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UN PARTENARIATO CON OBIETTIVI STRATEGIC

4.3. Prospettive e questioni future

La possibilità di realizzare nuove forme di collaborazione tra le due organizzazioni è concreta ma il cammino in questa direzione non è privo di ostacoli. Entrambe sono nate da esigenze di sicurezza regionale e internazionale (fronteggiare la minaccia di confinanti potenze comuniste) e interna (scongiurare ulteriori guerre quasi fratricide) e si sono affermate principalmente come entità economiche. Le similitudini si fermano qui e molte sono invece le differenze: da una parte la Comunità Europea, poi UE, fortemente istituzionalizzata e caratterizzata da un processo di integrazione avanzato scandito da una serie di successi storici; dall’altra l’ASEAN, un’organizzazione multi-dimensionale, con grandi disuguaglianze interne, che non ha ancora raggiunto un grado di integrazione paragonabile a quello europeo. Tali differenze portano inevitabilmente a visioni divergenti in materia di cooperazione interregionale: infatti, mentre per l’UE sono di primaria importanza l’istituzionalizzazione ed il primato del diritto, per i Paesi dell’ASEAN è fondamentale il rispetto dell’ASEAN Way, ovvero il particolare insieme delle caratteristiche specifiche della diplomazia dell’area, comprendenti la non- interferenza, l’informalità e un livello di istituzionalizzazione minimo. Il rispetto di questo principio si concretizza nel raggiungimento di accordi internazionali che non limitino eccessivamente il margine di libertà individuale di ogni Paese firmatario. Tale atteggiamento rende inevitabilmente complesse le relazioni tra le due regioni, anche da un punto di vista tecnico: basti pensare che a livello ASEAN non esistono equivalenti della Commissione europea, del Parlamento o della Corte di Giustizia. A conferma di ciò vi è il fatto che le iniziative avviate all’interno dell’ASEAN, dopo decenni di immobilismo, hanno tutte interessato l’ambito economico: la costituzione di un’area di

131 libero scambio, ASEAN Free Trade Area (AFTA) nel 1992, quella di un mercato comune,

ASEAN Economic Community (AEC) nel 2007 e la Carta ASEAN (una sorta di statuto

legale) nel 2008353.

ASEAN e UE con 620 e 510 milioni di abitanti rispettivamente sono il 3° e il 4° polo demografico al mondo secondo i dati ISTAT del 2015, il 7° e il 1° per reddito. Il PIL asiatico è però in rapida crescita, mentre quello europeo è quasi stagnante. Le due aree tuttavia non sono omogenee con riferimento a popolazione, lingua, religione, storia e sono composte da Paesi assai diversi: nell’UE coesistono Malta con 400 mila abitanti e la Germania con 82 milioni oppure la Bulgaria e il Lussemburgo, il cui reddito per abitante è cinque volte maggiore della prima; nell’ASEAN c’è l’Indonesia che, con oltre 260 milioni di abitanti, è il quarto Paese più popoloso al mondo, mentre nel Brunei vivono soltanto 399.000 persone. Vi sono poi la Cambogia e Singapore, il cui reddito per abitante è oltre 50 volte superiore a quello del Paese più povero, il Myanmar. Inoltre una grande diversità sta nel modo con cui si guarda alle relazioni tra individui e alla rilevanza che si attribuisce alle leggi rispetto alle consuetudini: la diffusa filosofia confuciana premia l’armonia anche a scapito della giustizia, la gerarchia rispetto all’uguaglianza, la sostanza dei rapporti più che la forma scritta. Non è irrilevante inoltre che in Europa vi sia un’unione tra Stati e in Asia un’associazione tra Nazioni.

Negli ultimi venti anni l’economia mondiale in generale, e quella dell’ASEAN e dell’UE in particolare, sono state fortemente colpite da diverse crisi. Entrambe le aree sono ancora caratterizzate da difficoltà evidenti che potrebbero limitare la capacità di lavorare insieme. Nonostante questi ostacoli, le distanze geografiche e politiche e le differenze economiche e sociali, i Paesi che le compongono troveranno sicuramente i modi e le strategie per beneficiare dei vantaggi offerti dalla cooperazione internazionale.

