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Come si può dire che un fatto è oggettivo o soggettivo?

Come ho cercato di spiegare nel paragrafo precedente, uno dei tratti caratteristici della scoperta è il suo stretto legame con la Natura, motivo per cui in questo concetto sembra che si racchiuda il senso della Verità. Si è visto come lo scienziato si sforzi per mostrare che il proprio studio è il più oggettivo possibile, lontano da ogni influenza personale. Ma cosa significa che un fatto scientifico è una verità o è oggettivo?

Nella tendenza della propaganda si direbbe che qualcosa è oggettivo in quanto è come la Natura che ce lo mostra: un fatto oggettivo è come è! La questione problematica che si ripresenta è l’evento per cui uno studio viene rivisto e modificato. Non è possibile che una teoria fosse oggettiva 10 anni prima e solo 10 anni dopo venga ribaltata, allora non era oggettiva? Questa idea potrebbe condurre ad uno scetticismo estremo, secondo il quale niente sarebbe oggettivo e stabile, e non si avrebbe così niente di cui fidarsi45. Sembra che uno scienziato sia oggettivo quando sostiene che ipse dixit, riferendosi alla Natura; che invece sia soggettivo quando quello che pronuncia con la propria bocca sia solo un’opinione. Non è neanche semplice dimostrare che qualcosa sia oggettivo perché reale, cioè in quanto ha un legame stretto con la Realtà. Non intendo la realtà hic et nunc. Molte di queste lettere maiuscole si rifanno a un mondo platonico, in cui i fatti scientifici sembrano ispirarsi a un’idea che sta nell’ iperuranio della Natura o sono idee stesse, e proprio questa particolare ontologia gli conferisce l’oggettività che non deve così essere spiegata.

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Si potrebbe pensare l’oggettività come corrispondenza tra la mente del soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto che proviene sempre dalla Natura. Ma in questo senso ci sarebbero due problematiche importanti da risolvere:

1. Spiegare dove finisce la capacità creativa dello scienziato 2. Spiegare cosa garantisce la corrispondenza stessa

Per capacità creativa intendo quella che si potrebbe altresì chiamare “intuizione”, quel momento in cui la mente dello scienziato si distingue da quella di chiunque altro. Si tratta di un’attitudine particolare, che in modo diverso caratterizza anche un pittore o uno scrittore. Una caratteristica del genere si sviluppa coltivando interessi, approfondendo lo studio. Probabilmente se Pasteur non avesse posseduto questa attitudine, non si sarebbe posto certe domande riguardo i fermenti e non avrebbe cercato risposte in merito attraverso gli strumenti della scienza. Nella visione dell’oggettività di cui sto parlando, se davvero un oggetto trova una corrispondenza nella mente del soggetto, si potrebbe pensare che più o meno tutti potrebbero inciampare in una scoperta di un fatto, e non che lo scienziato veda con un occhio “scientifico” la realtà, quindi i quesiti che si pone rispecchino il proprio modo di vedere il mondo circostante. La corrispondenza si potrebbe spiegare sostenendo che la stessa mente umana è frutta della Natura, quindi può conoscere gli oggetti della Natura e garantirne l’oggettività di conseguenza.

Le due precedenti possibili interpretazioni dell’oggettività non mi sembrano abbastanza convincenti. Uno dei motivi che mette in discussione la credibilità di queste teorie è principalmente la gestione del rapporto tra il cambiamento delle proprietà di un oggetto e l’oggettività. L’altra ragione è di stampo moderno, cioè come far convivere

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l’oggettività e la corrispondenza soggetto-oggetto senza trascurare l’attitudine creativa dello scienziato nella propria attività.

La soluzione che propone Latour è quella di considerare oggettivo e soggettivo in base al legame che l’oggetto scientifico crea con il suo autore-portavoce. Lo scienziato, essendo un portavoce di un oggetto, se crea un rapporto solido e convincente2, allora agli occhi degli outsiders lo studio sarà oggettivo. Viceversa se il link non sarà abbastanza resistente alle critiche esterne. Questa idea introduce nuovamente il tarlo della propaganda, perché gli scienziati parlano con il mondo esterno attraverso gli articoli di giornale, i manuali e tutte le iscrizioni letterarie che producono. Anche in questo caso dipenderà dalla maestria dimostrata dagli operatori della scienza, di essere più o meno convincenti rispetto al proprio studio. Non solo si giocherà tutto sulla capacità di scrittura degli scienziati, ma entrerà nuovamente in campo il cerchio della credibilità. Voglio dire che sarà più facile per qualcuno credere oggettivo uno scienziato pluri-accreditato, che ha già pubblicato lavori di una certa rilevanza. Lo scienziato “emergente” dovrà sgomitare di più per far credere che quello che esce dalla sua penna o dalla sua bocca non sia una semplice opinione, ma una considerazione ben ponderata che ha alla propria base degli esperimenti.

