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Presunzioni nell’accertamento c.d Visentini e analisi degli artt 11 e 12, legge n 154/1989.

L’UTILIZZO DELLE PRESUNZIONI NELL’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

5. Presunzioni nell’accertamento c.d Visentini e analisi degli artt 11 e 12, legge n 154/1989.

Dopo la riforma del 1973 si sono succedute numerose previsioni volte a incoraggiare l’utilizzo di presunzioni semplici. Ciò è stato possibile a causa dei limiti del modello di accertamento fondato sulla contabilità, la quale corrisponde a una esigenza organizzativa solo per le grandi imprese. Nei confronti di essa il problema dell’accertamento è, allora, quello di reperire le scritture contabili “effettive”.

Resta in qualche maniera scoperta l’area dei compensi non percepiti dai soggetti per i quali la contabilità sia una necessità organizzativa144. In buona sostanza, l’area delle piccole imprese e del lavoro autonomo. In tal modo è possibile giustificare, allora, l’insistenza degli interventi normativi in materia. Il legislatore, a riguardo, ha operato con il fine di superare l’ostacolo rappresentato dalla contabilità: o perché non viene imposta la tenuta di scritture contabili145, o per la sostanziale inattendibilità delle stesse. Per quest’ultima categoria si è manifestata la necessità di superare l’ostacolo della formale regolarità delle scritture contabili, qualora da

                                                                                                               

144  A.  Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario, cit., p. 275 145 Per i contribuenti privi di struttura organizzativa, per i quali tali obblighi comporterebbero costi sproporzionati.

altri elementi risultasse evidente l’occultamento di ricchezza imponibile146.

L’evoluzione normativa ha avuto alcuni tratti comuni.

Quanto all’oggetto, il legislatore ha preferito focalizzarsi sui contribuenti aventi una struttura di minore complessità (ad esempio imprese minori). Quanto al metodo, si è preferito prescindere dalle scritture contabili per ricostruire l’entità della ricchezza imponibile con riferimento a indici di vario tipo e natura147.

In una categoria concettuale così ampia rientrano numerosi istituti giuridici, concernenti l’accertamento del reddito di impresa e lavoro autonomo, succedutisi dal 1973. Si sono avuti, tra gli altri, l’accertamento c.d. Visentini 148 e l’accertamento mediante coefficienti presuntivi di ricavi e compensi149.

Tali istituti saranno esaminati non tanto attraverso un impostazione casistica, ma con un riferimento al tema principale, vale a dire le presunzioni.

                                                                                                               

146 In effetti tale superamento, come si è visto, è già possibile ai sensi dell’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/1973.

147 In generale, A. Fedele, I principi costituzionali e l’accertamento tributario, cit., p. 463; R. Lupi, Metodi, cit. ; E.Fazzini,

L’accertamento per presunzioni: dai coefficienti agli studi di settore, cit., p. 309 ss.

148 Art. 2, D.L. 19 Dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazione, nella L. 17 Febbraio 1985, n.17.

149 Artt. 11 e 12, D.L. 2 Marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazione, nella L. 27 Aprile 1989, n. 154.

Quanto all’accertamento c.d. Visentini, chiamato così perché “partorito” dall’allora Ministro delle Finanze Bruno Visentini, si  legge  all’art.  2,  comma  29,  D.L.  853/1984:  “Indipendentemente   da  quanto  stabiliti  nell’art.  39,  D.P.R.  n.  600/1973…gli  uffici  delle   imposte   dirette…possono,   previa   richiesta   per   raccomandata   di   chiarimenti   da   inviare   per   iscritto   entro   45   gg.,   rettificare   le   dichiarazioni   annuali   presentate   dai   contribuenti   che   si   sono   avvalsi   dei   regimi   di   determinazione   del   reddito   stabiliti   nei   precedenti   commi…IX   e   X   determinando   induttivamente   l’ammontare  di  ricavi  e    compensi…in  misura  superiore  a  quella   dichiarata,  sulla  base  di  presunzioni  desunte,  in  relazione  al  tipo   di   attività,   da   uno   a   più   dei   seguenti   elementi:   dimensione   e   ubicazione  dei  locali  destinati  all’esercizio,  altri  beni  strumentali   impiegati,  numero,  qualità  e  retribuzioni  degli  addetti,  acquisti  di   materie  prime  e  sussidiarie,  di  semilavorati  e  di  merci,  consumi  di   energia,   carburanti,   lubrificanti   e   simili,   assicurazioni   stipulate   nonché  altri  elementi  che  potranno  essere  indicati  con  decreti  dal   Ministro   delle   Finanze   anche   per   singole   attività.   Negli   avvisi   di   accertamenti   devono   essere   specificamente   indicati   i   fatti   che   danno  fondamento  alla  presunzione…”.

