamente da esse. Per queste motivazioni il

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mio interesse, la mia voglia, il mio impegno, nel lavorare con una storia di vita, con le parole di Pietro Clemente:

Io amo l’antropologia che nasce dalle etnografie ‘singolari’, dalle storie di vita che l’antropologo ricolloca in contesti culturali specifici, ma con la consapevolezza che le singole storie rifanno continuamente i ‘contesti’ […] transitando piccoli mondi e diverse storie ho capito che l’antropologia culturale, almeno quella che piace a me, non studia le leggi generali delle culture ma il modo in cui, dentro le singole vite, una cultura viene appresa, giocata, interpretata, trasformata (Clemente 2013: 100).

Ritengo che l’analisi delle storie di vita permetta ad uno studioso di avvicinarsi alla comprensione di un mondo, soggettivo ma pur sempre immerso in uno collettivo, queste storie potrebbero essere viste come delle sfaccettature possibili di un universo comune, di una storia generale. Nonostante il fatto che una biografia non possa essere utilizzata come modello al fine di una generalizzazione ciò non significa che essa non possa essere veritiera, importante o rilevante, che non possa apportare anche un minimo contributo alla conoscenza antropologica. Ammettendo la loro singolarità, il loro carattere individuale, le biografie mettono anche in luce però alcuni aspetti generali, riguardanti la cultura e la società dell’interlocutore. Penso sia incontestabile il fatto che le persone ricordino aspetti

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società impregnata di cultura, la quale plasma e compenetra i singoli. La gente ricorda ciò che gli è accaduto di più singolare tanto quanto ricorda gli aspetti più generali di una storia comune, condivisa dalla comunità. Volendo astrarre si potrebbero forse individuare due tipi di memoria nelle società, una memoria autobiografica, riguardante i singoli individui, ed una memoria storica collettiva, la quale abbraccerebbe tutte le persone che condivido il medesimo luogo di appartenenza, che vivrebbero, anche se in maniera differente, gli stessi accadimenti. La memoria autobiografica dovrebbe spesso giovarsi della memoria sociale, in quanto, in fin dei conti, una storia di vita fa comunque sempre parte di una storia generale;

la storia generale però rappresenterebbe il passato in forma sintetica e schematica, quella individuale presenterebbe invece un quadro denso e dettato dalla continuità (Halbwachs 1987: 65). Se così fosse, ed io credo che lo sia, scrivere di una storia di vita diverrebbe strumento ed espressione di un processo vitale individuale, ma anche testimonianza della storia culturale di una società (Franceschi 2006: 37), in quanto l’individuo non può non essere segnato dalla sua cultura, dalla storia della sua comunità. Ciò non significa che l’individuale divenga baluardo del generale, ma semplicemente che è inevitabile che l’individuale consenta anche di guardare ad aspetti del generale.

[…] memoria sociale è l’insieme di ciò che si offre virtualmente a tutti i membri di una società come contenuto possibile della loro memoria. Essa è, insomma, l’insieme delle tracce del passato che permangono e si offrono all’interpretazione (Jedlowski 1989: 76).

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È indubbio quindi che la memoria individuale rispecchi le appartenenze sociali dell’individuo (Cavalli 1991: 33), il quale di volta in volta deve ritirarsi dal collettivo per ritrovare la propria memoria, ed al tempo stesso vi può fare ritorno in quanto la storia generale, sociale, può restituirgli la propria identità (Sebastiani 1991: 47).

L’operazione di raccontarsi ricostruisce le tappe di un percorso alla continua ricerca di un equilibrio fra due polarità: quella che tende a mettere in evidenza un Io con una fisionomia ed una storia unica ed irripetibile, e quello che sottolinea l’appartenenza di questo Io ad un noi, ad una entità collettiva con cui ci si identifica, ed entro la quale le differenze tendono ad essere minimizzate (Rampazi 1991: 139).

