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4.2 Elaborazione dati

4.2.3 Processing avanzato

4.2.3-a Filtro Boxcar

Come si osserva dalla Figura 4.18 il dato in esame presenta ancora rumore non coerente avente frequenza compresa all’interno della banda utile ed inoltre presenta una leggera sgranatura. Per limitare questi effetti ed ottenere un radargrammi più smooth è possibile utilizzare un filtro boxcar capace di attuare una media mobile sia lungo i tempi che lungo la direzione di acquisizione.

Le dimensioni della finestra del filtro sono definite mediante l’altezza e la larghezza (relative alle dimensioni delle righe e delle colonne del filtro). Se ad esempio si considera un filtro avente dimensioni l’effetto filtrante interesserà A-scan ed campioni in verticale. In pratica considerando una larghezza pari a la lunghezza reale del filtro conterà una A-scan centrale più A-scan a destra ed A-scan a sinistra.

L’operazione di filtraggio prevede il calcolo della media aritmetica mobile delle ampiezze delle tracce all’interno della finestra. Tale media verrà sostituita alla traccia centrale. Il processo è iterativo: la finestra viene traslata orizzontalmente traccia per traccia, dalla prima all’ultima A-scan, per poi essere traslata rigidamente di un campione in verticale e così via.

Quando si raggiunge l’ultima A-scan costituente il radargramma, la mancanza di tracce a destra su cui fare la media viene colmata aggiungendo al radargramma stesso un numero di A-scan fittizie pari ad (ad esempio ripetendo le ultime A-scan).

Il valore scelto per le dimensioni della matrice del filtro è (vengono trattate 5 tracce per volta di lunghezza pari a 2 campioni). Tale scelta ha consentito di ottenere un adeguato bilanciamento tra il mantenere abbastanza energetiche le riflessioni di interesse e limitare l’effetto di sgranatura dei radargrammi. Utilizzare finestre di dimensioni maggiori comporta inoltre un notevole aumento dei tempi computazionali. I risultati ottenuti dopo l’applicazione del filtro boxcar sono mostrati nei radargrammi in Figura 4.19.

Figura 4.19: a) Radargramma prima dell’applicazione del filtro boxcar; è possibile notare come a profondità maggiori di 2.0

m il contenuto informativo sia ridotto a causa di una netta predominanza del rumore di fondo. b) Radargramma in uscita dopo l’applicazione del filtro boxcar. Come si osserva il dato in uscita si presenta meno sgranato e meno rumoroso ed inoltre più leggibile da un punto di vista interpretativo anche in profondità mostrando i riflettori continui in maniera molto più evidente. Sono state prese in considerazione le porzioni di radargrammi tra i 26 ed i 60 metri.

4.2.3-b Deconvoluzione

La deconvoluzione è un processo di filtraggio digitale che ha lo scopo di rimuovere, dalle tracce registrate sui ricevitori, gli effetti filtranti operati dal terreno (e/o dalle apparecchiature) sui segnali che si sono propagati nel sottosuolo attraverso più cicli di trasmissione e riflessione. Gli effetti filtranti da rimuovere sono per lo più quelli prodotti dalla risposta non elastica del terreno, dalle riflessioni multiple o dalle riflessioni fantasma dovute ad esempio alla presenza di zone di discontinuità poste al di sopra della sorgente.

Una traccia che arriva sul ricevitore può essere pensata come una sovrapposizione di segnali derivanti sia dall’interazione del segnale trasmesso con il mezzo nel quale si propaga, che dalla interazione con le apparecchiature di registrazione. Essa può essere espressa da un punto di vista analitico attraverso il seguente prodotto di convoluzione (Figura 4.20):

4.18 In cui:

rappresenta la traccia registrata sul ricevitore al tempo t;

 rappresenta l’ondina emessa dalla sorgente e costituita da una forma d’onda di durata temporale limitata10;

rappresenta la traccia impulsionale, conosciuta anche come serie dei coefficienti di

riflessione (tiene conto delle interfacce presenti in un mezzo composto da strati con diversa

impedenza dielettrica);

 è il rumore casuale.