Con tale accertamento si pensò di valorizzare la possibilità di rettifica di ricavi e compensi sulla base di presunzioni che elaborassero matematicamente “dimensioni e ubicazione dei locali destinati all’esercizio, altri beni strumentali impiegati, numero, qualità e retribuzione degli addetti, acquisti di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di merci, consumi di energia, carburanti, lubrificanti e simili, assicurazioni stipulati nonché altri elementi   che   potranno   essere   indicati   con   decreti   dal   Ministro   delle   Finanze   anche   per  

singole   attività”. Rilevata la previsione del necessario contradditorio prima dell’avviso di accertamento (con la “richiesta di chiarimenti”) , gli aspetti più rilevanti erano i seguenti. Innanzitutto, la specifica previsione dei fatti fonte di presunzione. Era consentita l’utilizzazione di altri elementi indizianti ma, a quanto pare, solo se previsi in apposito decreto ministeriale. Ciò poteva costituire un limite per l’attività degli uffici. In secondo luogo, mentre nel D.D.L. originario si prevedeva l’utilizzazione di presunzioni c.d. semplicissime, con la precisazione che ciò era possibile anche in presenza di una regolare contabilità, nel testo approvato tale indicazioni erano state eliminate150.

Per quanto riguarda la natura delle presunzioni utilizzate dall' Ufficio per dimostrare l'esistenza di maggiori ricavi e compensi, la dottrina sembra ancora divisa151. Appare                                                                                                                

150 Tralasciando il fatto che la legge delega per la riforma tributaria prevedeva in linea di principio che “quando… la contabilità sia stata regolarmente tenuta, la prova per presunzioni da parte

dell’amministrazione… dovrà avere i requisiti indicati dal I co. dell’art. 2729 c.c.” (art. 10, n. 4, L. n. 825/1971) , si poteva osservare come nel sistema normativo le presunzioni prive di tali requisiti fossero poi state effettivamente previste, ma per casi di violazione e scorrettezze di particolare gravità da parte del contribuente, o comunque di situazioni estreme.

Nella relazione al primo testo del disegno di legge la scelta era ricondotta alle poche garanzie offerte dalla contabilità che a tali contribuenti è consentito tenere e alla necessità di lotta all’evasione fiscale. R. Lupi, Metodi, cit., p. 315 ss. In effetti il ricorso a teli strumenti prescinde completamente dalla sussistenza di irregolarità contabili.

151 Favorevoli a considerare la presunzione in questione come legale, si vedano: P.V. Renzi, Accertamenti induttivi e imposizione forfetarie, in Boll. Trib, 1985, p. 869; R. Lupi, Metodi, cit., p. 321.

comunque corretta la considerazione che ci si trovi di fronte ad una presunzione semplice152 poiché "la norma predetermina il fatto indiziante ma non il procedimento inferenziale da svolgere": infatti, a tutti gli effetti, è proprio l'Amministrazione finanziaria a dover formulare il ragionamento presuntivo che pone alla base delle proprie argomentazioni.

Una volta smentite le scritture contabili l'Amministrazione finanziaria si trova a fare i conti con la necessità di determinare essa stessa il presupposto d'imposta, sulla base degli elementi a sua disposizione. Si tratta di un compito abbastanza difficile, soprattutto se analizzato alla luce del fatto che, poiché dalla riforma del 1973 si era privilegiato un tipo di rideterminazione del presupposto d'imposta il più possibile analitica, di fatto gli uffici predisposti all’accertamento

                                                                                                                                                                                                                                                                      Inoltre, alcuni autori, con accenni evidentemente critici, avevano contemplato l’idea di creare un terzo genere di presunzione. Sul punto, F. Tesauro, Le presunzioni nel processo tributario, cit., p. 202; R. Lupi, Metodi, cit., p. 319 ss.

