Capitolo II La legge Delrio
UNIONI DI COMUNI, CONVENZIONI E FUSION
5.1 Le provincie e le città Metropolitane a supporto dei processi di unione e fusione.
Per fusione dei comuni si intende l’accorpamento di due o più comuni contigui con l’intento di creare un unico comune.
La disciplina trova fondamento nell’articolo 133, II comma della Costituzione nella parte in cui si afferma che “La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni”; la disposizione trova una prima importante attuazione con l’articolo 15 del T.U.E.L.1 che prevede una disciplina di favor sia legislativa che contributiva per quei comuni che optano per la fusione.
La Legge Delrio costituisce un importante punto di arrivo organico per la disciplina: essa è contenuta ai commi 116-134 (§Capitolo II) ed è considerata una dei tre pilastri della riforma.
La legge si è, infatti, posta in continuità con la tendenza del legislatore ad incoraggiare i piccoli comuni o i piccolissimi comuni a raggiungere una dimensione territoriale adeguata attraverso incentivi e disposizioni di favore per le associazioni intercomunali e le fusioni.
L’obiettivo dell’intercomunalità è divenuta una priorità strategica per il legislatore del 2014 (v. titolo del capo della legge): l’intercomunalità viene incoraggiata di fatto a compensazione del venir meno di un ambito di rappresentanza diretta di livello provinciale e per un potenziale decentramento verso il basso di alcune funzioni amministrative non fondamentali.
Possiamo dire che questo terzo asse è un completamento dei primi due, riordino degli enti intermedi e riordino funzioni di area vasta, ed è
130 strumentale per obiettivi strategici del legislatore2: i) Per la ricerca della massima efficienza ed efficacia nell’esercizio delle funzioni e dei servizi comunali, tenendo conto che le competenze assegnate ai comuni sono in costante crescita, ii) Per la ricerca di soluzioni ispirate al criterio dell’economicità, obiettivo che senz’altro non può considerarsi superato nell’attuale perdurante contesto di progressiva riduzione delle risorse pubbliche, iii) Per assicurare ai differenziati territori italiani soluzioni organizzative differenziate, sia nella dimensione che nella tipologia delle funzioni e dei servizi esercitati in forma associata, adattabili, sia nel tempo che nello spazio; iiii) Per progredire nella direzione della semplificazione del sistema locale.
Questa disciplina di favor legis ha sicuramente il merito di aver inciso nell’aumento dei fenomeni di unione che sono passati da 370 del 2013 a 530 del 20173, tuttavia il processo è ancora poco scelto e non risulta omogeneo su tutto il territorio nazionale: esponenziale è stata la crescita nei comuni del centro Nord ma anche in Sicilia e Sardegna dove le rispettive leggi regionali di riordino delle funzioni amministrative pongono in essere un sistema che rende funzionale il processo di fusione mentre manca totalmente o quasi nel centro-sud.
A ciò si aggiunge il fatto che i processi di unione si differenziano l’uno dall’altro per dimensione, compattezza, attività finanziaria, numero di funzioni e servizi svolti nonché peso finanziario nell’ambito delle ex province, senza considerare il fatto che molte unioni sono il frutto di mere scelte politiche c.d di facciata4, dove la scelta è stata dettata dall’obbligo legislativo quando poi in concreto i comuni si comportano come se l’Unione non esistesse.
2 Claudia Tubertini, le città Metropolitane a sostegno della fusione dei comuni, UPI, 2017
3 Vedi Dati Istat
4 Claudia Tubertini, le città Metropolitane a sostegno della fusione dei comuni, UPI, 2017
131 Le ragioni del successo solo parziale sono varie e sono attribuibili a più livelli territoriali.
Sul piano statale si possono segnalare alcuni fattori: i) il carattere disorganico delle disposizioni derogatorie e di favore per la fusione dei comuni; ii) l’Anci da tempo sottolinea l’incertezza del quadro normativo delle gestioni associate che risultava soprattutto in alcuni casi come causa ostativa; iii) l’introduzione dell’obbligo di gestione associata ha creato non pochi problemi applicativi diventando motivo di conflitto istituzionale per la scelta delle funzioni da associare e per la scelta dell’ambito territoriale ottimale; iiii) la debolezza intrinseca del modello “Unione” come ente di secondo grado per la mancanza di norme di raccordo tra organi dell’unione e organi del comune.