132 Gli sviluppi futuri delle relazioni economiche tra partner dipendono anche dalle politiche che saranno adottate per fronteggiare le complesse sfide interne in atto: per l’UE la questione dei migranti, i contrasti sull’euro, le polemiche sui vincoli fiscali in crescita; per l’ASEAN il dualismo economico, il rigido principio di non interferenza tra gli Stati e i rapporti in alcuni casi tesi con la Cina a causa delle dispute per la sovranità sul Mar Cinese Meridionale. Con politiche commisurate allo sfruttamento delle opportunità, l’UE e l’ASEAN potranno costruire un rapporto duraturo ed efficace; con la determinazione delle parti e nella consapevolezza dei benefici pratici, la cooperazione UE-ASEAN potrà essere in futuro sempre più stretta ed efficace portando stabilità e sviluppo a vantaggio delle due aree e del mondo intero.

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CONCLUSIONI

Come abbiamo visto, l’ASEAN rappresenta dopo l’Unione Europea il secondo più grande progetto di integrazione regionale a livello mondiale. Se durante la Guerra Fredda il motivo della sua esistenza era quello di coordinare i Paesi della regione più “vicini” all’Occidente e isolarli dall’influenza dell’URSS e della Cina, in seguito, l’ASEAN è diventata a tutti gli effetti una rilevante opportunità nella nuova economia globale riuscendo a estendere la cooperazione in una notevole vastità di ambiti: dal commercio al turismo, dagli investimenti all’innovazione, dalla cultura alla scienza, dall’inclusione sociale all’emancipazione femminile, dalla sicurezza alla lotta al narcotraffico, dalla formazione all’ambiente ed oltre. L’organizzazione del Sud-est asiatico ha inoltre allargato il suo raggio d’interazione, sfruttando la modalità ASEAN+3 (con Cina, Giappone e Corea del Sud) e ASEAN+6 (ASEAN+3 con India, Australia e Nuova Zelanda). Superata con successo la crisi finanziaria regionale del 1997-98, oggi questa organizzazione rappresenta una regione di quasi 630 milioni di abitanti, con un PIL complessivo pari a circa 2.432 miliardi di dollari che ne fa la sesta economia mondiale.

Malgrado la distanza geografica, nel corso degli anni l’ASEAN ha sempre guardato all’Europa come ad un modello di sviluppo e integrazione, cercando il confronto attraverso tavoli di discussione e organismi multilaterali quali l’Asia-Europe Meeting (ASEM). L’Italia, pur con un certo ritardo rispetto agli altri big del Vecchio Continente, ha avviato un importante dialogo, intensificando la cooperazione con il Sud-est asiatico e cercando di giocare al meglio le sue carte soprattutto con tre paesi: Singapore, Vietnam e Filippine. Singapore, in virtù della sua struttura industriale fondata, come quella italiana, sulle piccole e medie imprese e su di una vasta rete di accordi di libero scambio con i Paesi vicini, ha offerto importanti occasioni per gli investimenti del sistema produttivo

134 italiano: non a caso risulta essere la principale destinazione dell’export italiano nell'area. Nonostante ciò il livello attuale di scambi è ancora al di sotto delle sue potenzialità. I settori scientifico, tecnologico e d'innovazione sono quelli in cui lo Stato ha investito maggiormente negli ultimi anni e per i quali l’Italia ha mostrato molto interesse. Si spera che il recente intensificarsi dei rapporti politici con la Città-Stato, da ultimo con la Visita del Presidente di Singapore Tony Tan Keng Yam in Italia nel 2016, possa avere ricadute positive sulle relazioni economiche. In occasione dell’High Level Dialogue Italia- ASEAN nel 2018, per esempio, Confindustria e la Singapore Manufacturing Federation hanno firmato un MoU di collaborazione per promuovere iniziative congiunte volte a incrementare i rapporti tra i due Stati, un risultato non di poco conto.