152 R. Lupi, Metodi, p. 321. L’autore, a tal proposito, approfondisce il proprio pensiero nella nota 192: “La norma consente di utilizzare queste argomentazione ed attribuisce quindi sul piano astratto

(sempreché cioè la specifica dimostrazione sia in concreto attendibile) sufficiente probabilità alle determinazioni in questo modo elaborate. La norma non indica un fatto in base al quale se ne deve desumere un altro, ma indica un mero collegamento tra due concetti, i cui rapporti devono essere qualificati caso per caso dagli uffici finanziari: si tratta in sostanza di una presunzione semplice il cui fatto noto è

predeterminato dalla legge e considerato a priori come un attendibile indizio”.

avevano perso dimestichezza con le stime operate sulla base delle nozioni di esperienza corrente153.

La ratio era pertanto quella di, da una parte, rafforzare l’impegno degli uffici che eseguono l’accertamento, indicando la direzione di ricerca della prova dell’eventuale evasione, dall’altra, di riconoscere espressamente la possibile efficacia indiziante degli indici menzionati, fornendo così un argomento per contrastare le opposte tesi del contribuente154.

A ben vedere, sia l’uno che l’altro obiettivo venivano perseguiti più sul piano suggestivo che su quello del vincolo giuridico. Dal primo punto di vista, si rimarcava il potere degli uffici di procedere in tal senso; dal secondo, non si prevedeva una efficacia probatoria qualificata o un’ inversione dell’onere della prova, ma, prevedendo soltanto la possibilità di valorizzare tali dati, si voleva paralizzare una eccezione preliminare del contribuente che andava a contestare l’ammissibilità di presunzioni fondate su tali dati.

La situazione che si era venuta a creare con l’accertamento Visentini rifletteva, oltre alla scarsa dimestichezza dell'Amministrazione finanziaria con le stime e le fasce di valori, anche un clima di conflittualità fra quest'ultima ed i contribuenti.

E' naturale, del resto, che si guardasse con molta diffidenza al fatto che il D.L. n.853 del 1984, sia pure limitatamente agli                                                                                                                

153    L.  Tosi,  Le  predeterminazioni  normative  nell’imposizione   reddituale,  cit.,  p.  245.  

 

anni che andavano dal 1985 al 1987, e successivamente anche per il 1988, avesse ammesso la possibilità di operare rettifiche sulla base di "determinazioni libere" del presupposto d'imposta: questo, infatti, aveva creato una situazione di grave incertezza per i contribuenti, totalmente incapaci di poter prevedere l'entità d’eventuali rettifiche operate nei loro confronti.

Nell'intento di ovviare agli inconvenienti che si erano in tal modo evidenziati con l'applicazione di tale accertamento, si cercò dunque di cambiare strategia, ed adottare un nuovo sistema di accertamento.

Il nuovo sistema, che fu introdotto con il D.L. 2 marzo 1989, n. 69, (convertito in L. 27 aprile 1989, n. 154), prevedeva, in sostanza, la possibilità di utilizzare dei coefficienti con una duplice finalità: come strumenti di controllo in grado di indirizzare l'azione di accertamento dell'Amministrazione finanziaria, ovvero come elementi dotati di un elevato grado di probabilità, per facilitare le determinazioni induttive del presupposto d'imposta qualora ciò si fosse reso necessario a seguito di un accertamento155.

I coefficienti, previsti dal D.L. 69/1989 agli art. 11 e 12, erano, infatti, di due tipi: quelli di congruità, avevano lo scopo di controllare i contribuenti minimi156 e di individuare quali fra i

                                                                                                               

155  F.  Tesauro,  Le  presunzioni  nel  processo  tributario,  cit.,  p.  219.      

156 Ossia i contribuenti detti “forfettari”, con ricavi non superiori a 18 milioni delle vecchie lire.

contribuenti minori 157 presentassero "anomalie" che rendessero necessario effettuare un accertamento in base ai coefficienti presuntivi158; naturalmente per i diversi tipi d’attività erano stati predisposti specifici coefficienti. Quelli presuntivi di ricavi e compensi, elaborati di anno in anno servivano, di conseguenza, per controllare i contribuenti minori che, ad una prima verifica operata sulla base dei coefficienti di congruità, avessero evidenziato una situazione "anomala" rispetto a quella media.

