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Il "dominio maschile" e il percorso per contrastare la violenza di genere

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Negli ultimi anni l'argomento che ho scelto per la mia tesi, la violenza sulle donne, è stato al centro dell' interesse di molti, studiosi, ricercatori, giornalisti, mass media...tuttavia, nonostante sia un argomento posto al centro del dibattito pubblico continuano ad accadere fatti gravi, come i femminicidi, permangono e si diffondono stereotipi e nonostante l'aumento delle denunce, le donne vengono ancora non credute o lasciate sole nella battaglia per il riconoscimento di una violazione subita. Ho deciso quindi di analizzare questo tema in modo globale partendo dagli aspetti culturali, passando attraverso l'uso delle parole e della comunicazione sociale per arrivare infine alla descrizione di ciò che è la violenza sulle donne con le sue conseguenze fisiche, psicologiche e sociali e capire come si lavora per contrastarla. Parlare di violenza di genere significa mettersi dalla parte delle donne e di tutti quei soggetti che animano la scena, comprenderne le cause che la generano e la alimentano e di conseguenza, trovare delle soluzioni per contrastarla in modo efficace.

Secondo il CEDAW (Committee on the Elimination of Discrimination against Women), “la violenza di genere è una forma di discriminazione che inibisce gravemente la capacità delle donne di godere dei diritti e delle libertà su una base di parità con gli uomini”1

La definizione data dal Comitato CEDAW, coglie quindi le radici della violenza sulle donne proprio nella disuguaglianza tra i sessi e sottolinea come tali atti violenti siano lesivi della libertà personale e limitino la donna nell' accesso ai propri diritti.

Riconoscendo quindi la violazione dei diritti e della libertà delle donne nel momento in cui esse subiscono violenza, quest'ultima assume un carattere e un'importanza sociale e non rimane solo un fatto privato della donna.

La violenza di genere, infatti, intacca piani differenti e molteplici livelli del discorso pubblico e privato. E' un fenomeno che è sempre esistito e che nonostante il nucleo centrale sia sempre lo stesso, si è andato modellando negli anni a seconda dei periodi storici, dei mutamenti sociali, adattandosi alle nuove forme di famiglia e di relazioni. Nel corso degli ultimi anni inoltre, nonostante l'aumento di forme di contrasto alla violenza maschile, si assiste ad un aumento dei casi e delle denunce che mal si 1 Raccomandazione generale n. 19 (11a sessione, 1992) - La violenza contro le donne

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concilia con l’idea di una società moderna e con i processi di emancipazione in atto. Nel presente lavoro ho voluto approfondire la conoscenza riguardo la violenza maschile contro le donne partendo proprio dall' idea che essa si basi sulla tesi dell'inferiorità della donna rispetto all'uomo e sul perpetuarsi del dominio maschile nella società, nella cultura e nel linguaggio, individuando le varie modalità in cui si presenta la violenza, le conseguenze psico-fisiche e infine gli interventi per contrastarla.

Nel primo capitolo espongo due delle teorie più accreditate rispetto alle cause che portano ad agire con violenza sulla donna, entrambe legate al patriarcato: la prima inerente al radicamento culturale di tale ordine mentre la seconda dovuta al suo recente decadimento. Tali teorie sono in realtà complementari in quanto entrambe riconoscono che ci sia o ci sia stata una cultura dominante maschile che ha influito sulla definizione e differenziazione dei ruoli nella società, tuttavia nella mia trattazione decido di portare avanti la teoria, sostenuta dalle femministe degli anni'70 e dai primi gruppi di autocoscienza, secondo cui ancora oggi persiste una cultura patriarcale nel quale le donne vengono considerate come oggetti e di conseguenza trattate come proprietà privata.

Proseguo il capitolo analizzando, secondo una prospettiva storico-evolutiva, dove nasce e come si è sviluppata la cultura dominante maschile, attingendo da studi antropologici-culturali che hanno confermato come la differenza biologica e naturale tra uomo e donna sia stata utilizzata per avallare la tesi dell' inferiorità della donna rispetto all' uomo sotto tutti gli aspetti della vita.

Questa cultura dominante ha concesso agli uomini il “potere” di disporre, non solo della vita della donna ma anche e soprattutto del suo corpo, il debitum coniugale ad esempio, cioè il diritto del marito di pretendere, anche attraverso l'uso della forza, dalla propria moglie una prestazione sessuale, era accettato socialmente e non era punito.

E' stata la Riforma del Diritto di Famiglia, accompagnata dalle varie lotte di quegli anni, a restituire alla donna il diritto di disporre del proprio corpo ma è ancora più recente l'abrogazione dell' attenuante dell' onore, così detto delitto d'onore, che risale al 1981, denotando come il percorso legislativo proceda molto lentamente.

Nel terzo capitolo, descrivo nello specifico le modalità in cui la violenza sulle donne viene agita e quali conseguenze ha sulla salute psico-fisica, soffermandomi in particolare nell' esposizione della violenza domestica e della violenza assistita che è

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tutt'oggi ancora molto sottovalutata.

L'ultimo capitolo è dedicato alle politiche di contrasto alla violenza nell' ambito regionale e locale, quindi in particolare un'analisi della legge della Regione Toscana n.57/2007, delle successive Linee Guida e dei dati rilevati all' ultimo Rapporto sulla violenza di genere del 2014.(Sesto Rapporto Regione Toscana).

A livello locale mi soffermo sulla descrizione del Centro Antiviolenza D.U.N.A, di cui faccio parte come operatrice, descrivendo di cosa si occupa e i servizi che offre alla donne che subiscono violenza di qualsiasi tipologia essa sia.

Ho voluto infine, allegare alla mia tesi l'analisi e il commento dei dati socio-demografici riguardanti la violenza subita dalle donne che si rivolgono al Centro, da quando quest'ultimo è aperto ad oggi, per fare una valutazione su quelle che sono le caratteristiche di queste donne e su quali sono i loro bisogni espressi; a questi dati ho voluto aggiungere un questionario rivolto invece ad un campione di volontarie del Centro, che quotidianamente lottano per far conoscere a queste donne i loro diritti per poter riflettere sul loro modo di vedere ed intendere la violenza sulle donne.

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CAPITOLO 1

LE RADICI DELLA VIOLENZA MASCHILE CONTRO LE DONNE

1.1 La causa della violenza di genere: due teorie a confronto

L'aumento della violenza fuori e dentro le famiglie e l'interesse verso questo tema, ha prodotto negli ultimi anni una serie di ricerche, pubblicazioni, trasmissioni televisive e inchieste giornalistiche.

Essa è quindi oggetto di analisi e studi in tutti gli ambiti del sociale, in particolare in quello giuridico e politico, che contribuiscono a definirne i confini e in relazione a soggetti, condotte e identità a classificarla.

Tra le varie teorie alla base della nascita e crescita della violenza maschile contro le donne, due sono quelle maggiormente accreditate: la prima è quella legata all'ordine patriarcale, l'altra connessa alla crisi di tale ordine.

Secondo la prima ipotesi, sostenuta dalle correnti del femminismo degli anni '70 e dal neo-femminismo, la violenza di genere è un problema che riguarda la costruzione delle identità e delle relazioni di genere e la loro evoluzione nel tempo; essa è infatti, strettamente legata al sistema della società patriarcale che ha definito il divario culturale, sociale e poilitico tra uomini e donne.

E' quindi all' interno di questa cultura fortemente patriarcale che si sviluppa un sistema di dominazione e sottomissione della donna, basato su teorie riguardanti l'inferiorità di essa, che la violenza maschile viene legittimata.

Secondo questo pensiero, è proprio questo ordine patriarcale e la cultura che ne deriva, la vera causa della violenza maschile contro le donne.

Questa riflessione porta avanti l'idea che la cultura patriarcale sia tutt'oggi presente e che più o meno inconsciamente incanali i nostri pensieri e le nostre attività quotidiane in stereotipi di genere e in ruoli definiti e differenziati; da qui nasce la lotta per riconoscere ed affrontare la violenza contro le donne come un problema sociale, poiché tutti potremmo cadere nelle trappole costruite da questa società in cui siamo cresciuti, utilizzando linguaggi e modalità fondate su questa differenziazione

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dei ruoli maschili e femminili.

E' la stessa struttura sociale che, dando vita alle disuguaglianze di genere sotto il profilo economico e di reddito, garantisce i presupposti della violenza contro le donne; Connell utilizza il termine “dividendo patriarcale” proprio per alludere ai benefici che gli uomini traggono dall' esistenza di un ordine costruito su questa disuguaglianza e sul patriarcato.