Nel corso della mia ricerca a Cuba ho provato a scorgere questo intreccio, l’intreccio che si crea tra macro-storia e micro-storia, documentandomi sui libri per conoscere gli eventi e parlando con Luisa per capire cosa essi hanno significato per lei, che risonanza hanno avuto, se ne hanno avuta, sulla sua vita. La ricchezza della fonte orale sta nel fatto che può informare l’antropologo sia sui fatti storici che sugli aspetti della vita quotidiana e del privato, dai suoi racconti si evince la partecipazione del narratore alla storia e l’effetto che essa ha avuto su di esso (Portelli 2007: 9), i racconti degli eventi fanno apparire come memoria individuale e collettiva spesso s’intreccino. Le ricerche sulla vita quotidiana

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rendendo un po' meno estranei gli accadimenti, facendo interagire storie piccole con la storia (Jedlowski 2009: 50), ed è proprio quello che io ho provato a fare, dando un nome ed un cognome, Luisa Rodriguez Morales, al mio lavoro. Penso che l’antropologia abbia bisogno di biografie in quanto esse permettono allo studioso di entrare in un mondo tramite il suo interlocutore, il quale avvia alla comprensione profonda delle cose. Le storie di vita arricchiscono i punti di vista su una società e sulla sua storia, aiutano l’antropologo a comprendere le cose, puntando ad una conoscenza più qualitativa che quantitativa, analizzando a fondo un vissuto piuttosto che toccarne molti restando in superficie. Con ciò io non ritengo che lavorare con le storie di vita sia l’unico modo, o il modo migliore, per fare antropologia, penso solamente che sia uno tra i vari modi; uno dei modi però da prendere in considerazione e da non sminuire per il semplice fatto che tratta l’individualità;

ci si potrà anzi stupire, o almeno spero, di quanto un lavoro del genere possa essere utile e valido al fine di produrre un testo etnografico. Se l’antropologia, a seguito della svolta data dalla teoria interpretativa, si è posta come obiettivo quello di comprendere e di scovare significati, le biografie aiutano sicuramente in questo, facendo ricostruire all’etnografo dei modi possibili della relazione persona-mondo:

Si tratta di un genere di testi [le biografie] che rappresentano qualcosa che, prima di essere letterario è antropologico nel senso che aiuta a comprendere l’Altro, i mondi della vita diversi dal nostro (Clemente 2013: 154).

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Nello specifico la mia ricerca sul campo è durata circa quattro mesi, sono arrivata a Cuba domenica 10 luglio 2016 e sono tornata in Italia domenica 13 novembre 2016.

Giovedì 14 luglio, intorno alle ore 15.00, mi sono trasferita a casa di Belkis e Luisa. Sono stata accolta nella famiglia come fossi stata un membro di essa, ho partecipato attivamente a tutte le attività familiari, da quelle più occasionali, come il festeggiamento di un compleanno, a quelle della quotidianità, aiutando a far da mangiare, a stendere i panni, a fare la spesa, e via dicendo. Mi sono sempre trovata splendidamente a mio agio con tutta la famiglia a partire dai primi giorni, un’intesa particolare però è subito scattata con Luisa, la nonna di casa, con la quale passavo molto più tempo che con tutte le altre donne di casa.

Belkis lavorava dalla mattina al tardo pomeriggio, sino alle 17.30 circa, Jenny studiava e lavorava, stava completando un master ed il fine settimana faceva la guida in un piccolo castello vicino casa, Laura aveva da poco terminato le scuole superiori, era in vacanza e andava spesso a casa di suo padre. Io passavo le mie giornate tra l’Oficina de Historia, ente al quale ero collegata per il visto cubano, e la casa, in compagnia di Luisa, la quale non perdeva occasione per chiacchierare con me. Inizialmente parlavamo del più e del meno, mi faceva tante domande sull’Italia, sulla mia famiglia, sul motivo per il quale io ero li, poi giorno dopo giorno iniziò ad aprirsi ed a raccontarsi sempre di più, mi parlava sempre più spesso di lei, della sua vita, del suo passato, delle sue preoccupazioni, di qualsiasi cosa.

Qualsiasi momento era buono per raccontarmi qualche aneddoto del suo passato, erano

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storie che nessuno in famiglia aveva il tempo di stare a sentire, sua figlia era troppo impegnata, le sue nipoti avevano altro da fare, e probabilmente nemmeno si interessavano troppo a ciò che la nonna aveva da dire. Luisa aveva tante cose da raccontare, ed io avevo il tempo, la voglia e l’interesse di starla a sentire, decisi così di proporle la mia idea, le chiesi se avessi potuto documentare la sua storia di vita per il mio progetto di tesi, ne fu entusiasta.

