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2. I principi ambientali sostanziali del diritto europeo e nazionale.

2.6 Il principio «chi inquina paga» 168

cui non sia possibile evitare pregiudizi all’ambiente mediante il ricorso a misure precauzionali o preventive, occorre attivarsi per correggere tali pregiudizi nel loro momento generativo, cercando di ripristinare lo stato ambientale originario.

Obiettivo fondamentale del principio correttivo è quello di impedire l’aggravarsi delle conseguenze negative sull’ambiente di una determinata attività, intervenendo all’origine del problema.

Tipici esempi di politiche improntate al principio correttivo sono quelle che impongono provvedimenti inibitori o limitativi allo svolgimento di determinate attività inquinanti (ad esempio alla circolazione automobilistica) al raggiungimento di una certa soglia di inquinamento, ovvero le discipline in materia di bonifica dei siti inquinati.

2.6 Il principio «chi inquina paga»

Il principio chi inquina paga309, attualmente richiamato nell’art. 191 TFUE310, trova origine in ambito internazionale quale criterio di efficienza economica individuato allo scopo di incentivare l’utilizzo razionale delle risorse naturali. La sua applicazione attraverso specifiche misure di politica ambientale consente, infatti, di favorire il processo di internalizzazione delle

309 Sul principio chi inquina paga si vedano i contributi di: MELI M., Il principio

comunitario chi inquina paga, Milano, 1996; ID., Il principio chi inquina paga nel codice

dell’ambiente, in Danno e resp., 2009, 811 ss.

310 Anche in questo caso l’introduzione del principio in ambito comunitario è avvenuta ad opera del Primo programma d’azione ambientale del 1973, ove si afferma che le spese per la prevenzione e l’eliminazione dei fattori nocivi devono essere imputate all’inquinatore.

Prima del formale ingresso nell’ordinamento comunitario con l’Atto Unico europeo del 1986, il richiamo al principio «chi inquina paga» è inoltre contenuto nella raccomandazione del Consiglio n. 436 del 3.3.1975, ove gli Stati membri vengono invitati ad applicare il principio nel senso di imporre ai soggetti responsabili dell’inquinamento l’obbligo di sostenere i costi delle misure necessarie per ridurlo o evitarlo. Ai fini della sua applicazione la raccomandazione prevede che si debbano fissare i limiti massimi di inquinamento tollerabile e che si debba indurre il soggetto responsabile ad adottare misure necessarie per ridurre l’entità dell’inquinamento, ovvero ad accollarsi una parte delle spese necessarie per la riduzione degli effetti inquinanti (funzione redistributiva).

esternalità ambientali negative con l’imputazione dei costi derivanti dall’inquinamento prodotto da una determinata attività agli operatori economici responsabili delle emissioni.

Dunque, il criterio sotteso al principio in esame è quello in forza del quale la protezione dell’ambiente deve essere garantita mediante l’imputazione ai soggetti responsabili dell’inquinamento dei costi delle misure di riduzione/eliminazione degli effetti negativi provocati all’ambiente, in modo tale che gli stessi siano spinti a contenere le emissioni nel rispetto degli standards previsti. In questa prospettiva, peraltro, emerge non solo la natura di principio connesso a ragioni di efficienza e di equità, ma anche la funzione di stimolo all’adozione di tecnologie, processi produttivi e, in genere, di accorgimenti che rendano l’attività antropica meno nociva per l’ambiente311.

Costituiscono attuazione del principio le disposizioni relative al risarcimento del danno ambientale, quelle relative alla bonifica dei siti inquinati, quelle sul riparto dei costi di prevenzione del danno ambientale e quelle sul riparto degli oneri relativi alla gestione dei rifiuti. Con riferimento agli strumenti di carattere prettamente economico, il principio ispira le disposizioni sulla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, sulla tariffa del servizio idrico integrato, sulle ecotasse e sugli incentivi e agevolazioni fiscali ambientali, sul sistema di negoziazione dei permessi e dei diritti di inquinamento (certificati verdi e certificati bianchi).

311 Nel Terzo programma d’azione ambientale si afferma che l’addebito dei costi destinati

alla protezione dell’ambiente a chi causa l’inquinamento incita quest’ultimo a ridurre l’inquinamento provocato dalle proprie attività ed a ricercare prodotti e tecnologie meno inquinanti.

Anche la recente giurisprudenza del giudice amministrativo italiano individua nel principio «chi inquina paga» una funzione preventiva degli eventi dannosi, poiché esso esprime anche il tentativo di internalizzare i costi sociali connessi al degrado ambientale e di

incentivare la loro generalizzata incorporazione nei prezzi delle merci, e, quindi, nelle dinamiche di mercato dei costi di alterazione dell’ambiente (con conseguente minor prezzo delle merci prodotte senza incorrere nei predetti costi sociali attribuibili alle imprese e conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non danneggiare l’ambiente (cfr.

Pertanto, considerate le sue numerose possibilità applicative e il suo sostanziale valore programmatico312, sul piano contenutistico il principio chi inquina paga consente di svolgere un duplice ordine di considerazioni connesso da un lato alla sua originaria vocazione di principio di efficienza economica e, dall’altro, alla sua evoluzione sul piano giuridico e alla sua trasposizione, quale principio comunitario, nell’ambito degli ordinamenti interni dei singoli Stati membri.

Sotto il primo profilo, allorquando il problema del degrado ambientale viene percepito quale problema di carattere prettamente economico, cioè come esternalità negativa provocata da una inefficienza del mercato, il principio chi inquina paga diviene strumento preventivo che consente l’internalizzazione dell’esternalità attraverso l’imposizione dei costi dell’inquinamento in capo al soggetto che tale esternalità produce. In questo modo viene artificialmente imposto un prezzo (prestabilito) all’ambiente per riequilibrare l’inefficiente allocazione delle risorse ambientali313.

Viceversa, quando muta la prospettiva e il problema dell’inquinamento ambientale assume una dimensione di carattere giuridico, l’aspetto per così dire preventivo lascia il posto ad una considerazione ulteriore e successiva che pone al centro del dibattito gli obiettivi di riparazione e di risarcimento del danno ambientale. Ne deriva una differente interpretazione del principio chi inquina paga che in questo senso implicherebbe l’imputazione al soggetto inquinatore della responsabilità (civile) per gli eventuali effetti pregiudizievoli della propria condotta, con conseguente obbligo risarcitorio. Si tratta di una interpretazione che introduce una particolare figura di responsabilità oggettiva per danno ambientale che nel tempo si è affermata a livello comunitario, ma che trova alcune difficoltà di trasposizione all’interno degli ordinamenti dei

312 Parla di valore programmatico del principio in esame GIAMPIETRO F. LALLI F.,

Ancora sul principio chi inquina paga (nota a Tar Campania n. 3727/2009), in Ambiente e sviluppo, 3/2010, 220 ss.

313 In dottrina si parla anche di attribuzione di un valore d’uso alle risorse ambientali, il

quale deve comprendere anche i costi del disinquinamento e del ripristino delle condizioni naturali (cfr. DELL’ANNO P., Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, cit., 102 ss.).

singoli Stati membri, in considerazione dei diversi sistemi di imputazione della responsabilità per danno ambientale che si possono concretamente riscontrare. Basti pensare al fatto che all’interno dell’Unione si può rilevare la coesistenza di ordinamenti nazionali in cui sono previsti sistemi di imputazione oggettiva della responsabilità, in forza dei quali viene riconosciuto in capo al responsabile dell’inquinamento l’obbligo di risarcire il danno ogni qual volta vi sia un nesso causale tra attività e danno ambientale, e ordinamenti, come il nostro, in cui l’obbligo risarcitorio sorge solamente quando il soggetto responsabile agisce con colpa o dolo. Appare evidente come all’interno di questa seconda tipologia di ordinamenti si possano riscontrare difficoltà sensibilmente maggiori nell’applicazione del principio in esame, soprattutto perché il regime di responsabilità oggettiva, che deve trovare attuazione in termini di recepimento delle direttive comunitarie, si sovrappone inevitabilmente al tradizionale regime di imputazione soggettiva della responsabilità per danno ambientale. Ciò è esattamente quello che accade nell’ordinamento interno dove l’incompleto recepimento della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale ha portato la Commissione europea a promuovere una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese314, in particolare per la mancata introduzione di un regime di responsabilità oggettiva per le c.d. attività pericolose (elencate nell’Allegato III della direttiva) ai sensi degli artt. 3, paragr. 1, e 6 della direttiva 2004/35/CE, avendo l’Italia fondato il regime di imputazione della responsabilità per danno ambientale sul comportamento doloso o colposo del soggetto agente, ai sensi dell’art. 311, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006315. Si tratta di censure sollevate dalla Commissione che

314 La Commissione ha messo in mora l’Italia per violazione del diritto comunitario relativamente all’errata applicazione della Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale così come recepita dal d.lgs. n. 152 del 2006 – Procedura n. 2007/4679.

315 Ai sensi dell’art. 311, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 chiunque realizzando un

fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese della

non sembrano aver trovato adeguata risposta neppure a seguito delle modifiche al predetto art. 311 introdotte dall’art. 5 bis del d.l. n. 135 del 2009, inserito in sede di conversione dalla legge n. 166 del 2009, rubricato attuazione della direttiva 2004/35/CE. Procedura di infrazione n. 2007/4679, ex art. 226 Trattato CE. Infatti, come sostiene parte della dottrina, pare persistere l’inadempimento del nostro ordinamento alle principali prescrizioni comunitarie contenute nella citata direttiva che si risolve, a detta della Commissione, nella lesione del principio chi inquina paga, poiché l’art. 311, comma 2, rappresenta la norma generale che regola la prevenzione, il ripristino e il risarcimento del danno ambientale, a prescindere dalla pericolosità o meno delle attività considerate, sicché il principio in esame si porrebbe, nel nostro ordinamento, al di sotto della sua consistenza minima, codificata dalla direttiva 2004/35/CE316.

3. La gestione dell’ambiente. Modelli di intervento a tutela dell’ambiente tra