I centri antiviolenza che per primi sono in campo nella lotta e nel contrasto alla violenza di genere, sono d'accordo con questa ipotesi e portano avanti battaglie contro il perpetrarsi di una cultura dominante maschile in tutti i campi, nell'educazione, nella politica territoriale, contro gli stereotipi, promuovendo campagne di sensibilizzazione non solo riguardo la violenza ma più in generale volti a sradicare le concezioni che stanno alla base del sistema patriarcale, è per questo che i centri che contrastano il fenomeno della violenza di genere si rivolgono soprattutto alle donne che la subiscono lavorando sulla loro autonomia ed emancipandole dai ruoli che si sono cucite addosso o che gli hanno costruito.

L'emergere e l'aumento dei casi di violenza registrati negli ultimi anni, secondo questa prima ipotesi è quindi dovuto ad una maggiore consapevolezza delle donne o di chi gli sta vicino, anche se il sommerso è ancora molto.

La seconda teoria invece, vede la violenza maschile contro le donne come il frutto non della società patriarcale ma della sua crisi.

Questa ipotesi, sostenuta da alcuni studiosi e ricercatori, parte dall' idea che gli uomini pur riconoscendo in linea di principio e sul piano astratto la simmetria sociale di genere come base delle relazioni tra uomini e donne, non riescono tuttavia a sopportare e ad accetarne le conseguenze sul piano pratico, cioè nella relazione e nelle azioni quotidiane.

Secondo questa concezione quindi, l'incremento della violenza contro le donne è il risultato di una maschilità resa fragile dalle imponenti trasformazioni culturali e sociali della modernità.

La causa è da ricercarsi nella paura e nell' incertezza che caratterizza i nostri tempi e che spiegherebbe anche l'aumento di altri tipi di violenza, come quella contro gli omossessuali, transessuali sempre per mano degli uomini.

In sintesi, secondo questa interpretazione, “la violenza contro le donne costituirebbe il frutto avvelenato di un paradosso a cui la maschilità culturalmente egemone va oggi incontro: gli uomini si sentono sempre più senza potere, ma al tempo stesso si

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vivono come i soli autorizzati ad avere ed esercitare potere.” (Leccardi 2013)2

In linea con quanto detto, chi sostiene questa visione approfondisce i fondamenti della crisi delle identità maschili egemoni e il nesso che lega questa crisi alle azioni e relazioni violente; mettere il maschile al centro significa rivolgersi agli uomini quando si fanno politiche di prevenzione, inziare a nominarli nel discorso sulla violenza e non considerarla come un disturbo psicologico individuale ma come un elemento cruciale per comprendere le dinamiche della vita sociale contemporanea. Questa interpretazione della violenza maschile contro le donne ha, da una parte, il rischio di occultarne il carattere strutturale presentandolo come una nuova emergenza frutto di un disordine sociale e dall'altra, contrasta la lettura dominante che vede la violenza contro le donne come il risultato di un dominio lineare e che in qualche modo, confermando la soggezione femminile, ne riproduce una sorta di “vittimizzazione”.

Queste due famiglie di spiegazioni, dimostrano come il tema si collochi in uno scenario caratterizzato dal perpetrarsi di un dominio non certo statico ma dinamico, in continuo cambiamento in cui il nuovo non sostituisce il vecchio ma quest'ultimo si ripropone in forme diverse ed aggiornate.3

Tuttavia entrambe riconoscono che alla base ci sia o ci sia stato una società patriarcale che abbia “plasmato” i nostri modi di agire nel quotidiano, e che quindi la violenza sia il risultato di questi meccanismi inconsci o perchè ancora presenti o per la paura di perdere un qualcosa che legittimava il loro “potere”.

Questi due modi di interpretare la violenza contro le donne da la possibilità di studiare il fenomeno da due punti di vista differenti e soprattutto di mettere in atto strategie diverse ma con uno stesso obiettivo, cioè quello di riconoscere la violenza come problema sociale e contrastarla.

In questo momento storico secondo me è necessario affrontare il tema con più determinazione e quindi per non creare ulteriore confusione bisogna affrontare la violenza di genere come un problema sociale che affonda le sue radici in un sistema culturale patriarcale che ancora oggi ha un peso rilevante nella definizione di questo problema, e che non trova giustificazioni.

2 Magaraggia.S- Cherubini.D., Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile, Novara, De Agostini, 2013 pp.15-17

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1.2 Nascita e sviluppo della società patriarcale

Entrambe le teorie presentate nel paragrafo precedente, seppur differenti sotto alcuni aspetti, hanno una stessa idea di base che riguarda il fatto che la violenza maschile contro le donne sia frutto di una cultura patriarcale che ha coinvolto tutte le società e che ha innescato dei meccanismi inconsci nelle nostre menti.

La visione androcentrica della società si è sviluppata sempre di più nel corso dei secoli e si è sedimentata così nel profondo che ha portato la società tutta, comprese le donne ad accettare il dominio maschile come un fatto naturale.

Tale dominio, tuttavia, non è il risultato di caratteristiche peculiari possedute dalla donna ma una fabbricazione realizzata attraverso quelle che Mauss chiamava «tecniche del corpo»; cioè disposizioni femminili inculcate attraverso l’apprendimento e le ingiunzioni provenienti dal mondo sociale.

Il rapporto di dominio, che si realizza da parte dell' uomo sulla donna, viene definito da Bourdieu con il termine di “violenza simbolica” che si esercita attraverso l'incorporazione di schemi di percezione e valutazione di sé e degli altri, ovvero con la complicità di strutture mentali inconsce precocemente apprese e che viene vissuta dall'individuo come disposizione naturale.4

La “violenza simbolica” per Bourdieu si è diffusa e radicata, sino ad un'epoca recente, grazie a 3 istituzioni principali: la famiglia, la chiesa e la scuola, che avevano il tratto comune di agire sulle strutture inconsce.

E' sicuramente alla famiglia che spettava il ruolo principale nella riproduzione del dominio poiché qui si imponeva sin da subito, l'esperienza della divisione sessuale del lavoro, garantita dal diritto e inscritta nel linguaggio.

La Chiesa invece, inculcava (e forse tutt'ora inculca) una morale familiarista dominata da valori patriarcali, basati sul dogma dell'inferiorità innata della donna. Infine c'era la scuola che, ancora oggi, continua a trasmettere i presupposti della rappresentazione patriarcale, indirizzando gli studenti verso quelle che sono le attitudini e le inclinazioni “naturali” proprie dell'essere maschio o femmina.

Oltre a queste tre istituzioni, troviamo poi lo Stato, che ratifica e rafforza le prescrizioni e proscrizioni del patriarcato.5

La difficoltà, nel ripercorrere la storia nella ricerca del fondamento di questo 4 De Concilis.E., La riproduzione (del) femminile,

http://www.storiadelledonne.it/wp-content/uploads/2009/03/deconciliis2012.pdf 5 Bourdieu.P, Il dominio maschile, Milano, La Feltrinelli, 1998 pag. 100-103

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dominio, è quindi data dal fatto che abbiamo sempre vissuto in una società in cui abbiamo incorporato le strutture storiche dell'ordine maschile sottoforma di schemi incosci di percezione e di valutazione.

Il rischio, nel momento in cui si affronta questo argomento, è quello quindi di ricorrere a tali schemi incosci che sono il prodotto della visione androcentrica della società.6

Le teorie e gli studi di carattere antropologico-culturale hanno cercato di ricostruire il fondamento di come ha avuto origine l'imparità dei sessi e soprattutto la condizione di inferiorità e subalternità che ha sempre avuto la donna nei secoli passati e che ha tutt'oggi.

Partendo da un analisi superficiale relativa ai dati provenienti dagli studi sulla società preistorica, si rileva una contraddizione riguardo la condizione della donna prima dell'avvento dell'agricoltura.

Molti studi infatti, sostengono che nonostante le evidenti differenze biologiche tra uomo e donna, in questo periodo storico, la superiorità dell' uomo fosse meno accentuata e che, all'interno del clan non esistesse una grande disparità di ruoli, questo anche perchè non esistevano né istituzioni, né proprietà, né diritto e la religione era neutra.

Ad esempio, nel periodo del nomadismo, alle donne erano affidati lavori faticosi come il trasposrto di carichi pesanti durante gli spostamenti del clan, mentre gli uomini erano impegnati a proteggere il gruppo dalle aggressioni esterne, animali o uomini.

Altri studiosi, invece, parlano di tribù primitive in cui le donne erano abbbastanza robuste e resistenti da parteciapare alle spedizioni guerriere come ad esempio si dice sul mito delle Amazzoni, che prendevano parte alle guerre ed erano crudeli e coraggiose come gli uomini.