Ho svolto la mia ricerca stando strettamente a contatto con la mia interlocutrice, Luisa, ho condiviso con lei non solo i momenti delle interviste organizzate, svolte con l’uso del registratore, ma l’intera quotidianità. Si interagiva sempre, si viveva insieme, ci si aiutava a vicenda nelle faccende domestiche, moltissime tra le più importanti informazioni sono state ricavate a microfono spento, condividendo semplicemente la routine giornaliera. La metodologia della raccolta dati si è svolta giornalmente con la scrittura delle informazioni nel diario di campo, annotando accadimenti, discorsi, chiacchierate. Ho anche registrato delle interviste, che io preferirei chiamare colloqui, sia previamente accordati che sorti spontaneamente. Luisa mi ha anche fornito alcune foto di se stessa e della sua famiglia.

Oltreché documentare ogni cosa che mi veniva detta da Luisa, per svolgere questo lavoro improntato su storia di vita e storia generale, mi sono anche servita di fonti non

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orali. Ho frequentato l’Oficina di Storia, ente storico dotato di archivi e biblioteche di Matanzas, per raccogliere materiali quali libri di storia, mappe della città, fotografie storiche, quotidiani, articoli, e via dicendo. Ho comprato inoltre in diverse librerie alcuni libri di storia, religione, poesia, letteratura, attualità. Tutte cose che mi sono servite per svolgere il mio progetto, per mettere in correlazione il mondo del macro (storia, società, cultura) con il mondo del micro (biografia di Luisa).

Nonostante la scelta di focalizzarmi sulla storia di vita di Luisa ho interagito anche con altre persone, per avere un campo più ampio di punti di vista, per capire meglio alcune tematiche. Ho svolto lunghi colloqui informativi con più interlocutori, concentrandomi per lo più però solo su persone che conoscevo e con le quali avevo contatti regolari. Ho infatti riportato in appendice non solo alcune interviste di Luisa (non molte, perché gli argomenti dei quali parlavamo erano pressapoco sempre i medesimi), ma anche due colloqui registrati avuti con Ercilio e Daylin, due persone con le quali ho avuto ripetuti contatti per tutta la durata della mia permanenza a Matanzas. Ho preferito relazionarmi con persone delle quali conoscevo abbastanza bene la storia, le idee, con le quali avevo uno stretto rapporto, piuttosto che raccogliere mille interviste di sconosciuti a casaccio per soli motivi di quantità.

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Della famiglia ho documentato ovviamente i racconti di Luisa, non sempre registrati ma tutti annotati, in quanto spessissimo sorgevano spontanei durante attività condivise (che non mi pareva il caso di interrompere per introdurre il registratore), con sua figlia Belkis ho avuto molti scambi ma lei, sebbene mi abbia dato il suo consenso ad utilizzare il suo nome, e volendo le sue parole nella mia tesi, non ha mai voluto essere registrata. Stessa cosa le due ragazze, le nipoti di Luisa, Jenny e Laura, le quali hanno dato il loro consenso ad apparire nella tesi ma solo in minima parte, non volendo parteciparvi con interviste dirette o cose analoghe. Nella tesi quindi, oltre alle interviste presenti in appendice, e parti di esse presenti nel testo, vengono riportati frammenti di colloqui i quali sono stati (spesso interamente) annotati nei miei taccuini di campo.

Nel lavorare con Luisa ho sempre dato la priorità a ciò che lei voleva narrare, questo non significa che io non abbia mai fatto domande su aspetti che mi interessavano dei quali lei magari non parlava, ma che ho tentato di rispettare il più possibile il suo flusso narrativo, non focalizzandomi per forza su tematiche che lei non affrontava. Del resto quello che al ricercatore «interessa» sentire non sempre coincide necessariamente con ciò che il narratore ha voglia di raccontare (Portelli 2007: 76), quindi ho tentato il più possibile di non fissarmi su determinati aspetti, ma di aprirmi all’ascolto di ciò che Luisa voleva narrare. Inoltre vi erano alcuni temi da lei solamente accennati, come la morte del figlio o

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la morte della sorella, dei quali era evidente però che non volesse parlare, non li voleva approfondire, ed io sinceramente non me la sono mai sentita di forzare la mano; erano tematiche delicate, impregnate di sofferenza, delle quali a mio parere bisognava avere rispetto, ed io quindi non vi ho voluto scavare a fondo.

