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Quantificazione del reddito attraverso strumenti induttivi e doppia presunzione

L’UTILIZZO DELLE PRESUNZIONI NELL’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

3. Quantificazione del reddito attraverso strumenti induttivi e doppia presunzione

 

L’analisi del primo comma dell’art. 39 non può ancora dirsi completata. Rimane, infatti, da verificare gli strumenti che l’ Amministrazione Finanziaria può utilizzare per passare dall’accertamento dell’errore alla sua quantificazione.

Infatti, se esistono casi in cui tra il fatto accertato e la determinazione quantitativa dell’accertamento esiste un collegamento immediato, posso esserci casi in cui fra i due elementi esiste un rapporto mediato ed ancora casi dove dal fatto verificato si può solo presuntivamente argomentare l’esistenza o meno di componenti attive o passive.

Detto questo, possiamo considerare brevemente alcuni dei criteri utilizzabili per provare l’infedeltà e/o quantificare le “poste” rilevanti, in tali fattispecie.

È ricorrente, ad esempio, l’utilizzazione di argomentazioni che fanno leva sul “valore normale” del corrispettivo. Un riferimento espresso a tale possibile metodo di accertamento si trova nella già analizzata lettera d) del primo comma dell’art. 39, D.P.R. n. 600/1973, laddove si stabilisce che “Per cessioni aventi ad oggetto beni immobili ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui medesimi beni, la prova di cui al precedente periodo s’intende integrata anche se l’infedeltà dei relativi ricavi viene desunta sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi dell’ art. 9, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi”. Si tratta di una disposizione che

da un lato realizza il riconoscimento legislativo della legittimità di una presunzione semplice, dall’altro non specifica un generico riferimento alla possibilità di utilizzare presunzioni semplici, ma, bensì, permette di utilizzare un certo tipo di percorso argomentativo. Detto altrimenti, un esempio di questa disposizione è possibile rinvenirlo nel diritto processuale penale, nella norma che stabilisce che la prova della colpevolezza degli omicidi può essere tratta dalle impronte digitali sull’arma del delitto124.

Si tratta quindi di stabilire a quali condizioni il valore normale, ad esempio del bene ceduto o del servizio prestato può essere utilizzato per rettificare i dati contabilizzati. La rettifica consta infatti in due momenti: il primo diretto a dimostrare con molta attendibilità una infedeltà contabile ed il secondo a ricostruire in modo più credibile l’elemento del presupposto che è stato infedelmente contabilizzato125.

Solo l’infedeltà nella rappresentazione contabile deve risultare da presunzioni, e non la misure del corrispettivo che l’ Amministrazione intende sostituire a quello risultato infedele. Qualora l’ argomentazione dell’ufficio risulti sufficientemente probabile, il contribuente potrà pur sempre spiegare per quale ragione economica venne praticato un corrispettivo inferiore. Infine egli potrà dimostrare che il corrispettivo reale, maggiore di

                                                                                                               

124 A. Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario, cit., p. 242.

quello risultante dai documenti contabili, era comunque inferiore rispetto a quello determinato dall’amministrazione126.

Il contribuente non è quindi sprovvisto di difese in quanto, oltre a contestare l’attendibilità della rettifica, può spiegare le ragioni delle difformità rispetto al valore reale127.

Sul piano dell’applicazione, possiamo porci l’interrogativo se tale tipo di accertamento possa essere svolto a prescindere o meno dall’esame della contabilità. A riguardo l’art. 39 non pone nessun vincolo.

Altro strumento sono le c.d. percentuali di ricarico. Esse posso servire a rettificare singole “poste”, il complesso dei ricavi e, a seconda dei casi possono quindi essere inserite nell’accertamento contabile o extracontabile.

Ragionamenti presuntivi si possono fondare su tracce materiali quali documentazione di versamenti, pagamenti, registri, appunti e simili. Questi posso essere presi in considerazione come, appunto, fonte di un ragionamento presuntivo. Una cosa è ad esempio la scrittura privata dove viene indicato un corrispettivo, un'altra l’estratto conto dal quale risulta un versamento di importo maggiore rispetto a quello dichiarato. La struttura della prova, in queste ipotesi, è evidentemente presuntiva.