Sul piano regionale, come abbiamo già visto, il modello di governance dipende dagli interessi che stanno alla base della legge regionale di riordino: molte regioni hanno puntato da tempo a favorire la fusione dei comuni confermando e incrementando le proprie scelte con la legge di riordino mentre in altre regioni la coscienza per le intercomunalità nasce tardi, intraprendendo politiche del genere solo recentemente.
Il ruolo della Regione appare quindi fondamentale a sostegno e supporto dei processi di fusione, ma tale incisività delle politiche regionali è condizionata da numerosi fattori5: i) La legislazione regionale di sostegno ed incentivazione ai processi di fusione appare fortemente disomogenea nella sostanza e nel sostegno finanziario; ii) Sussistono forti differenziazioni nelle modalità di disciplina del procedimento e nello svolgimento del referendum; iii) Determinante il cd. giudizio di meritevolezza spettante alla Regione in merito alla proposta di fusione e la discrezionalità della Regione in relazione alla interpretazione dell’esito referendario; iiii) Diverso impegno delle Regioni nel sostegno tecnico ed operativo alla progettazione delle ipotesi di fusione.
132 Infine, sul piano locale possiamo riscontrare una scarsa visione strategica di lungo periodo dei comuni, soprattutto piccoli comuni, legati ancora a logiche campanilistiche che non permettono di comprendere i benefici della fusione; il timore di perdere la gestione di quelle funzioni che vengono conferite all’unione; e infine i timori derivanti dall’ingresso nell’unione di altri enti locali che, venendo da una gestione non oculata delle risorse finanziarie, possono assorbire le risorse dell’altro/i enti.
In questo scenario, nell’intenzione originale del legislatore nazionale, si colloca il ruolo delle (ex) province e delle Città Metropolitane.
Le province possono fungere sicuramente come sedi di “coordinamento orizzontale del reticolo comunale”6 diventando quello che, molti, definiscono casa dei comuni; in questo modo possono fornire un contributo importante per la risoluzione di alcune criticità di stampo locale, sopra indicate perseguendo allo stesso tempo, le finalità di razionalizzazione e di semplificazione del sistema locale.
A tal proposito le regioni possono attribuire alle province alcune funzioni giuridico amministrative di sostegno7 al processo delle fusioni. La prima funzione è sicuramente la consultazione tecnico-giuridica ai comuni per l’individuazione delle migliori programmazioni e strategie al fine di realizzare un’unione solida istituzionalmente e finanziariamente; secondariamente possiamo annoverare la funzione di concordare gli indirizzi programmatici in merito alle questioni da esercitare tra comuni e province, valutazione che oggi fa la Regione in base al modello di governance che vuole raggiungere; in terzo luogo c’è la funzione di poter individuare e modificare gli ambiti territoriali ottimali e infine la possibilità di tenere un registro in cui vengono segnati i dati sull’andamento e sullo sviluppo delle fusioni dei comuni.
6 Ivi 7 Ivi
133 In questo senso sarebbe stato preferibile che le Regioni, non tutte, tenessero conto di queste valutazioni al momento in cui hanno proceduto al riordino: un processo valutativo che porti ad affidare alle province le funzioni necessarie affiche possa essere veramente casa dei comuni mentre ai comuni quelle funzioni che possono essere svolte in forma associata all’interno di un ambito territoriale ottimale.