Il frutto del mio lavoro è stato reso possibile solo ed esclusivamente grazie alla partecipazione attiva e costante di Luisa, anche se l’analisi è mia la storia è la sua, e non voglio che la cosa passi inosservata. Questo progetto di tesi è stato totalmente incentrato sulla comprensione, una comprensione ragionata, aperta, se si vuole anche emozionale ed empatica, è stato un lavoro che personalmente ho trovato meraviglioso, anche se a tratti non semplice, centrato sulla soggettività di una persona che mi esprimeva il suo mondo.

Spero che all’interno della tesi non passi in secondo piano il fatto che tutto è stato reso possibile grazie ad una relazione reciproca tra due persone, le parole dell’antropologo Pietro Clemente non potrebbero qui risultare più adeguate:

Il testo che presentiamo, nato e prodotto attraverso un lungo dialogo, in una relazione personale ricca di scambi, è un esempio adeguato della cooperazione tra due protagonisti diversi, impegnati in diverse prestazioni intellettuali, finalizzate a un comune lavoro (Clemente 2013: 182).

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Ritengo che questa ricerca sul campo abbia arricchito il mio bagaglio di esperienze personali, il che va anche oltre la scrittura della tesi, ma per quanto la riguarda, sul piano antropologico, spero che un’etnografia di questo tipo sia capace di riconoscere nella narrazione, nel caso specifico della mia interlocutrice, il prodursi di una conoscenza che va al di là delle vicende individuali e personali, e che possa essere ritenuta utile ai fini della conoscenza, dell’indagine sia storica che, soprattutto, antropologica.

1.3 Un accenno di storia cubana.

Facendo un brevissimo riassunto di storia generale Cuba è diventata un possedimento Spagnolo poco dopo la scoperta dell’America, nel XVI secolo vi è iniziata la tratta degli schiavi importati nell’isola per lavorare nelle piantagioni di zucchero e tabacco, dal XIX secolo la società creola, nata e sviluppatasi da coloni spagnoli e da schiavi africani, ha iniziato a ribellarsi allo sfruttamento ed al potere centrale mettendo in atto una serie di rivolte che portarono il Paese all’indipendenza scritta ma non di fatto. Dopodiché su Cuba iniziò a stabilirsi il controllo degli Stati Uniti, gli americani infatti erano i principali investitori di capitali e con i quali il Paese aveva stretti vincoli economici e di scambio commerciale. I governi che si sono susseguiti nell’isola rispecchiavano quasi tutti gli

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interessi americani, Cuba era a tutti gli effetti un Paese capilista sotto lo stretto controllo, economico e politico, degli Stati Uniti. Cuba era colma di attività di proprietà statunitense, fabbriche, industrie, terreni, case da gioco, bordelli, piantagioni, e via dicendo. Nella popolazione cubana il malcontento per la situazione di controllo e sfruttamento veniva ampliamente avvertito, in particolare in campagna tra i contadini, i quali erano costretti a lavorare la terra di un proprietario per un salario minimo, nemmeno indispensabile per il sostentamento della famiglia, senza essere padroni della propria casa o di un piccolo appezzamento di terreno utile per sfamarsi, senza avere i mezzi ed i soldi per avere accesso ai servizi minimi che uno Stato può offrire. Nel 1952, con l’appoggio degli Stati Uniti, salì al governo il militare Batista, il quale non tardò ad instaurare nel paese un regime dittatoriale. L’illegalità del suo governo e delle sue leggi, secondo la costituzione cubana, crearono non poco dissenso nella popolazione, sino a che, nel 1953 un giovane avvocato, Fidel Castro, radunò un piccolo gruppo di ribelli e coordinò due assalti a delle caserme militari, subito dopo venne preso, arrestato e mandato in esilio in Messico. Fidel Castro in esilio conobbe il medico Ernesto Che Guevara, ed insieme si preparano allo scontro, progettando di tornare a Cuba per liberarla dal dittatore, ciò avvenne nel 1956 con la creazione dell’esercito rivoluzionario. Nel 1959, dopo anni di lotta armata, l’esercito ribelle riuscì a giungere all’Havana, il dittatore Batista scappò dall’isola lasciando così il governo in mano ai rivoluzionari. Dal 1959 in poi Cuba, da Paese capitalista soggetto al dominio degli

