UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale
Tesi di Laurea
Le presunzioni nel diritto processuale civile e nel
diritto tributario
Il Candidato
Il Relatore
Maurizio Naseddu Chiar.mo Prof. Sergio Menchini
a.a. 2012/2013
A mio nonno Francesco, esempio di vita e di amore.
INDICE:
INTRODUZIONE 5
CAPITOLO I
ELEMENTI GENERALI DELLE PRESUNZIONI NEL DIRITTO CIVILE.
1. Le presunzioni in generale ……… 8 2. Presunzioni legali assolute: caratteristiche, prova
contraria, ammissibilità costituzionale in relazione agli artt. 24 e 3 Cost., fatti notori e massime di esperienza .. 22 3. Presunzioni legali relative: prova contraria,
presunzioni miste, inversione dell’onere della prova, dispensa dalla prova, limiti e diritto alla prova ………. 31 4. Presunzioni semplici: mezzo di prova, limiti alla
ammissibilità, presunzioni semplici e argomenti di prova, presunzioni semplici e indizi, i requisiti di gravità, precisione e concordanza ……… 38
CAPITOLO II
PRESUNZIONI NEL DIRITTO TRIBUTARIO 1. Le presunzioni legali assolute nel diritto
tributario………... 52
2. Le presunzioni legali relative nel diritto
3. Le presunzioni semplici nel diritto
tributario………. 74
CAPITOLO III
L’UTILIZZO DELLE PRESUNZIONI NELL’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO 1. Orientamenti giurisprudenziali in tema di presunzioni
tributarie e analisi dell’art. 39, primo comma, D.P.R. n.
600/1973………. 83
2. Ragionamenti presuntivi dell’amministrazione (art. 39,
primo comma lettera d, D.P.R. n. 600/1973) …………. 95
3. Quantificazione del reddito attraverso strumenti
induttivi e doppia presunzione ……….. 105
4. Analisi dell’art. 39, secondo comma, D.P.R.
n.600/1973 e presunzioni semplicissime ………... 111
5. Presunzioni nell’accertamento c.d. Visentini e analisi
degli artt. 11 e 12, legge n. 154/1989 ……… 120
6. Presunzione di non veridicità dei dati contabili, prova
contraria e scritture contabili ………. 134
INTRODUZIONE
L’istituto delle presunzioni trova una sua specifica collocazione all’interno del codice civile. Gli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c. sono dedicati a tale istituto.
È doveroso, prima di iniziare a trattare l’argomento delle presunzione, indicare la nozione delle stesse, tratta dall’art. 2727 c.c. : ”Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”. A riguardo esse vengono distinte in presunzioni legali e presunzioni semplici.
Le prime sono previste da norme giuridiche, hanno l’efficacia della legge e impongono al giudice una determinata decisione per tutti i casi a cui in astratto si riferiscono.
Le seconde, invece, vengono di volta in volta elaborate nel giudizio, rappresentano esclusivamente le premesse logiche della decisione e hanno valore soltanto per il caso deciso.
A differenza di quanto accade nel caso delle presunzioni semplici, per le presunzioni legali non si riscontra alcun ragionamento di tipo induttivo dal fatto noto a quello ignoto; piuttosto la legge impone al giudice di considerare determinati fatti come veri in mancanza di prova contraria.
Le presunzioni legali, si distinguono, poi, in presunzioni che ammettono prova contraria (cosiddette relative o iuris tantum) e presunzioni che non la consentono (cosiddette assolute o iuris et de iure): entrambe considerano un fatto come provato e, pertanto, non deve fornirsi la prova del fatto presunto.
Nel caso delle presunzioni relative la controparte ha la possibilità di provare che non sussiste o non è vero il fatto presunto: si determina, così, un’inversione dell’onere della prova con riferimento al fatto rilevante per la decisione.
A differenza di quelle relative, e presunzioni che non ammettono la prova contraria determinare una limitazione assoluta del principio di libera valutazione delle prove. In questo caso, al fatto noto su cui si fonda la presunzione, viene ricollegato un altro fatto, che deve essere necessariamente posto a base delle decisione senza alcuna possibilità di prova contraria e, quindi, di valutazione.
La prova contraria è ammessa soltanto eccezionalmente e cioè se la legge, di volta in volta, lo prevede espressamente
Esigenze di chiarezza e di semplicità pratica impongono di annoverare le presunzioni fra le prove orali e le prove costituende. È forse giunto il momento, però, di ritagliare alle presunzioni un ulteriore spazio a sé, collocandole fra le prove per induzione, la cui caratteristica istituzionale consiste nel fondarsi su di un ragionamento induttivo, affidato al giudice quale mezzo ulteriore di accertamento della verità o della falsità di un’allegazione avente per oggetto un determinato fatto da provare.
Il lavoro svolto consiste in tre capitoli.
Nel primo si procede ad un analisi di carattere analitico delle varie categorie di presunzioni all’interno del diritto civile e processuale civile, con l’obiettivo di evidenziare le caratteristiche e le problematiche delle presunzioni stesse, i principi
costituzionali di riferimento e alcune pronunce della giurisprudenza a riguardo.
Nel secondo capitolo si continuano ad analizzare le presunzioni facendo riferimento, però, al diritto tributario. Anche in questo capitolo si evidenziano le caratteristiche delle presunzioni e, in particolare, l’ inversione dell’onere probatorio, il rapporto con gli artt. 53 e 24 della Costituzione ed il loro utilizzo mirato a semplificare la lotta all’evasione fiscale.
Nel terzo e ultimo capitolo viene analizzato l’utilizzo delle presunzioni semplici da parte dell’ Amministrazione Finanziaria, attraverso l’accertamento tributario, e il loro rapporto con le scritture contabili. In questo capitolo vengono, inoltre, analizzati in maniera analitica l’art 39 del D.P.R. n. 600/1973 e gli artt. 11 e 12 della legge n. 154/1989.
L’ obiettivo del lavoro che ho svolto è quello di far luce sull’istituto delle presunzioni, evidenziando, oltre alle varie caratteristiche, l’utilizzo frequente che se ne fa, l’ammissibilità delle stesse e il loro ruolo all’interno del nostro ordinamento giuridico.
CAPITOLO I
ELEMENTI GENERALI DELLE PRESUNZIONI NEL DIRITTO CIVILE
1. Le presunzioni in generale.
La definizione legislativa, secondo cui le presunzioni sono le “conseguenze” tratte da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato, impone prima di tutto di precisare la distinzione tra l’istituto in esame e la prova.
Nel caso della prova, infatti, il giudizio si riferisce a fatti rilevanti in relazione al diritto esercitato, ad esempio, in quanto costitutivi del diritto stesso, mentre nel caso delle presunzione il giudizio ha ad oggetto fatti non (direttamente) rilevanti, rispetto ai quali è necessaria un’ulteriore attività intellettuale, basata su indizi e massime di esperienza, di cui il giudice si serve per compiere il sillogismo che gli permette di conoscere il fatto ignorato1.