Ancora più stretto è il rapporto tra Città Metropolitane e fusione dei comuni: tra le varie finalità con cui sono state istituite le Città Metropolitane vi era quello di sostituire le province nelle Città più importanti a livello strategico e finanziario per il territorio nazionale. Tutte province molto grandi e quindi ad alta intensità comunale: si rende necessaria una più stretta integrazione tra funzioni e servizi metropolitani e comunali il che rende ancora più fondamentale la funzione di programmazione e di indirizzo nell’ambito delle fusioni dei comuni; molto spesso infatti servizi come il trasporto pubblico o funzioni come le infrastrutture richiedono una visione a 360 gradi. Per le Città: la "funzione metropolitana" sottolineata con maggior forza dalla legge è quella dello "sviluppo strategico del territorio metropolitano", che si declinerà con il piano strategico triennale ("atto di indirizzo" sia per l’amministrazione metropolitana che per i Comuni del territorio) e con le politiche attive di "promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, assicurando sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della città". La risposta alla crisi sta in questa abilità, e non nel risparmio delle indennità dei consiglieri provinciali o metropolitani. Certo, le Città metropolitane serviranno a razionalizzare la rete dei servizi, coerenza alle funzioni di governo del territorio e della mobilità pubblica e privata, ma sarebbero poca cosa se non mettessero davvero al primo posto nella propria agenda la costruzione di una strategia di sviluppo economico e sociale, all’altezza della crisi che ancora pesa sul paese e della crescente competizione globale tra "sistemi città".
134 Tra i vari piani strategici possiamo prendere il piano strategico della Città Metropolitana di Torino.
La Città Metropolitana di Torino rappresenta un caso unico a livello italiano: prima per numero di abitanti e per superficie territoriale, si sviluppa a partire dal centro urbano trainante del Capoluogo, si estende ad includere le aree urbane limitrofe più strettamente connessa col centro, fino a comprendere le aree periurbane, le zone pedemontane e montane, per raggiungere infine i confini di uno Stato estero.
La Città metropolitana di Torino è un territorio di territori per cui si è reso necessario fin dall’approvazione del piano, un progetto d’insieme per lo sviluppo del territorio ma anche di un piano che tenesse conto delle varie peculiarità locali e dei processi di fusione in atto.
Infine, molti giuristi hanno avanzato la necessità di rafforzare l’obbligatorietà per i comuni facente parti della Città Metropolitana di delegare un certo numero di funzioni e servizi alla gestione d’insieme della Città Metropolitana.
Alla base di questa idea di amministrazione dove la provincia e la città metropolitana sono fortemente legati ai comuni, vi sono due elementi di forte innovazione culturale ma di difficile applicazione.
La prima attiene proprio alla cultura della collaborazione8: la collaborazione tra Città Metropolitane, province e unioni di comuni può funzionare solo se forze politiche e sociali sapranno muoversi nell’ottica della collaborazione; per certi versi difficile da realizzare visto che il nostro è un paese che ha sempre puntato sulla centralizzazione e sull’uomo “solo” al comando ma la Legge Delrio chiede di pensare diversamente: chiede di trovare un terreno di convergenza, un progetto d’insieme che coinvolga tutti i territori.
Questa sfida è evidente nel sistema della Città Metropolitana dove da una parte il Sindaco metropolitano deve farsi carico delle tante attese ed
8http://www.forumpa.it/riforma-pa/citta-metropolitane-nuove-province-e-piccoli- comuni-una-buona-legge-che-sollecita-un-cambiamento-culturale
135 esigenze dei comuni metropolitani mentre dall’altra parte i Sindaci dei comuni limitrofi dovranno considerare “la Città” come un alleato importante di fronte alle sfide economiche e non come un nemico istituzionale.
La seconda riguarda proprio i comuni: ai fini dell’attuazione di un processo di fusione coerente con le istanze del territorio è necessario non ripetere gli errori del passato.
Il più grande è stato sicuramente quello di riporre molte attese sulla “capacità” di auto determinazione della legge senza calare la legge nei territori e nelle periferie che richiedono più attenzione e soluzione ai problemi.
Ecco perché è necessario che si aprano dibattiti, tavoli di lavoro che coinvolgano tutti i soggetti istituzionali compresi ANCI e UPI per poter limare tutte quelle funzioni che saranno al centro dell’amministrazione condivisa; a cui si deve aggiungere un’importante opera di convincimento che parta dai partiti politici e dalle parti sociali e arrivi ai cittadini coinvolti.