Con il Vietnam possiamo affermare che le relazioni abbiano raggiunto l’apice del successo e vivano una stagione di grande intensità, la più ricca di opportunità mai registrata nella storia dei rapporti tra i due Paesi. Probabilmente grazie al grato ricordo della solidarietà manifestata dal nostro Paese durante il lungo conflitto con gli Stati Uniti, il Vietnam guarda all’Italia con simpatia e amicizia, riconoscendo al nostro Paese un ruolo di primo piano all’interno dell’Unione Europea e nei fori multilaterali. Business Forum, giornate vietnamite, visite di vertice hanno infatti permesso ai due Paesi di spingersi oltre un semplice dialogo politico. La realizzazione del Partenariato Strategico ne è la riprova e ha posto la collaborazione fra i due Paesi su solide basi intergovernative, individuando oltre ai settori politico-diplomatico ed economico anche la cooperazione allo sviluppo, alla cultura, all’istruzione, alla scienza, alla tecnologia, alla difesa e alla sicurezza quali settori per una cooperazione futura.

Le relazioni economiche tra l’Italia e le Filippine invece non sono ancora molto evolute. Infatti, nonostante i rapporti politici tra i due Paesi abbiano un’origine antica e le Filippine rappresentino uno dei mercati più accessibili per le imprese italiane grazie anche ad una vicinanza linguistica e culturale (nel Paese è molto diffuso l’uso dell’inglese e

135 dello spagnolo e la maggior parte della popolazione professa la fede cattolica), sono ancora poche le aziende italiane che si sono accorte del potenziale del Paese. Solo negli ultimi anni il sistema imprenditoriale italiano ha mostrato una crescente attenzione e ciò è testimoniato dalla missione del 2012 a Manila guidata da Confindustria a cui ha partecipato un numero sostanzioso di imprese italiane. Anche la cooperazione politica ha ancora un enorme potenziale di crescita: gli incontri di vertice sottolineano infatti l’interesse che l’Italia e tutta la Comunità internazionale nutrono nei confronti del Paese che rappresenta non solo una valida opportunità per il commercio internazionale ma anche un interlocutore cruciale nella lotta all'estremismo armato e, parimenti, un referente primario per la lotta al fenomeno del terrorismo islamico.

Sotto l’aspetto militare, il Sud-est asiatico evidenzia una notevole varietà di elementi degni di riflessione. Ciò che colpisce è la generalizzata corsa agli armamenti che ha interessato tutti gli Stati membri dell’ASEAN, finalizzata all’acquisizione di un ruolo di rilievo nel contesto regionale, sempre più importante da un punto di vista strategico, e sul quale sono proiettate le mire di numerose potenze, USA, Russia, Cina e Giappone in particolare. L’Italia ha svolto un ruolo importante anche in questo ambito: nei confronti di Singapore e Vietnam, un po’ meno nel caso delle Filippine, è stata sicuramente protagonista nel processo di evoluzione della compagine militare e ha contribuito, attraverso la propria industria per la Difesa, all’ammodernamento e allo sviluppo delle loro forze armate.

Singapore con la sua Total Defence Strategy è impegnata su più fronti a livello internazionale con diversi Paesi, Italia inclusa. La crescita militare che l’ha contraddistinta è stata inarrestabile, nonostante la recessione del 1984 e le crisi finanziarie del 1997 e del 2007-2008, e le ha permesso di realizzare una Singapore Armed Forces (SAF) integrata, tecnologicamente sofisticata e di terza generazione ovvero una delle forze armate più organizzate della regione. L’Italia è presente nel Paese grazie

136 all’acquisizione di numerosi contratti firmati da importanti società italiane come Leonardo e Elettronica, divenute naturale punto di riferimento, sia tecnologico che operativo. I rapporti nel campo dei materiali della Difesa tra i due Paesi si sono intensificati a partire dalla seconda metà degli Anni ottanta, concretizzandosi definitivamente nel febbraio 2012, attraverso la stipula dell’Accordo Quadro di Cooperazione nel settore della Difesa. Oltre a questo, molto interessanti sono stati gli accordi stipulati tra i rispettivi Ministeri della Difesa e dai quali è scaturita, nello specifico, un’intensa attività di cooperazione tra le rispettive Aeronautiche militari.