Figura 4.20: Operazione di convoluzione tra la traccia di riflettività e l’ondina sorgente.

Considerando nullo il rumore casuale ( ), l’operazione di deconvoluzione può a questo punto essere pensata come l’operazione inversa alla convoluzione. La sua forma matematica, può essere scritta banalmente come:

4.19 Tale metodo rappresenta dunque una tecnica di filtraggio inverso in quanto la convoluzione di un operatore inverso con una traccia composta da più riflessioni darà come risultato la traccia dei coefficienti di riflessione . rappresenta dunque l’operatore inverso da determinare in base alla conoscenza dell’ondina sorgente.

10 Un’ondina

è definita come un segnale temporale caratterizzato da due proprietà:

 Esistenza di un’origine o tempo di arrivo (tutti i valori di un’ondina prima dell’origine sono nulli- );

 Stabilità, ossia l’ondina possiede un’energia finita (è un fenomeno transiente che tende a svanire nel tempo). In realtà l’ondina è considerata come la risposta di un sistema lineare, costituito dal complesso del terreno e delle apparecchiature di registrazione ad un’ondina sorgente (al limite di tipo impulsionale).

98

Nel caso di dati di tipo GPR la deconvoluzione si rivela una tecnica molto efficace per ricostruire la serie dei coefficienti di riflessione, ossia la traccia impulsionale (che effettivamente costituisce la struttura del sottosuolo) e per minimizzare gli effetti dell’impulso trasmesso sul dato.

Si immagini ad esempio di lavorare con una segnale trasmesso la cui risposta all’impulso sia molto più lunga rispetto alle riflessioni generate dal terreno. In questo caso la riflessione causata dall’interfaccia aria/suolo oscurerebbe tutte le altre riflessioni più profonde. La rimozione dell’effetto del segnale trasmesso dal dato potrebbe dunque aiutare a rendere meglio distinguibili le riflessioni provenienti da interfacce o oggetti vicini. Rendere maggiormente distinguibili gli eventi significa aumentare la risoluzione verticale.

Risolvere il prodotto di convoluzione descritto nell’equazione 4.19 non è però così semplice in quanto l’unica quantità nota è la traccia registrata sul ricevitore ( ). L’ondina sorgente (per i motivi descritti in nota 10), la serie dei coefficienti di riflessine e il rumore casuale risultano invece delle incognite.

Si ha dunque un’equazione a tre incognite, ovviamente irrisolvibile a meno che non vengano fatte delle particolari assunzioni:

 la componente si considera nulla o trascurabile;

 l’ondina è nota poiché stimata statisticamente (approccio statistico) oppure è misurata o calcolata (approccio deterministico).

In realtà bisogna tenere in considerazione anche le altre assunzioni cardine su cui si basa il modello convoluzionale:

 strati piani e paralleli;

 velocità costante all’interno degli strati;

 onde incidenti perpendicolarmente sulle interfacce;

 stazionarietà dell’ondina: mantenimento delle caratteristiche medie dell’ondina sorgente lungo la traiettoria di propagazione, si trascurano pertanto i fenomeni di assorbimento e smorzamento in modo tale che l’ondina si presenterà uguale a se stessa di fronte a ciascuna interfaccia.

Aggiungendo tali assunzioni si ottiene così un’equazione in una incognita e quindi la determinazione della traccia impulsionale è matematicamente realizzabile.

Esistono molti tipi di deconvoluzione adatti alla rimozione dell’effetto della sorgente sul dato reale. Se ne analizzano in particolare due: deconvoluzione spettrale e deconvoluzione cepstrum.

4.2.3-b.1 Deconvoluzione spettrale

Nella deconvoluzione spettrale sia il segnale registrato dal ricevitore che quello trasmesso dall’antenna trasmittente vengono portati nel dominio della frequenza mediante trasformata FFT.

