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46 Vaira M., (2001) Vivere la modernità radicale Uno sguardo sociologico, in Circolo Degl

1.3 Razionalismo e Pensiero debole

Verità vs opinione, positivismo vs interpretativismo, olismo vs individualismo, universalismo vs soggettivismo, razionalismo vs empirismo sono solo alcune delle contrapposizioni che esplicano quel desiderio umano di giungere alla conoscenza poiché come sosteneva Dante “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.”93

Nel 1861 in un interessantissimo libretto intitolato Razionalismo del popolo Cristoforo Bonavino scrive:

“Per troncar le radici al sensismo o empirismo, che non ammette altra fonte della cognizione fuorchè i dati materiali ed esterni dell‟esperienza, rimisesi in voga il sistema, che pone il fondamento del sapere nei concetti e nelle idee della ragione, e che non deriva tutte le nozioni dall‟esperienza sensibili, ma parte ne suppone d‟innate e connaturate allo spirito umano, che la ragione scopre da sé in sé stessa. Indi la sua qualificazione di razionalismo.”94

91 Bauman Z., (2006) Modernità Liquida, Laterza, Roma-Bari p. 133 92 Ibidem

93 Cfr. Alighieri D., Divina Commedia - Inferno XXVI 94

Bonavino la definisce “teorica della realtà objetitva delle sustanze”95

per porre l‟accento ad esempio sull‟innatismo platonico o sull‟apriorismo cartesiano. Il razionalismo prende come elemento base l‟assunto che il mondo esterno, così come anche quello interiore all‟uomo, possono essere conosciuti solo mediante l‟intelletto; è la persuasione che la realtà e l‟essere siano strutturati in modo analogo al nostro pensiero, e che perciò i rapporti che regolano il processo razionale siano uguali a quelli presenti nell'organizzazione del mondo esterno. Di qui la convinzione che la ragione abbia la possibilità di penetrare nella realtà esterna e di esaurirne la conoscenza.96

L‟origine della diatriba tra razionalità e irrazionalità è antica. La grande enfasi posta sulla ragione è da attribuire all‟Illuminismo e alla sua ferrea volontà di superare l‟oscurità dogmatica del medioevo. Kant ad esempio, riprendendo dall‟Illuminismo la fiducia nella razionalità, nella sua Critica della ragion pura la supera, estendendola oltre la conoscenza del mondo finito. Con Kant la ragione acquisisce quella sovranità, anche metafisica, che non riconoscerà alcun giudice al di fuori di sé stessa. Al razionalismo estremo di Kant, che poi egli supererà a favore dell‟empirismo, si contrappone il pensiero di Hegel che, con il suo Ciò che

è razionale, è reale; ciò che è reale, è razionale, innalza la ragione dal campo

umano al mondo della metafisica; la razionalità così intesa smette di essere pura astrazione97 e si inserisce, come insieme delle leggi che la regolano, all‟interno del mondo dominato da un ordine razionale.

A proposito del pensiero sociologico, ciò che interessa è comprendere quale sia il ruolo che la ragione e la razionalità assumono nella logica dell‟agire umano. Una delle classiche variabili interpretative è sicuramente la dicotomia olismo/individualismo – oggettivismo/soggettivismo. L‟oggettivismo olistico, riscontrabile ad esempio nello Strutturalismo di Marx o nel Funzionalismo di Parsons, considera l‟azione sociale come risultato della profonda influenza che la struttura sociale esercita sull‟agire individuale; ad esso si contrappone il soggettivismo individualista, quello tipico dell‟individualismo metodologico di

95

Ibidem

96 Cfr. Enciclopedia delle scienze umane, Filosofia, www.sapere.it

97 Il concetto di astrazione è da ricollegarsi in filosofia al metodo logico per ottenere concetti

universali, ricavandoli dalla conoscenza sensibile di oggetti particolari mettendo da parte ogni loro caratteristica spazio-temporale.

Weber, che considera i fenomeni sociali come il risultato delle singole azioni individuali. All‟interno di questa contrapposizione dicotomica s‟inserisce, ovviamente, anche il modo di considerare la razionalità.

