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QUELLO CHE SI PUÒ DIRE IN POESIA.

Nel documento Camillo Capolongo (pagine 103-107)

1.

Ciò che si può dire in poesia può essere detto solo in poesia, cioè ci sono delle cose che si possono dire soltanto in poesia.

Cosa vuol dire? vuol dire che esiste una specificità della scrittura poetica e della forma poetica. L’atteggiamento formalista è l’atteggiamento che esalta la forma, esalta l’organizzazione formale del testo sottolineando però l’altra parte del discorso che era la cosa da dire, perché nell’espressione: “ciò che si può dire in poesia si può dire solo in poesia” non c’è soltanto un riferimento all’autonomia formale e alla specificità testuale ma c’è anche al cosa si dice, cioè ciò che si può dire si riferisce a qualcosa.

Questo vuol dire che non c’è da un lato la forma e dall’altro lato il contenuto: vuol dire che c’è l’invenzione formale che è una configurazione, una strutturazione del contenuto.

In altri termini quando mi trovo davanti ad una poesia il senso che io riesco ad individuare non posso trovarlo detto in altro modo ma c’è un senso, fosse anche il rifiuto del senso come spesso è accaduto nelle avanguardie storiche del non-sense.

Il non-sense o il senso sono la stessa cosa perché pongono l’accento sul senso appunto in versione positiva o negativa.

Allora il formalismo è da rigettare in quanto è l’oblìo di questa cosa da dire che può dire solo la poesia ma è da rigettare ovviamente anche il contenutismo … Ora stranamente mi sembra che negli ultimi vent’anni, quindici anni si sta affermando una attenzione formalistica esagerata anche attraverso l’importanza che si sta dando alla metrica.

Questa importanza formalistica credo sia una conseguenza dell’attenzione che si sta dando alla diffusione dei poeti e delle poesie cioè ad un abbassamento generale dei contenuti, a questo abbassamento generale dei risultati poetici si sta reagendo con una chiamata endocorporativa con dei segni distintivi della corporazione e la metrica sembra chiamata a segnalare questa distinzione corporativa ecco perché credo che sia molto pericoloso per il valore di questa arte l’insistere in maniera formalista sulla metrica.

2.

Ciò che si può dire in poesia si può solo dire in poesia vale anche per la dimensione sonora del testo: noi non possiamo scindere la parola dal suono nella poesia, per la verità non possiamo scindere la parola dall’immagine e dal suono perché la poesia è la sintesi di parola, immagine e suono, parola intesa come senso: senso, immagine e suono e vi è una specificità della poesia riguardo al suono per cui la poesia non può essere mutilata, non possiamo considerarla stampata e silenziosamente stampata, dobbiamo dare voce al suo suono dobbiamo dare il volume sonoro di ciò che è tridimensionale perché la poesia è come una scultura sonora.

Nello stesso tempo la poesia letta ad alta voce, detta, non è teatro perché il teatro è un’altra cosa, è un’altra specificità.

Di conseguenza tutti gli effetti e gli effettacci del teatro, del cabaret possono talvolta interessare la poesia in alcuni momenti della sua storia, ad esempio i futuristi erano molto interessati o i dadaisti, al cabaret e ad alcune dimensioni spettacolari della poesia ma questo aveva un senso per il carattere provocatorio di queste prime avanguardie …

Ma la natura della poesia, la sua essenza, non ha a che fare con la spettacolarizzazione, non ha a che fare con l’aggiunta dell’effetto teatrale perché la poesia non è teatro e infatti quando si ascoltano degli attori leggere delle poesie ci si accorge che c’è un enfasi che è esagerata rispetto alla potenza di suono e di senso che la poesia ha già in se incorporata, cioè il testo è un potenziale già autosufficiente di espressione sonora.

Di conseguenza quando gli attori recitano le poesie aggiungono qualcosa di cui non c’è bisogno e di qui nasce l’enfasi. La stessa cosa è la trasformazione della poesia in cabaret che sposta la questione

verso la performance, la performance è un’arte e una disciplina specifica quindi la poesia non può fingere di essere una performance perché la poesia è un’arte diversa da quella della performance e quando alcuni poeti, inconsapevoli di ciò, provano ad essere performativi fanno torto alla specificità delle due arti ottenendo risultati francamente deludenti.