Approfondendo l'analisi di queste informazioni pervenute, si evidenzia che, nel primo caso, nonostante le donne si facessero carico di trasportare pesanti merci, gli uomini possedevano le capacità necessarie per proteggere il clan.

La forza fisica, allora come ora, era un privilegio che apparteneva agli uomini.

Per quanto riguarda invece, il mito della Amazzoni, guerriere coraggiose e crudeli, nell'esercitare la propria forza fisica, assumevano aspetti maschili e la maternità veniva vissuta come un handicap terribile tanto chè si narra che si mutilassero il seno 6 Bourdieu. P., Il dominio maschile pag.13

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durante il periodo della vita da guerriera.

Le donne, infatti, erano costrette biologicamente ad alcuni periodi di impotenza a causa della gravidanza, del parto e della mestruazione che ne diminuivano le capacità di lavoro.7

La maternità in quest' epoca veniva vissuta come un peso da tutta la tribù poiché le donne non potevano contribuire alla ricerca dei mezzi di sostentamtento e tutto era in mano agli uomini che, attraverso la caccia e la pesca, assicuravano l'equilibrio tra produzione e riproduzione.

Il matrimonio primitivo, pur essendo solo un'istituzione laica aveva un forte significato sul piano umano e consisteva in un rapimento, reale o simbolico, di una donna di un clan diverso; con la forza e la violenza l'uomo primitivo si appropriava della donna che da questo momento diventava un oggetto di scambio.

Nel momento in cui le tribù cominciarono ad insediarsi in un territorio diventando agricoltori, le cose cambiarono infatti, è a partire proprio dalla nascita delle comunità agricole che la differenziazione sessuale e dei ruoli si riflette sulla struttura della collettività.

Nasce la proprietà, anche se ancora sotto forma di collettività, molte tribù vivono in regime comunitario, l'individualità resta un fatto biologico, uomini e donne appartengono al gruppo.

Nelle società agricole alla concezione del vivere la vita al momento tipica delle tribù nomadi, si sostituisce ora quella di una che ha radici nel passato e che comincia a pensare al futuro per cui assume una grande importanza la discendenza; il clan sopravviverà attraverso il suolo lasciato in eredità ai figli che lo sfrutteranno e la donna, in quanto madre, creatrice di vita è investita di un grande prestigio.

La madre è evidentemente necessaria alla nascita del bambino poiché conserva il seme e nutre il figlio attraverso il suo seno, è dunque lei che permette al clan di sopravvivere.

Questa capacità di creare vita, di dare origine ad un fenomeno naturale a cui sembra estraneo l'uomo, conferisce alla donna una connotazione di divinità ( Il culto della Dea-madre).

I figli appartengono alla madre e portano il suo nome (regime matrilineare) la proprietà comunitaria si trasmette attraverso le donne, esse hanno un potere al tempo

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stesso religioso, mistico e legale sulla terra e i suoi frutti.8

Tuttavia la società è sempre appartenuta all'uomo e anche se, in regime matrilineare, ella godeva di un grande prestigio era sempre sotto la tutela dell'uomo, la condizione concreta della donna non dipendeva infatti dal tipo di filiazione che prevaleva nella società.

A lei viene affidato il lavoro agricolo sia per questo aspetto magico e divino di dare vita che per limiti naturali che le impediscono, durante la gravidanza e maternità, di poter svolgere altri lavori fuori dai confini del villaggio.

L'idea di un matriarcato, cioè di un esercizio effettivo di potere nelle mani delle donne, ipotizzato da Bachofen in “Das Muttercht” del 1861 (“Diritto materno”) e ripreso successivamente anche da Engels, forse non è mai esistito; la donna, infatti, era adorata come “oggetto” di culto e per questo relegata nel sacro, nell'immaginario, mentre la vita reale rappresentata dalle varie attività che permettevano alle tribù di sopravvivere (caccia, pesca...), era prerogativa maschile.9

Inoltre, la donna godeva di grande prestigio solo in quanto madre, non quindi considerata nella sua specificità di individuo ma nel ruolo che per natura le apparteneva.

Questa attribuzione di sacralità della donna-madre ha fatto sì che la donna divenisse simbolo, fantasia, mito, fosse posta al di fuori della realtà e ciò ha permesso all'uomo di divenire azione, di trasfomrare la natura e il mondo.

Da subito, l'uomo ha esorcizzato la donna, non accettandola come persona, come soggetto ma come un'idea, un oggetto da adorare e venerare, limitandogli l'accesso a tutto ciò che potesse renderla reale.10

Il passaggio dalla pietra al bronzo ha permesso all' uomo di realizzare con il lavoro la conquista del suolo, mentre l'agricoltore è sottoposto agli imprevisti della terra, a seguire il ciclo delle stagioni, l'operaio fabbrica con i suoi strumenti, specializza le funzioni, non è più in funzione della natura ma la plasma con le sue mani, si afferma come volontà sovrana.

Il culto della donna come cretrice di vita era legata al periodo dell'agricoltura mentre nel mondo dell' homo faber è lui che assume potere e importanza.

L'uomo rivendica la proprietà del suolo e la proprietà della donna, il lavoro 8 De Beauvoir S., Il secondo sesso pp.96-97

9 Goether-Aberndroth.H., La società matriarcale:definizione e teoria, http://universitadelledonne.it/heide.htm

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famigliare gli serve per produrre e quindi deve possedere sia la moglie che i figli. I maggiori scrittori socialisti, Marx, Engels, Babel, collegano la conferma e la continuazione dell'oppressione della donna all'avvento della proprietà privata, poiché ella, spogliata da ogni potere, è divenuta ormai un oggetto nelle mani dell'uomo, una merce di scambio, diventa parte del patrimonio.

Con il matrimonio la donna viene strappata dalla sua famiglia di origine e assimilata nella famiglia del marito, i figli da lei generati appartengono allo sposo.11

Possiamo quindi ricondurre l'inizio della soggezzione della donna con l'avvento della proprietà privata, poiché è da questo momento in poi che l'uomo avrà la consapevolezza della sua forza e della sua capacità di dominare e possedere ogni cosa lui creda gli appartenga.

Si instaura il regime del patriarcato, un tipo di sistema sociale in cui vige il “diritto paterno”; in famiglia cominciano a differenziarsi i ruoli e la donna viene posta in una posizione di subordinazione rispetto all'uomo.

Il patriarcato non ha assunto dapertutto forme radicali, a Babilonia per esempio, alle donne venivano riconosciuti dei diritti sull'eredità paterna e in Egitto, conservavano il loro prestigio anche dopo sposate, tuttavia, esse non erano socialemente uguali agli uomini, esse infatti intervenivano nella vita pubblica solo in forma secondaria e nella vita privata si esigeva una fedeltà che non era reciproca.

La condizione della donna nell' antica Grecia non fa onore a un popolo che ha espresso una cultura di altissimo livello. Soprattutto ad Atene, le donne non avevano diritto ad alcuna istruzione ed erano confinate tra le mura domestiche: la casa (òikos), più che il 'regno' femminile era un vero e proprio carcere a vita, dal quale le donne potevano uscire solo in occasioni speciali, quando si celebravano nozze o funerali. In alcune città tale divieto era addirittura imposto dalla legge. Nemmeno all' interno della casa le donne potevano circolare liberamente: relegate nel gineceo, con gli schiavi, le uniche occupazioni alle quali potevano dedicarsi erano preparare il cibo, tessere e filare. Per tutta la vita la donna ateniese era confinata in uno stato di minorità, sottomessa ad un tutore: prima il padre, poi il marito o l'erede di questo o in mancanza di altri, allo stato, rappresentato dai funzionari pubblici.

Le uniche donne libere erano le cortigiane (etere) che in quanto al servizio del piacere maschile non erano soggette al dovere della maternità, esse erano generalmente più colte delle altre donne e potevano uscire liberamente in pubblico. 11 De Beauvoir.S., “Il secondo sesso” pagg.100-111

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Aristotele, grande filosofo dell'antica grecia, nel “De generationem animalium”, si impegna a descrivere con analisi minuziose l'inferiorità e la difettosità dell'anatomia femminile rispetto a quella maschile, concludendo che le femmine “sono per natura più deboli e fredde, e si deve supporre che la natura femminile sia una menomazione”12

Anche Platone, pur lontano dal maschilismo di molti filosofi antichi, nel “Timeo” immagina che la donna sia stata prodotta da un processo di corruzione dell'uomo ed Esiodo esprime lo stesso disprezzo “colui che si affida a una donna, si affida ad un ladro”.