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Usa, divenne una Paese socialista indipendente, il governo di Fidel Castro durò sino al 2008, anno nel quale prese poi le redini dell’isola suo fratello Raul Castro, attualmente ancora presidente. Il cambio fu totale, moltissime attività private divennero statali, per questo motivo molta gente (in particolare proprietari terrieri e di aziende) abbandonò il Paese per recarsi negli Stati Uniti, i contadini divennero proprietari della terra che coltivavano, tutti i cittadini acquisirono il diritto ad essere proprietari della casa nella quale risiedevano, la sanità e l’istruzione divennero gratuite ed universali, venne istituito il salario minimo (queste sono solo alcune delle nove regole adottate dal governo rivoluzionario cubano, forse le più rilevanti). Dopo questa svolta politica nel 1960 gli Stati Uniti reagirono ponendo l’embargo economico a Cuba, ma data la sua alleanza con l’Unione Sovietica, Paese che appoggiava le ideologie comuniste, l’isola non ebbe per alcuni anni problemi economici assai rilevanti. La grave crisi economica iniziò nel 1990 in seguito alla caduta dell’URSS, Cuba si trovò di fatto a non avere più alcuno scambio economico-commerciale con altri paesi. Questa grave crisi che la afflisse venne chiama Periodo Especial, o in italiano, Periodo Speciale, il quale fu estremamente duro per i primi tre - quattro anni, poi andò attenuandosi, sino a che la situazione non si stabilizzò intorno agli anni 2000, anni nei quali Cuba per sopravvivere dovette aprirsi agli investimenti di capitale estero nel suo Paese, in particolare nel settore del turismo, e dare sempre maggiori concessioni alle attività private cubane. Ciò perché lo Stato potesse continuare a guadagnare soldi da reinvestire

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poi in servizi e strutture ad uso gratuito dei suoi cittadini, per non far precipitare la situazione del Paese, il quale sino ad ora non ha mai voluto fare passi indietro, ovvero non ha mai preso in considerazione l’idea di tornare al capitalismo; il governo per ora continua a vietare ad esempio l’apertura di scuole e cliniche private, non vuole ci sia speculazione su diritti che ritiene fondamentali ed universali per il proprio popolo, mantenendo così una politica socialista. Poco dopo il 2000 nell’isola venne introdotto il CUC (o Peso Cubano Convertibile), una moneta convertibile equiparabile al dollaro, in quanto il dollaro non poteva più essere accettato e veniva penalizzato da delle clausole dell’embargo (ad ogni modo il dollaro veniva usato quasi esclusivamente dallo Stato per transazioni estere, poco veniva utilizzato dalla popolazione, la quale adoperava soltanto la moneta nazionale, il Peso Cubano o Cup).

Attualmente a Cuba circolano due monete, questo CUC, con circa il medesimo valore del dollaro, ed il CUP o MN (Moneda Nacional), moneta nazionale utilizzata dai cubani, con la quale ricevono il salario. La doppia moneta mette in risalto i problemi economici che attualmente affronta la popolazione, soprattutto perché il Cuc è entrato in circolazione nell’uso comune, vi è una netta divisione tra attività statali, nelle quali si usa prevalentemente il Cup, e attività private, o come le chiamano i cubani particulares, nelle quali si adopera prevalentemente il Cuc. Uno stipendio medio a Cuba si aggira intorno ai

