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La sentenza n 106 del 2009: “il caso Abu Omar”

IL SEGRETO DI STATO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

4.6 La sentenza n 106 del 2009: “il caso Abu Omar”

Il caso Abu Omar, fa riferimento al rapimento e trasferimento in Egitto dell’Iman di Milano Nasar Osama Mustafa Hassan, noto come Abu Omar, da parte di agenti CIA con la collaborazione dei nostri sevizi segreti, per essere interrogato circa la supposta militanza in formazioni terroristiche, e alla successiva apertura di un procedimento penale per sequestro, da parte della Procura di Milano, a carico di 26 agenti CIA e dei vertici del SISMI.

Il rapimento Abu Omar risulta esser un caso molto significativo nell’ambito dell’applicazione della normativa sul segreto di Stato visto

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che è stato possibile assistere a molteplici scontri tra l’Autorità giudiziaria e l’Esecutivo aventi ad oggetto l’utilizzabilità, in sede processuale, di informazioni, documenti, testimonianze che la magistratura riteneva elementi di prova, mentre il governo ne sosteneva la segretezza, scontri che si sono tramutati in cinque distinti conflitti d’attribuzione giudicati congiuntamente dalla Corte costituzionale con la discussa sentenza 106/09.

La Corte nel giungere alla decisione richiama tutta la propria giurisprudenza affermando che il segreto fonda la sua legittimazione nel “supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale e cioè l’interesse dello Stato–comunità alla propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e- al limite alla stessa sua sopravvivenza” (sentenza n. 82/76; nello stesso senso sentenza n. 86/77 e n. 110/98) “Si tratta di interesse che è preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali, quale ne sia il regime politico”, trova espressione nel testo costituzionale, nella formula solenne dell’art. 52 Cost. che afferma esser sacro dovere del cittadino la difesa della Patria.(citata sent. n. 82/76) ma anche con altre norme della Costituzione che fissano elementi e momenti imprescindibili del nostro Stato: in particolare vanno tenuti presenti l’ indipendenza nazionale, i principi dell’unità e della indivisibilità dello Stato(art. 5 Cost.) e la

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norma che riassume i caratteri essenziali dello Stato stesso nella formula di “ Repubblica democratica(art. 1 Cost.)” (sent. n. 86/77).

“È con riferimento, quindi non al solo art. 52 Cost. , bensì a tale più ampio complesso normativo, che si può parlare della sicurezza esterna ed interna dello Stato, della necessità di protezione da ogni azione violenta o comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a stato e che come si è detto, possono coinvolgere l’esistenza stessa dello Stato”.(sent. 86/77)

Tutto ciò comporta che altri valori di rango costituzionale devono trovare un bilanciamento con il segreto di Stato poiché si può presentare un problema di raffronto o di interferenza, come di fatto è accaduto con l’esercizio della funzione giurisdizionale.

La Corte riprendendo altre sue pronunce afferma che l’apposizione del segreto di Stato da parte del presidente del consiglio non implica che il pubblico ministero non possa indagare sui fatti di reato che costituiscono la notizia criminis di cui è in possesso, ma ha l’effetto di “inibire l’Autorità giudiziaria di acquisire e poi utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti da segreto” (sent. 110/98). Sottolineando però come la sicurezza dello Stato resta un interesse

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essenziale e insopprimibile della collettività, con palese carattere di preminenza su ogni altro in quanto tocca l’esistenza stessa dello Stato.

“Dunque il segreto di Stato funge effettivamente da sbarramento al potere giurisdizionale anche se solo e nei limiti dell’atto o del documento cui il segreto accede e a partire dal momento in cui l’esistenza del segreto ha formato oggetto di comunicazione alla autorità giudiziaria procedente”.

Questo principio è stato anche recepito nella nuova disciplina del 2007, che modificando l’art. 202 c.p.p. stabilisce che l’opposizione e la conferma del segreto inibisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione anche indiretta delle notizie coperte dal segreto.

Uno dei temi del conflitto riguardava la presunta invasione di competenze commessa dalla Procura di Milano nell’utilizzazione di informazioni coperte da segreto di Stato nella fase delle indagini e del rinvio a giudizio. È di pubblico dominio che al momento del sequestro del materiale probatorio, avvenuto in presenza di funzionari del SISMI, non fu opposto il segreto, solamente a seguito della richiesta di rinvio a giudizio il SISMI invio una nota con cui dichiarava che i documenti agli atti erano coperti da segreto di Stato. L’esecutivo sosteneva la tesi della non necessità dell’ opposizione del segreto perché questo potesse essere fatto valere, quando le informazioni apparivano di per

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se segrete, e perciò riteneva che l’utilizzazione di tali informazioni rendesse nulla tutta l’attività processuale.

Rispetto alla valutazione di questa doglianza emergono delle perplessità, principalmente riguardo al passo della sentenza dove si afferma che l’esistenza di documenti, fatti, o notizie, che per pretese loro “caratteristiche di contenuto o di forma” possono possedere “ictu

oculi… connotazioni coperte dal segreto di Stato. In dette particolari

ipotesi, insomma, la caratteristica della segretezza sarebbe intrinseca al documento alla notizia perché percepibile immediatamente e un univocamente.” La Corte in questo passaggio affianca alla sua tradizionale nozione soggettiva del segreto, una nozione ontologica o oggettiva, con il problema che tale valutazione contrasta con quelle riflessioni che la stessa Corte poco prima aveva fatto, infatti o la segretezza è vista come una proprietà oggettiva ed intrinseca della notizia, e allora non può che essere, come tale, oggetto di una mera attività di accertamento che chiunque può o deve compiere; oppure è determinata dalla sua concreta strumentalità rispetto alla necessità di protezione della sicurezza della Repubblica, e non può perciò che

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essere frutto di un’attività di apprezzamento e di valutazione discrezionale dell’autorità competente.69

La Corte doveva, a questo punto, valutare la legittimità del segreto tardivamente opposto e di conseguenza la validità del materiale probatorio acquisito dalla Procura.

La Corte ha escluso che l’opposizione tardiva del segreto possa travolgere “ex se e con portata retroattiva” l’utilizzazione di fonti di prova già acquisite nel procedimento, ritenendo, quindi, del tutto legittima l’acquisizione e utilizzazione del materiale effettuato dalla Procura.

D’altra parte però, sostiene la Corte, che l’apposizione del segreto in qualsiasi momento avvenga non può risultare” indifferente rispetto alle ulteriori attività dell’Autorità giudiziaria”, che deve attivarsi per evitare l’ulteriore diffusione dell’informazione segreta, ed eventualmente attivare la procedura di interpello del Presidente del Consiglio. Per questo motivo il p.m non avrebbe dovuto trasmettere al giudice l’atto originale, e il giudice non avrebbe dovuto utilizzarlo, determinando il rischio di compromettere le esigenze di sicurezza nazionale e quei valori che il segreto è deputato a tutelare,per questo

69 Cit. pag. 5,Il segreto di Stato ancora una volta tra il Presidente del Consiglio, autorità giudiziaria e Corte costituzionale, Adele Anzon Demming, AIC, 2009.

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motivo la Corte dichiara l’annullamento di tali atti nelle parti corrispondenti agli omissis.

La motivazione non affronta il problema della definizione della categoria della “non indifferenza” come distinta dalla diretta rilevanza della tempestiva opposizione del segreto e l’individuazione dei suoi effetti sulla validità degli atti processuali. Perché l’interrogativo non è se l’atto segreto debba essere eliminato o se invece debba essere sottoposto al controllo del giudice70, ma stabilire se il segreto

permanga pur se non opposto, o se la procedura prevista dagli art. 202 e ss. c.p.p. e dalla legge n. 124 del 2007 non sia essenziale ai fini della rilevanza del segreto, rispetto all’acquisizione legittima dell’informazione.

La Corte non affronta la questione ritenendola superata in fatto. Essa ha infatti ritenuto che “già alla stregua della nota del Presidente del Consiglio del 30 luglio 1985, in quel momento ben conosciuta, dovessero ritenersi coperte da segreto di Stato ai sensi dell’art. 12 della legge 24 del 1977 n. 801, tra l’altro, oltre agli assetti organizzativi del SISMI, specificamente proprio le relazioni con gli organi informativi di altri stati.” Tali disposizioni erano state ribadite dal Presidente del

70 Questione già affrontata e risolta con la sent. n 487 del 2000 dove si afferma che l’autorità giudiziaria non può aggirare il segreto una volta che questo sia stato opposto, utilizzando la medesima informazione segreta, anche se proveniente da altra fonte.

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Consiglio con la nota dell’11 novembre 2005, con la quale “nel richiamare il proprio indefettibile dovere istituzionale di salvaguardare nei modi e nelle forme normativamente previste la riservatezza di atti, documenti, notizie e ogni altra cosa idonea a recar danno agli interessi protetti dall’art. 12 della legge n. 801 del 1977, essa ha chiarito come nel caso oggetto dell’indagine della Procura di Milano, venissero all’attenzione anche le relazioni con altri stati, delle quali i rapporti tra i rispettivi servizi di intelligence costituiscono senz’altro senza uno dei punti di maggiore sensibilità. Per tale motivo il Presidente del Consiglio[..] ha ritenuto di dover porre in evidenza che la loro osservanza imponeva il massimo riserbo su qualsiasi aspetto riferito a tali rapporti, vincolando chiunque ne abbia cognizione al segreto.”

Il segreto perciò è legittimo perché l’ambito dei rapporti tra servizi è considerato segreto dalla circolare riservata del 1985 e dalla nota del 2006.