In questo caso la trasformata della traccia di riflettività è quindi fornita dal rapporto tra lo spettro di ampiezza della traccia registrata e lo spettro dell’impulso trasmesso :

4.20 Calcolando la trasformata inversa di tale rapporto è dunque possibile ottenere la traccia impulsiva nel dominio del tempo (Goodman D. e Piro S., 2013).

Tuttavia, molte sono le problematiche legate all’implementazione di questa tecnica. Prima fra tutte il fatto che non è possibile conoscere con precisione la forma esatta dell’ondina generata dell’antenna trasmittente. La reale risposta del trasmettitore non può essere infatti utilizzata come risposta standard in quanto le impedenze elettriche locali modificano gli effetti di accoppiamento e di riflessione delle onde da parte del suolo (Goodman D. e Piro S., 2013).

Per stimare la forma dell’ondina trasmessa le procedure più comuni sono due:

approccio deterministico: l’ondina è conoscuta a priori. Essa può essere misurata direttamente durante l’esperimento, calcolata in funzione delle caratteristiche della sorgente e delle condizioni fisiche circostanti la stessa, oppure determinata dall’osservazione di certi tipi di dati come ad esempio la riflessione prodotta dall’interfaccia aria suolo (per questo motivo questa tecnica può anche risultare abbastanza efficiente per eliminare gli arrivi diretti dai radargrammi).

approccio statistico: l’estrazione dell’ondina viene effettuata statisticamente dai dati. Tale tecnica si usa ad esempio quando il segnale trasmesso, già modificato dell’impedenza del terreno, subisce altre modifiche (riverberazioni all’interno del case in cui sono contenute le antenne). In questo caso il segnale inviato nel terreno è molto complesso e risulterebbe molto difficile ricavarne l’ondina (e quindi anche l’inverso dello spettro complesso).

Una volta stimata l’ondina l’impianto matematico per stimare la funzione filtro è il medesimo. Affinché questa operazione abbia un senso lo spettro di ampiezza dell’operatore deconvoluzionale calcolato deve quindi essere (approssimativamente) l’inverso dello spettro di ampiezza dell’ondina reale in modo tale che, se applicato all’intera traccia, restituisca in uscita lo spettro di ampiezza della traccia deconvoluta. Se questo avviene, lo spettro ottenuto si mostrerà all'incirca bianco in quanto composto solo da spikes temporali.

Una problematica nell’utilizzo della deconvoluzione può essere data dalla presenza, nello spettro dell’ondina ricavato, di componenti di frequenza nulla. Poiché l’operatore di deconvoluzione possiede uno spettro di ampiezza approssimativamente inverso allo spettro di ampiezza del segnale di input, alle frequenze nulle corrisponderebbero ampiezze infinite. Per conferire stabilità all’operatore di deconvoluzione si aggiunge quindi allo spettro di ampiezza del segnale di input una percentuale di rumore bianco (prewhitening).

Inoltre l’operazione di deconvoluzione oltre ad arricchire in frequenze lo spettro delle ondine risultanti può avere come conseguenza l’introduzione nella traccia deconvoluta di frequenze relative a noise di fondo con successiva riduzione del rapporto segnale rumore. A tale problema si può rimediare applicando opportuni filtri passabanda (Mazzotti A., 2012).

4.2.3-b.2 Deconvoluzione cepstrum

La deconvoluzione cepstrum (pronuncia kepstrum) costituisce una speciale tecnica in grado di isolare dal segnale registrato le componenti che l’hanno generato.

Come visto in precedenza, nel caso di dispositivi GPR il segnale registrato su un ricevitore è dato in prima approssimazione dalla convoluzione tra l’ondina inviata e la traccia di riflettività del suolo11

:

4.21

11

100

In questo caso la deconvoluzione cepstrum può essere un potente mezzo per isolare dalla traccia registrata la traccia di riflettività .