Se le osservazione compiute non sono errate, possiamo allora affermare che l’accertamento c.d. contabile si caratterizza non                                                                                                                

126 A riguardo Il contribuente potrà utilizzare argomentazioni presuntive basate sulle informazioni disponibili nel caso concreto. 127 Il contribuente può ammettere l’infedeltà, ma contestare la determinazione effettuata dall’amministrazione fornendo prove contrarie.

tanto per la sua idoneità a misurare con certezza matematica la posta rettificata ma per prendere avvio dai dati esposti in dichiarazione e per giungere, anche con inferenze, ad una sua modificazione o integrazione.

Prima di continuare l’analisi dell’art. 39, è opportuno trattare l’argomento delle doppie presunzioni.

A riguardo la dottrina civilista e tributaria appare ancora divisa in due parti, perché se alcuni autori dichiarano illegittime le presunzioni che prendono avvio da fatti a loro volta ricostruiti con ragionamenti presuntivi, altri affermano che le stesse sono conformi al sistema.

Il dibattito viene altresì alimentato dalla posizione oscillante della giurisprudenza. Le diverse ricostruzioni spesso, infatti, si arrestano davanti alla regola base praesumptum de praesumpto non admittitur.

Il già citato art. 2727 c.c. afferma che il procedimento per presunzione è legato all’esistenza di fatti noti da cui è possibile risalire al fatto ignoto. Nell’interpretare la norma un punto è ormai molto chiaro: il fondamento e limite delle presunzioni sono accadimenti la cui esistenza o rientra nei fatti notori o viene accertata con una valutazione che attribuisce certezza giuridica al fatto noto.

Con riferimento alle “presunzioni da presunzioni” si tratta allora di stabilire se il fatto ignoto ricostruito con il ragionamento presuntivo possa considerarsi fatto giuridicamente certo su cui fondare un ulteriore presunzione. Quindi se affermiamo che le fonti di presunzione conducono ad una rappresentazione probabile del fatto da provare, il divieto del praesumptum de

paesumpto diviene sostenibile. Affermare invece che le presunzioni semplici siano “prove in senso pieno”, dotate del “medesimo grado di certezza giuridica della prova storica”, consente di considerare legittime le doppie presunzioni128.

Come già affermato nel primo capitolo, il diverso grado di probabilità del fatto rappresentato attiene alla natura della prova (storica o critica) ed è, in ogni caso, un fenomeno che si antepone alla certezza processuale. Ciò che può distinguere le diverse fonti di prova è la loro minore o maggiore forza rappresentativa del fatto da provare. Una volta superata questa fase, però, è per l’ordinamento di importanza fondamentale la certezza che esprime il giudice sui fatti in ausa, a prescindere dal loro livello di corrispondenza-probabilità alla realtà oggettiva. E se la certezza dei fatti, come già detto, viene data dal giudice, non vi è nessuna diversità logica tra fatto (“certo”) ricostruito tramite, ad esempio, la narrazione del testimone e quello a cui si giunge col ragionamento presuntivo129.

La ricostruzione appena fatta può essere considerata anche in riferimento alla fase di accertamento del reddito ex art. 39, primo comma, D.P.R. n. 600.

Un ragionamento diverso, invece, deve essere fatto se ci riferiamo al secondo comma dell’art. 39 e, più precisamente, alle presunzioni c.d. semplicissime, ossia prive dei requisiti di

                                                                                                               

128 A.A. VV, Le presunzioni nel diritto tributario, cit. .A favore dell’amissibilità delle presunzioni di doppio grado si esprime anche R. Lupi, Metodi induttivi e presunzioni, cit., p. 215 e nota 107.

129 Teoria espressa da A. Giovannini, Ipotesi normative di reddito e accertamento ne sistema d’impresa, cit. .

gravità, precisione e concordanza. Rimandando al prossimo paragrafo l’esame della disposizione, per il momento possiamo affermare come lo strumento ricognitivo contemplato non rappresenta un mezzo probatorio, poiché per la validità del suo risultato la norma esige un grado di attendibilità particolarmente qualificato, cosa che non si verifica non essendoci gravità, precisione e concordanza. Inoltre, se l’esito a cui perviene l’ufficio in sede di istruzione primaria non è normativamente considerato “fatto certo” ma semplicemente probabile, diventerà impossibile assumerlo come base su cui fondare un ulteriore ragionamento presuntivo. In sostanza, nelle ipotesi di cui all’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/1973, il grado di probabilità della ricostruzione non attiene alla valutazione del giudice in ordine alla attendibilità della prova, ma riguarda, direttamente, la struttura delle presunzioni c.d. semplicissime, le quali non sono capaci di convincere il giudice circa la verità dei fatti, ma sono solamente idonee a convincerlo della loro verosimiglianza.