Il Vietnam, nel tentativo di contrastare le mire egemoniche di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, ha intrapreso un importante processo di rinnovamento delle forze armate, soprattutto della componente navale, con la creazione di una modesta flotta subacquea. L’interesse di Hanoi ad incrementare la propria capacità militare è stata da subito percepito dall’Italia che, specie nel campo industriale, ha offerto alla Repubblica importanti opportunità di investimento nei settori aeronautico, dello sminamento e dell’elettronica, per la difesa aerea e navale. Al fine di stabilire una collaborazione in ambito militare, i Ministeri della Difesa italiano e vietnamita hanno firmato nel 2013 un MoU nel Campo della Difesa, con l’obiettivo di rafforzare la reciproca volontà di cooperazione in questo settore per il conseguimento di obiettivi comuni. L’accordo si prefigge infatti la realizzazione di una serie di progetti come l’apertura delle scuole militari italiane agli ufficiali vietnamiti, la messa a punto di programmi industriali, la vendita al Paese asiatico di armi e mezzi italiani e l’ammodernamento tecnologico dell’industria militare vietnamita.

Le forze armate filippine invece sono alle prese con un difficile processo di ammodernamento. Manila per anni ha avuto un atteggiamento militarmente passivo e il supporto degli Stati Uniti, principale “garanzia” politica e militare della sicurezza filippina, ha sostanzialmente atrofizzato le capacità militari dello Stato che, alla fine del

137 2015, apparivano essere molto scarse. Con l’amministrazione Duterte qualcosa è cambiato: la sua nuova percezione all’interno della politica del Sud-est asiatico, la volontà di non dipendere esclusivamente da una grande potenza ma di voler raggiungere una maggiore libertà di manovra e avvicinarsi a nuovi attori come Russia, Cina e Giappone, ha spinto Manila ad allentare la special relationship con gli USA. Nonostante gli sforzi profusi dal governo per la modernizzazione delle forze armate, l’esercito filippino ha però ancora molta strada da compiere e deve fare i conti con il deficit degli anni precedenti. Decenni di scarse risorse hanno lasciato infatti le forze armate filippine alle prese con difficoltà tattiche e logistiche. Le relazioni con le istituzioni politiche e militari filippine della Difesa sono state sempre piuttosto caute: le aziende italiane sono state supportate solo quando richiesto e solo da qualche tempo sono in essere accordi G2G per un futuro impegno formale. Un elemento che dimostra però il livello di incertezza che vi è nel proseguo delle relazioni militari tra i due Paesi è legato all’Accordo quadro di cooperazione nel campo della Difesa: questo infatti è ormai scaduto dal 2014 e non è stato ancora rinnovato.

In ambito internazionale, nel complesso quadro europeo, l’UE è diventata ufficialmente partner per il dialogo dell’ASEAN e, oltre al commercio, le due parti si sono dimostrate molto attente a delicati temi di attualità come la pace nel mondo, il controllo degli armamenti nucleari, la lotta al terrorismo e lo sviluppo delle risorse umane. Si tratta infatti di una cooperazione globale finalizzata non solo ad uno sviluppo economico e sociale, ma soprattutto alla preservazione della stabilità, della pace e della sicurezza all’interno delle due regioni. E’ possibile ipotizzare che l’azione dell’UE nei prossimi anni sarà legata da un lato al consolidamento dei canali di dialogo, dall’altro alla promozione di una sempre maggiore integrazione asiatica, rafforzando quella che è conosciuta come ASEAN Connectivity. In quest’ottica, l’Unione Europea non può che accogliere con soddisfazione e fiducia la creazione dell’ASEAN Economic Community

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(AEC2015), formalmente lanciata nel Novembre 2015 e costituita da serie di misure

operative volte a rendere i membri ASEAN sempre più integrati nell’economia e nel commercio.

Così come l’Unione Europea e l’ASEAN sono organismi in continuo mutamento, anche la loro relazione è in costante evoluzione: i recenti sviluppi, uniti ai concreti risultati positivi già raggiunti, possono essere visti come basi concrete per la costruzione di una

partnership strategica. Questo obiettivo va raggiunto quanto prima, dal momento che il

dialogo inter e transregionale tra l’Asia e l’Europa ha il potenziale di diventare un elemento di primaria importanza nel sistema di global governance su più livelli.

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