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LA COMUNICAZIONE SOCIALE DELLA VIOLENZA DI GENERE

2.1 Un problema di definizione

Il linguaggio è un elemento importante nel definire le identità individuali e collettive, formato da complessi codici di comunicazione ci consente di comunicare con noi stessi, con gli altri e attraverso di esso, di definire la realtà e ciò che ci circonda nominandola, descrivendola e interpretandola.

Peter e Brigitte Berger, sostengono che sia “l'istituzione sociale per eccellenza poiché costituisce un modello regolatore che la società impone alle condotte individuali, un codice di comportamento sul quale si radicano le altre istituzioni.” (P.L. Berger, B. Berger, Sociology: A Biographical Approach, New York, Basic Books, 1975)

Il linguaggio segnala le appartenenze di ciascuno come il genere, la classe sociale, la razza, segna i confini e le similitudini e rafforza le disuguaglianze.

Le profonde e rapide trasformazioni delle rappresentazioni sociali del genere avvenute negli ultimi decenni hanno portato dei cambiamenti anche negli usi linguistici. 48

E' stato il movimento femminista a porre per primo l'attenzione sul linguaggio sessista, prendendo in considerazione la rigidità di una lingua fatta dagli uomini e per gli uomini; il movimento chiedeva quindi un superamento delle abitudini linguistiche di tipo androcentriche e l'utilizzo di un linguaggio non sessista.

Il pensiero delle femministe ha contribuito ad aprire una riflessione intorno al fatto che l'uso della lingua rifletta differenze legate al sesso/genere.

Dagli anni '70-'80, la relazione lingua-sesso/genere è diventata un punto di riferimento per molti studi in diversi campi come la sociologia e la filosofia che hanno riconosciuto al linguaggio un ruolo primario nella costruzione dell'identità di genere.

In Italia le prime riflessioni sulla necessità di utilizzare la lingua in modo corretto rispetto all'identità di genere, risalgono alle Raccomandazioni per un uso non sessista 48 Perra.M.S.-Ruspini.E., Se il linguaggio cambia l'ordine del mondo,

della lingua italiana di Alma Sabatini (1987): “[...] Il fine minimo che ci si propone è quello di dare visibilità linguistica alle donne e pari valore linguistico ai termini riferiti al sesso femminile. [..] L'uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell' atteggiamento di chi lo pronuncia e quindi di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un'azione vera e propria.”49

Il linguaggio si modifica e viene influenzato dalla cultura, dalla tradizioni e riflette i cambiamenti della società come dice A. Sabatini “ [..] la maggior parte della gente è conservatrice e mostra diffidenza nei confronti dei cambiamenti linguistici, che la offendono perché disturbano le sue abitudini” ; infatti mentre alcune parole entrano con naturalezza nel linguaggio corrente, altre faticano a trovare uno spazio.

Nel caso della violenza contro le donne l'introduzione nel linguaggio corrente di termini come femminicidio, violenza di genere, violenza domestica, ecc. ha turbato le coscienze provocando molti dibattiti.

Il termine femminicidio è un neologismo utilizzato di recente e tristemente giunto alla ribalta negli ultimi anni a seguito dell'aumento di omicidi di donne per mano di uomini.

Il Devoto-Oli del 2009 definisce femminicidio “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico fino alla schiavitù o alla morte.” Tale neologismo è quello che oggi specifica meglio il fenomeno della violenza sulle donne ed è anche quello più utilizzato dai media, tuttavia nello stesso momento in cui è divenuto di uso comune ha trovato delle resistenze sull' appropriatezza del termine. Una delle critiche nasce dal voler introdurre forzatamente una distinzione tra delitto e delitto in base al sesso della vittima,50 quasi come se tale neologismo volesse

ulteriormente differenziare l'uccisione di una donna rispetto a quella di un uomo, poiché se si volesse dare la giusta logica al termine femminicidio, il termine omicidio dovrebbe essere circoscritto all'uccisione di un uomo e non più in generale all'essere umano, per cui, secondo la legge dei contrari sarebbe più giusto utilizzare il termine “donnicidio”.Il termine femminicidio tuttavia è risultato subito efficace dalla sua introduzione nel parlato e nella stampa poiché ha specificato meglio un fenomeno e 49 Sabatini.A., Il sessismo nella lingua italiana,

http://www.funzionepubblica.gov.it/media/277361/linguaggio_non_sessista.pdf

50 Paoli. M., Femminicidio: i perché di una parola, http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-ital iana/consulenzalinguistica/domande-risposte/femminicidio-perch-parola

lo ha reso concreto agli occhi di tutti.

