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Tutela processuale del segreto di Stato

IL SEGRETO DI STATO NEL PROCESSO PENALE

3.1 Tutela processuale del segreto di Stato

di tutela della salus rei pubblicae è individuabile nella necessita di garantire la segretezza di alcune informazioni, impedendone la diffusione nei diversi ambiti della vita sociale. Per tale ragione risulta inevitabile che anche il processo penale non possa fare eccezione a questa regola, nonostante alcune delle informazioni sottoposte al Il motivo fondamentale segreto siano necessarie per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali.

La disciplina del segreto di Stato può essere considerata come uno specchio dell’architettura istituzionale di un ordinamento, il riflesso del bilanciamento complessivo dei poteri che lo costituiscono, un indice significativo del livello di democraticità di un sistema. Ma proprio per l’elevato tasso di politicità dell’istituto, il suo radicamento in alternative e spesso contrastanti concezioni dello stato, ne hanno condizionato sia l’evoluzione normativa che le applicazioni giurisprudenziali.

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Da un punto di vista logico appare evidente che le esigenze di tutela dell’ordinamento statale risultino preminenti rispetto a quello dell’accertamento penale e perciò è necessario che il legislatore produca una disciplina processuale adeguata a questa esigenza. Proprio la necessità di sottrarre alla pubblica conoscenza informazioni sensibili, da vita a tutta una serie di problemi di compatibilità con il processo penale, il cui obbiettivo consiste nel raggiungere il più completo accertamento del fatto storico, quindi per svolgere la sua funzione il segreto di Stato dovrà incidere sul thema probandum per impedire che quelle informazioni dannose per la salus rei pubblicae possono entrare nel circuito processuale.

Il modello di tutela del segreto di Stato adottato nella presente legge appare invece di natura soggettiva e relativa, soggettivo in considerazione della persona fonte di prova infatti, come più avanti verrà analizzato, è la qualifica soggettiva della persona chiamata a deporre ciò che rileva ai fini della tutela processuale degli arcana

imperii. Relativa in virtù del fatto che la protezione del segreto non

avviene attraverso l’esclusione del thema probandum, ma con riguardo al mezzo di prova attraverso il quale si cerca di acquisire una informazione coperta dal vincolo.

La legge 124/07 ha innovato la normativa in tema di tutela processuale del segreto di Stato, senza però incidere sulle norme

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penali sostanziali apprestate a protezione del vincolo e degli interessi giuridici alla cui salvaguardia il medesimo è funzionale.

Costituiscono, infatti, oggetto di intervento gli artt. 202 e 204 c.p.p., l'art. 66 disp. att. c.p.p. (modificati dagli artt. 40 e 41 della legge) e, ancora, l'art. 256 del codice di rito, ancorché lo stesso non venga propriamente modificato, bensì, piuttosto ,integrato dall'introduzione degli art. 256 bis e 256 ter (artt. 15 e 16 della legge). Sotto il profilo sistematico, risulta preminente il Capo V della legge n. 124, “Tutela del segreto”‖, nel cui ambito trovano collocazione gli articoli 40 e 41, per molti versi i più pregnanti, mentre è affidata agli art. 15 e 16, in seno al Capo II “Disposizioni organizzative”, l'introduzione dei menzionati artt. 256 bis e ter.

Il legislatore ha realizzato un meccanismo riconducibile a quello di fattispecie a formazione progressiva volto a sottrarre le notizie, gli atti, le informazioni alla pubblicità del processo penale.

La tutela processuale si sviluppa su due piani: il primo riguarda le regole generali di condotta; il secondo le procedure di controllo delle ragioni addotte dalle persone che eccepiscono il segreto di Stato. La prima forma di tutela si realizza, da una parte, nell’obbligo dei soggetti individuati dagli art. 40 e 41 della l. 124/07 di opporre il segreto di stato all’autorità giudiziaria quando, per l’accertamento penale, manifesti la volontà di assumere da quei soggetti informazioni

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coperte da segreto. Dall’altra, vengono disciplinati i doveri di comportamento dell’autorità giudiziaria che si sostanziano nell’obbligo di interpellare il Presidente del Consiglio per la conferma del segreto opposto e nel divieto di acquisire, utilizzare e in genere conoscere il contenuto di quelle informazioni la cui connessione con l’interesse della sicurezza della repubblica ne impedisce la diffusione.

