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2. Quadro teorico

2.5. Il clima di classe

4.2.1. Problemi legati alla socializzazione

Leggendo le varie interviste si può notare che molti genitori sostegno che i propri figli hanno o hanno avuto dei problemi legati alla socializzazione. Qui di seguito analizzerò le varie situazioni riprendendo alcuni passaggi significati, che sono emersi durante le interviste ai genitori11 e ai docenti12, legati appunto al tema della socializzazione.

Partiamo dalla sede A, ecco alcuni passaggi chiave.

Quando trovava l’amico con gli stessi interessi la cosa funzionava e andava bene, ma il problema era quando non riusciva a relazionarsi bene che non manifestava un buon comportamento.

Adesso a scuola se c’è qualcuno che ha gli stessi interessi è più facile andare d’accordo altrimenti si adatta molto agli altri, per esempio il fatto di giocare a calcio.

10 Vedi allegati 9 e 10

11 Vedi allegati 9, 11, 13, 15, 17 12 Vedi allegati 10, 12, 14, 16, 18

Secondo me, lui adotta un atteggiamento per mantenersi gli amici. Perché se gli amici ridono, vuol dire che lui è simpatico, che è accettato e fa parte del gruppo.

Secondo la mamma, il bambino in passato ha dimostrato alcuni disagi legati alla relazione con gli altri, infatti lei sostiene che se trovava qualcuno che non aveva i suoi stessi interessi non si faceva nessun problema a non comportarsi in maniera adeguata. Attualmente, invece, ha assunto un comportamento più tranquillo in quanto questo gli permette di avere degli amici, lei sostiene appunto che A.9 si adatta molto agli altri, tralasciando anche i suoi veri interessi, come è l’esempio del calcio: sport che non piace al bambino ma che praticandolo gli permette di mantenere gli amici. Questa visione viene anche confermata, in parte, dalla docente. Infatti anche lei si esprime su l’atteggiamento e sulle eventuali difficoltà di socializzazione di A.9 e sostiene che:

In prima e seconda i compagni avevano il terrore di lui perché li spaventava. Si divertiva a fare il personaggio cattivo delle fiabe e gli altri piangevano.

In prima e seconda era parecchio manesco, secondo lui, per gioco. Nonostante questo aspetto, A.9 era sempre molto ricercato dai compagni. Ora è migliorato tanto. Durante le ricreazioni riesce a giocare.

Anche la docente ha notato un miglioramento nell’allievo, sostiene che è “migliorato tanto”, anche se in passato ci sono stati alcuni problemi “comportamentali” che però non hanno influenzato la sua socializzazione, infatti viene detto che A.9 era molto cercato dai compagni. La maestra aggiunge anche alcune descrizioni dell’atteggiamento dell’alunno in classe:

In classe A.9 disturba molto con dispetti chi gli sta seduto accanto per cui cambio spesso la disposizione dei banchi. C’è comunque sempre chi si mette a disposizione per stargli seduto a fianco in modo da poterlo aiutare e spiegargli quanto deve fare. In genere, A.9 è ben voluto dai compagni della classe.

Gli altri sono molto pazienti […] Sono costretta a cambiare continuamente la composizione dei gruppi di lavoro perché A.9 disturba con scherzi e piccoli dispetti e non contribuisce al lavoro, in questi momenti gli altri si lamentano.

Si scocciano pure se interviene senza alzare la mano quando loro sono li che attendono il turno di parola.

Da queste affermazioni emerge chiaramente che A.9 ha dei comportamenti che potrebbero infastidire i compagni, ma quest’ultimi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono molto pazienti e si mettono anche volentieri a disposizione per aiutarlo. Anche la docente afferma che deve spesso cambiare il vicino di banco di A.9 e chiede chi è disposto a aiutarlo e c’è sempre qualcuno, spesso una bambina, che si mette a disposizione per aiutarlo durante determinate situazioni, come il momento delle consegne. Dall’intervista della docente emerge chiaramente che, anche se il bambino ha questi aiuti, è ben accetto e integrato all’interno della classe.

Leggendo le interviste legate alla situazione della sede B, emerge chiaramente che l’allieva non ha nessun problema di socializzazione con i compagni. Ecco alcune frasi significative espresse dal padre durante l’intervista:

B.9 ha di suo un carattere più conciliante. […] in quarta e quinta ha avuto un docente straordinario, estremamente aperto e creativo con i bambini, per cui non si è posto nessun problema a livello scolastico come non si è mai posto nessun problema nel suo rapporto con i compagni e nella dinamica interna alla classe, anche perché è un aspetto che il docente ha curato molto sin dall’inizio.

Ha una connotazione (l’ho notato quando gioca con le compagne) un po’ leaderistica, non è che le domina […] è insomma lei quella che trascina. Ma sempre è ben accetta dagli altri. Al punto che io temevo si potesse proporre con lei la problematica opposta […] cioè l’iperadattamento, il camuffamento, quel comportamento che ti porta a nascondere le tue qualità per farti accettare dall’altro.

B.9 è ben inserita all’interno della classe, non ha problemi di socializzazione con i compagni, il padre sostiene che questo può essere legato al carattere della figlia e all’attenzione che il docente ha sempre posto su questo aspetto. Il padre esprime anche il timore che B.9 nasconda le proprie capacità per farsi accettare dagli altri e questo è ancora peggio in quanto si perde o si nasconde la propria identità.

Questa visione positiva legata alla relazione con i compagni viene confermata anche dal docente, che afferma:

Non ci sono delle difficoltà nel relazionarsi, infatti predilige i momenti a gruppi e predilige quando si trova con il gruppetto delle sue amiche preferite. Però è già capitato si sia trovata a collaborare con altri compagni della classe e funziona perfettamente. Anche lei ha delle sue antipatie verso alcuni casi specifici, come tutti. Anche a ricreazione non ci sono problemi anche se durante questo momento tendono a scegliersi secondo le simpatie.

Il docente sottolinea inoltre il fatto che la bambina predilige i lavori a gruppo piuttosto che quelli individuali e questo è anche una caratteristica che afferma il suo piacere di relazionare e di lavorare con i compagni. Quindi a livello di relazioni non si nota nulla di particolare, probabilmente questo è anche influenzato dal fatto che la bambina è entrata alla SE un anno prima, quindi si trova in una classe con compagni che hanno un anno in più e questo potrebbe rendere i suoi interessi maggiormente concilianti e simili a quelli dei compagni.

Anche nel caso della sede C, secondo la madre, la situazione relazionare funziona bene.

È una bambina socievole, lo so che ogni tanto ha dei conflitti anche con i compagni perché ogni tanto è permalosa.

Questo problema (di socializzazione) lei non ce l’ha. Anche parlando con Galli gli dicevo che lei è comunque una bambina socievole. È un po’ un leader, anche perché è un po’ un maschiaccio e quindi è un leader e si fa valere. Non ha problemi nel giocare con gli altri: è amica un po’ di tutti. La madre sostiene che la bambina è amica di tutti e quindi non ha grandi problemi di socializzazione: predilige le relazioni con i bambini più grandi in quanto gli interessi più facilmente possono coincidere.

La docente, dal canto suo, afferma che la bambina va molto bene a livello scolastico ma deve lavorare su alcuni aspetti, come quello della relazione e della gestione delle proprie emozioni. La bambina che ho io in classe è molto brava in italiano e matematica, ma ha delle difficoltà nell’aspetto relazionale, nella gestione delle proprie emozioni e della frustrazione e quindi bisogna lavorare parecchio su questo.

I compagni giocano con lei, lavorano con lei. Se c’è da stare assieme stanno assieme, nessuno si lamenta. Non è particolarmente ricercata ma neanche esclusa.

I compagni, se devono lavorare con lei, non hanno nessun problema, anche perché la docente è molto sensibile a questa problematica e sviluppa con i propri allievi l’accettazione e il rispetto degli

altri. Infine C.9 è un’alunna nella norma, cioè è una bambina che non viene particolare cercata dai compagni, ma neanche esclusa: quindi, sempre secondo la maestra, riesce a entrare in relazioni abbastanza buone con tutti.

Per quel che riguarda la situazione della sede D emerge da entrambe le interviste una problematica legata alla socializzazione. Per sostenere quanto espresso ho deciso di riportare alcune frasi riprese dall’intervista con la madre di D.9:

Ma lui ha dei grossissimi problemi, secondo me, di socializzazione. Perché lui è diverso e si sente diverso. Ha degli interessi e dei modi di fare che non sono di un bambino di 9 anni per cui ha molte difficoltà. E poi comunque anche se non avesse un quoziente intellettivo così alto ha comunque delle limitazioni, secondo me, a livello di intelligenza emotiva.

L’anno scorso c’era proprio il rifiuto totale e l’isolamento totale. Quest’anno va molto meglio […] sia per il salto di classe che perché le docenti erano più preparate a avere in classe una persona come lui (non è sempre facile da gestire) va molto meglio.

Per il momento non è ancora riuscito a entrare in contatto con i pari d’età. Non so se questa cosa migliorerà nel tempo, ma ho i miei dubbi.

La madre sostiene che, secondo lei, il figlio ha dei problemi nel socializzare con i compagni e questo è dovuto dal fatto che D.9 si sente diverso dagli altri e quindi non riesce a entrare in relazione con loro. Questa difficoltà è emersa chiaramente l’anno scorso quando il bambino viveva una situazione di esclusione totale dalla classe, fattore che ha influito sulla scelta del salto di classe. Questa visione viene confermata anche dalla docente, infatti, anche lei afferma che D.9 ha delle difficoltà relazionali.

Lui a ricreazione gioca volentieri con i compagni, per esempio gli piace tanto il calcio e quindi ci gioca spesso e volentieri. È un bambino che nelle attività di gioco si inserisce bene, però non è un bambino leader che propone lui cosa fare. Devo dire che all’interno della classe va bene, anche perché fin quando è arrivato abbiamo spiegato che sarebbe arrivato un nuovo compagno ed è stato accolto bene. Però, durante le attività in classe, lui è il bambino che preferisce fare da solo. Anche quando vengono proposti lavori di gruppo il bambino preferisce lavorare da solo.

Lui nella classe è un bambino normale a livello relazionale: lo cercano come cercano altri e per altre attività non lo cercano. È una situazione normale cioè non è che spicca positivamente o negativamente.

D.9 preferisce lavorare da solo piuttosto che in gruppo. Questo però non significa che lui non sia inserito all’interno della classe, ma anzi emerge chiaramente che è ha delle relazioni con i compagni: a ricreazione gioca con i compagni, si sono create delle dinamiche all’interno della classe, ecc. Infine è importante ribadire che sia la famiglia che le docenti stanno lavorando con il bambino su questo aspetto, quindi entrambe cercano di aiutarlo a migliorare sul suo punto di difficoltà.

Analizzando l’ultima situazione presa in considerazione, quella della sede E, emergono alcuni aspetti interessanti da entrambe le interviste. Ho ripreso due affermazioni che mi sembravano significative dal colloquio avuto con la madre.

Purtroppo la figlia provava a non far vedere questo talento. Anche adesso è così, lo nasconde, cioè vuole essere uguale agli altri e per esempio fa apposta a fare la pasticciona o a non essere concentrata. Per non farsi vedere diversa dagli altri.

Perché quando c’è un disagio lei si chiude e non parla più. Poi se non conosce delle persone si occupa con qualcosa e non parla con nessuno, per esempio non saluta.

Traspare una difficoltà di socializzazione da parte di E.9 con bambini estranei. La mamma sostiene che questa difficoltà si presentava soprattutto in ambito extrascolastico (basket e lupetti): quando E.9 si trova a confronto con un bambino che non conosce si blocca e si estranea nel “suo mondo”. I genitori sono consapevoli di questa difficoltà e quindi stanno lavorando su di essa con la bambina. A livello scolastico non è presente questa problematica, come emerge anche dalle seguenti dichiarazioni da parte del docente.

Lei a livello di relazione mi sembra abbastanza nella norma, ha i suoi amici e i suoi nemici come tutti. Più che altro quello che ha difficoltà a fare è spiegarsi: per esempio lei, ogni tanto, finisce prima i lavori, e allora le dico di andare ad aiutare i compagni in difficoltà. Ma lei fa molta fatica a gestire questa situazione. Non so se è perché non vuole mettersi in mostra o se non ha le capacità di spiegare quello che lei riesce a svolgere.

I compagni non hanno difficoltà nel relazionarsi con lei, anche […] è una bambina tranquilla. A ricreazione […] ha comunque sue compagne con cui fa dei giochi.

Questa non difficoltà da parte della bambina, esaminando le parole della madre, potrebbe essere legate al camuffamento delle proprie capacità, infatti la madre sostiene che la bambina fa apposta a non essere concentrata per non farsi vedere troppo diversa dagli altri. Sta di fatto comunque che nell’ambito scolastico, dove lei conosce i compagni da quattro anni, non ci sono delle problematiche legate alla socializzazione con i compagni.

4.2.2. Strategie didattiche utilizzate dai docenti

Come già anticipato un obiettivo di questa ricerca è quello di individuare anche delle strategie didattiche che un docente può adottare per aiutare gli allievi API a non sentirsi a disagio all’interno della scuola. Dalle interviste svolte emergono diversi elementi in comune ed è per questo che l’analisi di queste strategie è divisa per argomento fornendo l’apporto da parte di ogni docente. La strategia che accomuna tutte le interviste è la differenziazione, poi essa può assumere delle caratteristiche diverse a dipendenza della situazione.

Ecco qui di seguito alcune frasi estrapolate dalle interviste dei docenti (per facilitare a quale contesto si riferiscono ho inserito la sede prima delle citazioni).

Sede A: Più che altro con lui devo lavorare sull’attenzione perché lui non sa mai cosa deve fare. Sede B: Visto che è una bambina che spesso finisce prima degli altri i lavori, ma non è la sola,

spesso è un gruppetto di bambini, do dei compiti un po’ speciali, anche poco scolastici, come per esempio a loro piace scrivere al computer e se devo preparare un articolo per il giornale scolastico lo lascio scrivere da loro a pc, oppure se devo preparare un cartellone didattico (dove ci sono disegni, scritte, didascalie) per la classe mi rivolgo a loro. Ci mettono impegno e mi sembrano impegnati in qualcosa di utile e che a loro piace.

Sede C: Essendo già in grado di leggere e scrivere, mentre i compagni si esercitavano

nell’apprendimento delle prime paroline a lei davo dei testi da leggere, delle storie da scrivere, degli esercizi insomma diversi. Ma lei non era tanto contenta perché voleva essere inserita nel gruppo classe. […] in quel primo periodo, è diventata un po’ la mia assistente. Così lei si sentiva gratificata e non si annoiava.

Sede D: Lui ogni tanto fa delle attività un po’ più difficili perché altrimenti si annoierebbe. Non

sempre e neanche tutti i giorni gli faccio fare delle cose a parte perché altrimenti risulterebbe un po’ estraniato rispetto al gruppo classe. E quindi molte attività le fa anche lui […] e se lui finisce prima gli do qualcosa in più. […] Sostanzialmente c’è una differenziazione nelle richieste.

Sede E: Principalmente cerco di differenziare. Però visto che lei in certe materie rientra nella

norma non devo sempre farlo. […] Principalmente adotto la differenziazione per fare in modo che non si annoiasse e che non si sentisse neanche esclusa dal resto dalla classe.

Nelle frasi sopraccitate emergono alcuni esempi: c’è chi esegue una differenziazione principalmente nelle materie scolastiche (variando le richieste) o chi attribuisce dei compiti extra agli allievi che termino prima o chi esegue un lavoro mirato per aiutare l’allievo a colmare le proprie lacune (come può essere l’attenzione o la socializzazione). È fondamentale prestare attenzione alle esigenze dell’allievo anche a livello di clima di classe, infatti in diversi casi emerge la problematica di non adottare sempre questa strategia per non far estraniare il bambino dal gruppo.

In un secondo luogo questi allievi vengono visti come una risorsa da sfruttare all’interno della classe. Ecco alcuni casi in cui i docenti esplicitano questo aspetto:

Sede D: spesso lo chiamo come d’aiuto nelle discussioni per chiedere a lui se sa qualcosa in più da

aggiungere.

Sede E: lei è un aiuto: certe volte posso contare su di lei, per spiegare. Per esempio quando io non

riesco a trasmettere qualcosa ai bambini tante volte è più facile farli comunicare tra di loro. Lei mi aiuta in questo senso.

Quindi l’allievo API, visto che ha delle conoscenze molto alte, è un aiuto, sia durante le discussioni dove può portare il proprio contributo, che nelle spiegazioni di alcuni argomenti ai compagni: in modo da permettere a tutti di apprendere e beneficiare della sua presenza in classe.

Nelle interviste ho chiesto anche ai docenti a chi ci si può rivolgere in caso di dubbio su come agire per aiutare questi allievi. Ecco alcune risposte che reputo significative:

Sede A: l’aspetto che preoccupa sia i docenti di ed. fisica, che di canto, che la sottoscritta è il fatto

Sede B: io passavo, in primo luogo attraverso il docente di sostegno pedagogico, e poi attraverso

l’équipe che poteva darmi delle indicazioni. O più direttamente attraverso la famiglia perché chiaramente la famiglia è la prima che ha interesse ad essere informata sul tema e quindi può essere una fonte molto ricca di informazioni e ti possono indicare anche degli strumenti al quale ricorrere.

Sede C: quando ho dei dubbi discuto molto con la docente di sostegno. La bambina va molto

volentieri da lei, perché sa che per quell’ora ha la docente tutta per sé. […] L’obiettivo principale è quello di darle degli stimoli individualizzati, ma anche di tenere sotto controllo il suo sviluppo socio-emotivo, in modo da evitarle dei disagi.

Sostanzialmente emerge che la persona che può aiutare, in caso di bisogno, maggiormente gli insegnanti è il docente del servizio di sostegno pedagogico che fornisce alcuni elementi didattici da poter applicare in classe e inoltre ha un ruolo importante per sapere come è lo sviluppo socio- emotivo dell’alunno. Anche la famiglia risulta essere una fonte fondamentale di aiuto in quanto ben informata sull’argomento e quindi fonte di ricchezza.

Ho chiesto ai genitori cosa dovrebbe fare la scuola per aiutare i bambini API: ecco alcune risposte date dalle famiglie intervistate.

Genitori A.9: Io trovo che la scuola sia poco informata su questo problema e su questa casistica.

[…] La scuola è poco pronta. […]Non so, anche a livello preparazione e conoscenze da parte dei docenti non so fino a che punto sono a conoscenza di cosa vuol dire avere un QI superiore: forse farebbe bene una qualche ora di informazione visto che è una caratteristica dei bambini.

Genitori B.9: L’ignoranza della problematica è radicata nei docenti e da loro spesso respinta con

stupidi luoghi comuni […] Intanto però si deve prestare attenzione, accettare la problematica e affrontarla seriamente. […] Non c’è altra soluzione che adeguare l’insegnamento alla loro fame di sapere.

Genitori D.9: La cosa che a me non sembra giusta della scuola è come se volesse dare le stesse

cose a tutti in modo che tutti abbiamo gli stessi risultati, ma invece non è vero. Mentre sembra scontato che se un bambino ha dei limiti, sembra giusto dargli le cose nella misura che ha bisogno aiutandolo, se uno ha qualcosa in più è come se ci fosse un tentativo di livellamento verso il basso. […] ci vogliono degli strumenti e delle capacità. Perché se ci si trova davanti un bambino così per stimolarlo e aiutarlo penso ci voglia una preparazione, perché non è sempre così facile […]Era come se la scuola non fosse pronta a gestire un bambino diverso.

Genitori E.9: Abbiamo trovato un blocco […] nei confronti di questo tema. Viene visto come un

tabù, e quindi è stato molto difficile parlarne.

Da queste risposte emerge chiaramente che, secondo le famiglie, i docenti e la scuola in generale sono poco informati su questo argomento e quindi consigliano di informare maggiormente i docenti su questa casistica. In questo modo potrà essere più facile individuare questi allievi e essere in