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trecento Cup, che convertiti in Cuc sono circa dodici dollari, il rapporto è di 1 : 25 circa, il problema principale risiede nel fatto che i prodotti statali sono pochi e parcellizzati, mentre quelli che si trovano nelle attività private sono svariati ma costano molto di più. Succede che ad oggi, una persona cubana che guadagna trecento pesos al mese fa difficoltà a reperire prodotti anche di primaria importanza, lo stipendio che percepisce difficilmente è sufficiente a soddisfare le sue esigenze, per questo motivo la gente a Cuba parla in continuazione di problemi economici. Faccio un breve esempio per illustrare la situazione, esempio che mi è stato fatto svariate volte dai miei interlocutori: Una persona guadagna trecento pesos mensili, per cucinare ha bisogno dell’olio o della pasta o del formaggio, questi prodotti nella bottega di Stato costano poco, quattro o cinque pesos (venti o venticinque centesimi di Cuc, di dollaro), il problema è che nella bottega non si trovano sempre, magari solo tre volte al mese, e spesso quando si trovano sono divisi per la popolazione, quindi non se ne possono comprare più di una certa quantità. Ciò perché lo Stato ha un’economia debole, scarsa, bloccata e messa in difficoltà dall’embargo, i prodotti cubani non sono molti e quelli importati dallo Stato sono pochi, quindi nelle sue botteghe le cose non abbondano. La persona quindi, se ha bisogno di acquistare questi prodotti, deve rivolgersi ad un negozio privato, dove le cose si trovano, perché la gente le importa privatamente da altri paesi, ma costano, per esempio, dieci volte tanto; così una bottiglia di olio da un particular può costare due dollari, e se la persona ne guadagna dodici al mese si

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capisce subito dove risiede il problema economico che vivono oggi le famiglie cubane, molte delle quali vivono in gran ristrettezza economica.

Luisa, soggetto della mia tesi, come già indicato, è nata nel 1938, è una persona comune che ha attraversato diverse tappe salienti della storia cubana; come precedentemente accennato, ha trascorso la sua infanzia ed adolescenza in campagna, in quanto figlia di un contadino che lavorava la terra di un proprietario di una fincas, una azienda agricola. Era solo una ragazzina quando nel 1952 si è instaurata nel Paese la dittatura di Batista, aveva vent’anni quando ha trionfato la rivoluzione, a ventiquattro anni si è sposata e si è trasferita in città, cambiando totalmente stile di vita. Stava per andare in pensione quando, negli anni ’90, Cuba è stata messa alla prova dal Periodo Speciale, ad oggi vive serenamente la sua vecchiaia, con la figlia e le due nipoti, nonostante i problemi economici che affliggono il Paese ed i suoi abitanti. Quando ho iniziato a centrare tutta la mia ricerca su una storia di vita mi ero posta un solo obiettivo: arrivare a capire cosa avesse significato vivere determinati avvenimenti (in questo caso della storia di Cuba) per una persona. Partendo dalla storia generale, documentandomi sugli eventi, volevo scorgere, e vorrei far scorgere, cosa però accadeva nel particolare, nella vita quotidiana di una persona cubana.

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La tesi è suddivisa in quattro parti, ogni parte esamina un contesto specifico, determinati accadimenti sia individuali che collettivi, collegando la storia di Luisa con la storia di Cuba.

Il secondo capitolo è dedicato all’attualità ed alle problematiche che affliggono le persone, con le quali Luisa si scontra quotidianamente. Il terzo capitolo parla della vita di Luisa nel periodo prerivoluzionario capitalista, quando Cuba era governata da esponenti collegati al governo americano, quando era di fatto sotto il dominio dei grandi proprietari terrieri e quando lei viveva in una famiglia contadina in una finca, una sorta di latifondo. Il quarto capitolo prende in esame il periodo socialista dopo il 1960, periodo in cui Luisa si trasferisce in città, cambiando completamente la sua vita. Infine il quinto Capitolo è dedicato a quel periodo di grave crisi vissuto dall’isola, chiamato “speciale”, al quale Luisa, come tutti gli altri cubani, si è trovata a far fronte.

