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Violenza domestica e violenza assistita

LA VIOLENZA DI GENERE

3.3 Violenza domestica e violenza assistita

Tra le varie forme di violenza, quella domestica è quella più frequente, essa nasce all'interno di quello che per la donna è considerato un luogo protetto, cioè la casa, la famiglia e soprattutto nasce all'interno di una relazione intima in cui ha investito amore e fiducia.

Tale tipologia di violenza è quindi quella più difficile da riconoscere a da contrastare poiché si sviluppa gradualmente e dopo che la coppia si è consolidata ma dal punto di vista psicologico è molto devastante perché la donna non riesce ad uscirne da sola, 81 Romito.P.-Melato.M., La violenza sulle donne e sui minori.Una guida per chi lavora sul campo, pag. 143

82 Stalking Inventory List per vittime e autori, http://img.poliziadistato.it/docs/silvia_def.pdf 83 Resta.F, Stalking. Ragioni e limiti di un dibattito in Studi sulla quetione criminale,III,n.2,2008

in quanto sono implicate emozioni complesse e ambivalenti riguardo sia la relazione che il partner.

La violenza domestica è costituita da un insieme di comportamenti tesi a stabilire e a mantenere il controllo sulla partner, si tratta di vere e proprie strategie finalizzate ad esercitare potere sulla donna utilizzando diverse modalità come la svalorizzazione e denigrazione, la minaccia di violenza fisica, la violenza fisica, la distruzione di oggetti, l'isolamento dagli amici/parenti e altro ancora.

Il risultato è un clima di tensione e di paura nel quale la violenza fisica vera e propria, che può essere anche sporadica, risulta molto efficace perché costantemente presente in termini di minaccia potenziale.84

Quando si parla di violenza domestica non ci si riferisce al conflitto di coppia, poiché la differenza principale tra i due è che nel primo caso, c'è una situazione di predominio e controllo di uno sull'altro mentre nel conflitto, che può anche manifestarsi con forme violente, la relazione tra i partner è simmetrica, viene preservata l'identità di ciascuno e l'altro è rispettato.

Molto spesso confondendo il conflitto di coppia con il maltrattamento, si rischia di fare errori gravi come ad esempio inviando la coppia a fare mediazione familiare, questo è infatti uno strumento da escludere nei casi di violenza domestica perché durante il percorso di mediazione, l'uomo può facilmente continuare a controllare la vittima attraverso segnali conosciuti solo dalla coppia, inoltre, se si tratta di una lunga storia di maltrattamento, la vittima non riuscirà ad esprimere le sue preoccupazioni in quella situazione, infine, la separazione viene considerato il momento più pericoloso per le vittime perché il maltrattante avverte che sta perdendo il controllo sulla donna e la mediazione potrebbe, nel facilitare una sorta di accordo tra le parti, rendere la separazione reale ai suoi occhi e quindi provocare ulteriore violenza.

La violenza domestica contro le donne è una violazione dei diritti umani che causa ferite profonde nel corpo e nella mente; anche i figli, spesso spettatori di questi maltrattamenti restano segnati da questa esperienza traumatica.

Per violenza assistita si intende “esperire da parte dei figli qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale su figure di riferimento o comunque significative. Il bambino può farne 84 Romito.P.-Melato.M., La violenza sulle donne e sui minori.Una guida per chi lavora sul campo, pp. 141-146

esperienza direttamente, ad esempio quando avviene nel suo campo percettivo, oppure indirettamente, quando il minore è a conoscenza della violenza o ne percepisce gli effetti”.85

I bambini che assistono alle violenza in famiglia sono considerati vere e proprie vittime di maltrattamento (CISMAI,2006) sia perché il comportamento violento risulta traumatico sia perché a metterlo in atto è un genitore che fallisce quindi nel suo compito protettivo.

La situazione che determina il maggiore stress e le conseguenze più significative è che la violenza viene agita da una figura di accudimento, cioè da quella stessa figura che dovrebbe garantirgli protezione e cura; questa ambiguità genera nel bambino/a un forte trauma poiché i due atteggiamenti di protezione e minaccia coesistono nella stessa persona.

