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di Raffaele Ceccon

In un interessante articolo di Nedjeljka Balic dell’Università di Zara, uscito per Casati Editore in un volume dell’AIPI (Associazione Internazionale di Professori d’Italiano) trovia- mo un profilo sulla vita di Itala Bogdanovich “i cui dipinti sparsi per il mondo sono da molto tempo caduti in oblio”.

Vale la pena riassumere brevemente i punti principali di questo articolo. Itala Bog- danovich nasce a Zara nel 1879 ultima di otto figli ed eredita dal padre “calligrafo e valente disegnatore” un buon talento artistico che la porta prima a Trieste dove si forma da autodi- datta e poi a Roma dove, guidata da molteplici interessi, segue la vita culturale dominata da personalità di primo piano quali Ada Negri, Matilde Serao, Edmondo De Amicis e Gabriele D’Annunzio. A Bologna incontrerà Giosuè Carducci tentando la fortuna come scrittrice. Più tardi, c’informa la Balić, scriverà perfino un dizionario delle Donne illustri che sembra voler rivalutare, da femmini- sta avanti lettera, il ruolo e l’importanza che le donne hanno avuto nel mondo.

Ma in questa sede preferiamo ricordare la Bogdanovich per la sua attività di pittrice e lo facciamo attraverso un quadro che attualmente è proprietà del dott. Giuliano Bressa in Padova. Si tratta di un buon dipinto che rappresenta una Madonna con bambino. E ci offre il pretesto per esaminare il tema della madon- na non solo interpretato dalla Bogdanovich, ma come e stato visto nei secoli una schiera di pittori, anche grandi, che hanno affrontato il tema della maternità da un punto di vista religioso.

Essendo la Bogdanovich un’artista dalmata, non possiamo non citare qui Roberto Ferruzzi, nato a Sebenico, pittore di una graziosa madonnina nota ed amata in tutto il mondo. Anche se essa a mio avviso resta un santino, premiato dal favore popolare, ma che rimane sempre un santino. Fra tutte le altre madon- ne alle quali possiamo accennare sono talmente tante che resta solo l’imbarazzo

della scelta non appena ci s’inoltra nel repertorio della grande pittura. E vediamo qui di darne qualche esempio. Lo scrittore americano Nathaniel Hawthorne nel visitare Palazzo Pitti, a Firenze, scrive nel 1858 nel suo Diario: “C’è in questa sede la collezione più importante che io abbia vista. Ma il quadro più bello del mondo, ne sono convinto, e la Madonna della seggiola di Raffaello”.

L’opinione naturalmente va presa per quello che é, cioè” un’opinione, con- siderando il fatto che Raffaello di madonne ne ha dipinte più di trenta: dalla Ma- donna d’Alba alla Madonna del diadema, da La bella giardiniera alla Madonna del cardellino, tutte improntate a un ideale di bellezza classica. Perché Raffaello, morto giovane secondo il Vasari per eccessi erotici, diceva che il pittore “ha l’obbligo di fare le cose come le fa la natura ma come ella le dovrebbe fare”.

E sinceramente anche questo concetto è discutibile perché noi non possia- mo pretendere dalla natura di fare le cose come noi vorremmo che fossero. Ma proseguiamo senza fermarci alle trenta madonne di Raffaello. Alla Galleria Bor- ghese a Roma è impossibile non ammirare La madonna dei palafrenieri del Ca- ravaggio, detta anche Madonna della serpe, oppure La morte della Madonna che si trova al Louvre, riversa al suolo in posa abbandonata e tragica.

La Madonna di Senigallia, di Fiero della Francesca, nel suo ritmo composi- tivo, ci appare dritta e solenne come un monumento. Mentre le quattrocentesche madonne di Gentile da Fabriano sono completamente diverse dalla Madonna Benson, di Antonello da Messina, che sembra murata in un frigido silenzio. La veneziana Assunta del Tiziano, nella chiesa dei Frari, a Venezia, rifulge in ma- niera dominante in alto e nel pieno della sua gloria. Mentre le madonne del Tie- polo non sono notevoli più di tanto perché il pittore preferisce le grandi allegorie con donne nude che svolazzano in cieli tersi e luminosi.

Rimanendo a Venezia abbiamo La Madonna del prato di Giovanni Bellini, posta su di uno sfondo agreste, che reca in braccio un bimbo abbastanza simile a un fantoccio, la Madonna dei cherubini attorniata da una schiera di angeli o quella all’Accademia chiamata Madonna dei alberetti. Le madonne del venezia- no Carlo Crivelli, che ha operato in prevalenza nelle Marche, sono molto son- tuose e ingioiellate. Mentre quelle di Antonio Allegri, comunemente conosciuto come Correggio dal suo luogo di nascita, sono straordinariamente femminili, sor- ridenti e materne, con dei volti rivolti al proprio figlio in atteggiamento di grande dolcezza. Naturalmente portando esempi che parlano di madonne ci sarebbe da scrivere non un articolo ma un grosso volume perché nella storia della pittura, su tela o su parete, l’argomento occupa un posto più che rilavante partendo da secolo a secolo e distinguendo da paese a paese. Così dalla Spagna del Greco noi tro- viamo nella Madonna della carità quella forte carica drammatica, addirittura espressionista, che é tipica dell’intera sua opera. Mentre L’incoronazione della

Vergine di un pittore di Corte come Velazquez resta piuttosto inespressiva quasi tosse agghindata per una festa. Se poi ci spostiamo ai paesi dell’Europa del nord anche qui non c’è che da continuare tra differenze e sorprese.