Nei due paragrafi precedenti ho deciso di porre l’accento su “fidarsi” e “convincente”. Questi due concetti infatti potrebbero rappresentare una chiave di volta nella lettura dell’oggettività e della soggettività in ambito scientifico. Una delle caratteristiche principali di uno scienziato è quella di essere convincente. Lo scienziato ha il compito di persuadere chi legge i suoi scritti o chi lo ascolta, che il suo studio innanzitutto vale la pena di essere ascoltato. In questo caso non importa se chi gli dedica del tempo è un collega oppure un profano. Dopo aver ottenuto fondi per la propria ricerca, deve persuadere il suo auditorio che quello che sta cercando di

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dimostrare è vero, e non importa quali mezzi userà. Pasteur doveva convincere un pubblico, non solo che la sua ricerca era più valida di quella di Pouchet, ma anche che era più vera. È indubbio che nell’immaginario comune verità ed oggettività si legano, ma quello che gli outsiders devono pensare è che la scienza deve basarsi su questa dimostrazione pubblica e non solo sulla convinzione personale, oppure la sua aura di credibilità verrebbe meno. Nel caso in cui uno scienziato si dovesse trovare a ritrattare una propria teoria lo sforzo sarà doppio, perché non solo dovrà dimostrare di essere oggettivo, ma dovrà anche giustificare lo sbaglio precedente senza perdere la propria credibilità. Tutto questo serve a comprendere che è necessario che chi lavora nella scienza applichi un atteggiamento persuasivo, che sia efficace nella convinzione del pubblico sulla propria oggettività e quindi affidabilità.

In questo momento entra in campo il ruolo della controparte, cioè il pubblico. Se gli

outsiders sanno che lo scienziato in qualche modo li manipola, li convince di non essere

stati convinti perché lui ha accesso ad una conoscenza esclusiva e si fa portavoce dalla natura; allora la loro parte è quella della fiducia. Chi ascolta, legge e comunque chi sta fuori dal laboratorio non può che fidarsi di quello che gli viene propagandato dal mondo della scienza. Kuhn già ha suggerito che il lavoro scientifico è un lavoro di fede, una conversione, riferendosi all’attività straordinaria della scienza. Vorrei riprendere questo atto di fede anche per questo contesto di normalità: credere che qualcosa sia vero o quanto meno sia come lo abbia letto o sentito. Questa considerazione non implica che quello che gli scienziati dicono sia falso o si tratti di una mera opinione, infatti gli scienziati porteranno prove su prove per farsi credere. Allo stesso tempo nemmeno significa che chi non è un tecnico della scienza sia tagliato fuori da questo mondo;

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infatti molto spesso anche noi profani siamo chiamati a esprimerci sulla scienza, anche se magari su un versante politico (basti pensare ai referendum46).

Come Latour ha suggerito ripetutamente nei suoi testi ognuno di noi deve mantenere il proprio ruolo nel mondo comune, con la consapevolezza delle proprie facoltà. Lo scienziato allora sarà colui che porta avanti uno studio, lo pubblica e cerca di persuadere gli altri della verità della propria ricerca. Il pubblico probabilmente verrà convinto dell’oggettività del lavoro scientifico e si fiderà di ciò che ha letto o sentito, con la cognizione della propria posizione rispetto alla scienza.

Fino a questo punto ho voluto concentrare l’attenzione del lettore sull’oggettività che riguarda principalmente i fattori esterni al laboratorio. È necessario però considerare anche l’altra faccia della medaglia nella quale ci si riferisce all’oggettività in base ai fattori epistemici. La componente epistemica è fondamentale per poter realmente parlare di scienza, così non può essere esclusa. Senza questa parte, la scienza sarebbe una qualsiasi disciplina che propone dogmi senza una pratica laboratoriale e scientifica, appunto. L’oggettività su questo fronte acquista la propria forza con le prove che supera l’oggetto, gli esperimenti, gli strumenti del laboratorio. Considerare questa parte dell’attività, e non solo quella retorica, permette di giungere ad un giusto mezzo, per il quale l’oggettività non è solo un polo dei due, ma si trova tra i due fronti.

Così però non è abbastanza chiaro cosa si possa intendere in questa mia proposta per oggettivo. In questo panorama l’oggettività potrebbe essere intesa come un fatto scientifico che ha acquisito abbastanza prove per essere diffuso fuori dal laboratorio e quindi per essere inserito poi nei dibattiti economici, politici e morali comuni. Il fatto è oggettivo perché per adesso47 ha una struttura abbastanza solida, raggiunta grazie agli

46 In particolare mi riferisco al referendum indetto prima nel 1987 e poi nel 2011. 47 Corsivo mio.

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studi dello scienziato, da essere considerato tale. Il “per adesso”, come in altre parole ha già suggerito Latour, permette all’oggetto una libertà di movimento e di cambiamento. Quello che oggi gli scienziati ci presentano è oggettivo, considerati gli strumenti a loro disposizione, le riforme politiche, gli ostacoli morali e via dicendo. Il mondo della scienza è un universo fatto di oggettività, ma solo con queste restrizioni; in particolare senza assolutizzare niente.