Il genitore che fa assistere al proprio figlio/a , anche indirettamente, a comportamenti violenti nei confronti dell'altro coniuge, viene meno ad importanti funzioni di accudimento , indispensabili per uno sviluppo sano del bambino; queste funzioni sono la protezione e il rifugio dai pericoli, la regolazione affettiva, l'incoraggiamento alla padronanza di sé e infine, la funzione dello sviluppo delle abilità autoriflessive.86

Inoltre il bambino/a prova dei sentimenti contrastanti anche nei confronti della propria madre che, continuamente svalutata, insultata, denigrata e picchiata davanti ai propri figli, probabilmente non verrà rispettata e non verrà vissuta dai figli/e come una figura autorevole e forte in grado di tutelarli.

Inoltre, la madre maltrattata è una madre traumatizzata che accusa conseguenze non solo fisiche ma anche e soprattutto psicologiche che influenzano la relazione con i figli/e e che incidono sulle sue capacitò di accudimento e di attenzione verso i loro bisogni.87

L'alternanza continua tra momenti di angoscia e terrore e momenti di apparente tranquillità, sviluppano in lui un senso di insicurezza, ansia e rabbia; spesso i bambini/e diagnosticati ed etichettati come iperattivi, depressi o con disturbi dell'attenzione sono proprio quelli che vivono situazioni di violenza intrafamiliare. In alcuni casi, si può anche presentare una sindrome post traumatica da stress.

La violenza assistita è classificata come una vera e propria forma di abuso 85 Romito.P.-Melato.M., La violenza sulle donne e sui minori.Una guida per chi lavora sul campo, pp.148-149

86 Gainotti.M.A-Pallini.S., La violenza domestica.Testimonianze,interventi, riflessioni, pp.31-37 87 Ibidem pag.32

all'infanzia, dato che provocava nel bambino degli esiti traumatici; nonostante ciò la sua diffusione e portata è ancora molto sottovalutata sia dal punto di vista del riconoscimento sociale che come necessità di interventi adeguati di tutela e di cura dei minori e delle loro madri.

Una delle più grandi difficoltà è nel comprendere che la violenza assistita ha gravissime conseguenze intergenerazionali poiché i suoi effetti non si esauriscono nella sfera individuale e familiare ma si riversano in ambiti sociali e relazionali più ampi, come a scuola con i compagni, con gli insegnanti, con gli amici.

Per l' opinione pubblica è più facile pensare che la violenza intrafamiliare sia un problema riguardante le dinamiche di coppia piuttosto che accettare che abbia degli effetti gravi e diretti anche sui figli/e che vi assistono.

Inoltre, è difficile pensare che il padre violento possa essere un cattivo padre, ciò perché viviamo ancora in una cultura patriarcale in cui si tende a salvare il ruolo paterno.

Tuttavia, il padre che maltratta la madre, dà un esempio sbagliato al figlio/a in termini di forza e potere e nelle madri invece, si riscontra una difficoltà a sviluppare il ruolo genitoriale, visto che le energie sono impegnate nel difendersi emotivamente e fisicamente; il figlio/a si ritrova quindi privo di una figura genitoriale che lo sappia proteggere e lo faccia sentire al sicuro, poiché in queste situazioni nessuno dei due genitori è in grado di farlo sentire così.

L' errore più grande che fanno spesso gli assistenti sociali è procedere in due percorsi differenti, da una parte dare un sostegno alla donna e dall'altra tutelare il bambino, questo però non facilita la ricostruzione del legame tra madre e figlio/a e di conseguenza il non riuscire a trovare un equilibrio nella loro relazione avrà degli effetti negativi sul loro futuro perché non saranno in grado di affrontare insieme le problematiche che potranno presentarsi sul loro cammino.

La mancanza di azioni mirate che includono i bambini nella via di uscita dalla violenza delle madri è pertanto un problema che si ripercuote sulla società di oggi creando un effetto domino su quella futura. 88

88 Fondazione Pangea Onlus, a cura di, Una barriera per fermare l'effetto domino della violenza domestica sui minori:esperienze e linee guida,

http://www.pangeaonlus.org/r/Pangea/Documenti/Pdf/manuale-biside/Esperienza-e-linee- guida_fermare-effetto-domino-violenza-domestica-sui-minori.pdf

3.3.1 La spirale della violenza e i danni sulla salute

Con il termine violenza domestica, come spiegato nel paragrafo precedente, si indicano tutti quei comportamenti come atti di aggressione fisica, coercizione sessuale, abusi psicologici e comportamenti controllanti che causano, all'interno di una relazione intima, danni fisici, sessuali o psicologici.