A Roma, dopo la morte di Tarquinio, si afferma il diritto patriarcale: la proprietà agricola e la famiglia sono la cellula della società; la donna quindi, è completamente asservita al patrimonio, esclusa dagli affari pubblici ed è sottomessa ad un tutore che dispone dei suoi beni.

Legalmente è più sottomessa della donna greca ma è maggiormente integrata alla società, ella infatti non è relegata nel gineceo ma nell'atrio che è il centro della dimora, presiede al lavoro degli schiavi, educa i figli, partecipa al lavoro dello sposo ed è considerata comproprietaria dei suoi beni, tutto questo perchè mette al mondo degli eredi e lavora sia in casa che nei campi, per cui è molto utile al paese e quindi profondamente rispettata.

Successivamente, con l' affermarsi del potere dello Stato, la donna acquista sempre più diritti soprattutto riguardanti la gestione del suo patrimonio e sotto la legislazione imperiale ottiene più indipendenza del marito attraverso il riconoscimento della dote. Nel momento in cui avviene questa sorta di emancipazione della donna, viene però proclamata ulteriormente la sua inferiorità, i suoi limiti dovuti al suo sesso e con queste guistificazioni le viene rifiutata l'uguaglianza con l'uomo.

La donna infatti, in questo periodo ha diritto all'eredità, al rispetto dei figli come al padre, fa testamento e può anche decidere di divorziare e risposarsi ma non le viene proposto nessun impiego concreto delle sue forze e l'indipendenza economica rimane astratta perchè non genera nessuna capacità politica.13

E' proprio il diritto romano, che successivamente influenzerà tutti i sistemi giuridici occidentali, ad equiparare la donna ai minori e ai malati di mente ed a causa della sua 12 Ercolani.P., La filosofia delle donne:uguaglianza, differenza, in-differenza,

http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/07/26/la-filosofia-delle-donne-uguaglianza-differenza-in-differenza/

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debolezza, ad essere assoggettata completamente all'autorità del capofamiglia.

Le invasioni barbariche mettono in discussione l'esistenza della civiltà, tuttavia in questo tipo di società ( Celti, Galli, Germani, Scandinavi), che conservano molti elementi delle antiche strutture sociali paritarie, le donne partecipano alla vita della tribù: non erano escluse dalla funzione sacerdotale e avevano voce in capitolo nelle decisioni di pace e di guerra.

L'influenza di una nuova ideologia si fa strada nel diritto romano e nelle civiltà barbariche: il cristianesimo che contribuirà molto alla visione della donna come inferiore all'uomo e che perdurerà nei secoli.

S.Paolo fu una figura molto incisiva nell'elaborare e nel diffondere questa visione, attraverso le sue lettere ha definito i fondamenti dottrinali del cristianesimo e afferma la tradizione ebraica antifemminista.

Da queste lettere infatti, emerge una chiara condizione di subordinazione della donna rispetto all'uomo: il posto della donna è la casa, dedita alla famiglia e in totale obbedienza al marito.

S.Paolo fonda sull' Antico e sul Nuovo Testamento, il principio di tale subordinazione nel mito della creazione, secondo il quale la donna deriva da una costola dell'uomo: “l'uomo è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell'uomo. Infatti l'uomo non è stato tratto dalla donna, ma la donna è stata tratta dall'uomo. E inoltre, l'uomo non è stato creato per la donna ma la donna è stata creata per l'uomo” (Corinzi 1-11,7-9)

S.Paolo ribadisce in tutte le lettere l'asservimento della donna rispetto all'uomo e viene rimarcata anche dal mito biblico del peccato originale che attribuisce alla donna la colpa di aver corrotto Adamo nel cogliere e mangiare la mela del peccato e quindi di aver disobbedito a Dio e di aver destinato l'uomo ad una vita di sofferenza. Attreverso il riferimento al mito del peccato originale, S. Paolo ha condiviso una visione della donna come fonte originaria del male, come tentatrice. Ella incapace di discernere da sola il bene dal male, deve quindi essere assoggettata alla guida dell'uomo.14

Da S.Paolo, ma più in generale dai padri della Chiesa, il Medioevo ha derivato una concezione della donna come figlia di Eva e per questo naturalmente incline al male. Si sostiene tra l’altro che le donne siano molto più crudeli, più impressionabili degli 14 Ercolani.P., La filosofia delle donne:uguaglianza, differenza, in-differenza,

http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/07/26/la-filosofia-delle-donne-uguaglianza-differenza-in-differenza/

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uomini e quindi più attaccabili dal demonio. Il cristianesimo vede la donna come un “animale imperfetto”, perché la prima donna è stata creata con una costola curva e ritorta.

Questa visione della donna associata ad un periodo di insicurezza generale ha dato vita a quel fenomeno conosciuto come “la caccia alle streghe” diffusa in tutta Europa tra il XV e il XVII secolo.

Nel 1487, due inquisitori domenicani, J.Sprenger e H.I. Kramer, su incarico del Papa, scrivono il “Malleus Maleficarum” (Il martello delle streghe), un vero e proprio manuale dell’inquisitore in cui si spiegano i malefici operati dalle streghe, i mezzi per riconoscerli, i sistemi per interrogare e tutte le varie e crudeli torture per estorcere le confessioni. In questo libro si teorizza la stregoneria come frutto dell’inferiorità intellettuale e morale della donna: «La stregoneria deriva dalla lussuria della carne che nelle donne è insaziabile».

Secondo il “Malleus Maleficarum” l’etimologia del nome lo dimostrerebbe: «foemina deriva da fe e minus, perché essa è capace di conservare minor fede». Le presunte streghe in realtà non sono altro che donne comuni che, possedendo qualche nozione di erboristeria, hanno assunto il ruolo di guaritrici nella comunità.

Dagli atti dei processi, particolarmente esposte all’accusa risultano le vedove, le donne sole, le vecchie, le levatrici e le bambinaie, ritenute sessualmente avide e quindi facili prede del Maligno.15

La caccia alle streghe riscosse un rinnovato interesse nel Movimento di liberazione delle donne degli anni ’70, le femministe, infatti, si resero conto di trovarsi di fronte ad un fenomeno molto importante che aveva plasmato la posizione delle donne nei secoli successivi, poiché le “streghe”altro non erano che donne perseguitate in virtù della propria resistenza al potere della Chiesa e dello Stato.

Secondo queste attiviste, la “caccia alle streghe” ha ampliato il controllo dello Stato sui corpi delle donne, criminalizzando il controllo da queste esercitato sulla propria capacità riproduttiva e sessuale (ostetriche e donne anziane furono le prime sospettate).

Il risultato della caccia alle streghe in Europa fu la nascita di un nuovo modello di femminilità e di una nuova concezione della posizione sociale delle donne, che svalutava il loro lavoro in quanto attività economica indipendente (un processo che 15 Santucci.F., La caccia alle streghe:il massacro delle donne,

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era già gradualmente cominciato) e le poneva in una posizione subordinata rispetto agli uomini. 16

Il cristianesimo e la società medievale non hanno migliorato la condizione della donna, tuttavia, grazie alla grande importanza assunta dal matrimonio, entrambi i coniugi, avevano un assoluto obbligo di fedeltà e di amore reciproco, a differenza dell'antichità in cui il ripetto e la fedeltà spettavano solo alla moglie.

Tra la fine del Medioevo e i secoli XVII – XVIII la condizione della donna non migliorò poiché ella divenne sempre più marginalizzata e relegata nella sfera privata. Tale processo si intensificò ulteriormente a partire dal XVI secolo, facilitato dalla sempre maggiore importanza e centralità data al ruolo del capo famiglia su moglie e figli.

Anche durante l'Illuminismo, quindi in un periodo e durante un movimento storico in cui ci si doveva liberare dal buio dell'epoca medievale attraverso una laicizzazione della mentalità e un evoluzione della cultura, le donne mantengono sempre la loro condizione di inferiorità rispetto all'uomo.

Le parole chiave dell’Illuminismo erano libertà e uguaglianza, si voleva ottenere libertà di parola, di stampa e uguaglianza tra i cittadini.

Il termine cittadino però è, come spiega Diderot, un sostantivo maschile, che talvolta viene usato anche per le donne e i bambini in qualità di membri della famiglia di un cittadino (maschio) propriamente detto, tuttavia questi ultimi non sono dei veri cittadini.

I diritti politici del cittadino, voluti dall’Illuminismo, non vengono legalmente riconosciuti alle donne, quindi il nuovo ordine politico che si è creato sembra essere riservato esclusivamente agli uomini.

Le donne sono escluse dai centri politici di potere però questo non le impedisce di partecipare alla vita pubblica e in questo periodo, infatti, iniziano a riunirsi nei salotti.