Il criterio distintivo tra prova e presunzione viene riscontrato nella diversa natura del rapporto che lega il fatto noto a quello ignorato. Nel caso della prova, infatti, il rapporto tra i due fatti è immediato e diretto (ad esempio la quietanza fornisce la prova del pagamento), mentre nel caso della presunzione si ravvisa la
supposizione della verità di un fatto come conseguenza diretta e probabile di un altro fatto (noto)2.
Tuttavia, mentre la disciplina dei mezzi di prova è distribuita tra il codice civile ed il codice di procedura civile3, quella delle presunzioni è contenuta unicamente nel primo. Già in base alla collocazione delle norme in tema di presunzioni si afferma pertanto la sicura appartenenza dell’istituto al diritto sostanziale4. Nelle fonti giuridiche la presunzione si presenta distinta in due categorie, perché, mentre in alcuni casi il giudice è obbligato ad ammettere come esistente il fatto da provare (presupposto della ragione che una parte fa valere in giudizio), in altri casi quell'obbligo manca e le presunzioni consistono allora in mere argomentazioni, vincolative soltanto per la loro forza di verosimiglianza.
La scuola, con designazione di origine bizantina, ha chiamato praesumptiones iuris o "legali" quelle del primo gruppo e praesumptiones hominis o facti quelle del secondo, riconoscendo appunto, come criterio distintivo delle une dalle altre, la circostanza che, mentre nelle seconde la legge lascia libero l'apprezzamento al giudice, per le prime invece stabilisce a priori l'efficacia probatoria. Una distinzione ulteriore, che riguarda il
2 L. Ramponi, Teoria generale delle presunzioni nel diritto civile italiano, cit., p. 2 ss.
3 Sulle ragioni di tale collocazione delle norme in tema di prova v. S. Patti, Prove. Disposizioni generali, sub. art. 2697, p. 46 ss.
4 L. Ramponi, Teoria generale delle presunzioni nel diritto civile italiano, cit., p. 11.
gruppo delle presunzioni legali, è quella tra praesumptiones iuris tantum e praesumptiones iuris et de iure5.
Con le prime la legge ordina al giudice di ammettere come esistente il fatto da provare, soltanto alla condizione che la parte, contro la quale il fatto stesso si fa valere, non dia la prova del contrario; con le seconde, invece, la legge ordina quell'ammissione senza possibilità di prova contraria.
Per quanto concerne le presunzioni legali, l’appartenenza al diritto sostanziale trova conferma nel fatto che esse prescindono dal convincimento del giudice. L’efficacia probatoria delle presunzioni è infatti fissata dalla legge ed esclude un apprezzamento discrezionale. L’eccezione è evidente nel caso delle presunzioni assolute, poiché esse derogano altresì al principio generale del contraddittorio riguardante l’ammissibilità della prova contraria e, in definitiva, si pongono oltre i confini concettuali della prova. Ma anche le presunzioni che ammettono la prova contraria, se quest’ultima non viene fornita, sostituiscono alla (eventuale) certezza del giudice una certezza legale, derogando quindi al principio generale di cui all’art. 116 cod. proc. civ6. .
5 C. Ferrini, Le presunzioni in diritto romano, in Enciclopedia Giuridica Il Sole 24 ore, cit., p.258 ss.
6 “Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente
apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.
Prova e presunzioni si pongono tra loro in un rapporto di alternatività, nel senso che un fatto non deve essere provato se costituisce oggetto di una presunzione legale.
In alcune fattispecie di presunzioni legali non si riscontra peraltro il calcolo di probabilità indicato come fondamento dell’istituto, bensì soltanto un’esigenza di semplificazione e razionalizzazione. Quanto detto, per una parte delle dottrina, si verifica, ad esempio, nel caso della presunzione di commorienza (art. 4 c.c.7), essendo poco probabile che tutti i soggetti abbiamo perduto la vita nel medesimo instante8.
L’espressione “si presume” o “è presunto” non si riscontra in nessuna norma che prevede fattispecie di presunzione legale. Così, ad esempio, nell’art. 231 c.c., secondo cui il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio. In tali ipotesi la sussistenza di una fattispecie di presunzione legale viene accertata mediante interpretazione.
Non del tutto condivisibile ci sembra, infine, la tradizione visione della presunzione come strumento probatorio più “debole” rispetto alla prova diretta o rappresentativa. Al riguardo è apparsa significativa la circostanza che il legislatore abbia subordinato ai requisiti di gravità, precisione e concordanza (art. 2729 c.c.) l’efficacia probatoria delle presunzioni, mentre le prove sono “semplicemente sottoposte al prudente apprezzamento del
7 “Quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un’altra e non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento.”
8 L. Ramponi, Teoria generale delle presunzioni nel diritto civile italiano, cit., p. 27.
giudice” (art. 116, primo comma, cod. proc. civ). Tuttavia, come si vedrà in seguito, la “triade dei requisiti” esprime unicamente un richiamo alla prudenza del giudice, senz’altro equivalente a quello rinvenibile nella formula “prudente apprezzamento”. Ancora meno condivisibile sembra la tesi della presunzione come prova “debole”. Infatti, i moderni ordinamenti processuali privilegiano un accertamento del fatto basato sul libero convincimento del giudice piuttosto che su prove legali, la fiducia nella capacità di analisi e nel ragionamento del giudice non può conoscere gradi diversi con riferimento ai vari strumenti di volta in volta utilizzati.
Un riferimento normativo delle presunzioni si trova nel codice civile.
Al posto dei cinque articoli sulle presunzioni presenti nel Code civil (artt.1349-1353) il codice civile italiano ne ha previsti soltanto tre, che tuttavia recepiscono integralmente l’ “antica” disciplina.
Il primo di essi, l’ art. 2727 c.c. indica la nozione di presunzione e corrisponde esattamente a quella data nel codice francese all’art. 13499: “Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”. La presunzione consiste quindi in ragionamento che partendo dal fatto noto permette di formulare una serie di ipotesi: le conseguenze.
9 “les presomptions sont des conséquences que la loi ou le magistrat tire d’un fait connu à un fait inconnu”.
Inoltre il suddetto articolo indica, oltre alla definizione delle presunzioni, due tipi di presunzione: quelle tratte dal legislatore e quelle tratte dal giudice.
Nel primo caso si parla di presunzioni legali, nel secondo di presunzioni giudiziali o semplici.
Le prime vengono disciplinate dall’art. 2728 c.c., il quale dispone: “Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite.
Contro le presunzioni sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti e non ammette l’azione in giudizio non può essere data prova contraria, salvo che questa sia consentita dalla legge stessa“.
Le seconde vengono disciplinate, invece, dall’art. 2729 c.c.: “Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova contraria“.