Nella letteratura internazionale non si parla di violenza domestica ma di Intimate Partner Violence (IPV) che rappresenta meglio la violenza subita all'interno di un rapporto intimo, poiché esercitata da un uomo nei confronti della sua partner o ex partner.

Tali condotte violente sono reiterate nel tempo e caratterizzate da un escalation sia nella frequenza che nell'entità dei comportamenti. Sia la persona maltrattante che la vittima entrano in un vero e proprio ciclo di violenza.

Una delle prime a studiare il fenomeno del maltrattamento soprattutto in ambito domestico, fu la psicologa americana Lenore Walker che coniò il concetto di “Battered woman syndrome” cioè la “Sindrome della donna maltrattata”, che rende la donna che subisce la violenza incapace di uscire da quella situazione. Sempre la Walker nel 1979, studia e definisce il concetto di “spirale della violenza” intendendo con questo termine “il progressivo e rovinoso vortice in cui la donna viene

inghiottita dalla violenza continuativa, sistematica, e quindi ciclica, da parte del partner”, questa spirale è caratterizzata da 3 fasi ben definite, che si ripetono

ciclicamente e in tutte le situazioni di violenza domestica.89

Il ciclo della violenza tende a peggiorare con il passare del tempo e la tempistica tra una fase e l'altra si riduce sempre di più.

Le tre fasi individuate dalla Walker sono: l'accumulo della tensione, l' esplosione della violenza e la falsa riappacificazione.

La donna maltrattata vive in una situazione di stress cronico all'interno di questo ciclo, ciò si traduce in disagi fisici e psichici che determinano una sintomatologia che risulta difficile da inquadrare se non si conoscono in profondità le dinamiche relazionali.

Ogni fase di questa spirale della violenza, provoca degli effetti determinati sulla salute della donna.

Nella prima fase di accumulo di tensione, la violenza è di tipo psicologico in cui 89 Gainotti.M.A-Pallini.S., La violenza domestica.Testimonianze,interventi, riflessioni.

l'uomo appare nervoso e irritato e la donna cerca di accontentarlo e di capire cosa abbia sbagliato, lei ha paura di essere abbandonata e questo provoca in lei una riduzione del livello di autostima e delle sue sicurezze, si sente inadeguata e il senso di colpa aumenta. Sensi di colpa derivanti sia da suoi comportamenti assertivi o di contrasto alla violenza che però non sono serviti a fermarla, sia nei confronti di suoi temperamenti che crede che abbiano provocato la violenza.90

Nella seconda fase, l'esplosione della violenza, la violenza fisica si scatena inaspettatamente e ciò destabilizza e terrorizza la donna che al senso di colpa precedentemente provato ora aggiunge il senso di impotenza e una forte paura per la sua stessa sopravvivenza. Inoltre, se alla violenza assistono anche i figli/e, il senso di colpa, la vergogna aumentano e la donna si sente una fallita per non aver saputo svolgere il proprio ruolo familiare e per non averli saputi proteggere.

La terza fase è la falsa riappacificazione, anche in questo caso è sempre l'uomo che decide quando questa comincia e finisce. Le prime volte è caratterizzata da pentimenti e richieste di perdono con promesse di cambiamento e rinnovate dichiarazioni di amore. Mano a mano che passa il tempo, questa fase è sempre più breve ed è ciò che permette all'uomo di mantenere il suo potere sulla donna che è di conseguenza, sempre più dipendente da lui.

Questa fase costituisce quindi, il rinforzo positivo che lega la donna e che la spinge a rimanere in una relazione violenta.

I periodi di “calma” sono solo apparenti e la donna è in uno stato di continua allerta. L'uomo violento compie delle azioni che mantengono in vita il ciclo, che sono: il meccanismo della negazione, il minimizzare e il giustificare i propri comportamenti come in risposta a dei comportamenti della donna.91 I vissuti della donna nelle tre

fasi del ciclo che si ripetono nel tempo comportano lo sviluppo di una sintomatologia multiforme. I disturbi possono essere interpretati, in parte, come la conseguenza della sua lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile e violento.