Questi salotti non sono soltanto ritrovi frivoli e mondani ma luoghi di cultura e circoli politici dove le donne leggono i giornali, prendono parte a dibattiti, scrivono pamphlet e diffondono le loro opinioni.

Ciò nonostante, la maggior parte dei filosofi illuministi non fu favorevole all'uguaglianza tra uomini e donne; dal punto di vista dell'uomo-filosofo si stabilisce 16 Santucci.F., La caccia alle streghe:il massacro delle donne,

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un doppio discorso, dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla donna, quest'ultima infatti, è solo oggetto di un discorso che la rinchiude al proprio interno.17

Lo stesso Jean Jacques Rousseeau scrive in una sua opera:

“Tutto ha inizio da un’evidenza: gli uomini e le donne sono fisicamente diversi. È la Natura che l’ha voluto, e la Natura non fa niente a caso. […] L’utero è l’organo femminile per eccellenza, quello che comanda tutti gli altri organi. Domina e determina la donna, definita perciò a partire dal suo sesso e non dalla ragione come l’uomo. […] La donna, infatti, non può avere lo stesso tipo di ragione dell’uomo. La sua è, come il resto della persona, sottomessa ai suoi organi genitali. Da tutto ciò deriva in gran parte la sua debolezza, e dunque la sua inferiorità. Da una parte è un’eterna malata, assoggettata regolarmente a mali che le sono propri: autentico handicap che non può permetterle di condurre una vita sociale attiva. Dall’altra, l’utero dominatore ne fa un essere eccessivamente sensibile, in preda a un’immaginazione sfrenata, esaltata. troppe sensazioni impediscono la maturazione delle idee, il passaggio dal sensibile al concettuale. […]”

Nell' Emile, egli, attraverso la figura di Sophie, sostiene che le donne debbano avere un'educazione diversa rispetto agli uomini poiché la loro natura è quella di compiacere l'uomo e di essere madri.18

Mentre i Lumi dichiarano guerra ai pregiudizi, nemici della ragione, i filosofi non pensano di liberarsene per quanto riguarda le donne e anche se pongono al centro del loro discorso la nozione di universale e il principio di uguaglianza che si basa sul diritto naturale, difendono l’idea di una «natura femminile» separata e inferiore. Il credere nella perfettibilità della specie umana è uno dei fondamenti del pensiero illuminista, il progresso della ragione costituisce uno dei motori della storia ma le donne sono situate al di fuori della storia, interamente determinate dalla loro fisiologia.

La grande influenza di Rousseau ha modificato nei secoli successivi, l'idea che era alla base dell'inferiorità della donna, non più quindi basata sulla volontà di Dio, ma sulla costituzione stessa della natura che ha sancito le differenze tra il genere maschile e quello femminile.

Fino agli ultimi decenni dell’Ottocento le leggi civili e le istituzioni politiche hanno preservato quasi intatta la disuguaglianza tra uomini e donne: questo è accaduto, 17 Davis.N.Z.-Farge.A Storia delle donne. Dal Rinascimento all'età moderna , Editore Laterza, 1995 pag.318

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nonostante le donne più colte avessero affrontato, nei loro scritti e proclami, il problema dell’emancipazione femminile; e nonostante le donne di ogni ceto sociale avessero preso parte alle lotte politico-sociali di carattere rivoluzionario (rivoluzione francese del 1789, moti rivoluzionari del 1848, ecc.)

Durante tutto il XIX secolo, la giurisprudenza rafforza i rigori del codice privando la donna di quei pochi diritti acquisiti precedentemente, ciò avviene perché la borghesia teme il riaccendersi di altre rivoluzioni e stravolgimenti.

I signori della borghesia vogliono una società gerarchica e la famiglia, che ne è la cellula essenziale, deve rispecchiare questa esigenza per cui il marito governa, la donna amministra e i figli obbediscono.

Anche Comte chiede una gerarchia tra i sessi, “tra di loro ci sono differenze radicali in quanto al fisico e alla morale che in tutte le specie animali e soprattutto tra gli uomini li separano profondamente l'uno dall'altro.”La femmina è considerata biologicamente infantile e ciò si traduce in una debolezza intellettuale, per cui la funzione della donna è di essere sposa e massaia poiché “né la direzione né l'educazione fanno per lei”19

Nelle famiglie Borghesi dell' 800, le donne godono di meno diritti rispetto agli uomini e la divisione tra sfera pubblica e sfera privata rimane sempre più netta. Inoltre, si fortifica l'importanza del legame madre-figlio (idea mistica della maternità) che non ha quindi favorito le richieste di uguaglianza e partecipazione alla vita pubblica delle donne.

Tuttavia questo è il secolo in cui nasce e si diffonde la prima vera ondata del femminismo, definito femminismo dell'uguaglianza poiché chiedeva il riconoscimento di uguali diritti all' uomo. Le donne che vi prendevano parte venivano chiamate suffragette (GB) o suffragiste (USA), poiché al centro delle loro rivendicazioni vi era soprattutto il diritto di voto.

La lotta di queste donne si è tradotta in conquiste pratiche di grande rilevanza: il diritto di voto, l’uguaglianza giuridica, l’accesso all’educazione superiore e alle libere professioni e ad altri importanti diritti sociali e civili.

Il XX secolo è stato caratterizzato da molte conquiste da parte delle donne in tutto il mondo, tuttavia, nonostante il raggiungimento di parità giuridica, politica e civile, rimanevano ancora molti problemi come la divisione dei ruoli in famiglia per cui alla donna spettava esclusivamente il lavoro domestico e la cura dei figli, l'assenza di pari 19 De Beauvoir. S, “Il secondo Sesso” pagg.149-150

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opportunità nei luoghi di lavoro e nella politica e il concetto di inferiorità radicato nella cultura dominante maschile.

Nel corso del '900 si è sviluppato quello che viene definito il femminismo della differenza sessuale, tra le cui sostenitrici troviamo Simone De Beauvoir e Virginia Woolf.

Nelle Tre ghinee, rigettando l’ideale dell’uguaglianza, la Woolf ribadisce il valore della differenza della donna rispetto all’uomo, differenza che deve essere fatta emergere in tutte le sue più importanti sfere di attività, nell’educazione, nel lavoro e nella politica. Si tratta di una differenza da non concepirsi come inferiorità della donna, così come decretato dal soggetto maschile, ma come sua alterità paritetica. Per la De Beauvoir (Il secondo sesso) la donna ha accettato di essere il secondo sesso rispetto al primo sesso, rappresentato dall’uomo, e, con questo, il ruolo di subordinazione a cui è stata costretta. La donna ha accettato, cioè, di essere donna. In un passo famoso del Secondo sesso l’autrice scrive: “donna non si nasce ma si diventa”.

De Beauvoir ritiene che da una differenza fondata sulla subordinazione, si debba passare ad una differenza armonica fondata su una distinzione di ruoli funzionali alla vita della società, quale insieme di individui completamente liberi e di pari dignità e diritti.

Le riflessioni sulla differenza sessuale della Woolf e della De Beauvoir vengono riprese e, al contempo, radicalizzate dalle protagoniste della seconda ondata del femminismo.20

Le donne attive negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, rivolgono, infatti, la loro attenzione alle differenze tra uomo e donna individuano nella diversità biologica , sessuale ed anatomica, il presupposto su cui si è fondato il dominio maschile.

La lotta delle femministe di questi anni ha portato a raggiungere degli obiettivi importanti che hanno trasformato il ruolo della donna non solo all'interno della famiglia ma anche nella società.

Gli anni decisivi di questo fine secolo hanno dimostrato che ogni progresso, il diritto al lavoro, la contraccezione, l’aborto, i diritti di famiglia, è stato possibile grazie all’ostinazione delle donne nella lotta per la conquista dei loro diritti.

20 Cavarero.A., Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, <file:///C:/Users/asus/Downloads/9Perc_Differenza.pdf>

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Oggi i rapporti tra i sessi non sono più costretti nel recinto dei ruoli tradizionali, i rapporti tra uomo e donna non sono più garantiti da norme stabili e le relazioni amorose sono fondate esclusivamente sulla scelta personale.

Le differenze emergono in modo esplicito soprattutto grazie al processo di emancipazione femminile e al cambiamento dei costumi sessuali: si crea, soprattutto nei rapporti d’amore, un nuovo carico emozionale dovuto alla necessità di comunicazione e di integrazione.

La relazione richiede un’attenzione costante per potersi mantenere. Il lavoro domestico è stato in parte ridistribuito tra i due sessi, ma le donne continuano ad occuparsi della “casa” simbolica e si fanno carico dell’incertezza e dei compiti della comunicazione nella coppia e all’interno della famiglia.