Per quanto riguarda la seconda modalità di controllo è possibile individuare tre fasi che si realizzano in successione: la prima ha come attore il giudice stesso, che deve verificare che non si ricada in una delle “ipotesi di esclusione del segreto di Stato” tassativamente previste.

La seconda, comunque obbligatoria, prevede che il Presidente del Consiglio a seguito dell’interpello confermi o meno l’esistenza del segreto in base agli art. 39 e 40 della l. 124/07 e del regolamento di attuazione.

Infine, la terza fase, che è eventuale e assume la forma di una funzione di garanzia, riguarda la possibilità di adire la Corte Costituzionale sia da parte della magistratura che dal Presidente del Consiglio per tutelare le rispettive prerogative costituzionali.

La disciplina processuale del segreto di Stato introdotta dalla legge n. 124 del 2007 non soddisfa chi avrebbe voluto che i meccanismi processuali di tutela del segreto di Stato fossero basati su un sistema di

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divieti probatori assoluti. Il legislatore del 2007, infatti, pur riaffermando la centralità del segreto di Stato quale irrinunciabile strumento di garanzia per l'ordinamento democratico, ha mantenuto, secondo la strada tracciata dalla legge n. 801 del 1977, in termini relativi parziali, l'impianto normativo volto a garantire la tutela processuale del segreto di Stato.

La norma fondamentale del sistema: l’artt. 202 c.p.p51. dispone

l'obbligo di astenersi dal deporre esclusivamente a carico dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati ed incaricati di pubblico servizio52.

La tutela degli arcana è rimessa alla qualifica soggettiva, infatti è

51 Art 202 c.p.p: 1. I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. 2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, l’autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai fini dell’eventuale conferma, sospendendo 3. Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato.

4. Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei Ministri non dà conferma del segreto, l’autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l’ulteriore corso del procedimento.

5. L’opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, inibisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto.

6. Non è, in ogni caso, precluso all’autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto.

7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell’insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l’autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato.

8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento.

52 La legge n. 801 del 1977 stabiliva l’obbligo di non deporre su fatti coperti da segreto di Stato e l’obbligo di non esibire documenti ed atti coperti da vincolo solo peri pubblici ufficiali, impiegati pubblici ed incaricati di pubblico servizio.

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questo il criterio utilizzato per determinare se un fatto possa costituire oggetto di prova. Da ciò deriva che il quivis de populo che sia a conoscenza, per qualsiasi ragione, di un fatto coperto da segreto sarà obbligato a rivelarlo se chiamato a deporre sullo stesso.

Dall’analisi della disposizione emerge che non sono previsti obblighi per l’autorità giudiziaria, ma solo per i pubblici ufficiali e funzionari pubblici, infatti l’art. 202 c.p.p sembra incidere solo sugli aspetti sostanziali della violazione senza prevedere sanzioni processuali53.

Infatti la disposizione più che la tutela di notizie,la cui diffusione possa essere dannosa alla salus rei pubblicae sembra ricercare un obbligo per il testimone in funzione della qualifica; tant’è che non è presente ne una sanzione processuale che punisca la violazione di astensione, ne un divieto per l’autorità giudiziaria a ricevere spontanee rivelazioni. Da ciò si può dedurre che il test che non rispetta l’obbligo di astensione, ovvero consegna la documentazione richiesta non fa sorgere in capo al magistrato nessun divieto per l’acquisizione della prova, anzi ne determina l’obbligo di utilizzo per la sentenza. Ciò in quanto i limiti ai doveri di testimonianza e di esibizione, sembrano statuiti non tanto in funzione di notizie la cui divulgazione si voglia evitare, ovvero di un limite probatorio da porre in capo al magistrato, quanto, piuttosto, in considerazione della persona che

53 Con la precedente legislazione parte della dottrina riteneva che oltre all’obbligo previsto per i pubblici ufficiali, fosse ricavabile uno anche per l’autorità giudiziaria derivante dall’art. 15 nella parte in cui dispone “non debbono essere interrogati”.