Una simile soluzione comporterebbe però, che tutta l’attività d’indagine sarebbe viziata perché condotta in violazione del divieto d’acquisizione di notizie segrete. Con la conseguenza che la procedura di opposizione-interpello-conferma potrebbe essere considerata superflua perché chiunque sa che il segreto riguarda aree considerate segrete dalla legge.

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La Corte respinge la tesi dell’Autorità giudiziaria volta a far valere il

sequestro di persona come un fatto riconducibile alla tipologia dei fatti eversivi dell’ordine costituzionale, per i quali non è opponibile il segreto di Stato. La Corte osserva come il segreto non era apposto sul fatto del rapimento, ma solo sulle fonti di prova, inoltre, anche se in accordo con le risoluzione del Parlamento europeo, sull’illiceità delle c.d. extrordinary renditions, viene escluso che nella fattispecie il reato di sequestro di persona fosse riconducibile a quella fattispecie. La nozione di fatto eversivo dell’ordine costituzionale prende in considerazione qualsiasi fatto diretto a “sovvertire l’ordine democratico e le istituzioni della Repubblica, ovvero a recare offesa al bene primario della personalità internazionale dello Stato”. Perciò un “singolo atto delittuoso, per quanto grave non è di per se suscettibile di integrare un fatto eversivo dell’ordine costituzionale, se non è idoneo a sovvertire disarticolando, l’assetto complessivo delle istituzioni democratiche”.

Con la decisione di infondatezza del ricorso del giudice del dibattimento si risolve l’ultimo più rilevante quesito. Il ricorso del giudice aveva ad oggetto la supposta contraddittorietà del comportamento del Presidente del Consiglio, e la violazione nel caso dei principi di legalità e di proporzionalità .

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Il ricorso sembra avere lo scopo di far giungere la Corte ad esprimere un giudizio di merito sull’opposizione del segreto, dando concretezza a quell’ambiguo richiamo al rapporto di proporzionalità, tentativo che non raggiunge l’obbiettivo poiché la Corte riprendendo la sentenza n. 86/77 afferma che “l’individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie, ecc. che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segreti costituisce il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale e, più precisamente di discrezionalità che supera l’ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa, in quanto tocca la salus rei pubblicae”. Visto perciò la politicità dell’atto è da escludere “qualsiasi sindacato giurisdizionale, non solo sull’an ma anche sul quomodo del potere di segretazione” e dichiara che le modalità di esercizio del potere di segregazione restano assoggettate ad un sindacato di natura parlamentare”. La Corte continua sostenendo che non è possibile “un sindacato anche sulla proporzionalità del mezzo rispetto allo scopo, unico controllo possibile rimanendo quello sulla motivazione dell’atto di conferma ad opera del Parlamento, che è la sede normale di controllo del merito delle più alte e gravi decisioni dell’esecutivo”.

La sentenza precisa che la Corte, ai sensi dell’ art. 202 c.p.p. modificato dalla l. 124/07 “è chiamata a valutare la sussistenza o insussistenza dei presupposti del segreto di Stato ritualmente opposto e confermato,

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non già ad esprimere una valutazione di merito sulle ragioni della sequenza rappresentata dall’ apposizione/opposizione/conferma del segreto stesso; giudizio, quest’ultimo riservato… in sede politica al Parlamento.

Nella risoluzione di quest’ultimo ricorso è possibile riscontrare alcune forzature interpretative da parte della Corte, per poter motivare l’auto restrizione delle proprie competenze in materia di segreto di Stato, al fine forse di non disturbare un presunto equilibrio tra i vari Poteri dello Stato.

Tale conclusione è sostenibile prendendo in considerazione alcuni passaggi della decisione: nella prima parte la Corte, riprendendo una sua precedente sentenza, esclude qualsiasi forma di controllo giurisdizionale del segreto. Il controllo a cui si riferisce la decisione è, solamente però quello dell’Autorità giudiziaria ordinaria, per cui nulla impedirebbe alla Corte di operare una sorta di sindacato sul segreto. Oltre a questo si potrebbe affermare che la politicità dell’atto non esclude a priori il controllo della Corte, che non è inquadrabile come una comune Autorità giudiziaria, in quanto svolge funzioni proprie, tra le quali anche il sindacato delle leggi e atti aventi forza di legge espressione di discrezionalità politica. Infine il controllo di proporzionalità non è da considerare un controllo di merito politico,

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ma un sindacato sul corretto esercizio della discrezionalità alla luce della Costituzione, che rappresenta nei giudizi di legittimità una delle possibili forme di controllo di ragionevolezza degli atti politici, e nei conflitti d’attribuzione uno strumento di valutazione di atti politici per la risoluzione delle controversie.

4.7 La sentenza n. 24 del 2014 : “Abu Omar ultimo atto”