Nelle relazioni quotidiane le donne mettono in luce per tutti la necessità di non perdere il particolare, ricordando il valore dei dettagli, l’importanza della memoria, dei gesti, dei tempi e minuti. La cultura maschile, con la spinta a standardizzare l’esperienza, a misurare, ad applicare la razionalità diretta allo scopo, sembra segnalare il fatto che una società complessa deve anche ridurre le differenze e che, per affermarsi, l’individualità deve attraversare l’incertezza e il rischio della perdita. In una società che misura ancora il valore della persona quasi esclusivamente sulla prestazione, la cultura maschile è esposta a una grave crisi.

Maschile e femminile, oggi, non coincidono più solo con il sesso in senso biologico, ma diventano dei modelli culturali a cui sono esposti uomini e donne. Le donne, che hanno conquistato l’autonomia attraverso il lavoro, assimilano i modelli della cultura maschile, in parte subendoli, in parte trasformandoli.

Gli uomini si aprono faticosamente alla loro debolezza, riconoscono la presenza delle emozioni, stabiliscono un rapporto con i figli basato sul riconoscimento e sulla fiducia. 21

Il dominio maschile dell'uomo e le tesi dell' inferiorità della donna che hanno attraversato tutta la storia e tutte le culture dalle più antiche alle più recenti, fa si che ancora oggi il “potere”sia in mani maschili sebbene la metà della popolazione sia femminile.

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1.3 Il corpo femminile: dal debitum coniugale all'autodeterminazione

La lotta contro il soggetto femminile, segnata sin dal principio dal dominio maschile, ha lasciato tracce durature nella società, nella cultura, nel linguaggio e nelle istituzioni.

Lo stupro e l'omicidio di donne sono le forme estreme del sessismo e di questa cultura e potere patriarcale che oggi, nonostante leggi e valori democratici, si ripresentano con maggiore violenza.

La donna resta per molti uomini, e anche per alcune donne, una funzione sessuale e procreativa; il corpo della donna serve per dare piacere, cura e continuità della specie.

E' importante sapere che, la violabilità del corpo femminile, che avviene con l'uccisione o lo stupro, non appartiene alle pulsioni, ai raptus, ai momenti di follia o all' ignoranza di popoli poveri e stranieri ma è il risultato della nostra storia, greca-romana-cristiana e ad una cultura fondata sulla concezione patriarcale.

In Italia, la religione con i suoi precetti ha contribuito a diffondere la concezione della donna come sottomessa al pater familias, le leggi e le consuetudini hanno fatto si che si diffondesse l'idea che la moglie e il suo corpo fossero di “proprietà” del padre prima e del marito poi.

Nel 1917, infatti, la Chiesa emanò un Codice Canonico in cui il consenso matrimoniale veniva definito come “l'atto di volontà con il quale ciascuna delle due parti, reciprocamente, trasmette e riceve il diritto, perpetuo ed esclusivo, sul corpo (ius in corpus) in ordine agli atti di loro natura adatti alla generazione della prole.”( can.1081 Codice Canonico 1917)

Un vero e proprio diritto, esclusivo e perpetuo, a cui corrispondeva un reciproco debitum coniugale.

Il debito coniugale si sostanziava quindi, in un diritto di esclusività che rappresentava il cuore del matrimonio e della società stessa.

Tuttavia, mentre nella concezione originaria, il debitum spettava ad entrambi i coniugi, nella cultura patriarcale tale diritto andò a configurarsi come un dovere della moglie nei confronti del marito preteso anche ricorrendo all'uso della violenza. 22

Il corpo della donna diventava così, sia per il diritto che per la morale religiosa, un 22 Cavina .M , Nozze di sangue.Storia della violenza coniugale, Roma-Bari, Laterza, 2011

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ulteriore strumento di sottomissione alle logiche del pater familias, la pretesa di una prestazione sessuale della moglie era un diritto del marito alla quale ella non si poteva opporre, di conseguenza il marito attraverso l'uso della forza non faceva altro che prendersi ciò che a lui già apparteneva.

La legittimità dello stupro coniugale era quindi giustificata dal concetto di debitum coniugale e dal presunto “consenso putativo” al rapporto sessuale espresso una volta per tutte attraverso il contratto matrimoniale.

Fu necessario aspettare la seconda metà del Novecento perché nei tribunali lo stupro fosse considerato tale anche se compiuto dal marito.

Con la Riforma del diritto di famiglia del 1975, si comincia a parlare di collaborazione e condivisione tra i coniugi, di una famiglia che si muove in “orizzontale” e nella quale si dà importanza alla dignità della persona e ai sentimenti. In questo contesto di rapporti paritari e affettivi, i comportamenti violenti e di sopraffazione dell'uno sull'altro cominciano ad essere percepiti come inconcepibili, nel 1976 infatti,proprio riguardo alla questione della “violenza carnale a danno dell'altro coniuge”, la Corte di Cassazione pronuncia una sentenza in cui viene affermato che “ il matrimonio consiste in un atto di comunione fondato sull'accordo dei sentimenti e che attraverso esso, il coniuge non perde il potere di disporre del proprio corpo né la libertà di negare la prestazione sessuale.”

Inoltre, con questa sentenza la Corte, affermava dunque che il coniuge “respinto” poteva ricorrere al giudice e chiedere la separazione giudiziale con addebito all'altro coniuge ma che questo non avrebbe potuto imporgli con la violenza rapporti sessuali non desiderati.23

La Corte manifestava di voler procedere verso un percorso già intrapreso e in armonia con il mutato clima della società italiana e con i principi espressi dall'art.29 della Costituzione, quindi la visione individualista della famiglia si stava realizzando: la donna veniva riconosciuta come individuo nella pienezza dei suoi diritti anche quando assumeva lo status di moglie e lo stupro rimaneva tale anche se compiuto tra coniugi.

In questi anni di fermento politico, sociale e culturale, altri eventi hanno portato alla ribalta il corpo femminile e la sua autodeterminazione, come ad esempio la diffusione della pillola anticoncezionale e l'introduzione dell'aborto.

23 Cocchiara M.A, Violenza di genere, politica e istituzioni , Milano, Giuffrè Editore, 2014 pagg.268-269

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La pillola anticoncezionale sbarcò in Europa nel 1961 ma in Italia arrivò solo nel 1965 e inizialmente fu disponibile in farmacia sotto prescrizione medica per casi particolari legati alla salute della donna e solo a donne sposate.

Grazie alle lotte studentesche e ala rivoluzione sessuale del 1968, la pillola diventò un simbolo dei cambiamenti sociali in atto in Europa poiché per la prima volta sessualità e contraccezione furono discussi pubblicamente.

La situazione in Italia, però cominciò a cambiare intorno agli anni '70, infatti, il Titolo X del Codice Penale ( Delitti contro la stirpe) subisce in questi anni prima l'intervento della Corte Costituzionale poi quello del legislatore: nel 1971 viene infatti abrogato l'art.553 che puniva l'uso e la propaganda di qualsiasi mezzo di contraccezione fino ad un anno di reclusione; nel 1975 la Legge n 405, con l'istituzione dei consultori familiari, proseguì verso il percorso battuto precedentemente dalla Corte, poiché tra gli scopi dei consultori vi era l'assistenza in materia di procreazione responsabile.

Un anno dopo, nel 1976, il Ministero della Sanità abrogò le norme che vietavano il commercio della pillola anticoncezionale autorizzandone la vendita nelle farmacie. Quanto all'aborto, nel 1975 viene dichiarata “l'illegittimità costituzionale dell'art.546 del Cod. Penale, nella parte in cui non si prevedeva l'interruzione della gravidanza quando l'ulteriore gestazione implicasse danno o pericolo grave non evitabile alla salute della madre”.

Sarà poi il legislatore con la Legge n.194 del 1978 ad abrogare l'intero Titolo X dello stesso codice.24

Il corpo femminile non vuole più essere terra di diritto e di conquista ma titolare di diritti e di una rinnovata soggettività.

La sessualità, il piacere e la procreazione ora si sottraggono alle regole imposte da diritto o religione ma diventano esperienze consapevoli, risultato di scelte autodeterminate.

Tali cambiamenti furono il risultato delle lotte del movimento femminista degli anni '70 attraverso cui la donna riesce ad acquisire un poco alla volta il controllo sul proprio corpo e a manifestare il proprio essere attraverso di esso.