“Se una società genera forme mostruose di sopraffazione e di violenza, bisogna inventare un termine che esprima quella violenza e quella sopraffazione. E' quindi giusto utilizzare il termine femminicidio per denunziare la brutalità dell'atto e per indicare che si è contro la violenza e la sopraffazione poiché il generico omicidio sarebbe stato troppo blando”51

La storia è piena di omicidi femminili per mano degli uomini e quindi che necessità c'era di creare un nuovo termine per definire un qualcosa che è sempre esistito? La risposta a questa opinione nasce da fatto che oggi il fenomeno viene affrontato in maniera diversa rispetto al passato poiché ci troviamo di fronte ad un'evoluzione non solo giuridica ma anche culturale e ad una presa di coscienza collettiva, quindi non si tratta solo di una nuova parola ma di un cambiamento di prospettiva.

Alcuni hanno poi giudicato il termine non adatto etimologicamente poiché esso è composto da due parole: femmina e dal suffisso -cidio. Femmina deriva dal latino femina che indica la femmina dell'animale mentre il suffisso -cidio sta ad indicare l'uccisione.

Proprio il termine femina ha sollevato le critiche perché tale termine spesso viene utilizzato come un aggettivo dispregiativo; ma in questo caso da il giusto peso al concetto che ci sta dietro, poiché chi commette il reato di femminicidio considera la donna, non un essere umano di pari dignità e diritti ma un oggetto di cui si è proprietari.

“La donna? E' semplicissimo..è una matrice, un'ovaia, è una femmina: ciò basta per

definirla. In bocca all'uomo, la parola “femmina” suona come un insulto; […] La parola “femmina”non è un peggiorativo perché colloca le radici della donna nella natura, ma perché le imprigiona nel sesso” 52 diceva Simone De Beauvoir nella sua

opera “Il secondo sesso”.

Anche se oggi tale termine è di grande utilizzo, è ancora poco conosciuta la storia della nascita di questo vocabolo, ciò fa si che alle volte si utilizzi in modo sbagliato o legato solo ad alcuni avvenimenti particolari di violazione dei diritti umani delle donne, dimenticando di inquadrare la situazione nel complesso.

In Europa si parla di femminicidio ignorando l’elaborazione teorico-politica che ha portato questo neologismo a divenire uno strumento di interpretazione del reale e di 51 Paoli. M., Femminicidio: i perché di una parola, http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-ital iana/consulenzalinguistica/domande-risposte/femminicidio-perch-parola

decostruzione del patriarcato in America Latina.53

Il termine femicide 'uccisione di una donna' esiste già dal 1801 in Inghilterra, tuttavia, è stato diffuso per la prima volta da Diana Russell nel 1992 con il libro “Femicide: the politics of woman killing”.

Altra traccia di utilizzo del termine appare anche nel 1848 nel Law Lexicon di Wharton supponendo quindi che il femmicidio fosse già all'epoca considerato un reato.

Nonostante il termine fosse già in vigore dalla metà dell' 800, veniva utilizzato nel suo senso letterale, cioè per indicare qualsiasi omicidio di donna.

Al contrario la Russell, era convinta che il vocabolo dovesse essere usato per definire e rimarcare l'aspetto sessista di questo tipo di omicidi.