Dal punto di vista sociologico il rapporto tra razionalità ed agire sociale è particolarmente rilevante per comprendere “la formazione delle norme e dei valori; l‟influenza delle credenze religiose; lo sviluppo del sistema economico e l‟interdipendenza con la struttura sociale; l‟evoluzione delle diverse forme di società e i relativi processi di socializzazione”.98

Rispetto all‟olismo tale rapporto può essere compreso analizzando l‟olismo strutturalistico di Durkheim e Marx e quello struttural-funzionalistico di Parsons per i quali “la società o il sistema, attraverso le proprie strutture [sociali ed economiche] orienta normativamente i singoli e ne determina necessariamente l‟azione”.99

Rispetto all‟individualismo, troviamo la razionalità orientata allo scopo di Weber, l‟individualismo fenomenologico e soggettivistico di Ardigò e l‟interazionismo simbolico di Mead. Seguendo lo schema che Antonio Cocozza propone nel suo testo (2005, op.cit), possiamo iniziare a delineare le principali differenze relative ai due paradigmi: alla scarsa fiducia nella natura umana, tipica dell‟olismo, l‟individualismo contrappone invece un‟elevata fiducia; l‟olismo, rispetto alla natura della realtà collettiva, propone un modello sovra-individuale e autonomo rispetto all‟agire umano, contrapposto al modello non autonomo dell‟individualismo; gli atti sociali sono per l‟olismo non intenzionali (comportamenti), mentre sono intenzionali (azioni sociali) per l‟individualismo. L‟origine dell‟agire sociale è determinato, secondo l‟olismo, da cause esterne non strettamente dipendenti dalla volontà individuale e sono invece interne, frutto dell‟intenzionalità soggettiva, per l‟individualismo; se per l‟olismo i fenomeni sociali sono derivanti o conseguenti da altri fenomeni sociali, per l‟individualismo lo sono da altre azioni individuali aggregate; ad una concezione materialistica l‟individualismo ne contrappone una idealistica, così come ad un focus sull‟ordine sociale viene contrapposto quello sul controllo sociale. Ne consegue un interesse da parte dell‟olismo per la struttura, i sistemi, i gruppi sociali, i partiti politici nonché per le classi sociali, in

98 Cocozza A., (2005) La razionalità nel pensiero sociologico tra olismo e individualismo,

FrancoAngeli, Milano p. 20

99

contrapposizione all‟individualismo che prende in considerazione l‟individuo inserito in situazioni specifiche.

Le questioni che Durkheim ha sollevato nella sua ricerca includono “il problema di come la società si mantiene unita, che cosa esattamente inizi i grandi mutamenti sociali, quale sia precisamente l‟elemento sociale della vita umana, e se sia possibile stabilire una coscienza della società”.100

Rispetto al fattore dell‟ordine sociale, il sociologo ha introdotto il concetto di solidarietà morale grazie al quale è possibile spiegare l‟esistenza di due differenti tipi di società: quella in cui predomina una solidarietà meccanica, tipica delle società pre-moderne, e quella in cui predomina una solidarietà organica, tipica delle società moderne.101 “Ciò che lo [ha] spinto a intraprendere questa ricerca [è stata] la critica alla filosofia individualistica e utilitaristica allora dominante, che sosteneva che la società è composta di individui che agiscono in modo tale da soddisfare le loro esigenze personali, e nel fare ciò entrano in rapporti contrattuali che in seguito formano la base di un ordine sociale”.102

Il pensiero di Durkheim si contrappone in particolare a tutte quelle discipline che pongono l‟attenzione sull‟individuo, come ad esempio la psicologia: “Egli era preoccupato di distinguere la sociologia non dalla storia ma dalla psicologia […] perciò tenne a dimostrare che non bisogna confondere i fenomeni psichici con quelli sociali”.103 Il razionalismo durkheimiano si riscontra nella contrapposizione a quei pensatori, come Gabriel Tarde, che “aveva(no) cercato di spiegare i fenomeni sociali in termini di caratteristiche degli individui”.104

Per confutare la tesi che i fenomeni sociali fossero strettamente interdipendenti con la volontà individuale egli introdusse, ne

Le regole del metodo sociologico, l‟idea che tali fenomeni sociali esistessero fuori

dall‟individuo e che impartissero ad essi obblighi e regole morali, definendoli fatti

sociali: “Tutti i fenomeni sociali sono cose e devono venire trattati come cose

[…] è una cosa tutto ciò che è dato, tutto ciò che si offre e si impone

100 Duncan Mitchell G., (1971) Storia della sociologia moderna, Mondadori, Milano p. 89

101 Cfr. Durkheim E., (1893) De la division du travail social: étude sur l‟organisation des sociétés supérieures, tr.it. (1977) La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano

102 Duncan Mitchell G., (1971) Storia della sociologia moderna, Mondadori, Milano p. 92

103 Rocher G., (1980) Introduzione alla sociologia generale. L‟azione e l‟organizzazione sociale. Il cambiamento sociale, SugarCo Edizioni, Milano p. 29