Il “corpo politico” di cui ha parlato il femminismo, non era riferito a leggi o questioni etiche, anche se con il divorzio, l'aborto e il diritto di famiglia ci sono state 24 Cocchiara M.A, Violenza di genere, politica e istituzioni , Milano, Giuffrè Editore, 2014 pagg.269-270

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battaglie di questo genere, ma l'intento era di riportare la persona, il corpo, la sessualità, la vita affettiva, i legami familiari dentro la storia, la cultura, la politica, dove sono sempre stati.

Riappropriarsi del corpo in tutti i suoi aspetti, dal biologico alla vita psichica e intellettuale, significò per il femminismo degli anni 70 partire dalla storia personale, dal vissuto, dalla narrazione di sé per esplorare tutto ciò che la subordinazione al dominio maschile, alla sua visione del mondo , aveva comportato come interiorizzazione di modelli e cancellazione di un sentire proprio. Le istituzione della vita pubblica, vengono criticate perché hanno costruito il loro sapere e il loro dominio sulla messa in ombra del “corpo”.

“Lo Stato ha trasformato il corpo della donna in strumento di lavoro domestico, di riproduzione materiale e cioè fisica, affettiva e sessuale del marito, e di riproduzione biologica ed affettiva dei figli.”[L.Percovich “La coscienza del corpo. Donne,salute e

medicina negli anni settanta”]25

La caratteristica originale del femminismo di questi anni è stata senz'altro quello di porre ,al centro delle pratiche di autocoscienza e self-help, il corpo indagato come luogo essenziale della costruzione dell'individualità femminile, un corpo su cui si sono riversate le paure e i desideri dell'uomo, un corpo invaso, violato, controllato, sfruttato, ridotto a funzione sessuale e riproduttiva.

Riappropriarsi del proprio corpo in tutti i suoi aspetti significava partire dalla storia personale, dal vissuto, per esplorare tutto ciò che la subordinazione al dominio maschile e alla sua visione del mondo, aveva comportato come interiorizzazione di modelli, cancellazione di un sentire proprio.

Le femministe, non si concentravano tanto sulla “differenza” femminile ma sulla sua “inesistenza” riferendosi in particolar modo, agli effetti della “violenza simbolica” che ha portato le donne a incorporare la visione del mondo del sesso dominante, a confondere l'amore con la violenza, a mettere in atto adattamenti , assimilazione, dolorose resistenze.26

Le femministe degli anni '70 nel processo di liberazione della sessualità e di erotizzazione del proprio corpo, potevano immaginare che il risultato di tale percorso avrebbe portato all'esibizione e alla mercificazione del corpo femminile nello spazio pubblico, del lavoro e della politica?

25 Melandri.L. Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà pagg.29-32 26 Ibidem pag.34-35

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Oggi, questi corpi sono liberati, donne che si sono appropriate della loro vita e ne dispongono liberamente, o prostituiti, commercializzati?

Sono il frutto di un cambiamento del rapporto di potere tra i sessi?27

“Nelle vicende degli ultimi anni abbiamo visto emergere figure femminili ambigue-veline, escort, donne immagine-, che non si possono considerare in senso stretto prostitute, anche se siamo in presenza di un corpo mercificato, di una sessualità scambiata con denaro o carriere. Non si può parlare neppure di vittime- a meno che non si intenda, genericamente, l'adeguamento a modelli imposti-, in quanto sono le donne stesse a impugnare le prerogative che l'uomo ha loro riconosciuto, e a tentare di volgere a proprio vantaggio quelle che sono state le ragioni della loro minorità storica. Non è l'appropriazione del corpo di cui si parlava negli anni '70, ma si tratta comunque di una forma di emancipazione, sia pure perversa e discutibile.”

(L.Melandri)

Bourdieu, diceva a proposito del rapporto delle donne con il proprio corpo, che il dominio maschile pone le donne in uno stato di continua insicurezza corporea, quasi un'alienazione simbolica, che le fa esistere soprattutto per e attraverso lo sguardo degli altri, facendole divenire “oggetti simbolici” : accoglienti, attraenti, disponibili; la femminilità spesso non è altro che una forma di compiacenza nei confronti delle attese maschili, reali o supposte.

Le donne, in questa situazione di approvazione data dallo sguardo altrui, si sforzano di avvicinarsi ad un corpo ideale dovendo però costantemente confrontarsi con quello reale; si trovano quindi a presentare e ad atteggiare il proprio corpo che verrà poi valutato sul mercato dei beni simbolici.28

Oggi, il corpo, la sessualità e la vita personale sono la materia prima di cui si alimentano i media, ogni aspetto intimo della nostra vita è regolato dai consumi e dalla pubblicità.

Il corpo è il deposito dell’immaginario sociale e nella nostra società dell'immagine, esso viene esposto, narrato, mitizzato ed assume un ruolo importante divenendo uno strumento di comunicazione.

I risultato della rappresentazione di genere che viene fatta attraverso i media, sebbene in apparenza celebri la parità tra i sessi, non sembra scalfire in profondità la gerarchia di potere tra uomini e donne, né sembra promuovere una piena realizzazione del 27 Melandri.L. Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà pag.75

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genere femminile.

L'ideale di bellezza pubblicizzato nei media e la risessualizzazione dei corpi femminili di ogni età, ripropongono un corpo oggettivato ed erotizzato divenuto ormai la norma.

Rispetto a tale rappresentazione, gli studiosi si dividono tra due interpretazioni principali.

Una prima ipotesi parte dalla constatazione che ancora oggi è sul terreno del corpo che si rende visibile la politica dell'oppressione del genere femminile.

L'enfasi sulla bellezza, infatti, riprodurrebbe l'asservimento delle donne sia alla cultura patriarcale (nel fare dipendere la propria autostima dal giudizio e dallo sguardo maschile) che alle logiche di mercato (inducendo la donna alla riproduzione del corpo ideale).

L'altra ipotesi è quella secondo la quale per le donne di oggi, progettare, costruire e mantenere il proprio corpo in linea con l'ideale di bellezza pubblicizzato,sarebbe sinonimo di affermazione sociale e dunque espressione di autonomia e di potere.29

La pubblicità, in particolare, mette in scena ciò che è riconosciuto e riconoscibile quindi le credenze, gli stereotipi, i modelli culturali che regolano i rapporti di genere e che tutti condividono.

La pubblicità mostra come gli uomini e le donne dovrebbero comportarsi secondo le convenzioni della società: assistiamo ad una standardizzazione, semplificazione ed esagerazione dei ruoli di genere (Fenomeno dell' iperitualizzazione dei ruoli di Goffman).

La donna nella pubblicità viene doppiamente ingannata poiché è il soggetto del consumo, in quanto a lei si indirizza la pubblicità, e l'oggetto del consumo, in quanto è specialmente la sua immagine che viene venduta a se stessa.

Il corpo femminile viene frammentato e il frammento, viene utilizzato per indicare simbolicamente l'intero corpo. Tale frammentazione, comunica più femminilità ed eros del corpo intero.

La rappresentazione del corpo delle donne nella pubblicità, e nei media in generale, essendo costantemente riprodotta, concorre a sedimentare direttamente o indirettamente alcuni stereotipi di genere che hanno una portata discriminatoria nei confronti delle donne e tendono a contrastare i mutamenti sociali in atto nella 29 Capecchi.S.-Ruspini.E, Media, corpi, sessualità. Dai corpi esibiti al cybersex, Milano, Franco Angeli Editore, 2009

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ridefinizione delle identità e dei ruoli di genere.30 1.4 Dal delitto d'onore al femminicidio

Il controllo sul corpo delle donne ha assunto forme differenti, non è solo una

rappresentazione mediatica che propone una figura femminile sensuale e accattivante ma è anche un diritto a disporre del corpo della donne come fosse un oggetto.

Questo “diritto” ancora oggi permette l'omicidio di molte donne e ragazze, basato su codici di comportamento e moralità propri di alcune culture, perpetuati dai familiari con il fine di “salvaguardare l'onore”.

La presunta colpa delle vittime è la violazione del codice che regola le relazioni tra genere maschile e femminile, alcune istituzionalizzate in credi religiosi.

In molte società, questo tipo di omicidio non è considerato un delitto poiché è legittimato dall'esigenza di preservare l'onore della famiglia.

Le donne vengono uccise perché non possono esercitare i diritti fondamentali di libertà, per eliminare i tentativi di emancipazione con lo scopo di mantenerle subordinate.

Nei paesi più poveri, la colpa è di solito quella di non conformarsi alle aspettative della famiglia, di essersi ribellata agli abusi o violenze subite o di non essersi difese adeguatamente da uno stupro.

Il delitto d'onore è dunque un'aggressione motivata dall'esigenza di mantenere un immutato dominio sulle donne, una supremazia maschile.