La deconvoluzione cepstrum si basa su tre passaggi fondamentali (Figura 4.21):

1. Il segnale viene inviato ad un sistema capace di trasformare il prodotto di convoluzione in una somma. Nel caso in esame il prodotto di convoluzione verrà trasformato nella somma (in cui e ). Proprio in questo passaggio fa la comparsa il concetto di cepstrum.

2. Il segnale ( ) verrà filtrato attraverso un filtro convenzionale L che farà passare solo alcune armoniche del segnale escludendo il resto. In pratica vengono selezionate da solo quelle frequenza che caratterizzano il segnale di interesse, ovvero verranno isolate le armoniche appartenenti alla traccia di riflettività e tagliate quelle appartenenti all’ondina

.

3. Si applica l’inverso del sistema iniziale sulla traccia in uscita dal filtro. La traccia di riflettività viene dunque calcolata come .

Figura 4.21: Deconvoluzione di un segnale tramite tre opportuni sistemi a cascata. rappresenta l’algoritmo di cepstrum, L rappresenta il filtro lineare, mentre rappresenta l’operazione di cepstrum inversa. I segni * e + ai lati dei riquadri

indicano il tipo di operatore con il quale si agisce sul sui segnali. Per cui se allora, dopo l’applicazione di , si avrà .

Particolare attenzione verrà adesso posta al primo passaggio della deconvoluzione. Esso può essere realizzato applicando in successione ad un segnale una trasformata Z, un logaritmo ed un’anti-

trasformata Z (Figura 4.22). Questa tecnica è conosciuta col nome di cepstrum e fu introdotta da

Bogert, Healy e Tukey nel 1963.

Figura 4.22: Cepstrum: trasformata z, logaritmo e antitrasformata z in successione. Dato un segnale discreto in input, il

segnale in output restituito verrà indicato come .

Dalla teoria dei segnali si sa che la trasformata Z di un segnale discreto è una variabile complessa del tipo12:

4.22 12

La trasformata Z in particolare viene utilizzata per calcolare lo spettro complesso di tutti quei segnali costituiti da sequenze ad energia illimitata e di cui non è possibile calcolare la trasformata di Fourier (non esiste in quanto non è convergente). Per questo motivo è utile anche definire una regione di convergenza (ROC), ovvero una regione in cui la trasformata converge.

Mentre la sua anti-trasformata si calcola come:

4.23 In cui l’integrale è chiuso intorno alla regione di convergenza.

Inoltre è bene anche considerare le proprietà del logaritmo di una funzione complessa. Ricordando che la trasformata complessa di una funzione si può scrivere in forma polare come:

4.24 in cui e denotano rispettivamente lo spettro di ampiezza e lo spettro di fase della trasformata, senza addentrarsi troppo nella teoria dei logaritmi complessi (Schafer R.W., 1969), si ha:

4.25 In base a quanto visto è possibile dunque scrivere la definizione di cepstrum in maniera compatta come:

4.26 Con .

Riassumendo, il cepstrum permette quindi di riscrivere l’equazione 4.21 come:

4.27 Il cepstrum del segnale registrato è dato dunque dalla somma dei logaritmi degli spettri dei segnali che lo compongono. Applicando successivamente il filtro L e successivamente la trasformazione inversa del cepstrum è possibile dunque isolare la componente di interesse dal segnale registrato.

Da un punto di vista pratico, l’effetto della deconvoluzione cepstrum è quello di filtrare e nello stesso tempo smussare le componenti spettrali di un segnale. L’effetto di filtraggio è dato dal filtro lineare, mentre l’effetto di smoothing è da attribuire alle proprietà stesse del logaritmo (Ulriksen C.P.F., 1982; Daniels D.J., 1996).

Si immagini ad esempio che alcune armoniche dello spettro di ampiezza del segnale abbiano ampiezza 100, mentre altre ampiezza 10. Effettuando la deconvoluzione cepstrum, il logaritmo dello spettro delle armoniche di ampiezza 100 diventa pari ad 2, mentre il logaritmo delle armoniche di ampiezza 10 risulterà pari a 1. L’effetto è dunque quello di bilanciare le ampiezze di tutte le armoniche che costituiscono lo spettro del segnale.