104

all‟osservazione. Considerare i fenomeni come cose significa considerarli in qualità di data che costituiscono il punto di partenza della scienza”.105

Rispetto alla concezione dell‟azione sociale questa possiede, secondo Durkheim, un carattere propriamente sociale e “deriva dal fatto che obbedisce a modi collettivi di agire, di pensare e di sentire, che sono esterni alle persone e che hanno sulla loro condotta un potere di costrizione”.106

Il potere dei cosiddetti modi di agire, associabili all‟interno di una società con le norme, le regole e i modelli, deriva dal fatto che ogni individuo per essere accettato e compreso dalla società in cui vive, deve necessariamente sottostare a quelle che sono le direttive collettivamente condivise. Deve cioè seguire un orientamento normativo

dell‟azione. La stessa forma dell‟interazione sociale tra gli individui non è

soggettivamente determinata ma corrispondente ad una struttura: “L‟azione umana è socievole perché si inscrive in una struttura d‟azione modellata su norme o regole collettive o comuni cui essa s‟ispira”.107

Il carattere sociale dell‟azione umana è, inoltre, ben esplicato ne Il suicidio, nel quale l‟autore prende in analisi la massima esplicazione della volontà soggettiva per spiegare in che modo la struttura sociale influisca sull‟azione individuale. Dopo aver escluso dalla sua indagine tutti quei fattori considerati “psicologici” come la suggestionabilità o l‟imitazione, e tutti quei fattori extra-sociali quali la razza, il clima o la geografia, si concentra sui fattori sociali: “Le cause dell‟attitudine suicida in ciascuna società devono essere rintracciate nella natura stessa di tali società”.108

Il materialismo storico di Marx, rovesciando il razionalismo assoluto di Hegel, si inserisce all‟interno del paradigma dell‟olismo strutturalistico. L‟approccio strutturalistico in Marx possiede, rispetto allo strutturalismo in senso stretto, un legame indissolubile con il materialismo storico; se per lo strutturalismo le trasformazioni derivano da leggi interne alle stesse strutture sociali, per Marx la storia umana e l‟ordine sociale derivano da elementi strutturali materiali come

105 Durkheim E., (1969) Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia. Edizioni di

Comunità, Milano p. 44

106 Rocher G., (1980) Introduzione alla sociologia generale. L‟azione e l‟organizzazione sociale. Il cambiamento sociale, SugarCo Edizioni, Milano p. 35

107 Ivi, p. 38 108

l‟economia. Lo strutturalismo di Marx si incentra, infatti, sull‟importanza che il filosofo attribuisce alla struttura economica di una società, la quale “pur essendo inizialmente creata dagli individui, si impone a questi ultimi dall‟esterno assumendo i connotati di una struttura dotata di una forza impersonale”.109

L‟economia, all‟interno della prassi110

marxiana, funge da variabile indipendente per spiegare la variabile dipendente: la politica. In tal modo è possibile, analizzando la struttura economica, che per Marx è la struttura sociale, accedere alla natura dei fattori sociali. La struttura economica, intesa in termini di modi di produzione della vita materiale, di natura delle forze e dei mezzi di produzione, influisce in maniera diretta sulla stessa natura del pensiero individuale, da cui deriva una profonda identificazione soggettiva in termini di condizione socio- economica e appartenenza di classe; “nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L‟insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale su cui si eleva una sovrastruttura economica e politica, e alle quali corrispondono forme determinate di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita”.111 Rispetto all‟azione individuale, la teoria strutturalista attribuisce alle strutture sociali il potere di determinare la natura dell‟azione stessa; in tale ottica le motivazioni soggettive degli agenti si sottomettono alla spinta di vincoli esterni immodificabili. Il concetto di dipendenza individuale da vincoli forzati viene ben esplicato da Marx stesso: “Gli uomini sono gli autori della propria storia, ma non la plasmano con materiali liberamente scelti, bensì nelle condizioni immediatamente presenti, determinate dai fatti e dalla tradizione”.112 Gli stessi rapporti sociali sono per Marx strettamente legati al carattere dei mezzi di

109 Cesareo V., (2003) Sociologia. Teorie a problemi, V&P, Milano pp. 23-24

110 Per approfondire il concetto di prassi, consultare le opere di Antonio Labriola e Antonio

Gramsci, (1948) Quaderni dal carcere (1997) UTET Università, Torino

111 Marx K., (1859) Per la critica dell‟economia politica, tr.it. (1969) Editori Riuniti, Roma p. 4 112 Marx K., (1852) Der achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte, in Die Revolution, 1852, n. 1

p. 9, tr.it. Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, in Marx K., Engels F., (1982) Opere complete, vol. XI, Editori Riuniti, Roma

produzione; nell‟articolo pubblicato nel 1849 dal titolo Lavoro salariato e

capitale, Marx scrive: “Nella produzione gli uomini non agiscono soltanto sulla

natura, ma anche gli uni sugli altri. Essi producono soltanto in quanto collaborano in un determinato modo e scambiano reciprocamente le proprie attività. Per produrre essi entrano gli uni con gli altri in determinati legami e rapporti, e la loro azione sulla natura, la produzione, ha luogo soltanto nel quadro di questi legami e rapporti sociali. […] I rapporti di produzione costituiscono nel loro assieme ciò che riceve il nome di rapporti sociali”.113

Nello schema teorico marxiano dunque la razionalità umana agisce storicamente sulla spinta degli interessi di classe; a tal proposito Popper scrive: “Marx era un razionalista. Come Socrate e come Kant, egli credeva nella ragione come base dell‟unità del genere umano ma la sua dottrina, [secondo cui] le nostre opinioni sono determinate dall‟interesse di classe, accelerò il declino di questa fede. […] Marx ha finito col minare dalle fondamenta la fiducia razionalistica nella ragione. Così […] l‟atteggiamento razionalistico nei confronti dei problemi sociali ed economici non poté opporre resistenza quando la profezia storicistica e l‟irrazionalismo oracolare sferrarono un attacco contro di esso. Questa è la ragione per cui il conflitto tra razionalismo e irrazionalismo è diventato il più importante problema intellettuale e forse anche morale del nostro tempo”.114

Lo struttural-funzionalismo di Parsons, invece, viene così definito poiché spiega il sistema sociale e l‟organizzazione in termini di struttura e funzione. La struttura consiste “nei modelli istituzionalizzati della cultura normativa”,115

ossia essa “è la risultante del processo di istituzionalizzazione […] in quanto composta da elementi culturali trascritti nei modelli di azione sociale”.116

Il sistema sociale viene considerato come costituito di parti funzionalmente determinate che agiscono le une in equilibrio con le altre secondo il noto schema AGIL che esprime però tutti i limiti del funzionalismo parsonsiano a causa dell‟eccessiva universalizzazione del modello, utilizzabile, secondo l‟autore, per spiegare il corretto funzionamento di ogni tipo di società.

113

Marx K., (1971) Lavoro salariato e capitale, Editori Riuniti, Roma p. 47

114 Popper K. R., (2002) La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma p. 507

115 Rocher G., (1980) Introduzione alla sociologia generale. L‟azione e l‟organizzazione sociale. Il cambiamento sociale, SugarCo Edizioni, Milano p. 309

116

In tale ottica la stessa azione individuale viene vista in funzione del sistema sociale; gli individui agiscono particolarmente in base a determinate norme apprese mediante il processo di socializzazione, funzionale a garantire l‟integrità generale del sistema sociale. Rispetto al concetto di azione parsonsiana essa può essere spiegata come “ogni possibile condotta umana, individuale o collettiva, consapevole o inconsapevole”117 che deve essere considerata nel suo senso più ampio e che deve comprendere non solamente i comportamenti osservabili dell‟agire umano ma anche quelli interiormente definiti come i pensieri, i desideri e i sentimenti. In accordo con il pensiero funzionalistico, l‟autore delinea quattro contesti all‟interno dei quali l‟azione si inserisce e ai quali deve sempre riferirsi in una logica di unitarietà: il contesto biologico, identificato con l‟organismo; il contesto psichico; il contesto sociale identificato dai processi relazionali tra gli individui; il contesto culturale identificato con le norme e i valori. Quest‟ultime sono particolarmente importanti perché rappresentano le componenti strutturali del sistema stesso, ossia quegli elementi stabili considerati come costanti nell‟analisi parsonsiana. Il razionalismo di Parsons, nelle considerazioni sull‟azione, ben si evince dalle stesse parole dell‟autore: “L‟azione è razionale in quanto esiste la probabilità scientificamente dimostrabile che i mezzi impiegati porteranno, entro le condizioni della situazione effettiva, al raggiungimento e al mantenimento di quello stato di cose futuro che l‟attore si pone come fine”.118