4. Analisi dell’art. 39, secondo comma, D.P.R. n.600/1973 e presunzioni semplicissime.

Il secondo comma dell’art. 39 indica le ipotesi di accertamento induttivo-extracontabile del reddito d’impresa.

L’ ufficio può determinare con tale tipo di accertamento il reddito d’impresa sulla base di dati e notizie raccolti o venuti a sua conoscenza, con la facoltà di prescindere in tutto o in parte da ciò che risulta dal bilancio o dalle scritture contabili e di avvalersi anche di presunzioni prive di gravità, precisione e concordanza. Tuttavia, la tendenziale libertà di tale tipo di accertamento è legata ad ipotesi tassative. La prima di queste, indicata alla lettera a)130, è costituita dalla omessa indicazione del reddito d’impresa,

da intendersi

non come mancata compilazione della casella della dichiarazione in cui deve essere riportata la somma delle componenti attive e passiva, bensì come omessa indicazione delle suddette componenti.

La lettera b)131 del secondo comma dell’art. 39 prevedeva, in quanto abrogata dall’art. 8 del D.Lgs n. 241 del 9 Luglio 1997,

                                                                                                               

130 “quando il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazione”.

131 “quando alla dichiarazione non è stato allegato il bilancio con il conto dei profitti e delle perdite”.

l’ipotesi della mancata allegazione alla dichiarazione del bilancio con il conto dei profitti e delle perdite.

L’ufficio, ai sensi della lettera c) 132 , può ricostruire induttivamente il reddito d’impresa quando dal verbale d’ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili obbligatorie, o quando le steso non sono disponibili a causa di forza maggiore.

La previsione più delicata è invece quella dettata dalla lettera d)133, la quale ammette il superamento delle scritture contabili se le omissioni, le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del primo comma dell’art. 39 e le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numeroso e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.

La disposizione intreccia il passaggio dall’accertamento contabile a quello extracontabile a valutazioni che, data la

                                                                                                               

132 “quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell'art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all'ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall'art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza

maggiore”.

133 “quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”.

indeterminatezza dei concetti in essa espressi, in molti casi possono apparire opinabili.

Va tuttavia aggiunto che la previsione impone che le stesse violazioni siano sorrette da prove certe, risultanti cioè dal verbale di ispezione, dagli atti e documenti trasmessi o esibiti dall’imprenditore, dal controllo delle fatture, ovvero da presunzioni, purché gravi, precise e concordanti.

Quindi, solo in presenza di un riscontro oggettivo delle irregolarità, a cui però si affianca un giudizio soggettivo, l’amministrazione è legittimata a determinare in maniera induttiva il reddito “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti…” ed anche tramite presunzione prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.

Prima di procedere oltre, occorre effettuare alcune precisazione per chiarire meglio alcuni aspetti indicati nelle pagine precedenti. Analizzando l’art. 39, primo e secondo comma, D.P.R. n. 600/1973, si sono evidenziate le difficoltà a ricondurre in schemi precostituiti le fattispecie in esso contemplate. Possiamo ora aggiungere che non solo la distinzione fra accertamento analitico (art. 39 primo comma) ed induttivo (art. 39 secondo comma) spesso può indurre in errore, ma anche quella fra accertamento contabile ed extracontabile non sempre è capace di cogliere la molteplicità di ipotesi prospettabili.

Un attento esame della norma, dimostra, infatti, la relatività di tali ripartizioni, la cui utilità, a ben vedere, si riduce in una sommaria descrizione dei fenomeni134.