Al contrario del processo di deconvoluzione spettrale che porta ad uno spettro formato da componenti spettrali di ampiezza unitaria, la deconvoluzione cepstrum filtra il segnale in modo tale che le ampiezze del suo spettro risultino più bilanciate.

4.2.3-b.3 Applicazione della deconvoluzione al dato reale

L’assunzione fatta in precedenza riguardo alla stazionarietà dell’ondina lungo l’intera traccia non è sempre valida: in realtà la forma dell’ondina non è sempre costante nel tempo in quanto durante la sua

102

propagazione vengono perse le alte frequenze e di conseguenza si restringe la sua banda (problema parzialmente ridotto a seguito del recupero delle ampiezze attraverso l’operazione gain)13

.

Inoltre, come già osservato in questo paragrafo, non è possibile conoscere con precisione la forma esatta dell’ondina generata dell’antenna trasmittente.

Relativamente ai dati elaborati in questa Tesi la stima dell’ondina è stata effettuata attraverso una procedura deterministica basata sulle osservazione dei segnali provenienti dalle regioni vicine alla superficie del terreno e attraverso la quale la risposta all’impulso “probabile” viene e sagomata manualmente utilizzando la riflessione prodotta dall’interfaccia aria suolo. (Figura 4.23).

Figura 4.23: Sagomatura della risposta all’impulso probabile. La riflessione aria-suolo, rappresentata mediante la curva in

rosso, è stata troncata all’inizio e alla fine in corrispondenza dei segmenti in verde. È stata dunque sagomata una risposta all’impulso avente le caratteristiche di ondina a fase minima. Si ricordi che i segnali a fase minima essendo segnali ad energia finita hanno il pregio possedere una certa stabilità e di possedere caratteristiche di alta risoluzione. L’ondina scelta è composta da 44 campioni corrispondenti a 10.97 ns, mentre la lunghezza totale della traccia è di 405 campioni corrispondenti a 101 ns.

Una volta stimata la forma dell’ondina sono state applicate sia la deconvoluzione spettrale che la

cepstrum. Come detto, entrambi i processi modificano le ampiezza delle armoniche presenti nello

spettro originario. Nel primo caso tutte le ampiezze verranno riportate ad un valore unitario, mentre nel secondo caso verranno scalate dall’operazione di logaritmo (Figura 4.24). Per questo motivo, prima di applicare la deconvoluzione è necessario scegliere sempre un fattore di gain per amplificare le ampiezze del dato in uscita. Tale fattore viene scelto in maniera empirica fino a quando non si raggiunge un’ampiezza desiderata (o la soglia di ampiezza registrabile).

Figura 4.24: Confronto tra lo spettro di una A-scan (207 del primo canale della prima linea) nel caso di traccia non

deconvoluta (a), deconvoluzione spettrale (b) e deconvoluzione cepstrum (c). Si nota anche come il processo di deconvoluzione abbia amplificato le ampiezze delle armoniche al di fuori della banda di interesse (compresa tra i due segmenti in verde) a causa dell’applicazione del fattore di gain.

13

Un modo per superare tale inconveniente sarebbe quello di considerare una serie di finestre temporali nelle quali si suppone sia costante la forma dell’ondina sorgente; operando la deconvoluzione solo all’interno di tali finestre si rendono quindi valide le assunzioni su cui si basa il modello convoluzionale (Mazzotti A., 2012). In questo modo per ogni finestra verrebbe calcolato un diverso operatore deconvoluzionale. Tuttavia il software utilizzato per l’elaborazione dei dati GPR adoperato non offre tale possibilità.

In Figura 4.25 è possibile osservare un confronto tra i risultati ottenuti sul dato dopo l’applicazione dei due processi. Oltre ad essere stati guadagnati attraverso opportuni fattori di gain (1300 per la deconvoluzione spettrale e 220 per la cepstrum), gli spettri in uscita sono stati ulteriormente filtrati attraverso una filtro passabanda per eliminare le armoniche al di fuori della banda di interesse introdotte a seguito del processo di deconvoluzione ed amplificate dall’applicazione del fattore di

gain.