Quando ci giungono notizie su delitti d'onore contro donne, ragazze e bambine di altri paesi, ci inorridiamo poiché ci sembrano così lontani e inconcepibili in paesi di civiltà occidentale come il nostro.31

Tuttavia se ci soffermiamo a riflettere, gli interventi che hanno modificato il codice Rocco e abrogato il delitto d'onore sono quindi ancora troppo recenti per essere considerati pienamente assimilati e condivisi dal sentire sociale.

Il movimento di liberazione della donna degli anni '60-'70 ha portato a profonde rivoluzioni nel sistema giuridico e sociale italiano, come la legge sul divorzio n.898 del 1970, la riforma del diritto di famiglia attuata con la legge n.151 del 1975. la legge n.194 del 1978 sulla tutela sociale della maternità e l'interruzione volontaria di gravidanza, nonché le leggi di tutela delle donne lavoratrici.

Tuttavia, il sistema culturale e sociale ancora oggi sembra lontano dall'effettivo 30 Ibidem

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riconoscimento della donna quale soggetto e della sua parità rispetto all'uomo.

In particolare si è pronti ancora a scusare, o a ritenere meno riprovevoli, le violenze maturate all'interno della famiglia o di una relazione “d'amore”.32

Questo deficit culturale affonda le radici nella nostra tradizione e soprattutto nella sua espressione nel codice penale italiano in cui il delitto d'onore evidenziava il controllo dell'uomo sulla donna.

In termini giuridici, in Italia, il delitto d'onore rappresentava l'attenuante negli omicidi che vedevano coinvolta la famiglia, nella maggior parte dei casi l'omicidio era effettuato dal marito sulla moglie che aveva disonorato la famiglia.

Facciamo un passo indietro nella storia per vedere come e quando il concetto di onore si è introdotto nella legge italiana.

Il primo codice penale in Italia, è datato 1859, qui troviamo l'articolo 561 in cui si parla dell'omicidio per causa d'onore dovuto alla scoperta di atti di incontinenza che provocavano il giusto dolore “difficilissimo da temperare”. Il presupposto di questo articolo era dunque che un fatto ingiusto avesse provocato l'ira dell'omicida.

Quindi, il marito che sorprendeva in flagranza di adulterio la moglie, poteva assassinare sia lei che l'amante ma anche i genitori che trovassero la figlia adultera nella propria casa potevano compiere un tale gesto. Infine, anche le mogli tradite potevano uccidere il marito, ma esse godevano di minori attenuanti rispetto al marito, poiché si considerava che nell'animo di una donna avesse efficacia solo il sentimento della gelosia mentre nell'animo di un marito oltraggiato avesse un peso importante anche la violazione dell'onore.

Nel 1889, si passò al Codice Zanardelli, anche in questo caso il delitto d'onore era scusato e punibile con una pena da 1 a 5 anni.

Tuttavia, il concetto di onore entra a tutti gli effetti nel codice penale italiano con il Codice Rocco del 1930.

Tale Codice, si ispirava ad una concezione etico-culturale della famiglia, improntata a criteri di disuguaglianza fra coniugi e a rigidi schemi patriarcali.

La famiglia, infatti, rappresentava il primo luogo di organizzazione del potere maschile e di subordinazione femminile.

Il complesso di norme contenute nel Codice Rocco legittimavano, attraverso il diritto penale, un sistema sociale discriminatorio nei confronti delle donne, confermando la 32 Brollo.M.-Serafini.S, Il corpo delle donne tra discriminazione e pari opportunità, Udine, Forum Editrice, 2010 pagg.111-112

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disuguaglianza tra i generi già presente in altri rami dell'ordinamento ( diritto pubblico e civile) e nella società.33

Gli articoli in questione erano: l'articolo 544, matrimonio come causa estintiva dei reati di violenza sessuale (matrimonio riparatore), art. 587 per omicidi o lesioni per causa d'onore, art. 592 per abbandono di neonato per causa d'onore, art. 578 per infanticidio per causa d'onore e infine, non contemplato dalla legge, poiché non si trattava di un vero e proprio delitto, il suicidio della disonorata.

L'articolo 587, recitava così : “chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata dall'onore suo o della sua famiglia, è punito con la reclusione da 3 a 7 anni”, nei casi in cui vi era la certezza dell'adulterio e del conseguente scoppio d'ira, il coniuge poteva rifarsi al suddetto articolo che si traduceva in un effettivo sconto di pena.

Tale norma ipotizzava dunque che il corpo della donna fosse di proprietà

Oltre a questo articolo, esistevano anche l'articolo 522 (“Ratto a fine di matrimonio”)e l'art. 544 che stabiliva l'estinzione dei reati di cui agli artt. 519-526 e 530 (violenza carnale, atti di libidine violenti, ratto a fine di libidine, seduzione con promessa di matrimonio commesso da persona coniugata e corruzione di minorenni). Secondo questi articoli, l'uomo decideva chi voleva sposare e per evitare eventuali rifiuti del padre della futura sposa o per vendicare un rifiuto da parte della famiglia di lei o della stessa, rapiva la ragazza, con il consenso della famiglia di lui, e la teneva rinchiusa per un numero di giorni sufficiente da far pensare che fosse ormai disonorata.

Una volta riportata alla famiglia di origine, questa poteva decidere se, darla in moglie al rapitore, uccidere l'artefice del disonore oppure persuadere la vittima a suicidarsi. Se la famiglia della ragazza decideva di darla in sposa al rapitore/stupratore, l'onore suo e della famiglia era salvo.

L'onore era dunque un valore socialmente rilevante.34

Nel 1948, viene approvata la Costituzione Italiana che all'articolo 3 sancisce l'uguaglianza dei cittadini e all'art. 29, ribadisce l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.

Prima dell'abrogazione dell'art.587, si è avviato un difficile e lungo percorso per 33 Merli.A, Violenza di genere e femminicidio in Rivista Diritto Penale Contemporaneo n.1,2015 34 Merli.A, Violenza di genere e femminicidio in Rivista Diritto Penale Contemporaneo n.1,2015

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abrogare il delitto di adulterio, che ancora una volta vedeva la donna trattata diversamente e più severamente rispetto all'uomo.

Il Codice Rocco, infatti, puniva l'adulterio commesso dalla moglie con la reclusione fino ad un anno se occasionale e fino a due anni se si trattava di “relazione adulterina” (art.559 c.p).

l'adulterio commesso dal marito, sia occasionale che continuativo, non era punito a meno che l'uomo non tenesse la concubina nella casa coniugale. (art.560 c.p)35

In un primo tempo, con la sentenza n.64 del 1961, la Corte Costituzionale respinse la questione di legittimità costituzionale della norma, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 29 della Costituzione, affermando che lo stesso articolo 29 ., che prevede l'uguaglianza tra tra marito e moglie, consente di porre dei limiti a “garanzia dell'unità familiare”; non era quindi soltanto il diritto del marito alla fedeltà della moglie, ma il preminente interesse dell'unità della famiglia, che dalla condotta infedele della moglie era stato leso e posto in pericolo in misura che non trova riscontro nelle conseguenze di una isolata infedeltà del marito.36

Successivamente, la Corte nel 1968, dichiarò illegittimi i primi due commi dell' articolo 559 c.p, perché in contrasto con l'art. 29 della Costituzione, infatti, l'art. del codice penale, riconoscendo la discriminazione tra i coniugi non garantiva affatto l'unità familiare ma privilegiando il marito violava il principio di parità, questa norma , secondo la Corte, era specchio di una sorpassata concezione che poneva la moglie in stato di soggezione della potestà maritale.

Infine, con la sentenza n.147 del 1969, fu dichiarato illegittimo nella sua interezza sia l'art.559 e anche l'art.560 c.p con la seguente motivazione: “ reca l' impronta di un'epoca nella quale la donna non godeva della stessa posizione sociale dell'uomo e vedeva riflessa la sua situazione di netta inferiorità nella disciplina dei diritti e doveri coniugali.”

Poiché il contesto sociale era mutato riconoscendo alla donna e moglie pieni diritti e partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia, la norma che manteneva gli istituti discriminatori doveva considerarsi irragionevole e lesiva della stessa unità familiare che nel 1961 aveva convinto la Corte Costituzionale a non abrogare l'art. 559 c.p.37

Precedentemente, nel 1963 era stato abolito lo ius corrigendi, cioè il diritto del marito 35 Brollo.M.-Serafini.S, Il corpo delle donne tra discriminazione e pari opportunità pagg.112-113 36 Merli.A, Violenza di genere e femminicidio in Rivista Diritto Penale Contemporaneo n.1,2015 37 Brollo.M.-Serafini.S,“Il corpo delle donne tra discriminazione e pari opportunità” pagg.114-115

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