A riguardo, l’art. 11 prevedeva, in una prima versione, sia “coefficienti di congruità dei corrispettivi e dei componenti positivi e negativi di reddito, sia coefficienti presuntivi di reddito o di corrispettivi di operazioni imponibili”159.

Tali norme sembravano considerare due piani diversi di intervento (la programmazione dei controlli, da un lato, e l’accertamento, dall’altro) e due diversi tipi di coefficienti (quelli di “congruità”, da un lato, e quelli “presuntivi”,                                                                                                                

157 Erano tali i contribuenti con ricavi compresi tra i 18 e i 360 milioni delle vecchie lire.

158 A. Fantozzi, L'accertamento tributario: principi, metodi, funzioni, cit., p. 77, mette chiaramente in evidenza come i coefficienti di congruità non siano altro che coefficienti di riscontro utili per fornire dei criteri in base ai quali operare una selezione, e non possano essere utilizzati per determinare la base imponibile; si tratta, in sostanza: "di coefficienti al risultato dei quali parametrare la dichiarazione del contribuente per trarne ragioni di convincimento da parte dell'Ufficio al fine dell'individuazione di un reddito imponibile ricostruito dal Fisco in contraddittorio con quello dichiarato dal contribuente”. 159 I coefficienti di congruità furono determinati per la prima volta con DPCM 16 Maggio 1989, i coefficienti presuntivi con DPCM 22 Dicembre 1989.

dall’altro) 160 . Le due diverse specie di coefficienti corrispondevano alle due funzioni appena citate, ossia i coefficienti di congruità per orientare i controlli, quelli presuntivi per determinare i corrispettivi e i compensi in sede di accertamento.

Ciò non era però in perfetta armonia con la formulazione letterale dell’art. 12. Esso, infatti, menzionava genericamente i “coefficienti di cui all’art. 11”, sia con riferimento alla programmazione dell’attività di controllo, sia con riferimento alla determinazione di corrispettivi e compensi.

Successivamente, si unificarono i coefficienti in “coefficienti presuntivi di compensi e ricavi”.

In definitiva l’art. 11 disciplinava l’elaborazione di coefficienti presuntivi di ricavi e di compensi, in relazione ai vari settori economici, sulla base di parametri legati alle diverse attività. Le informazioni necessarie per la determinazione dei coefficienti medesimi, precisava il terzo comma, potevano essere desunte dalle dichiarazioni dei contribuenti, dagli accertamenti degli uffici, da informazioni richieste agli enti locali, alle associazioni di categoria e alle società specializzate in rilevazioni economiche di settore161.

La portata applicativa di tali coefficienti era controversa. La relativa disciplina, recata dall’art. 12, D.L. n. 69/1989, specificava che gli uffici “potevano” determinare “ricavi,                                                                                                                

160 A. Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario, cit., p. 279.

161 A. Giovannini, Ipotesi normative di reddito e accertamento nel sistema d’impresa, cit., p. 123 ss.

compensi e volumi di affari” sulla base dei coefficienti, prescindendo dal regime ordinario dell’accertamento (art. 39, D.P.R. n. 600/1973, e 53, D.P.R. n. 633/1972), ma tenendo conto degli altri elementi conosciuti riguardo la situazione economica del contribuente162

Inoltre l’art. 12 affermava che il contribuente aveva la facoltà di dimostrare la non applicabilità dei coefficienti in relazione alle condizioni di esercizio della propria attività.

Rispetto al passato la differenza più rilevante va, invece, ricercata nel fatto che, mentre la l’accertamento c.d. Visentini segnalava, in sostanza, una serie di elementi che l'Amministrazione finanziaria doveva tenere sotto osservazione, ma non indicava il meccanismo che avrebbe dovuto collegare il valore di questi a quello dell'ammontare accertabile, con la legge n. 154, come già visto, attraverso l'utilizzo dei coefficienti, si pone un meccanismo in grado di indicare esattamente il rapporto esistente fra il parametro esaminato e l'ammontare del presupposto d'imposta a questo riconducibile.