Nonostante la definizione unitaria e la funzione in parte comune, presunzioni legali e presunzioni semplici rappresentano fenomeni molto diversi.
Si consideri, infatti, che le presunzioni legali sono stabilite da norme giuridiche, mentre le presunzioni semplici vengono di volta in volta elaborate nel giudizio. Le prime hanno l’efficacia prevista dalla legge e impongono al giudice una determinata decisione per tutti i casi a cui in astratto si riferiscono. Le seconde, al contrario, costituiscono premesse logiche della decisione e hanno valore soltanto per il caso deciso. In definitiva,
nel primo caso la legge impone al giudice una certa soluzione, che in alcuni casi non rappresenta una conseguenza di un fatto “noto” né corrisponde all’id quod plerumque accidit10, mentre tali caratteristiche servono a giustificare la presunzione semplice. Le presunzioni legali, pertanto, non possono neanche considerarsi mezzi di prova, essendo invece previsioni normative che vanno ad esonerare la parte onerata dalla prova ed eliminano l’incertezza rispetto alla situazione di fatto.
In particolare, le presunzioni legali relative servono a ripartire l’onere della prova. A differenza di quanto accade nel caso delle presunzioni semplici, non si riscontra alcun ragionamento di tipo induttivo dal fatto noto a quello ignoto; piuttosto la legge ritiene un fatto come certo fino a prova contraria. Esse, in definitiva, dispensano dalla prova, imponendo al giudice di considerare determinati fatti come veri in mancanza di (sufficiente) prova contraria. In tal senso, un esempio significativo è offerto dall’art. 1237, secondo comma, che ricollega fino a prova contraria la liberazione del debitore alla consegna volontaria della copia del titolo di credito redatto in forma pubblica.
Una netta diversità si riscontra inoltre, come si vedrà, all’interno delle presunzioni legali, tra quelle che ammettono prova contraria e quelle che non la consentono. Al riguardo deve precisarsi che le presunzioni non ammetto la prova contraria soltanto nei casi in cui la legge lo stabilisce espressamente. Ciò non avviene di frequente.
10 Si pensi alla presunzione di commorienza (art. 4 c.c.) o alla presunzione di innocenza (art. 27. Cost.).
Riassumendo, per quanto concerne la distinzione tra presunzioni legali e presunzioni semplici deve anzitutto mettersi in luce una certa ambiguità del termine presunzione.
Il noto scema della presunzione, indicato letteralmente nell’art. 2727 c.c., ricorre nel caso delle presunzioni semplici, riscontrandosi il ragionamento induttivo, da un fatto noto ad uno ignoto, e quindi lo spostamento dell’oggetto della prova: si prova il fatto A, poiché da questo si perviene in maniera induttiva all’esistenza del fatto B, che è il fatto rilevante. Questo tipo di presunzione incide sul convincimento del giudice, mentre lascia immutato il problema della ripartizione dell’onere della prova. Nel caso di presunzione legale relativa, invece, la legge considera provato un fatto in mancanza di prova contraria: la presunzione incide pertanto sulla ripartizione dell’onere della prova; così, ad esempio, nelle ipotesi in cui è presunta la solidarietà tra condebitori (art. 1294 c.c.). La legge indica in tal modo quale delle due parti deve fornire la prova, con il rischio di soccombere in giudizio nel caso in cui non dovesse riuscire.
Per quanto concerne i due tipi di presunzione legale, e cioè presunzioni che ammettono prova contraria e presunzioni che non la consentono, è utile osservare che entrambe considerano un fatto come provato e, quindi, non deve fornirsi alcuna prova del fatto presunto. Le presunzioni che non ammettono prova contraria non influiscono inoltre sulla ripartizione dell’onere della prova, poiché determinano un esenzione dell’onere di provare.
Nel caso, più frequente, delle presunzioni che consentono la prova contraria, la controparte ha invece l’onere di provare che
non sussiste o non è vero il fatto presunto. Queste presunzioni determinano pertanto un inversione dell’onere della prova con riferimento al fatto presunto, che è quello rilevante per la decisione.
Non è sempre facile stabilire se ricorre una presunzione relativa (o iuris tantum) oppure una presunzione assoluta (o iuris et de iure). Al riguardo si pone una questione di interpretazione della legge: si verifica la seconda ipotesi quando è prevista una presunzione con la precisazione che non è ammessa la prova contraria. Le presunzioni per le quali non può giungersi alla conclusione che si tratti di presunzioni assolte devono considerarsi presunzioni relativa.
Quindi, le presunzioni si posso così suddividere: presunzioni legali o semplici, a seconda dell’autore dell’induzione, e tra le legali, presunzioni relative o assolute, a seconda dell’ammissibilità o meno della prova contraria.
Per quanto riguarda le presunzioni semplici, dette anche di fatto, o hominis, è utile sottolineare che sono (com'è detto nell'art. 2729 c.c.) "lasciate alla prudenza del giudice"; cioè il giudice le può ammettere, deducendo le conseguenze da un fatto qualsiasi già provato, salvo in ogni caso la prova contraria.
La legge crede opportuno stabilire tuttavia qualche regola, per mettere in guardia il giudice di fronte a facili e false presunzioni, stabilendo, nell'articolo ora citato, che le presunzioni di cui si tratta debbono essere "gravi, precise e concordanti" e aggiungendo che esse non si possono ammettere " nei casi in cui la legge ammette la prova testimoniale".
circostanza di fatto: solo, se siano più i fatti, essi debbono essere concordanti; in tutti i casi le presunzioni devono essere gravi e precise, la gravità e la precisione valgono del resto più del numero, poiché, come si suole dire, le presunzioni non si contano, ma si pesano11.
Le presunzioni legali (dette di diritto o iuris), che sono le più importanti, debbono essere ammesse. Vincolano quindi il giudice, poiché, non possono risultare che da una disposizione di legge, e, avendo natura eccezionale (perché derogano ai principi generali sulle prove), non possono estendersi a casi non contemplati: restando le presunzioni legali circoscritte a determinati casi, al di fuori di questi ultimi si può far luogo soltanto a presunzioni semplici.
La legge stabilisce la presunzione in base a determinate premesse, le quali debbono essere provate.
Si esclude la prova contraria, esattamente l'art. 2728 c.c, afferma che "la presunzione legale dispensa da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite".
Una presunzione, che abbia valore assoluto, può essere, nel risultato, una finzione, poiché ciò che ne risulta si deve ammettere se pur sia contrario al vero o inesistente, non potendo valere nessuna controprova (neppure il giuramento): tra la finzione e la presunzione iuris et de iure resta la differenza che la prima non corrisponde mai alla verità (o realtà), la seconda è basata sulla probabilità (che può, o non, verificarsi) che le
11 G. Bianchi, La prova civile: onere e ammissibilità della prova nel Codice civile, cit., p. 207.
conseguenze siano vere.