In apertura del suo libro, la scrittrice afferma che il suo obiettivo prioritario è quello di dare un nome al femmicidio identificandolo come un problema che va trattato con la massima urgenza; già dal titolo della sua opera, si intuisce che all'autrice premeva sottolineare che il femmicidio non era un fatto privato che riguardava solo le donne ma un problema politico.54

Attraverso l’utilizzo di questa nuova categoria criminologica “nomina” la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna in quanto donna. “Il concetto di femmicidio si estende al

di là della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine.” 55

Mentre Diana Russel viene considerata la “teorica del femmicidio”, la “teorica del femminicidio” è la sociologa e antropologa Marcela Lagarde che attraverso l'utilizzo di questo termine nel 1997 ha descritto i terribili avvenimenti di Ciudad Juarez. La Lagarde è stata una delle prime studiose femministe del Centroamerica ad interessarsi all'opera della Russell ampliandone le teorie, includendo nel termine femminicidio anche la violenza istituzionale e non solo quella sociale.

Per violenza istituzionale Lagarde definisce l'incapacità delle istituzioni di garantire la sicurezza, la salute e una vita integra alle donne ,tale incapacità si sostanzia nel non attivarsi o nell'essere negligenti, nel garantire l'impunità agli assassini o nel 53 Spinelli.B., Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Milano, Franco Angeli, 2008

54 Ibidem

55 Perra.M.S.-Ruspini.E., Se il linguaggio cambia l'ordine del mondo, http://www.ingenere.it/articoli/se-il-linguaggio-cambia-ordine-del-mondo

negare alle donne e alle loro famiglie l'accesso alla giustizia.

Il termine femminicidio è salito alla ribalta delle cronache internazionali dopo la scoperta dei fatti di Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati Uniti, dove dal 1992 più di 4.500 giovani donne messicane sono scomparse e più di 650 stuprate, torturate e poi uccise ed abbandonate.

Tutto ciò è avvenuto nel disinteresse delle Istituzioni , con la complicità tra politica, forze dell'ordine corrotte e criminalità organizzata e in assenza di leggi a tutela delle donne violate.

E' stato grazie ad alcune attiviste, giornaliste, accademiche e alla loro attività di denuncia che si è costituita una Commissione Speciale parlamentare sul femminicidio, presieduta da Marcela Lagarde; tale Commissione ha per 10 anni, raccolto informazioni da varie istituzioni ed enti, sui crimini contro le donne ciò ha permesso di procedere ad una scrupolosa mappatura della situazione Stato del Messico.

Questa operazione, oltre ad aver favorito l'introduzione di nuove leggi contro il femminicidio in vari stati del Sud America, ha fatto condannare dalla Corte Interamericana per i Diritti Umani, il Messico, per i femminicidi avvenuti sul suo territorio (2009), la motivazione della Corte “la violenza subita dalle donne di Ciudad Juarez fin dal 1993 costituisce una violazione strutturale dei loro diritti umani sulla base del genere di appartenenza della quale è responsabile lo Stato Messicano” (Sentenza “Campo Algodonero” della magistrata Cecilia Medina Quiroga)56

Un altro modo per definire e riconoscere la violenza contro le donne come lesione dei diritti umani fondamentali e dunque dei crimini contro le donne come crimini contro l'umanità, è il termine ginocidio che fu teorizzato, per la prima volta nel 1987 da Mary Daly e Jane Caputi.

Queste ultime lo definirono come “l'intento pianificato, istituzionalizzato, fisico e psicologico di sterminare le donne; si tratta dell'uso di misure sistematiche (uccisioni, lesioni fisiche o psicologiche, controllo delle nascite) per distruggere le donne come forza politica e culturale”57; la parola ginocidio ricorda infatti il termine genocidio utilizzato per definire lo sterminio di una razza.

Successivamente anche Andrea Dworkin ha ripreso il termine per definire “le 56 Spinelli B., Perché si chiama femminicidio, http://27esimaora.corriere.it/articolo/perche-si-chiama- femminicidio-2/

57 Spinelli.B., Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Milano, Franco Angeli, 2008

sistematiche mutilazioni, stupri e/o uccisioni di donne da parte degli uomini; una violenza perpetrata dal genere maschile contro il genere femminile”.

La Russell, in “Femicide in global prespective” chiarisce poi la differenza tra ginocidio e femmicidio, sostenendo che per avere un ginocidio sono necessarie cinque categorie: il femmicidio, cioè l'uccisione di una donna, il causare grave pregiudizio fisico o psichico attraverso stupri o abusi, assoggettando le donne a condizioni di vita decise da altri, imponendo misure di controllo delle nascite ed infine, toglierle i figli con la forza.