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CAPITOLO 2

LA VIEJITA QUE VENDE HIELO

Di seguito, prima di tutto, presenterò Luisa ed il contesto attuale in cui vive. Dedicherò parte del capitolo ad analizzare, tramite le parole dei miei interlocutori, l’ambito sociale ed economico, in via di trasformazione, entro il quale le persone cubane ad oggi vivono. Oltre a mostrare le problematiche dell’oggi metterò in evidenza anche la grande differenza che intercorre tra le varie generazioni, concentrandomi in particolare sul divario esistente tra Luisa (quindi gli anziani) e le sue nipoti (quindi i giovani). Il socialismo cubano in questi anni sta venendo messo alla prova dal capitalismo, che in modo sempre più netto e deciso avanza non solo negli Stati vicini, ma anche e soprattutto all’intero dell’isola. La reazione alla sempre crescente globalizzazione, omogeneizzazione, viene spesso vista come americanizzazione e mercificazione, sostanzialmente però le forze che provengono dalle metropoli più influenti a livello mondiale, una volta giunte in società diverse, tendono ad essere indigenizzate (Appadurai 2012: 45), e Cuba, nonostante la sua politica e l’embargo, non è esclusa da questi processi. Diversi cittadini cubani hanno un atteggiamento ambivalente nei confronti delle nuove trasformazioni che stanno avvenendo nella società, ad esempio se da un lato non vedono di buon occhio gli Stati Uniti ed il capitalismo,

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dall’altro non disdegnano denaro e beni che le persone, come amici e parenti ma non solo, portano nell’isola. Soprattutto i beni trasformano nelle città in cui arrivano i gusti dei consumatori, e spesso finiscono per essere contrabbandati attraverso aeroporti e porti marittimi e venduti al dettaglio nei mercati (Appadurai 2012: 69), cosa decisamente frequente a Cuba. Inoltre questa circolazione di nuove merci, ma non solo, anche di nuove prospettive di vita, rese note da parte di chi è emigrato, soprattutto grazie all’uso di internet (praticamente assente a Cuba sino a qualche anno fa), fa si che soprattutto i giovani, ma non solo, cambino atteggiamento, aspirazioni e modo di vedere e di intendere la vita.

L’immaginazione può diventare impulso per l’azione, è l’immaginazione, soprattutto se collettiva, che crea nuove idee, come di economie morali o di regole ingiuste, di salari più elevati o di prospettive di vita e di lavoro magari all’estero, l’immaginazione oggi è un palcoscenico per l’azione (Appadurai 2012: 15). E questa immaginazione è fervida nelle più svariate menti cubane di ogni età, che impegnate a fare i conti con la crisi economica non stentato ad immaginare un futuro diverso, sia esso dentro o fuori i confini nazionali cubani.

Nuovi prodotti, nuovi mezzi di comunicazione, nuove ideologie, nuove speranze, ed in particolare lo sviluppo sempre maggiore del turismo con l’investimento di capitali stranieri a Cuba, fanno si che il clima sociale dell’isola sia in continua trasformazione, per questo motivo ho ritenuto necessario iniziare con uno sguardo sulla situazione attuale, vissuta dalla mia interlocutrice prediletta ma non solo.

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2.1 Luisa Rodriguez Morales.

Ho conosciuto Luisa il 14 luglio 2016, giorno in cui mi sono trasferita nella sua casa. È una signora anziana di settantotto anni, poco più alta di un metro e sessanta, ha la carnagione chiara ed una corporatura normale, non è magrolina, tantomeno grossa, giusta.

I suoi capelli sono bianchissimi e dritti, sempre perfettamente lisci nonostante l’umidità cubana, li porta molto corti sulla nuca ed ai lati, sono invece più lunghi davanti, ha un ciuffo che teoricamente arriverebbe a coprirle la fronte arrivandole a sfiorare le sopracciglia, ma se lo butta sempre indietro con la mano destra, facendo aprire i capelli in una riga che per svariati minuti le lascia la fronte libera, donandole un’aria lievemente spettinata, ma evidentemente voluta; nonostante non dedichi grande attenzione alla sua chioma i capelli, a mio dire, le stanno sempre bene. Ha un viso molto dolce, tenero, non poi così scavato dalle rughe, ha gli occhi color nocciola con delle sfumature tendenti al verdastro, sembrano sempre un po' lucidi, sopra di essi delle sottili sopracciglia bianche.

Sorride spesso, mostrando a chi le sta davanti i denti dell’arcata superiore, sorprendentemente bianchi, non così piccoli, lievemente irregolari di lunghezza, ma perfettamente allineati, ci tiene a far sapere che sono i suoi, nessuna dentiera (Fig. 2). Porta sempre alle orecchie delle verette d’oro giallo, non se le leva mai, nemmeno per dormire, questi cerchi che le impreziosiscono il volto hanno più o meno la circonferenza di un tappo

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