IO E LA METRICA (GABBIE, PAROLE, SUONI)

Il momento in cui ho iniziato a scrivere con qualche criterio, abbandonando la modalità romantico- diaristico-confessional tipica dei tempi del raggiungimento della maggiore età, coincide con quello in cui ho preso in mano il Beltrami ed ho iniziato a studiare la metrica italiana. La conseguenza immediata di questi studi si trova nelle mie prime produzioni poetiche, rigorosamente in endecasillabi. Questo metro allora mi appariva come lo spazio ideale, la sonorità adatta, e come un modo di confrontarsi con la tradizione, cosa che ritenevo doverosa. Negli stessi anni ascoltavo musica elettronica e in seguito mi cimentai nell'uso dell'endecasillabo come fosse un loop, un refrain sonoro, con accenti sempre uguali, il principale sulla sesta sillaba, quasi una cassa rotterdam "teknopoetica". Col senno di poi credo che per me questo tipo di endecasillabo sia stato semplicemente una palestra, nella quale ho potuto allenarmi a sistemare quello che volevo dire secondo un criterio formalerigido, una gabbia nella quale avevo bisogno di rinchiudermi, per poi poter evadere. Questo percorso può risultare evidente leggendo il primo libro che ho scritto, "La presenza del vedere", dove la prima sezione, Meccaniche, è integralmente in endecasillabi, mentre nella seconda, Radiazioni, il verso si allunga e non è più isometrico, ma mantiene una forte impostazione ritmica e performativa, influenzato dal Pagliarani delle Lezioni e dal Lello Voce dei Lai, e nella terza, Buio, si asciuga, si ritrae, si scarnifica, e così anche la ritmica risulta più segmentata e spezzata. Dopo ho pubblicato "Alfabeto provvisorio delle cose", un'operazione letteraria che non fa della metrica un punto focale, come invece accadeva in La presenza del vedere. Qui addirittura, nella seconda sequenza del testo, alcuni componimenti dotati di una propria metrica, vengono smontati e riassemblati, creando una distruzione del loro impianto originale. Un riferimento potrebbe essere certa produzione di Balestrini. A questo libro segue "Le parole cadute", un testo che, come il precedente ma contrariamente al primo, non è stato pensato per la performance o per una esecuzione orale. Il verso è breve e la metrica è accennata, a volte si inceppa volutamente, altre volte scorre, l'endecasillabo è una comparsa, una presenza secondaria, rara. Un modello per la metrica di questo testo potrebbe essere l'ultimo Caproni, quello del conte di K., ma questa influenza, semmai ci sia davvero stata, l'ho colta a posteriori. In Schema, ultimo libro pubblicato, era mio obiettivo raggiungere vari livelli di "sintesi", tra sperimentazione e lirica tradizionale, tra prosa e poesia, tra l'uso rigido della metrica che si può riscontrare, ad esempio, in certe prose di Gabriele Frasca e la voluta assenza di metro di certe "prose in prosa". In ogni caso ritengo che la metrica sia una presenza fondante per quella che chiamiamo poesia, in versi, e che la sua assenza totale possa coesistere con il fare poetico, ma debba essere motivata da determinate istanze, altrimenti quando leggo certi componimenti poetici che ne sono del tutto privi, mi risultano piuttosto sciatti e fastidiosi. Ovviamente per metrica non intendo l'uso di forme chiuse (anch'esse vanno usate con una giusta motivazione, altrimenti risultano anacronistiche) ma l'utilizzo di sillabe e accenti al fine di ottenere un particolare andamento "sonoro" del testo scritto e delle sue possibili riproduzioni orali.

9.

1. Non vincolo, progetto. La definizione del campo è l’apertura del campo.

2. Più vicino al respiro, a volte si blocca. Come un osso. Bisogna allora muoverlo, piccoli movimenti, perché torni libero.

3. La metrica scritta dentro, non fuori la forma.

4. La sensazione di leggere lingue già lette, la speranza di sbagliarsi, l’improvvisa sorpresa di una lingua altrui nuova.

5. La riduzione dello scarto. La minore violenza, per non minore dolore. Maturità? età diversa, comunque.

6. La definizione del campo è del mondo naturale, poi si apre. 7. Tornare a scrivere dopo anni.

8. La quantistica, non sappiamo dove siamo né di cosa stiamo parlando, di questo mondo sottostante al mondo. Onda, particella e onda.

9. Cos’altro puoi dire?

Nel documento Camillo Capolongo (pagine 103-107)