IL SEGRETO DI STATO NEL PROCESSO PENALE
3.8 Ratio e problematiche dell’art 66 disp.att c.p.p.
Con l’introduzione nel 1988 del nuovo codice di rito, l’art 204 attribuiva all’autorità giudiziaria il potere di escludere il segreto di stato per fatti eversivi dell’ordine costituzionale62. Il giudice una volta stabilito che il
reato per cui procedeva rientrava tra quelli previsti dalla norma in oggetto aveva il potere di rigettare l’eccezione di segretezza, disponendo l’escussione del test o il sequestro del materiale coperto dal segreto. L’unico obbligo gravante sul giudice era quello di informare il Presidente del Consiglio per metterlo in condizione, se lo
61 In questo senso, C. Bonzano, Il segreto di Stato nel processo penale, Milano 2010, pag. 264 ss.
62 Art. 204 c.p.p “ non possono essere oggetto del segreto previsto dagli art. 201, 202, 203 fatti, notizie e documenti concernenti reati dell’eversione dell’ordine costituzionale. Se viene opposto il segreto di Stato la natura del reato è stabilita dal giudice. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. Del provvedimento che rigetta l’eccezione di segretezza è data comunicazione al Presidente del Consiglio.”
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avesse ritenuto necessario, di sollevare il conflitto di attribuzione di fronte la Corte costituzionale.
Questa formulazione aveva causato quindi una rivoluzione per quanto riguardava la gestione della contrapposizione tra potere giudiziario e potere esecutivo, infatti mentre prima il ricorso alla Corte costituzionale era considerato l’unico strumento per accedere a informazioni secretate, ora era diventato l’extrema ratio del Presidente del Consiglio per impedire l’acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria. Le problematiche sorte da questa novità erano piuttosto evidenti, ed erano legate al fatto che il ricorso alla Consulta da parte del Capo dell’esecutivo non comportava la sospensione dell’acquisizione del materiale ritenuto segreto nelle more del procedimento, ma avrebbe prodotto i suoi effetti solamente se e quando fossero state ritenute fondate le motivazioni sostenute dal Governo. Tutto questo, come è evidente, risultava un serio problema, perché in materia di segreto di Stato l’unico interesse è quello di impedire la conoscenza e la diffusione di quanto ritenuto lesivo per la
salus rei pubblicae e l’annullamento di quanto acquisito non avrebbe
impedito tutto ciò.
Emersero allora dubbi sulla legittimità costituzionale della norma soprattutto in merito al principio di bilanciamento dei poteri, visto che
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anche lo strumento del conflitto di attribuzione appare non in grado di tutelare le prerogative del potere esecutivo poiché, nonostante l’eventuale esito positivo al governo, di fatto non era in grado di ristabilire il giusto equilibrio tra i poteri dello Stato, dato che l’interesse della sicurezza dello nazione sarebbe stata pregiudicata ugualmente.
Per far fronte a questo problema il legislatore, prima dell’entrata in vigore del nuovo codice di rito, emanò l’art. 66 dis.att.c.p.p. che al comma 2 stabiliva “ quando perviene la comunicazione prevista dall’art. 204, comma 2 del codice, il Presidente del consiglio dei ministri conferma il segreto se ritiene non ricorrano i presupposti contenuti nel comma 1 dello stesso articolo, perche i fatti, la notizia o il documento non concerne il reato per cui si procede. In mancanza, decorsi 60 giorni dalla notificazione della comunicazione, il giudice dispone il sequestro del documento o l’esame del soggetto interessato”.
L’introduzione di questa nuova norma aveva di fatto ribaltato la portata dell’art. 204 c.p.p. dato che il soggetto deputato a decidere della pertinenza tra le notizie segrete e il reato per cui si procede non è più il giudice ma il Presidente del Consiglio.
La formulazione di questa disposizione, se da una parte aveva risolto il problema prima esposto dell’art. 204 c.p.p., dall’altra ne aveva creato uno più importante, perché in concreto vi era un totale sbilanciamento
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a favore del potere esecutivo, con la possibilità per Capo dell’esecutivo di influenzare l’andamento del processo penale senza forme di controllo chiare.
Le procedure di controllo, al tempo esistenti, nei confronti delle decisioni del Presidente del Consiglio in materia di segreto di Stato erano sostanzialmente riconducibili a due livelli: il primo, di natura generale, identificabile nel conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale. Il secondo, più specifico, il rinvio dettato dal comma 3 dell’art. 66 dis.att.c.p.p. all’art. 16 della legge n. 801 del 1977 che stabiliva l’obbligo per il Presidente del Consiglio, in caso di conferma dell’opposizione del segreto di Stato, di informare il Comitato parlamentare motivando sinteticamente le ragioni essenziali.
Il problema di entrambi i profili di controllo era la incapacità di apprendimento della conoscenza delle informazione coperte dal segreto, poiché per il controllo della Corte costituzionale non erano presenti nell’ordinamento norme che obbligassero il Presidente del Consiglio a mettere a disposizione gli atti coperti dal vincolo così come non esistevano norme che autorizzassero l’accesso alla conoscenza per valutare la legittimità nel merito dell’opposizione del segreto. Mentre per quanto riguarda il controllo parlamentare era il comma 4 dell’art. 11 legge n. 801 a prevedere la possibilità di opporre i
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contenuti del segreto al Comitato parlamentare, quando il Capo del governo lo ritenesse necessario.
La mancanza di un effettivo controllo sulle decisione prese dall’esecutivo in tema di segreto di Stato erano alla base delle critiche rivolte alla procedura dettata dal combinato disposto dell’art. 204 c.p.p. e 66 disp.att.c.p.p.. In particolare, si evidenziava, un eccessivo squilibrio a favore del potere esecutivo nei confronti di quello giudiziario in materia di segreto di Stato, squilibrio da imputarsi proprio all’art. 66 disp.att.c.p.p. che avrebbe vanificato la portata dell’art. 204 c.p.p., per il quale il giudice qualifica il fatto e qualora lo riconduca a fattispecie eversive dell’ordine costituzionale, impedisce che il segreto ne rallenti, o peggio, ne impedisca l’accertamento in sede processuale. L’aspetto di contestazione più importante riguardava il fatto che, il giudizio del Presidente del Consiglio previsto al comma 2 dell’art.66 disp.att.c.p.p. non atteneva al rischio per la salus rei pubblicae, ma la conferma del segreto prendeva in considerazione il fatto che l’informazione segreta non concernesse il reato per cui si procede.
A fronte di queste aspre critiche il legislatore è intervenuto nel 2007, senza però stravolgere la logica derivante dal combinato disposto dell’art. 204 c.p.p. e dall’art. 66 disp.att.c.p.p., ma cercando dei
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correttivi per renderlo compatibile con i principi ispiratori della riforma.
Le modifiche introdotte con la legge n.124 del 2007 riguardano, da una parte, il controllo parlamentare più incisivo del passato, sui casi di conferma del segreto di Stato, dall’altra, si è affidato alla Corte costituzionale il ruolo di valutare ogni eventuale abuso, dell’esecutivo o dell’autorità giudiziaria. Infatti la Consulta, a cui il segreto di Stato non è mai opponibile, ha la competenza a derimere i conflitti di attribuzione in materia di segreto.
La soluzione adottata mira a ristabilire un opportuno equilibrio affidando il compito di ribilanciare eventuali squilibri alla massima espressione di garanzia del nostro ordinamento.
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