Questi cinque atti sono considerati tipici del ginocidio, finalizzate ad eliminare il genere femminile.

La violenza ginocida si rappresenterebbe dunque lungo un continuum che va dai ricatti e dalle molestie sessuali allo stupro e all'omicidio.

La Russell conclude la sua riflessione sostenendo che i due termini, femmicidio e ginocidio, siano complementari e non in competizione tra loro.58

In Italia, il termine più utilizzato rimane ad oggi “femminicidio” che in molti casi ha assorbito il concetto di “violenza di genere”, finendo per sovrapporvisi; se prendiamo ad esempio la Legge n.119 del 2013, nel cui titolo è presente il termine “violenza di genere”, la legge viene riconosciuta solo quando è indicata come la legge sul femminicidio.

Tuttavia, la locuzione violenza di genere è più duttile poiché se riferita al genere femminile, può comprendere tutte le manifestazioni violente messe in atto dagli uomini.

Le critiche mosse nei confronti di questo termine sottolineano il fatto che per genere si possa intendere anche genere maschile e quindi all'interno della categoria violenza di genere, possano essere ricomprese tutte le violenze perpetrate anche nei confronti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) in quanto non riflettono quelle che sono considerate le caratteristiche “normali” del genere di appartenenza. Nella conferenza mondiale delle donne di Pechino del 1995 furono espressi alcuni dubbi sull’opportunità di fare uso del termine gender, dato che, benché sia in sé neutro, non si può usarlo senza generare confusione.

Alcuni paesi, soprattutto cattolici, e in prima linea il Vaticano, erano preoccupati che dire “genere” significasse legittimare l’omosessualità.

58 Spinelli.B.,Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Milano, Franco Angeli, 2008

Alla fine, pur in mancanza di una definizione ufficiale, si chiarì che il termine genere doveva essere inteso nel senso del “suo uso ordinario e generalmente accettato”, ossia nell’accezione in cui era usato nei documenti precedenti, senza specificare a cosa si riferisse, aprendo in tal modo la porta a un’ambiguità di fondo che permette di usare il termine secondo le visioni antropologiche più diverse.

Anche nella Convenzione di Istanbul del 2011, tra i temi critici che ne hanno pregiudicato le ratifiche e la conseguente entrata in vigore, è proprio la questione relativa alla definizione di violenza di genere, che è stata oggetto di diverse proposte volte a limitarne la portata, per escludere la violenza contro soggetti di diverso orientamento sessuale rispetto alle identità maschili e femminili dall’ambito di applicazione del trattato. 59

Nonostante il dibattito sul termine più adatto per definire la violenza contro le donne sia ancora aperto, comunque venga definita la questione il riuscirgli a dare un nome lo rende non più un fatto personale legato quindi alla relazione tra l'uomo e la donna ma un problema sociale che ha bisogno di interventi globali da parte della politica. Inoltre, grazie a questi “nuovi” termini, soprattutto femicidio e femminicidio, ha dato l'input ad avviare ricerche criminologiche riguardanti gli assassini di donne e ha consentito di ripensare le strategie di lotta alla violenza e alle disriminazioni di genere in modo strutturale.

E' importante che il genere femminile si autodetermini e che si affermi come soggetto appropriandosi del potere di “nominare”; infatti, dare un nome alle cose vuol dire appropriarsene, poiché viene stabilito cosa esiste e cosa no, questi neologismi hanno quindi concretizzato ciò che prima si poteva solo supporre, hanno creato una realtà che rispecchia un sapere e una conoscenza “non convenzionale” rispetto a quello che tradizionalmente ci viene proposto dalla cultura maschilista.60 I primi ad avere il dovere di utilizzare questi termini per delimitare i confini della violenza maschile sulle donne sono la politica, l'opinione pubblica e i media.

59 Merli.A., Violenza di genere e femminicidio in Rivista Diritto Penale Contemporaneo, n.1, 2015 60 Spinelli.B., Femicide e feminicidio:nuove prospettive per una lettura gender oriented dei crimini contro donne e lesbiche in Studi sulla questione criminale,III, n.2, 2008