Quindi, mentre il legislatore può, nella sua discrezionalità, trarre da un fatto ignoto la veridicità di un fatto ugualmente ignoto, il giudice non può ricorrere a tale sillogismo essendo, invece, tenuto, in conformità a quanto prescritto dall’art. 2727 c.c., ad applicare la presunzione solo tra un fatto noto ed uno ignoto al fine di desumere dal primo la veridicità del secondo.
Inoltre, le presunzioni legali sono previste da norme giuridiche, mentre le presunzioni semplici vengono di volta in volta elaborate nel giudizio. Le prime hanno l’efficacia della legge e impongono al giudice una determinata decisione per tutti i casi a cui in astratto si riferiscono. Le seconde, al contrario, rappresentano soltanto le premesse logiche della decisione e hanno valore soltanto per il caso deciso. Nel primo caso la legge impone al giudice una certa soluzione, che in alcune ipotesi non rappresenta una conseguenza di un fatto “noto” né corrisponde all’ id quod plerumque accidit, mentre tali caratteristiche servono a giustifica la presunzione semplici.
Caratteristica comune di tutti i tipi di presunzione è l’utilizzazione del concetto di “probabilità”, pur se nel caso delle presunzioni legali l’idea della probabilità è legata all’elaborazione tecnica della norma giuridica, mentre nel caso delle presunzioni semplici il ricorso alla probabilità serve a offrire il loro stesso fondamento e in definitiva all’accertamento della verità processuale. Pertanto, nella prova per presunzioni occorre che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come
conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità12.
Le presunzioni, dunque, meritano di essere analizzate, riproducendo un modo di ragionare del giudice, nella valutazione e nell’apprezzamento delle prove.
L’impostazione legislativa, pur contraddistinguendosi, rispetto al passato, per un indubbio sforzo di razionalizzazione, non è tale da garantire alla delicata materia una disciplina in tutto coerente armonica13.
Molteplici sono gli elementi interpretativi in parziale dissonanza fra di loro, i quali lasciano spazio ad alcune perplessità di non poco conto.
Dal punto di vista strutturale, la ratio legis sembra inequivoca nell’inquadrare le presunzioni in genere (e quelle “semplici” in particolare) fra i mezzi di prova in senso tecnico. Essa, anzi, attribuisce alle presunzioni una struttura assimilabile a quella delle altre prove “costituende”, la quale, lasciando in concreto al giudice il potere di ammettere o di non ammettere presunzioni, in presenza di determinati requisiti o limiti, risente della contrapposizione fra prove dirette e prove indirette (o critiche)14.
12 Si veda Corte di Cassazione 26 Gennaio 2006, n. 1549.
13 Ne dava atto la Relazione ministeriale, al n.118, indicando, ad emblema del nuovo assetto, l’esclusione della cosa giudicata dal novero delle presunzioni legali. Cfr. gli artt. 1350, n.3, e 1351 c.c. 1865, in linea con l’art. 1350, n.4, e l’art- 151 c.c. francese del 1803 (Code Napoléon). L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario, cit., pp. 350,360 ss.
14 Anche su piano letterale, l’art. 2729 c.c. ribadisce l’intento di assimilare la presunzione ad un mezzo di prova “costituenda”, laddove
In termini di definizione, però, l’art. 2727 c.c. non offre novità sensibili rispetto al passato15, conservando alle presunzioni il carattere di “conseguenze” che la legge o il giudice “trae” da un “fatto noto” per “risalire” a un altro “fatto ignorato”.
Apparentemente, dunque, se la presunzione si identifica con la “conseguenza” che si “trae” dal fatto noto per “risalire” a quello “ignorato”, il concetto di base sembra contraddistinguere non l’operazione intellettiva, attraverso la quale si argomenta dalla provata e “certa” esistenza del primo fatto la “probabile” sussistenza del secondo fatto da “accertare”, ma il risultato finale di quell’operazione argomentativa.
Ma non è sicuramente azzardato ipotizzare che il concetto tecnico di presunzione, quale emerge dalla formula dell’art. 2727, posso riassumere in sé, nella loro stretta connessione, sia la dinamica e il metodo induttivo su cui si fonda il mezzo di prova (cioè, l’attività del “presumere” dall’esistenze del fatto X la probabile esistenza del fatto Y), sia la prova come elemento conclusivo dell’argomentazione induttiva (vale a dire, la “conseguenza”, ovvero ciò che viene dato per presunto senza fissa condizione e limiti al potere del giudice di ammettere le
presunzioni semplici.
In giurisprudenza è ormai scontata la qualificazione delle presunzioni come vero e proprio mezzo di prova, che è di rango non inferiore a quello degli altri mezzi (in tal senso, ad esempio, Css., 28 Gennaio 1982, n. 552, 16 Febbraio 1982, n. 979).
15 La formula è ricalcata, con alcune rettifiche di espressione, sull’art. 139 c.c. del 1865 (“ Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto”),
bisogno di farne oggetto di alcuna prova ad hoc: la sussistenza del fatto Y).
Forse il diritto tributario è il settore dell’ordinamento in cui vi è un utilizzo frequente delle presunzioni. In materia civile, le presunzioni non sono frequenti, perché i protagonisti della lite sono anche i protagonisti del fatto da accertare. In diritto tributario, invece, la situazione è ben diversa: il fatto da accertare avviene nella sfera di un soggetto, che ha interesse ad occultarlo; il soggetto che ha interesse a conoscerlo, ed ha poi l’onere di provarlo in giudizio, è l’ Amministrazione Finanziaria. Il legislatore si avvale di norme presuntive per facilitare il compito dell’amministrazione finanziaria nella ricerca dei fatti imponibili e nella loro dimostrazione in giudizio.
Fin dagli anni ’70 , infatti, la Corte Costituzionale ha ammesso l’utilizzo delle presunzioni nell’ordinamento tributario “ al fine di evitare l’evasione e nell’interesse della giusta e regolare percezione dei tributi “ considerando le presunzione “ legittime se si fondano sulla comune esperienza16 “.
Nei paragrafi che seguiranno affronteremo, singolarmente, le presunzioni legali, distinguendo tra assolute e relative, le presunzioni semplici e le loro peculiari caratteristiche in modo da delineare un quadro completo delle stesse all’interno sia del settore civile che di quello tributario.
2. Presunzioni legali assolute: caratteristiche, prova contraria, ammissibilità costituzionale in relazione agli artt. 24 e 3 Cost, fatti notori e massime d’esperienza.
Come è emerso nel precedente paragrafo, le presunzioni legali sono disciplinate dall’art. 2728 c.c. :”Le presunzioni legali dispensano da qualunque provo coloro a favore dei quali esse sono stabilite.
Contro le presunzioni sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti o non ammette l’azione in giudizio non può essere data prova contraria salvo che questa sia consentita dalla legge stessa”.
Esse possono essere classificate in assolute o relative, a seconda dell’ammissibilità o meno della prova contraria.