L’effetto di rimozione degli effetti filtranti operati dal terreno (e/o dalle apparecchiature) sui segnali registrati, tipica delle tecniche di filtraggio inverso, sembra sia avvenuta con successo soltanto a basse profondità. In effetti all’interno di questi range i radargrammi si presentano leggermente più nitidi rispetto a quelli grezzi (Figura 4.26) in quanto le ampiezze delle riflessioni si presentano più strette in tempi (forte del fatto che lo spettro è più ricco in frequenze).

A profondità maggiori invece le riflessioni presentano un pattern più caotico (soprattutto per quanto riguarda la deconvoluzione spettrale). Ciò può essere dovuto alla non stazionarietà dell’ondina durante il tragitto in profondità: gli eventi in profondità non sono più dati dalla convoluzione tra l’ondina predetta e la traccia di riflettività, ma tra un’ondina diversa da quella predetta (filtrata ancora di più dal terreno) e la traccia di riflettività stessa. Di conseguenza lo spettro della traccia diviso lo spettro dell’ondina restituisce uno spettro distorto della traccia di riflettività.

Figura 4.25: Confronto tra porzioni di radargrammi (linea 39 del secondo canale) ottenuti dopo il filtro boxcar (in alto) e in

uscita dai processi di deconvoluzione spettrale (al centro) e cepstrum (in basso). Sono state prese in considerazione le porzioni di radargrammi tra i 26 ed i 60 metri della linea 39 del canale 3. Sui radargrammi è stato applicato un fattore di gain per visualizzare al meglio i pattern di riflessione.

104

Figura 4.26: Dettagli ingranditi dei radargrammi di Figura 4.24. La riflessione su cui si pone l’attenzione è quella riscontrata

tra i 53 e i 60 metri di distanza orizzontale. a) Porzione di radargramma prima dell’operazione di deconvoluzione. b) Porzione di radargramma in uscita dal processo di deconvoluzione spettrale. c) Porzione di radargramma dopo deconvoluzione cepstrum. L’unico vantaggio nell’usare l’operazione di deconvoluzione potrebbe essere dato dal fatto che lo spettro del dato de convoluto, essendo approssimativamente bianco, è caratterizzato da riflessioni aventi minore durata temporale (le bande in blu ed in rosso dei radargrammi deconvoluti risultano leggermente più strette di quelli non convoluti).

4.2.3-c Analisi di velocità e migrazione

L’analisi di velocità comprende quell’insieme di procedure finalizzate alla ricostruzione dell’andamento delle velocità delle onde elettromagnetiche nel sottosuolo.

Come visto nel Paragrafo 2.4.5, quando un radar monostatico a contatto con il suolo attraversa ortogonalmente oggetti di forma cilindrica, può registrare all’interno del radargramma ad un pattern di riflessione iperbolico.

La stima delle velocità nel sottosuolo viene effettuata proprio dall’analisi delle iperboli di diffrazione attraverso un metodo chiamato hyperbolic shape analysis. Esso consiste nel sovrapporre un’iperbole sintetica ad un’iperbole di diffrazione reale, presente nello spazio dei dati, cercando di ottenere un best fitting tra le due. Questo è possibile identificando il vertice dell’iperbole di diffrazione e cercando di adattare l’iperbole sintetica fino alla perfetta sovrapposizione delle due curve.

Maggiore è il numero di iperboli su cui è applicabile tale analisi, migliore risulterà la stima del campo di velocità, in particolar modo se nei dati sono presenti iperboli a profondità diverse.

La forma dell’iperbole è governata dalla velocità dell’onda nel terreno e dalla geometria dell’oggetto sepolto. Più l’iperbole è aperta, maggiore è la velocità di propagazione dell’onda