Ci sono le madonne di Grünewald o quelle del Memling dal volto im- penetrabile, con un bambino che spesso tiene in mano e mostra un frutto roton- do. La Madonna della pera del Dürer, o quella chiamata Madonna del lucherino, sovraccariche di colore scadono a volte in particolari di evidente goffaggine. E perfino il grandissimo Rembrandt nella cosiddetta Madonna di Epinal, che se- condo alcuni è solo il ritratto di una monaca, ci presenta una sorta di ectoplasma che affiora dalle tenebre senza alcuna relazione con il tema trattato.

La Vergine di Van Eyck del Polittico di Gand sembra in posa, avvolta in un mantello esagerato che la chiude in rigide pieghe.

Il fiammingo Pieter Bruegel, pittore di racconti popolari a volte allucinati ma anche di quadri incantevoli e musicali come I cacciatori nella neve a Vienna, ci ha lasciato con L’adorazione dei Magi una Madonna dall’aspetto grossolano e pasticciato.

Ovviamente questo discorso generale e inevitabilmente sommario è stato, lo si è già detto, un pretesto suggerito dalla pittrice Itala Bogdanovich per parla- re delle numerose madonne, che s’incontrano nello sfogliare i libri che illustrano e affollano il vasto panorama della pittura d’ogni tempo. Nella consapevolezza che il tema trattato, proprio come capita sempre, si presta a una varietà di casi e di altrettante interpretazioni.

Molto contrastata negli esiti, e soprattutto nelle attribuzioni, è la Madonna con San Giovannino secondo alcuni del Carpaccio, per altri opera del figlio Be- nedetto o di bottega. E non si tratta in verità di un quadro molto felice: rappre- senta una madonna con un bimbo in braccio troppo cresciuto, riccamente vesti- to, con delle ridicole scarpette rosse, una collana al collo, e in testa un buffo co- pricapo. Per cui non possiamo porre questo dipinto all’altezza del Carpaccio e dei suoi grandi capolavori. Ma per concludere questa rassegna di madonne cele- bri e tornare al discorso iniziale e alla madonna della Bogdanovich ora a Padova, possiamo onestamente dire che il suo è un dipinto di buon livello, eseguito con perizia, che rientra nei modelli della tradizione religiosa ma senza particolari solu- zioni innovative. La sua madonna è una figura che sembra ritagliata nei panni di una signora abbastanza matura, a mezzo tra la popolana e una donna della media borghesia. Si guarda con piacere perché rivela il gusto di un’artista che conosce bene il mestiere, la pittura, le sue tecniche e le sue regole. Ma resta sempre un prodotto di qualità che sta ai margini, vorrei dire al confine di maggiori possibilità. Quindi ci appare come il frutto volenteroso di un’artista che ha voluto misurarsi in

un campo insidiato da fin troppi confronti per offrire con il suo lavoro una prova di grande coraggio, di sensibilità, ma non di totale eccellenza.

D’altro canto non è da immaginare che sia facile imbattersi in pittori, rivo- luzionari quali Michelangelo, che da vecchio confessava ripetendo le parole di Goya: l’imparo ancora”. Un genio conclamato come Leonardo ci consegna ne La Vergine delle rocce una madonna al centro di un mondo fantastico concreto e trasognato, che probabilmente supera per originalità e concezione, l’arcinota Gioconda del Louvre con i suoi famosi sfumati. Ma la storia della pittura, pro- prio come tutte le storie, non può essere interamente fatta solo di protagonisti. Ci sono in ogni epoca gli imitatori, gli epigoni e i seguaci, insieme a una quantità di figure intermedie ugualmente importanti. Quindi esistono da sempre uomini e donne che hanno contribuito con il loro lavoro e con la loro arte ad abbellire e ad arricchire la nostra società. In questo senso noi non possiamo certo paragonare la madonna della Bogdanovich a una del Raffaello o del Perugino alla raffinata madonna dell’Angelico in Firenze oppure alla madonna, statica e statuaria, di un Paolo Uccello.

La madonna della Bogdanovich ci appare semplicemente come una donna prosperosa in carne ed ossa, in grado di mettere al mondo dei figli, ma non rive- la o suggerisce molta sacralità. Diciamo che rappresenta un’idea di donna e l’espressione di un’artista cresciuta nel clima di fine ottocento. Resta la nobile prova di una pittrice dotata. E auguriamoci che in futuro altre opere ora disperse, della dalmata itala Bogdanovich, possano venire alla luce dandoci la conferma di un talento pittorico che certamente possedeva.