                                                                                                               

134 A. Giovannini, Ipotesi normative di reddito e accertamento nel sistema d’impresa, cit., p. 104

Tanto per fare alcuni esempi, se il contribuente non indica il reddito d’impresa, perché omette di trascrivere, anche per disattenzione, l’apposito quadro della dichiarazione, ma ad essa allega il bilancio ed il conto dei profitti e delle perdite, l’ufficio potrà ricostruire il reddito attraverso presunzioni (perfino prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza) ma potrà anche non prescindere dal contenuto di tali allegati ed assumere i dati esposti in essi a fondamento della determinazione del reddito stesso.135 In tal caso, seppure in presenza di ipotesi che si

riconducono all’art. 39, secondo comma, lettera a), D.P.R. n. 600/1973, possiamo affermare che siamo in presenza di un accertamento analitico del reddito d’impresa.

Ma andiamo oltre. Sempre nel caso in cui il contribuente abbia omesso di indicare nella dichiarazione il reddito d’impresa, come nell’ipotesi di mancata allegazione del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite (art. 39, secondo comma, lettera b), l’amministrazione potrebbe anche procedere ad ispezione e verifica contabile; in tale fattispecie l’ufficio, se ritenesse la contabilità attendibile, potrebbe determinare il reddito prendendo i dati in essa contenuti e basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti. In tale caso appare difficile tracciare una netta separazione fra il secondo comma dell’art. 39 e la lettera d) del primo comma dello stesso articolo.

                                                                                                                                                                                                                                                                      135 art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/1973 : l’ufficio ha “facoltà di prescindere in tutto on in parte alle risultanze del bilancio e delle scritture contabili …”

Dagli esempio fatti, possiamo ipotizzare che il legislatore, con l’art. 39, si è preoccupato di fissare i presupposti in presenza delle quali l’amministrazione deve procedere all’accertamento del reddito, mentre i vari metodi saranno le conseguenze dei presupposti stessi.

Fatte queste premesse possiamo affrontare una questione che riguarda, riferendoci all’accertamento extracontabile ovviamente, la materia della prova e, in maniera indiretta, le presunzioni: l’ufficio ha la facoltà di utilizzare dati e notizie “comunque acquisiti” o “venuti a conoscenza”. Una prima interpretazione di questi incisi è che sia derogata la regola della inutilizzabilità degli elementi istruttori acquisiti in violazione di legge136. Tale deroga è stata talvolta riconosciuta da Uffici e della giurisprudenza137.

                                                                                                               

136 Regola, peraltro, non pacifica nella giurisprudenza e nella dottrina. In proposito, A. Tortora-A. Tomassini-R. Lupi, Dialoghi dir.trib., 2, p. 159 ss. Concettualmente l’alternativa è che le eventuali violazione della disciplina sull’istruttoria comportino solo le eventuali sanzioni a carico del trasgressore, ma non prova nessun effetto sulla validità o assolvimenti dell’onere della prova.

In tema, Cass., sez. trib., 26 Maggio 2003, sentenza n. 8273, in I Quattro Codici della Riforma Tributaria Big, ha affermato che “in materia tributaria non vige il principio, presente invece nel codice di procedura penale, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisiti irritualmente; pertanto, gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso salvo la verifica della attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi, e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico”.

137 Cass., 26 Maggio 2003, sentenza n. 8273, in I Quattro Codici della Riforma Tributaria Big, la cui motivazione, prima ancora di affermare che la prova illegittimamente acquisiti sarebbe comunque utilizzabile, osserva che nel caso particolare dell’art. 39, secondo comma, sono

Secondo questa impostazione si risponderebbe, ad un eventuale negligenza del contribuente, con una sorta di “ritorsione”, consistente nell’ “abbassamento” del livello delle garanzie istruttorie. In teoria, questa norma legittimerebbe allora l’utilizzazione di dati assunti in violazione di legge, o quantomeno al di fuori dei limiti imposti in via ordinaria.

Questa interpretazione comporta molti dubbi quando il limite derogato è posto a garanzia degli interessi del contribuente. Ad esempio, se si ritenesse di poter utilizzare anche dati acquisti in violazione di norme poste a tutela del domicilio o della corrispondenza o di altri interessi.

Sembra fuori dubbio che questa interpretazione non è condivisibile, poiché un comportamento illegittimo della Pubblica Amministrazione non può trovare giustificazione in figure riconducibili, ad esempio, alla legittima difesa o allo stato di necessità. Inoltre non è dimostrato che, di fronte ad negligenze del contribuente, l’unico rimedio possibile sia quello dell’acquisizione illegittima.

Tuttavia tale meccanismo si esplica in riferimento al secondo comma dell’art. 39, e, quindi, si riferisce alla determinazione totale del reddito e non all’accertamento, indicato dal primo comma dell’art. 39, delle singole voci reddituali. Secondo comma che inoltre non impone, da un lato, di adottare le c.d. presunzioni semplicissime (ed è possibile che ricostruzione extracontabili siano gravi, precise e concordanti), dall’altro, che queste ultime comunque non posso essere ricostruzioni arbitrarie. Ne risulta confermato che il problema è meno drammatico di quanto appare.

Abbiamo detto che tra i meccanismi più utilizzati per tale tipo di accertamento vi sono le percentuali di ricarico, la rettifica in base a costi di produzione, e simili. In effetti, tali strumenti posso essere utilizzati anche per la rettifica di singole voci reddituali, e quindi possono riferirsi all’accertamento di cui al primo comma dell’art. 39. A volte, invece, tali strumenti possono servire a dimostrare il presupposto dell’accertamento extracontabile (l’infedeltà della contabilità), ma non l’ammontare del tributo. Resta da trattare alcune questioni residue.

Un primo aspetto è il rapporto di tale accertamento con le scritture contabili. A riguardo sono due gli interrogativi che sorgono: se per procedere con tale accertamento sia comunque necessaria l’ispezione delle scritture contabili; se e in che misura l’ufficio deve conto di essa. Il primo interrogativo è ormai superato, come abbiamo visto a proposito dell’accertamento contabile138, in quanto tale soluzione era irragionevole e, dopo la già citata modifica139 del primo comma dell’art. 39, D.P.R. n. 600/1973, ne è venuta meno anche una baste testuale. Il secondo interrogativo ha una soluzione molto semplice. Una cosa è dimostrare la sussistenza dei presupposti dell’accertamento extracontabile, un'altra determinare le voci reddituali. Rispetto a quest’ultima operazione, il “peso” delle scritture per l’ufficio che

                                                                                                                138 R. Lupi, Metodi, cit., p. 238

139 Modifica, ricordiamo, operata dall’art. 62- sexies, D.L. 30 Agosto 1993, n. 331

procede deve variare in relazione agli elementi che il contesto offre140.

Infine, quanto alle possibilità di difesa del contribuente, egli può contestare che l’accertamento non è plausibile e/o fornire elementi ulteriori. La difesa del primo tipo è, ad esempio, argomentare sul fatto che l’accertamento non è plausibile (non più di quanto è stato dichiarato).

Rispetto alle argomentazioni e prove contrapposte dal contribuente a tale tipo di accertamento, è sufficiente che la tesi sostenuta dal contribuente sia più convincente di quella dell’ufficio. Per questo, quindi, non vengono richiesti standard di verosimiglianza.

Altra questione, correlata, è in che modo si atteggi, rispetto a queste attività di difesa, il divieto di addurre circostanze omesse nelle scritture contabili o in contrasto con le loro circostanze, di cui all’art. 61, D.P.R. n. 600/1973141. In proposito, si deve osservare, che tale divieto riguarda il contribuente e non l’ufficio. Il contribuente potrà contestare le illazioni che l’ufficio trae da circostanze non risultanti dalle scritture, e ciò costituisce una notevole apertura142. In secondo luogo, la più gran parte dei dati

                                                                                                               

140 Basta osservare che tra i presupposti dell’accertamento

extracontabile alcuni non riguardano affatto l’inattendibilità delle scritture. In un senso più generale possiamo ritenere, di conseguenza, che l’ ufficio debba fornire una dimostrazione plausibile rispetto al singolo contesto, ma non per forza respingere tutte le possibili ricostruzioni alternative.

141 R. Lupi, Metodi, cit., p. 313 ss.

che possono servire a contestare un accertamento extracontabile143 di norma non è suscettibile di essere rilevata dalle scritture contabili. Anche sotto questo aspetto, quindi, la limitazione alle possibilità di difesa è meno rilevante di quel che potrebbe apparire. Tuttavia l’argomento delle scritture contabili, il loro utilizzo all’interno dell’accertamento e la loro natura di presunzione, verrà trattato nel prossimo capitolo.

                                                                                                               

143 Dati relativi alle dimensioni dell’attività, quali clientela, dimensione, ubicazione, ecc.

5. Presunzioni nell’accertamento c.d. Visentini e analisi degli