La ciclicità che caratterizza questo tipo di relazioni e che porta inevitabilmente ella violenza, genera nella donna la sensazione che il pericolo possa ripresentarsi in qualsiasi momento, ciò fa sì che la donna mantenga uno stato d’allarme permanente che la fa “scattare”, reagire, in modo esagerato, anche davanti a situazioni che apparentemente non rappresentano un pericolo. I vissuti della donna nelle tre fasi 90 Marchueta.G., La violenza domestica, www.solideadonne.it/materiale_corso/Marchueta.doc 91 Linee guida contro al violenza, http://www.direcontrolaviolenza.it/wp-

del ciclo che si ripetono nel tempo comportano lo sviluppo di una sintomatologia multiforme, le caratteristiche principali di questa sintomatologia sono l'ipervigilanza,i pensieri intrusivi e l'intorpidimento. 92

Anche i figli/e che si trovano a vivere in una situazione familiare violenta, trovandosi all'interno di questa spirale, hanno emozioni contrastanti caratterizzate soprattutto da paura, confusione e ansia.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce la violenza domestica come un problema di salute enorme e globale; le conseguenze possono essere fisiche o psicologiche.

Quelle fisiche consistono in fratture, lividi, lesioni, ustioni mentre quelle psicologiche riguardano soprattutto nella maggior parte dei casi, problemi di depressione ma anche tentativi di suicidio, abuso di farmaci, alcool e droghe, problemi di alimentazione, fobie, attacchi di panico e disturbi del sonno; in tutti i casi, le donne che subiscono maltrattamenti accusano più spesso qualsiasi problema di salute rispetto alle donne che non sono vittime di violenze.

Queste donne, ricorrono quindi con più frequenza ai servizi sanitari e al Pronto Soccorso.93

Molte delle donne che hanno subito violenza provano un grande senso di sconforto, perdono la speranza come se non avessero più risorse per uscire da quella situazione. Anche Leanor Walker, ha descritto, all'interno della spirale della violenza, la “teoria della disperazione”(Learned helplessness) per spiegare il senso di paralisi psicologica che provano le vittime di violenza domestica; quando una persona perde completamente la forza e la speranza e sente che la situazione è insostenibile, cade in uno stato di completa arrendevolezza.

L'unico modo che ha di reagire e sopravvivere è quella di alterare il suo stato di coscienza.94

La violenza contro le donne tuttavia, non rappresenta solo un problema di salute pubblica ma costituisce anche un costo sociale in quanto frena lo sviluppo economico delle società, sia a causa del mancato guadagno da parte delle vittime sia a causa dei costi finanziari che il sistema deve sostenere per arginare gli effetti negativi delle violenze.

92 Marchueta.G., La violenza domestica, www.solideadonne.it/materiale_corso/Marchueta.doc 93 Dotti.M., Violenza contro le donne e lavoro di rete: formazione interprofessionale, capacità di valutazione del rischio di recidiva, diffusione di programmi per la presa in carico degli autori in Rassegna di Servizio Sociale, anno 50 n.1 Gennaio/Marzo ,2011

Secondo gli studi condotti dalla Banca inter-americana per lo sviluppo in sei Paesi dell'America Latina, i costi sociali della violenza maschile sulle donne, possono essere classificati attraverso:

• Costi diretti che si riferiscono a cure mediche e assistenza psicologica, servizi di polizia, sistema giudiziario, alloggi protetti, programmi di prevenzione e sensibilizzazione, corsi di formazione..;

• Costi non monetari che riguardano la salute delle donne in misura comparabile ad altre malattie più gravi come l'AIDS, il cancro..;

• Effetti di moltiplicazione economica che comprendono la riduzione della partecipazione delle donne alla vita economica, al mondo del lavoro e di conseguenza alla produttività e al reddito;

• Effetti di moltiplicazione sociale che includono l'impatto intergenerazionale della violenza sui minori che hanno assistito, l'erosione del capitale sociale, la riduzione della qualità della vita e della partecipazione sociale. Questi ultimi effetti sono difficili da misurare quantitativamente ma hanno un impatto certo sullo sviluppo sociale ed economico di una società.95

Dai vari studi si evince quindi che tutti i settori della società subiscono delle conseguenze della violenza sulle donne nel medio e lungo termine, ciò sottolinea ulteriormente come tale fenomeno debba essere considerato un problema sociale e globale.

95 Graziadei.A-Materia.E., La violenza contro le donne. Effetti sulla salute e costi sociali in Prospettive Sociali e Sanitarie, n° 4-5 ,2011

CAPITOLO 4

CONTRASTO ALLA VIOLENZA