Diversamente da quanto era disposto dall’ accertamento c.d. Visentini, che lasciava sostanzialmente l'onere della prova a                                                                                                                

162 Tale disciplina, abbiamo detto, era applicabile tout court ai

contribuenti in contabilità semplificata. Per i contribuenti in contabilità ordinaria potevano valorizzarsi soltanto qualora dessero luogo, valutati unitamente agli altri elementi, a presunzioni gravi, precise e

concordanti di infedeltà della contabilità. Per i contribuenti in obbligatoria contabilità ordinaria essi potevano solo utilizzarsi come strumenti per orientare i controlli e quindi non veniva utilizzati per determinare gli elementi imponibili, ma solo per selezionare, ai fini di verifiche, i contribuenti.

carico dell’Amministrazione finanziaria163, ciò che veniva invece posta in essere con il D.L. 2 marzo 1989 n.69 era una presunzione normativa164 dell'esistenza di maggiori ricavi e compensi: spettava dunque al contribuente fornire la prova che la determinazione effettuata con l'utilizzo dei coefficienti non rispondesse alla realtà. Una prima ed indispensabile forma di contraddittorio era stata prevista dall'art. 12 del D.L. 69 del 1989165 , ai sensi del quale, qualora l'Amministrazione finanziaria avesse riscontrato una divergenza fra ricavi, compensi e volume d'affari dichiarati e quelli determinati invece mediante l'applicazione dei coefficienti, avrebbe comunque dovuto chiedere dei chiarimenti al contribuente posto sotto esame.

                                                                                                               

163 Nell’accertamento c.d. Visentini, infatti, abbiamo visto come l’Amministrazione Finanziaria, per dimostrare l’esistenza di un presupposto d’imposta maggiore di quello dichiarato, potesse servirsi anche di presunzioni semplici.

164 F. Moschetti, “Evoluzione e prospettive dell'accertamento dei

redditi determinati su base contabile”, cit.

 

165  Art. 12 primo comma, in seguito alle modifiche intervenute con la L. 413 del 30 dicembre del 1991: "Indipendentemente dalle

disposizioni recate dall'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600, e successive modificazioni, gli uffici possono, previa richiesta per lettera raccomandata al

contribuente di chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni, a pena di decadenza ai fini dell'accertamento, determinare induttivamente l'ammontare dei ricavi, dei compensi e del volume d'affari sulla base dei coefficienti di cui al comma 1 dell'art. 11, tenendo conto di altri elementi eventualmente in possesso dell'ufficio specificamente relativi al singolo contribuente. Resta ferma la facoltà del contribuente di dimostrare la non applicabilità dei coefficienti in relazione alle specifiche condizioni di esercizio della propria attività".  

Così riassunta la disciplina di tale accertamento, rimanevano alcune “zone grigie”, circa la natura dei coefficienti e l’individuazione dei mezzi di tutela riconosciuti al contribuente. Una prima ipotesi riguardava il quesito se essi corrispondevano a una presunzione legale, ovvero a presunzioni semplici. A favore della configurazione come presunzione legale vi era, principalmente, il fatto che il contenuto della induzione risultava predeterminato.

In effetti, la generale predeterminazione non è una caratteristica propria delle presunzioni semplici.

In senso contrario si poteva opporre che la norma del primo comma dell’art. 12 configurava testualmente l’accertamento sulla base dei coefficienti come “facoltà” per l’ufficio. L’argomento non era di grande efficacia, poiché la norma attribuiva un “potere”, ove sussistessero i presupposti.

Ugualmente non risolutivo era anche l’argomento fondato sulla disposizione del quarto comma dell’art. 12, il quale prevedeva espressamente che, nei confronti dei contribuenti in regime ordinario di contabilità, i coefficienti potevano utilizzarsi solo se fonte di presunzioni gravi precise e concordanti di infedeltà della contabilità. Tale disposizione non era decisiva, poiché poteva essere valorizzata sia traendone una conferma del carattere di presunzione semplice dei coefficienti, sia nel senso esattamente opposto, cioè intravedere nei coefficienti delle caratteristiche proprie delle presunzioni c.d. semplicissime.