Stabilendo che le presunzioni legali “dispensano da qualunque prova colore a favore dei quali esse sono stabilite”, il primo comma dell’ art. 2728 c.c. disciplina una completa relevatio ad onere probandi17 per quanto concerne il fatto presunto, cioè il fatto da provare, mentre la parte interessata, a cui favore è prevista la presunzione, deve comunque provare il fatto su cui essa si basa.
In altri termini il fatto presunto, se risulta come il fatto “base”, deve considerarsi provato. Contrariamente a quanto di affermato in dottrina18, la presunzione legale (anche se relativa) impone
17 L.P. Comoglio, Le prove civili, cit., p. 650.
18 M.Taruffo, Presunzioni, in Commentario Cendon, sub. art. 2728, pag. 211.
quindi al giudice, in assenza di prova contraria, di considerare provato il fatto presunto.
L’elemento che caratterizza le presunzioni assolute è, appunto, la non ammissibilità della prova contraria.
Essa stabilisce, ad esempio, che dato un certo fatto X, si presume, senza possibilità di prova contraria, Y. Quindi una volta accertato X non c’è modo di dimostrare l’insussistenza di Y.
A riguardo l’art. 2728, comma 2, c.c. afferma: “Contro le presunzioni sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti o non ammette l’azione in giudizio non può essere data prova contraria salvo che questa sia consentita dalla legge stessa“.
Tale disposizione prevede una regola e fa riferimento, per rinvio, ad alcune eccezioni. La regola è quella secondo cui non può essere data prova “contro le presunzioni sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti o non ammette l’azione in giudizio”. La formula riproduce quella del corrispondente articolo del Code civil (art. 1352), nonché quella del codice civile del 186519. Ad ogni modo, essa abbraccia due categorie di presunzioni: quelle che servono da presupposto per dichiarare nulli alcuni atti e quelle sul cui fondamento la legge nega l’azione in giudizio.
Di conseguenza, quando ricorrono queste fattispecie, le presunzioni devo considerarsi assolute. La prova contraria, come
19 Art. 1353: “Non è ammessa veruna prova contro la presunzione legale, quando sul fondamento di essa annullano certi atti o si nega l’azione in giudizio, salvo che la legge abbia riservata la prova in contrario”.
precisa la parte finale della norma in esame, è ammessa soltanto eccezionalmente e cioè se la legge, di volta in volta, lo prevede espressamente.
In definitiva, l’art. 2728 c.c., secondo comma, contempla due categorie di presunzioni assolute. Nel primo caso, come si è detto, la legge si basa su una presunzione per considerare nulli certi atti. Così, ad esempio, l’art. 599 c.c., dopo avere previsto che le disposizioni testamentarie a vantaggio di determinate persone incapaci sono nulle anche se fatto sotto nome d’interposta persona, stabilisce che sono reputate persone interposte il padre, la madre, i discendenti e il coniuge della persona incapace, anche se chiamati congiuntamente con l’incapace.
La seconda categoria di presunzioni, che non ammettono prova contraria, comprende quelle in cui la legge preclude al giudice la ricevibilità dell’azione e quindi l’esame stesso della questione (“… non ammette l’azione in giudizio”).
Alla luce di quanto detto deve essere valutata la tesi secondo cui anche le presunzioni assolute possono essere superate se la parte sfavorita dalla presunzione deferisce giuramento oppure se la controparte confessa20.
Anche le presunzioni assolute, pertanto, posso essere “combattute” dimostrando che non sussiste il fatto (considerato) noto, cioè eliminando il punto di partenza senza il quale la presunzione non può operare.
Quanto all’esclusione dell’azione, non vi sono norme su presunzioni che richiamano il divieto di prova contraria. Una parte della dottrina 21 aveva inteso questa disposizione come relativa ai casi in cui la legge attribuisce al convenuto il potere di paralizzare la domanda con un apposita eccezione.
Tuttavia, la Corte Costituzionale tende il più possibile ad evitare il riconoscimento delle presunzioni assolute, perché pur derivando spesso dall’ id quod plerumque accidit, nei casi estremi appaiono illogiche.
Molto spesso tali presunzioni erano contenute in norme fiscali, dichiarate incostituzionali dalla Corte.
A riguardo la sentenza n. 144/2005 della Corte Costituzionale è un occasione per una riflessione in tema di presunzioni assolute: quali, secondo la stessa Corte, le loro caratteristiche e quali i limiti entro i quali esse risultano costituzionalmente ammissibili. La questione di legittimità costituzionale verte sull’art. 3, terzo comma del D.L. 22 febbraio 2002, n.12, convertito in legge 23 aprile 2002, n.73, recante disposizione urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare.
La norma contenuta nella citata disposizione comminava per il titolare d’impresa che avesse impiegato lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture una sanzione dal 200% al 400% dell’importo per ciascun lavoratore irregolare del costo del lavoro.
I vizi lamentati nelle ordinanze di rimessione sarebbero molteplici.
Innanzitutto l’irragionevole disparità di trattamento a seconda della data in cui viene effettuato l’accertamento della violazione con conseguente violazione del principio di uguaglianza.
Il contrasto con il principio di proporzionalità fra sanzione e l’entità e gravità della violazione commessa.
La violazione del diritto alla difesa derivante dall’assolutezza della presunzione introdotta; a detta della Corte infatti “la base su
cui viene quantificata la sanzione prescinde dalla durata effettiva del rapporto di lavoro per essere ancorata a un meccanismo di tipo presuntivo”.
Partiamo dalla fine. La decisione della Corte si sostanzia nel definire l’articolo in questione “costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non consente al datore di lavoro di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constata la violazione”. Seguendo il precorso ricostruttivo della stessa Corte questo significa la sostituzione di una presunzione legale assoluta con una presunzione legale relativa. Questa sostituzione è basata su una duplice base costituzionale, rispettivamente gli artt. 24 e 3. La presunzione assoluta in parola “determina la lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione, dal momento che preclude all’interessato ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta e che pertanto sono in grado di incidere sull’entità della sanzione che dovrà essergli irrogata”.
Di questa motivazione, possiamo analizzare alcuni punti in chiave critica.
Il primo problema è legato all’art. 24: ogni presunzione assoluta “preclude all’interessato ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta”, ed anzi proprio questo è il significato principale della presunzione assoluta. L’affermazione della Corte si potrebbe quindi riassumere nell’assunto secondo il quale questa presunzione assolute è incostituzionale perché…assoluta.
Per non arrivare al risultato, pacificamente da escludere, per cui ogni presunzione assoluta è di per sé incostituzionale in quanto lesiva del diritto costituzionale alla difesa bisognerà allora ricollegarsi al prosieguo della motivazione della Corte e ipotizzare che il dato caratterizzante di questa presunzione assoluta, costituzionalmente illegittima, sia quello di violare un altro e diverso principio. Più precisamente quello di necessaria proporzionalità fra entità della sanzione e gravità della violazione commessa, che è il presupposto del secondo profilo di illegittimità costituzionale, ex art. 3, per irragionevolezza.
Solo così infatti razionalmente si giustifica l’imposizione del passaggio dalla presunzione legale assoluta a quella relativa, che la Corte ha considerato l’unica soluzione costituzionalmente ammissibile.
Inoltre, vi sono altre pronunce della Corte Costituzionale in tema di legittimità delle presunzioni legali assolute. Si possono ricordare le sentenze n. 331, n. 231 e n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010.
Con la suddette sentenze la Corte ha ribadito un unico concetto, vale a dire: “le presunzioni assolute, specialmente quando
limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cioè a dire quando non rispondono a dati di esperienza generalizzati sintetizzabili nella nota formula dell’id quod plerumque accidit”.
Parlando di presunzioni legali, non si possono non ricordare i “fatti notori”, i quali vengono considerati dalla legge come nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza di una determinata collettività di individui, considerata più o meno ampia a seconda della rilevanza e della portata del fatto stesso. Ad esempio: ciò che è notorio in Giappone non può esserlo in Italia; vi sono, però, fatti talmente eclatanti o risaputi che sono notori dappertutto, mentre altri lo sono, invece, in collettività molto più ristrette o, addirittura, in determinati ambienti sociali. Una definizione di “fatto notorio” che circoscrive il concetto alla conoscenza del fatto da parte di una delimitata cerchia di individui ci proviene dalla dottrina penalistica, secondo la quale esso “è un fatto che appartiene al normale patrimonio di conoscenze di una determinata cerchia sociale e che può essere, perciò, conosciuto, nella sua distinta identità storica, dal giudice senza la necessità di uno specifico accertamento. Affermato da una parte e non contestato dall’altra parte, il fatto notorio esclude la necessità di ulteriori verifiche 22”.
22 D. Siracusano, Diritto processuale penale, cit., p. 358.
Il rilievo probatorio che possiede il fatto notorio è indicato, nel processo civile, dall’art. 115, secondo comma, c.p.c.23, sulla scorta del quale il giudice può porre a fondamento della sua decisione, senza bisogno che ciò sia dimostrato con prove, “le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
Anche la giurisprudenza si è espressa a riguardo, specificando che un fatto per essere giudicato notorio “debba innanzitutto avere una distinta identità storica che s’imponga all’osservazione e alla percezione della collettività, in modo che questa ne compia, per suo conto, la valutazione critica, sicché al giudice non resta che constatarne gli effetti, e valutarlo solo ai fini delle conseguenze giuridiche; in secondo luogo, occorre che esso sia di comune esperienza, anche se soltanto nel luogo dove è invocato agli effetti giuridici o perché entrato a far parte della cultura media della collettività ivi stanziata, ovvero perché le sue ripercussioni siano ampie ed immediate al punto che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull’interesse pubblico, che spinge ciascuno dei componenti della società a conoscerlo; solo in presenza di siffatti presupposti è consentito al giudice di fare meno delle prove, potendo valersi della conoscenza che del fatto divenuto notorio acquista al di fuori del processo24”.
Inoltre, è utile sottolineare che vi è differenza tra i fatti notori e le c.d. “massime d’esperienza”. A riguardo è stato ritenuto in
23 “… Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a
fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.”
24 Cass. Civ., sez. lav., n. 267/1995.
dottrina25 che le massime o regole d’esperienza sono invece nozioni di comune conoscenza o comunque facilmente accessibili, cioè rintracciabili nelle fonti di comune cultura. A differenza del notorio, esse non hanno ad oggetto un fatto ma una regola, che si forma in base alla ripetuta esperienza in ordine al fatto dato, secondo un processo di astrazione e generalizzazione. Il notorio (…) riguarda una situazione singola o un accadimento storicamente determinato e non può essere confuso con la massima d’esperienza , che trova base in una uniformità di accadimenti, si schematizza nel tipo così che è possibile trarre leggi valide per una molteplicità di casi futuri.
In sintesi, per fatti notori si intendono quei fatti indicati dall’art. 115, secondo comma, c.p.c. e distinti dalle massime d’esperienza che non siano fatti accidentalmente conosciuti dal giudice ma di fatti che il giudice conosce perché sono noti alla generalità delle persone alla quale appartiene anche il giudice, in quel determinato ambiente e momento, come nozioni comuni e generali; e sempre in quanto siano stati allegati.
In tali casi, pertanto, si realizza la deroga alla disciplina dell’onere probatorio, che siffatti casi è consentita dall’ordinamento perché un fatto evidente a tutti, in quanto noto, si ritiene non abbia bisogno di nessuna prova.
3. Presunzioni legali relative: prova contraria, presunzioni miste, inversione dell’onere della prova, dispensa dalla prova, limiti e diritto alla prova.
Le presunzioni legali relative devono essere tenute distinte da quelle tratte dal giudice.
Le prime operano in astratto e configurano deroghe al principio generale, come abbiamo accennato in precedenza, sulla ripartizione dell’onere della prova sancito dall’art. 2697 c.c., avendo il compito di rendere più agevole la posizione processuale di una delle parti e di spingere verso la decisione considerata preferibile dalla legge. Le seconde, viceversa, operano nel caso concreto, fungendo da strumenti ricostruttivi dei fatti di causa26.
Si richiamano, tra le numerose ipotesi previste dalla legge in materia di presunzioni relative: la disposizione di cui all’art. 234 c.c. , ai sensi del quale si presume concepito in matrimonio il figlio nato dopo trecento giorni dall’annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio; la presunzione di comunione del muro divisorio di cui all’art. 880 c.c. ; la presunzione di conoscenza da parte del destinatario della proposta, revoca od accettazione del contratto ex art. 1335 c.c. ; la presunzione di colpa ex art. 2048 c.c. dei genitori per il fatto illecito dei figli.
Più precisamente, all’interno della categoria delle presunzioni legali relative occorre inoltre distinguere tra le presunzioni vere e proprie, le quali ricorrono quando la legge stabilisce che un fatto deve considerarsi vero in quanto dedotto da un altro, dalle c.d. presunzioni improprie, tra le quali rientra, ad esempio, la presunzione di buona fede di cui all’art. 1147, terzo comma, c.c. . In questa ipotesi, infatti, la legge non presume un fatto sulla base di un altro fatto “noto”, ma considera provato un determinato fatto finché non sia provato il contrario.
Inoltre le presunzioni legali relative (o iuris tantum) permettono, come anticipato, a differenza delle presunzioni legali assolute la prova contraria ed esonerano la parte in cui a favore si verificano dall’onere di provare un determinato fatto. Generalmente la prova contraria può essere data con ogni mezzo ammesso dal diritto, comprese anche le presunzioni semplici.
Si realizza quell’effetto processuale che consiste nell’inversione dell’onere della prova sul fatto presunto, per cui chi allega il fatto presunto è sollevato dall’onere della prova che grava invece sulla controparte.
Tuttavia, vi sono ipotesi di inversione dell’onere della prova espressamente previste dal diritto positivo, mentre altre possono venire in essere in via convenzionale, pur con i già accennati limiti.
Per quanto concerne le inversioni di natura convenzionale (che sono, più che altro, modificazione dell’onere della prova), è stato osservato che la soluzione adottata con l’art. 269827 c.c. sembra
27 “Sono nulli i patti con i quali è invertito ovvero è modificato l'onere
aver voluto conciliare le due posizione opposte, affermando, in linea di massima, la nullità dei patti relativi all’onere della prova, ma ammettendone la validità a due condizioni: a) quando, cioè, riguardino diritti di cui le parti possono disporre; b) quando non rendano eccessivamente difficile per una delle parti l’esercizio del diritto.
La giurisprudenza, non sempre costante al riguardo, ha già da lungo tempo precisato che “l’inversione volontaria dell’onere della prova non può scaturire dalla sola offerta di provare un fatto, espressa dalla parte che non vi è obbligata, ma deve risultare dall’inequivoca volontà dell’offerente di rinunciare ai vantaggi a lui derivanti dalle disposizione dell’art. 2697 c.c.” 28. Un'altra caratteristica delle presunzioni legali, e quindi anche delle presunzioni legali relativa, è la dispensa dalla prova.
La regola secondo cui le presunzioni legali “dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite”, potrebbe indurre a ritenere che ogni attività probatoria sia preclusa alla parte a cui favore la presunzione è prevista, in quanto necessaria.
Tale conclusione appare certamente da condividere, in primo luogo alla luce del principio di economia processuale, con riferimento alle presunzioni che non ammettono prova contraria. L’art. 2728, primo comma, c.c., come si è visto, si riferisce tuttavia anche alle presunzioni legali relative, e si pone quindi il
disporre o quando l'inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l'esercizio del diritto.”
problema se la dispensa dalla prova debba essere intesa come (iniziale) preclusione a carico della parte, a cui favore è stabilita la presunzione che ammette la prova contraria, a fornire prove a sé favorevoli.
Secondo una visione tradizionale dell’istituto in esame, se la controparte fornisce la prova contraria, la questione di fatto viene risolta in senso favorevole a quest’ultima.
In base al principio del contradditorio deve ammettersi tuttavia che la parte onerata, a favore della quale avrebbe giocato la presunzione se la controparte non avesse fornito la prova contraria, possa a sua volta offrire la prova, quella prova che poteva considerarsi superflua alla luce della presunzione.
Nel senso che tale prova può essere data anche facendo ricorso, come abbiamo detto, ad una presunzione semplice. In quest’ottica si è espressa anche la Corte di Cassazione, in riferimento ad una fattispecie che aveva ad oggetto una presunzione relativa derivante dalla promessa di pagamento, con la sentenza n. 10681/1998 : “ …deve escludersi la violazione di legge, denunziata dal ricorrente, sotto il profilo della non superabilità di una presunzione di legge attraverso una presunzione semplice, giacché la presunzione legale “iuris tantum” (quale è quella dettata dall’art. 1988 c.c.), proprio perché produce la sola inversione dell’onere probatorio, è superabile anche attraverso presunzioni semplici “.
Da ciò può desumersi che le presunzioni legali relative presentano analogie più con le presunzioni semplici che con le presunzioni legali, caratteristica sottolineata anche dalla Corte di Cassazione, la quale sembra accogliere il principio secondo cui le
presunzioni semplici e le presunzioni legali iuris tantum si distinguono solo per il modo in cui si producono, in quanto nel caso di presunzione semplice il fatto deve essere provato in giudizio dalla parte che ne può trarre vantaggio, mentre nel caso di presunzione legale relativa è la stessa legge che stabilisce l’efficacia e la conseguente inversione dell’onere della prova29. Tuttavia però alcune norme impongono dei limiti alla prova contraria, limiti circa il mezzo con cui fornire la dimostrazione contraria e/o limitarne l’oggetto. Un esempio sono gli artt. 2721, 2722 c.c. attraverso i quali la legge esclude la prova per testimoni. Un altro esempio posso essere le presunzioni miste, ossia quelle presunzioni che posso essere superate sola a determinate condizioni, qual, ad esempio, la presunzione di paternità di cui all’art. 231 c.c., superabile solo nelle ipotesi previste dall’art. 235 c.c. , o la presunzione estintiva del debito ex art. 2960 c.c. , superabile solo facendo ricorso al giuramento decisorio30,
Tenendo conto del c.d. diritto alla prova è opportuno chiederci se la parte favorita dalla presunzione legale iuris tantum possa
29 In questi termini si esprime la Corte di Cassazione con sentenza n.1329/1999, nella fattispecie relativa alla presunzione di
corrispondenza alla realtà di quanto risulta dall’iscrizione di una società di fatto alla Camera di commercio : “ Si consideri, del resto, che la presunzione semplice e quella “iuris tantum” si distinguono unicamente in ordine alla loro insorgenza: la prima deve essere provata da parte di colui che intende trarne vantaggio, laddove la seconda è stabilita dalla legge e quindi non abbisogna di una prova che la giustifichi; ma entrambe le presunzioni hanno, una volta che siano state rilevate, la medesima efficacia, in quanto trasferiscono a colui, contro il quale esse depongono, l’onere della prova contraria ”. 30 C. Mandrioli, Diritto processuale civile, II, cit., p. 196, nota 51.
“rafforzare” la presunzione stessa, e quindi la propria posizione processuale, senza attendere che la controparte fornisca la prova contraria.
La questione deve essere risolta alla stregua del principio del libero convincimento e della libera valutazione delle prove. Il giudice, vincolato ad accogliere una certa soluzione della questione di fatto in base alla presunzione legale, vede riaffermata la possibilità di valutare lo svolgimento dei fatti se la controparte fornisce mezzi di prova contrari alla presunzione. Tuttavia può accadere che la prova fornita dalla controparte spinga il convincimento del giudice nella direzione voluta da quest’ultima.
Sussiste pertanto un interesse della parte a cui favore è prevista la presunzione legale relativa a fornire al giudice elementi di prova utili a “rafforzare” la presunzione incidendo sulla formazione del convincimento.
La parte ha il diritto di provare i fatti su cui si basa la domanda, riducendo di conseguenza il rischio processuale.
Nel caso in cui a favore dalla parte che intende fornire la prova è prevista una presunzione legale, potrebbe obiettarsi che la prova risulta irrilevante, poiché “prodotta da chi non ne è onerato”31. In definitiva, la presunzione legale relativa, se la parte a cui sfavore essa è prevista non fornisce la prova contraria, svolge un ruolo analogo a quello dell’onere della prova in quanto regola di giudizio. In entrambi i casi, infatti, non c’è spazio per il convincimento del giudice, il quale accoglie o respinge la
domanda in base alla norma che, nel caso concreto, disciplina la distribuzione dell’onere della prova. Il principio del libero convincimento opera invece se viene addotta la prova contraria. Sorge tuttavia il problema della legittimità costituzionale di tale limitazione alla prova contraria.