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si dovrebbe escutere. Tant'è vero che, da una parte, manca una vera sanzione processuale per la violazione dell'obbligo di astensione, dall'altra, non vi è neppure una disposizione dalla quale possa ricavarsi un divieto in capo all'autorità giudiziaria di ricevere spontanee rivelazioni. Pertanto, aderendo ad una interpretazione strettamente letterale delle norme dianzi citate, si deduce che se il teste contravviene all'obbligo impostogli, ovvero esibisce e consegna la documentazione richiesta niente impedisce al giudice di usare quella prova, che anzi senza un divieto esplicito, deve essere utilizzata per giungere alla definizione della sentenza.

In conclusione, il primo comma dell'art. 202 sembra non essere una norme adeguata a tutelare l'ordinamento, dato che non prevede forme di tutela assolute, ma si basa su obblighi riguardanti i singoli soggetti depositari del segreto.

Il sistema di tutela predisposto dagli art. 40 e 41 della legge n. 124 del 2007 non sembra in grado di garantire dalla pubblicità processuale la salvaguardia della segretezza di notizie attinenti alla salus rei

publicae, questa sensazione è maggiormente amplificata dalla

contraddittorietà che emerge dall’analisi delle norme riguardanti il rapporto tra segreto confermato e processo penale, infatti al comma 5 dell'art. 202 c.p.p. si pone un divieto probatorio assoluto, inibendo al magistrato l'acquisizione e l'utilizzazione diretta e

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indiretta, delle notizie coperte da segreto, per poi giungere nei commi successivi a contraddire ciò che è stato appena affermato stabilendo che l’opposizione e la successiva conferma hanno efficacia preclusiva solo relativa; visto che da una parte, si precisa che non è in ogni caso impedito di procedere in base ad elementi autonomi ed indipendenti dagli atti, documenti e cose coperte dal segreto; dall'altra, considerandosi l'ipotesi in cui venga sollevato conflitto di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale, si specifica che la risoluzione del medesimo, nel senso della sussistenza del segreto di Stato, determina, di nuovo, una preclusione nell'acquisizione nell'utilizzazione, diretta ed indiretta, degli atti e documenti (e non delle notizie) sui quali è stato opposto il segreto di Stato.

Pertanto, stabilire il corretto comportamento cui debba attenersi il magistrato innanzi ad un segreto legittimamente opposto e confermato non è per niente agevole, dato che le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 dell'art. 202 c.p.p. sono ispirate a rationes differenti e addirittura contrastanti, sicché diviene molto complesso definire il divieto probatorio che scaturisca dalle esigenze di tutela degli arcana. Sembra che la legge n. 124 del 2007, pur volendo dettare una disciplina basata su criteri oggettivi e assoluti, abbia infine ripiegato su una soluzione di compromesso, forse a causa del riemergere dei

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sospetti che tradizionalmente avvolgono gli arcana imperii, stabilendo ampi spazi per l’esercizio della funzione giurisdizionale.

Questo sembra essere dimostrato dal fatto che le forti affermazioni di principio contenute nell'art. 39 non trovino alcuna seguito nei due articoli successivi. Il timore che il segreto potesse esser ancora percepito come un odioso strumento di cui il Governo si serva per evitare scomode indagini, ha impedito la creazione di un sistema di tutela coerente con le premesse di partenza (e desumibili dalla lettura dei lavori parlamentari).

A ciò hanno concorso non solo i condizionamenti di eventi in cui il segreto di Stato sembrava, in effetti, più uno strumento di potere che una garanzia alla sicurezza della Repubblica, ma anche la reticenza della giurisprudenza costituzionale (che tanto ha influenzato i lavori parlamentari) a riconoscere negli arcana una essenza‖processuale che possa dirsi coerente con la ricostruzione ontologica dell’istituto.

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3.2 Meccanismi della disciplina processuale del segreto: