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La presente sentenza ci oltre lo spunto per ritornare sulle argo­ mentazioni da noi svolte a commento della decisione della Commissione

ALTRE OPERE RICEVUTE

5. La presente sentenza ci oltre lo spunto per ritornare sulle argo­ mentazioni da noi svolte a commento della decisione della Commissione

Centrale cassate da tale sentenza (7). Quelle nostre argomentazioni hanno suscitato alcuni rilievi critici, che non ci sembra abbiano colto corretta- mente il nostro pensiero. Ci sia dunque consentito, innanzitutto, richia­ mare brevemente i punti che sono stati fraintesi.

Avevamo riconosciuto che è esatto che l ’imposta di R.M. Cat. A non recuperata per rivalsa dalle banche e non portata in aumento degli

(7) Li. Jona Celesia, Deducibilità degli interessi dui reddito lordo delle aziende di credito, in questa Rivista, 1962, II. 388 ss.

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La censura è fondata. Il pagamento della imposta di ricchezza mobile di categoria A eseguito dalle aziende o istituti di credito, in sostituzione dei depo­ sitanti, sugli interessi da questi percepiti, non dà luogo a una spesa inerente alla produzione del reddito di categoria B, che tali aziende e istituti ritraggono dall’esercizio della loro normale attività, ma fa sorgere a favore degli enti me­ desimi un credito verso i depositanti fondato sul diritto all’esercizio della rivalsa della somma pagata, espressamente sancito dalla legge (art. 22 1. 8 giugno 1936, n. 1231).

Se, poi, le aziende o gli istituti non esercitano tale diritto il pagamento dell’imposta si risolve in un onere di esercizio qualificabile come perdita. Ora,

interessi imponibili in cat. A , qualora sia ammessa in detrazione dal reddito di cat. B dagli istituti di credito, non viene ad essere soggetta ad alcun tributo reale. Y i è quello die, nella costruzione economica fi­ nanziaria del De Viti de Marco, viene qualificato come « salto di imposta ». Sostenemmo però che in un sistema dove esistono duplicazioni e spe­ requazioni possano ben coesistere « salti d’imposta ». « L ’accertare un salto in un singolo caso mediante una rigorosa interpretazione del testo legislativo non può venir contestato col richiamo al sistema quale de jure condito si presume. È solo nel dubbio che l’interprete può far

ricorso ai principi generali del sistema. Ma non può fare ricorso per chiedere l’applicazione di una norma ben chiara, quando in tanti casi il legislatore ha creduto di poter derogare ».

Aon abbiamo per altro affermato, come è stato scritto da nostri critici (8), che le ragioni della detraibilità debbono ricercarsi appunto nel concetto devitiano del salto d’imposta. Sostenemmo invece che era necessario esaminare se la detrazione doveva, sia dal punto di vista economico, sia giuridico, essere ammessa e die non poteva negarsi la detraibilità nella ipotesi che il concedere tale detrazione causasse « un salto d’imposta ». Non confondemmo però le due posizioni. Infatti esa­ minammo prima gli argomenti favorevoli alla tesi della detrazione, ri­ tenuta tale detrazione giuridicamente ed economicamente accettabile, cercammo di inserirla nel sistema e di vedere come si adattava. La nostra tesi poteva causare un salto d’imposta; era contro le norme del sistema ?

A nostro avviso no; infatti dimostrammo che già molte volte il legislatore aveva derogato dalle norme generali e che quindi non era nè equo, nè giusto raccertare un salto in un caso singolo interpretando rigorosamente il testo legislativo e che non si poteva contestare con il richiamo al sistema quale de jure condito si presume.

Viceversa abbiamo riconosciuto il salto, ma abbiamo sostenuto che esso non fornisce argomento in sede di interpretazione sistematica. La detraibilità l ’abbiaimo sostenuta argomentando che la mancata rivalsa costituisce un onere di esercizio necessario alla produzione del reddito

(8) V. la nota redazionale alla stessa sentenza qui annotata in Le imposte dirette erariali, 1963, 9971.

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mentre per le spese inerenti alla produzione del reddito l'indagine diretta ad accertare tale inerenza, richiesta dalla legge come condizione necessaria per la loro detraibilità dal reddito medesimo, si esaurisce di fronte alla constatazione della esistenza del rapporto di causalità economica tra le spese e il reddito, per la perdita dovuta alla rinunzia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito, tale indagine si estende alla ricerca della volontarietà o meno della rinunzia, in quanto la somma di danaro nella quale si sostanzia la perdita, è detraitele dal reddito soltanto nel caso che la rinunzia sia imposta da cause del tutto estranee alla volontà del creditore.

e che debba essere detratto dal reddito di R.M. Cat. B della banca, anche se può dare origine ad un « salto d’imposta ».

Fatta questa precisazione, ci preme ora di fornire nuovi argomenti a sostegno della nostra tesi; illustrando la presenza nel nostro sistema, accanto ai salti, di numerose duplicazioni. Fra gli altri ne esamineremo una, che ci pare particolarmente importante perchè relativa proprio agli Istituti di credito, per i quali si riscontra quel salto. Si faccia ipotesi che una banca investa nell’edilizia un miliardo : tale investimento ser­ virà, insieme ad altri capitali di altri costruttori, per costruzioni edi­ lizie, ad esempio per un gruppo di case il cui valore complessivo sia di tre miliardi, le quali producano un reddito di L. 240.000.000 annuo, netto di spese. Supponiamo però che il capitale non sia stato impiegato di­ rettamente dal risparmiatore, ma sia stato depositato presso una banca, la quale paghi al depositante un tasso d’interesse del 4 ,5 % . L’Istituto di credito a sita volta lo mutui al 7 % a colui che effettua materialmente la costruzione degli editici per affittarli. In un rigoroso schema devi- tiano, ove ogni particella di reddito nasce gravata da debito d’imposta, ci troveremo in una situazione di questo genere. Esiste un reddito netto di fabbricati di L. 240.000.000 imputabile, per un terzo del risparmio ot­ tenuto tramite banche, per due terzi ad investimenti di capitale del co­ struttore-proprietario (9).

L’aliquota (ad esempio del 20 %), sarà applicata una sola volta sui 240.000.000 per 160 del capitale proprio dell’edilizia e per 80 suoi percettori del frutto del capitale di terzi, ossia per 80-70 a carico del debitore della banca, le spese della banca siano ad esempio ripartite in salari, fitti, ecc. sui quali graverà la rispettiva imposta reale, 4 5 rappresenterà il reddito del risparmiatore.

(9) Nell'ipotesi di una società per azioni sia l’utile già distribuito, sia quello mandato a nuovo, è colpito dall’imposta mobiliare. L’azionista che vende le azioni di questa società con intento speculativo, sarà tassato per il guadagno di capitale realizzato con un evidente doppio d’imposta. Anche in questo caso, come è stato sottolineato dal Forte, il legislatore ha apprezzato il fenomeno economico solo attraverso un rigido schema giuridico senza preoccuparsi di ve­ dere le conseguenze della formale applicazione della legge. In proposito v.

1 orte, Il sistema tributario e la politica fiscale italiana, Cooperati va Libraria Universitaria Ed. Torino, 1962-1963, voi. II, p. 203 ss.

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Nella specie, la Commissione Centrale non si è uniformata a tali principi perchè ha ritenuto che la somma pagata dalla Banca popolare di Milano per imposta di ricchezza mobile di categoria A sugli interessi percepiti dai depo­ sitanti fosse una spesa inerente alla produzione del reddito derivante dalla sua normale attività e che tale somma fosse detraibile da questo ai fini della determinazione dell’imponibile di ricchezza mobile di categoria B, sebbene non fosse stato accertato che la rinunzia da parte della Banca alla rivalsa della somma pagata non fosse volontaria.

Nè la volontarietà della rinunzia poteva essere esclusa dal fatto che le banche non esercitano il diritto di rivalsa verso i depositanti per la esistenza

Ci troviamo in una situazione di questo genere: Reddito fabbricati 240.000.000

Capitale proprio 160.000.000 . . . Imposta 20 % 32 Capitale a mutuo 80-70

(interessi passivi pagati alla banca) . » » 2 Reddito della banca 70-45-10 . . . . » » 3

Reddito del risparmiatore 45 . . . » » 9

Totale imposta 46 Il sistema italiano nega la detrazione dal reddito dei fabbricati degli interessi passivi: sono considerate detraibili unicamente le spese ordi­ narie e non gli interessi che gravano l’immobile, che in questa ipotesi, si può ben dire, sono necessari alla produzione del reddito.

Capitale proprio 1 6 0 ... Imposta 20 % 32 Capitale a mutuo 8 0 ... » » jq Reddito della banca 70-45-10-15 . . . . » » 3

Reddito del risparmiatore 45 . . . » » 9

Totale imposta 60 Imposta di 9 che la banca si accolla senza possibilità di rivalsa. Con questo sistema si ha una evidente duplicazione come detto prima. Vediamo ora la terza ipotesi che mostra il caso in cui si applica la -soluzione da noi propugnata :

Capitale proprio 1 6 0 ... Imposta 20 % 32 Capitale a mutuo 8 0 ... » » iq

Reddito della banca 70 — 45 — 10 — 9 = 6 . » » 1 ,2 Risparmiatore 4 5 ... » » 9

Totale imposta 58,2 Il « salto d’imposta » è bilanciato da una duplicazione ben più vistosa, ammessa dal legislatore.

6. Riassumiamo brevemente quanto esposto:

Si è partiti dal concetto di spesa confrontandolo con quello di per­ dita. Si è così dimostrato che l’onere della banca è necessario in quanto

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di usi e accordi interbancari in tal senso, perchè questi, invece, confermano tale volontarietà.

Consegue che si deve accogliere il ricorso, cassare la decisione impugnata e rinviare la controversia per nuovo esame alla stessa Commissione Centrale che si uniformerà ai suesposti principi. (Omissis)

il mercato stesso lo richiede, infatti solo a tale condizione essa può per­ seguire il proprio fine: la produzione del reddito.

Si è dimostrato che tale detrazione è giustificabile dal punto di vista economico e giuridico e che pur essendo una deviazione dal sistema che vuole nel reddito tassato, senza salti e duplicazioni, questo non costi­ tuisce un argomento rilevante sul piano della sistematica giuridica (e sul piano dell’equità) per negare la detrazione, in quanto esistono altri salti in altri settori e molte duplicazioni anche proprio in questo settore, e quindi sembra logico arguire che il legislatore abbia voluto ammettere anche eventuali salti derogando dal sistema «ottim o» e «perfetto» quale

de jtire condendo viene presunta.

Lionello Jona Celesia

A ssistente Straordinario di Scienza delle Finanze e D iritto Finanziario nella Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Torino

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-I

COMMISSIONE CENTRALE, Sez. I li, 27 aprile 10tì2, n. 58299.

Imposta di ricchezza mobile - Scioglimento di una società a responsabilità limitata con assegnazione dell’ azienda all’ unico socio - Realizzazione e conseguente tassabilità dell’ avviamento - Non sussiste.

Ai fini tributari l'avviamento in tarilo può formare oggetto di tassazione in quanto il suo valore venga realmente realizzato, cioè si trasformi in nuova, concreta e tangibile ricchezza. Tale realizzazione non si ha per verificata qua­ lora, scioltasi la società a responsabilità limitata, l’azienda venga assegnata all’unico socio, che ne continua la gestione non più -in veste di unico azionista ma come titolare individuale (1).

I I

COMMISSIONE CENTRALE, Sez. I, 3 febbraio 1961, n. 36988.

Imposta di ricchezza mobile - Trapasso di azienda da una società a respon­ sabilità limitata all’ unico socio - Realizzazione e conseguente tassabilità dell’avviamento - Sussiste.

Premesso che nel nostro ordinamento esiste una essenziale distinzione tra la società riconosciuta come persona giuridica e i soci che la compongono, nel caso di scioglimento- di una società a responsabilità limitata e di successiva messa in liquidazione della stessa, se l’azienda, anziché esser liquidata, passa dalla società- ad un singolo titolare, anche che questo sia l’unico socio rimasto fino a che la società ha avuto vita, si ha un vero e proprio trapasso di azienda tra soggetti giuridici tra loro distinti e quindi si realizza l’avviamento (2).

I

(Omissis). — Non è dubbio che al caso di trasformazione di una società da un tipo ad un altro non può essere accompagnato quello di scioglimento

(1-2) Tassabilità dell’ avviamento nel caso di scioglimento di società e asse­ gnazione dell’ azienda all’ unico socio o ad uno dei soci.

1. La questione della configurabilità di un reddito a titolo di premio