La configurazione dei coefficienti come inversione dell’onere della prova necessita di approfondimenti ulteriori. Ad

esempio, un aspetto da considerare è la difficoltà “ingabbiare” in una struttura rigida come quella della presunzione legale un fenomeno tanto vario come la produttività delle attività economiche e il suo collegarsi ai fattori produttivi. In questa direzione giocava anche il fatto che l’art. 12 prevedeva il dovere dell’ufficio di valorizzare, oltre ai coefficienti, tutti gli altri elementi eventualmente conosciuti, oltre a quelli forniti dal contribuente. È vero che, formalmente, tali elementi potevano considerarsi presunzioni semplici, da affiancare o contrapporre (come prova contraria) alla presunzione legale del coefficiente, ma gli elementi posti a base dei coefficienti non avevano una natura sostanziale diversa dagli altri e avevano uguale generalità.

La conclusione preferibile era quella di inquadrare i coefficienti come presunzioni semplici utilizzabili dall’ufficio, da collocarsi nell’insieme dei poteri di accertamento esperibili caso per caso166.

                                                                                                               

166  La  principale  differenza,  in  generale,  tra  le  due  impostazioni  (   presunzione  semplice  o  presunzione  legale)  concerne  gli  oneri   dell’ufficio,  e  l’effetto  nei  confronti  del  giudice  tributario.  Sotto  il   primo  aspetto,  configurare  i  coefficienti  come  presunzioni  semplici   impone  oneri  di  motivazione  presumibilmente  più  penetranti  e   oneri  più  significativi  nella  ricerca  degli  elementi  di  prova.  In  tema   si  veda  Comm.  Trib.  Prov.  Siracusa,  sez.  III,  7  luglio  2000,  n.133,  in   Fisco,  2000,  secondo  la  quale  “è  nullo  l’accertamento  dell’ufficio  che   si  è  limitato  ad  applicare  in  modo  acritico  i  coefficienti  presuntivi  di   reddito  senza  operare  un  minimo  riscontro  di  tipo  contabili  e/o   documentale  e  senza  tenere  conto  dell’effettiva  situazione    personale   del  contribuente  nonché  della  realtà  in  cui  lo  stesso  operava  (nel   caso  di  specie  la  circostanza  esimente,  idonea  ad  escludere  

l’applicazione  automatica  dei  coefficienti  presuntivi,  consisteva  nello   stato  di  calamità  verificatosi  nella  Sicilia  orientale  colpita  dal  sisma   del  1990)”.  

Di un certo interesse era anche il fatto che l’art. 12 contemplasse una limitazione delle facoltà del contribuente. Gli era preclusa l’utilizzazione in giudizio degli elementi non allegati rispondendo alla richiesta di chiarimenti dell’ufficio. Questa impostazione non limitava la prova contraria, ma imponeva l’onera di allegarla già in sede amministrativa. Si trattava di una soluzione che non era oppressiva per le ragioni del contribuente167 e, inoltre, imponeva un comportamento trasparente nei confronti dell’ufficio.

Infine, di una certa importanza era anche la regola imposta dal quinto comma dell’art. 12, D.L. n. 69/1989, in seguito abrogato dall’art.3 della L. 28 Dicembre 1995 n. 549. Essa poteva essere intesa nel senso di escludere che dall’applicazione del coefficiente si potrebbe desumere una notizia di reato. Questa interpretazione può far sorgere alcuni dubbi. Infatti, se l’evasione è verosimile dal punto fiscale non si comprende perché ciò non potrebbe determinare l’avvio delle indagine, qualora possano ricorrere anche gli estremi di reato.

                                                                                                                                                                                                                                                                       

167  L’unica  perplessità  si  presentava  semmai  nell’ipotesi  di   impossibilità  di  allegazione  al  momento  della  richiesta  di   chiarimenti.  In  tale  ipotesi  un  sistema  normativo  

“costituzionalmente  orientato”  avrebbe  dovuto  prevedere  una   “remissione  in  termini”.  

6. Presunzione di non veridicità dei dati contabili, prova