Con riferimento alla presunzione legale relativa valgono pertanto le stesse considerazione che hanno spinto ad ammettere che anche alla parte non onerata sia concessa la possibilità di fornire la prova, cioè la possibilità di un concreto esercizio del diritto alla prova.
4. Presunzioni semplici: mezzo di prova, limiti alla ammissibilità, praesumptio de preasumpto, presunzioni semplici e argomenti di prova, presunzioni semplici e indizi, i requisiti di gravità, precisione e concordanza
Le presunzioni semplici trovano fondamento nell’art. 2729 c.c., il quale afferma : “Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni”.
Esse, dette anche presunzioni di fatto, vengono di volta in volta configurate dal giudice di merito sulla base delle regole di esperienza. L’affermazione di una presunzione semplice rappresenta pertanto il risultato del libero apprezzamento della situazione di fato ad opera del giudice.
Tali presunzioni hanno, in primo luogo, l’effetto di rendere superflua la prova che la parte onerata dovrebbe fornire. Risulta pertanto facilitato il compito della parte su cui incombe l’onere della prova; soltanto in tal senso, può parlarsi di un inversione dell’onere, poiché la controparte avrà l’onere di dimostrare che l’effettivo svolgimento dei fatti rilevanti è diverso da quello ipotizzato in base alle regole di esperienza utilizzate dal giudice. A riguardo, infatti, il fondamento delle presunzione deve riscontrarsi nel patrimonio di esperienza del giudice. La regole di esperienza, su cui si basa la presunzione semplice oppure la prova dell’apparenza, può presentare una diversa forza di
convincimento e quindi rendere superflua un’ulteriore attività istruttoria.
Analizzando le presunzioni semplici, gli interrogativi che è necessario formulare sono : quale sia la natura delle presunzioni, quali gli eventuali limiti alla loro ammissibilità, quale la portata dei requisiti di gravità, precisone e concordanza.
Circa la natura delle presunzioni semplici, l’interrogativo principale è se esse costituiscono mezzi di prova.
La tesi negativa32 afferma che: “ La presunzione non è prova ma
è mezzo utilizzabile dal giudice per risalire dagli elementi di fatto, di cui abbia raccolto la prova, ai fatti costitutivi della fattispecie concreta oggetto del suo giudizio : in una parola, per giudicare su quest’ultima 33 ”. In realtà , il punto centrale della questione è, in un certo senso, solo di significato. La questione dipende, infatti, dal significato del termine prova. Se si intende con esso un oggetto o un accadimento esterno al giudice, è evidente che tale è il documento, la testimonianza, ma non un ragionamento. Se, in altre parole, la prova è un oggetto o un evento esterno della psiche, non vi è dubbio sul fatto che la presunzione non è una prova34.
La configurazione delle presunzioni semplici come mezzi di prova, se per prova si intende mezzo di convincimento del
32 G.A. Micheli, Corso di diritto processuale civile, cit., p.138; F. Cordopatri, voce Presunzioni, cit., p.291
33 F. Cordopatri, voce Presunzioni, in Enciclopedia del diritto, cit., p. 273
giudice ( o dell’ufficio)35, è in armonia con la sistemazione che la relativa disciplina ha nel codice civile e appare già ad un primo esame condivisibile.
Contrariamente a quanto possa apparire, distingue, almeno sul piano teorico, tra presunzioni e altri mezzi di prova non è un operazione semplice.
Il tema della classificazione dei mezzi di prova è molto ampio e complesso in sé ed ovviamente non sarà trattato, in maniera esaustiva, in questa sede. Ma, è senza dubbio interessante nella misura in cui serva a delimitare i confini della materia delle presunzioni.
In termini generali, si contrappongo prove c.d. storiche e prove c.d. critiche. Le presunzioni costituiscono, secondo l’opinione largamente diffusa, la seconda categoria.
La differenza tra le due categoria si individua nella immediatezza (o meno) del passaggio tra il fatto che fornisce la prova e il fatto da provare. Un collegamento mediato sarebbe proprio, infatti, delle presunzioni semplici.
Questa immediatezza non può significare però che solo nella prova presuntiva ci sarebbe una attività di mediazione intellettuale. Una mediazione intellettuale vi è all’ utilizzazione di qualsiasi mezzo di prova36. Stabilire cosa significhino gli enunciati di un teste o di un documento è, infatti, un operazione
35 V. Andrioli, voce Presunzioni, in Novissimo Digesto Italiano, cit., 770ss. In giurisprudenza si veda, ad esempio, Cass., 11 Marzo 1981, n.1384, in Rep. Foro it., 1981, voce Presunzioni, n.9, dove esse sono definite “prove in senso pieno”.
intellettuale. In questo senso, allora, potrebbe affermarsi che, tutte le prove presuppongono anche un ragionamento presuntivo. Escluso che la distinzione posso tracciarsi in questo modo, si potrebbe allora ritenere che le presunzioni sono semplici fonti di probabilità, e non di certezza come invece le altre prove37. In altre parole, le presunzioni semplici offrono meno garanzie di conformità alla realtà. Non si vede, tuttavia, come dimostrare la correttezza di questa ipotesi, ed è molto facile affermare degli esempi contrari38.
Esiste però una sorta di pregiudizio a carico delle presunzioni, che ha contagiato anche il legislatore39. In realtà, se si ritiene che questo sia il criterio di identificazione della categoria e la ratio dell’art. 2729, comma 2 c.c., e visto che esso accomuna il mezzo in esame alla testimonianza, si giungerebbe a conclusioni paradossali. Sostenere che le presunzioni semplici siano prove “meno convincenti” condurrebbe a riportare alla categoria delle presunzioni anche la testimonianza 40 . Nonostante queste obiezioni, l’opinione che svaluta le presunzioni si affaccia anche nella giurisprudenza41 e in dottrina. Si è, infatti, osservato42 che,
37 F. Carnelutti, La prova civile, cit., p.229 ss.
38 F. Carnelutti, Diritto e Processo, cit., p.115 ss., fa l’esempio della presunzione che il padre abbia un età maggiore del figlio.
39Diffidenza che possiamo trovare ad esempio nell’artt.2729, comma 2, c.c., 54, comma 3, D.P.R. 600/1973.
40 F. Carnelutti, Diritto e Processo, cit., p.116.
41 Si è per esempio giunti ad affermare che le presunzioni sarebbero in aperto contrasto con il diritto naturale e i diritti inviolabili dell’uomo ( Comm. Trib. I gr. Milano, 19 Gennaio 1984, in Giur. trib. merito, III,