Al paradigma olistico si contrappone l‟individualismo metodologico che Boudon considera un paradigma delle scienze sociali definibile sulla base di un postulato

dell‟individualismo, secondo cui ogni fenomeno sociale è il risultato di una

combinazione di azioni, credenze e opinioni personali; un postulato della

comprensione, che consiste nel comprendere il perché di tali azioni, credenze e

opinioni; un postulato della razionalità, che identifica la causa delle azioni in base alle ragioni insite nell‟azione stessa.119

L‟individualismo metodologico può essere compreso a partire dal pensiero di Weber per il quale le strutture sociali come lo stato, le organizzazioni economiche e la famiglia sono il risultato di processi

117

Ivi, p. 304

118 Parsons T., (1937) The structure of social actions, tr.it Giannotta M.A. (1987) La struttura dell‟azione sociale, Il Mulino, Bologna p. 312

119 Cfr. Boudon R., (2002) Théorie du choix rationel ou individualisme méthodologique?

legati fondamentalmente all‟agire dei singoli individui. La teoria sociologica weberiana viene definita, in tal senso, sociologia comprendente, il cui metodo consiste nel “comprendere l‟agire di uno o più individui i quali associano al proprio comportamento un senso oggettivo”.120

Con il termine agire, in Economia e società, Weber intende “un atteggiamento umano (sia esso un fare o un tralasciare o un subire, di carattere interno o esterno), se e in quanto l‟individuo che agisce o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso oggettivo”;121

l‟agire diviene sociale invece “nella misura in cui, in forza del significato soggettivo che l‟individuo, o gli individui agenti le attribuiscono, essa tiene conto del comportamento degli altri e ne è a sua volta influenzata”.122

Ne consegue che per l‟autore non tutte le forme di agire possono essere considerate azione, ma solamente quelle che, in base al significato oggettivo, sono dotate di senso, ossia possiedono un valore di simbolo per il soggetto agente e per gli altri soggetti. Di contro, affinché l‟azione sia considerata sociale, è necessario che gli individui coinvolti tengano sempre conto dell‟agire di tutti gli altri soggetti.123 Weber tende a precisare però che “l‟agire sociale non si identifica né con un agire uniforme di più individui, né con un agire qualsiasi influenzato dall‟atteggiamento degli altri”,124

come ad esempio l‟agire

condizionato di massa che è determinato non dal senso ma da un

condizionamento passivo esercitato sull‟individuo dalla semplice azione di massa. La razionalità, nel pensiero weberiano, s‟inserisce appunto all‟interno di questa logica: per Weber ogni azione è dotata di senso solo nella misura in cui essa è intenzionale e si può classificare in base ad un livello decrescente di razionalità. Secondo la quadripartizione ben nota esiste: l‟azione razionale rispetto allo scopo in cui la valutazione razionale è da riferirsi alla scelta dei mezzi più efficaci per giungere a tale scopo; l‟azione razionale rispetto al valore in cui la razionalità risiede nella scelta dei mezzi per il raggiungimento di uno scopo che però non

120 Cesareo V., (1993) Sociologia. Teorie e problemi, V&P, Milano p. 14

121 Weber M., (1922) Economia e società, tr.it. (1961) Edizioni di Comunità, Milano p. 4 122 Ibidem

123

É necessario precisare che esiste un terzo elemento determinante l‟azione sociale:

l‟orientamento culturale; per Weber affinché l‟azione sia interamente sociale è necessario che tutti

gli attori coinvolti comprendano il significato dell‟azione e questo è possibile solo se tutti gli attori coinvolti condividono lo stesso codice di segni, ossia un medesimo patrimonio culturale.

124

viene scelto ma assunto come tale; l‟agire (non razionale) affettivo e l‟agire (non

razionale) tradizionale, in cui l‟azione è determinata da fattori di tipo emotivo e

da modelli di comportamento tramandati nel tempo. L‟escludere il carattere razionale dall‟agire affettivo e da quello tradizionale è dovuto al fatto che Weber, opponendosi al tradizionalismo, riteneva la razionalità fondata sulla convinzione che la spiegazione delle cose fosse da ricercarsi nelle cose stesse e non al di fuori di esse, nella tradizione o nel mito; “una verità è accettata riconosciuta come tale non perché è sempre esistita o perché sia stata rivelata, ma in quanto logicamente dimostrabile e sperimentabile”.125

Interessante, rispetto alla razionalità dell‟azione, è l‟elaborazione teorica di Pareto, esplicata nel Trattato di sociologia del 1916 all‟interno del quale l‟autore tenta di superare l‟ipotesi che l‟agire rispetto allo scopo non sia sempre guidato dalla razionalità, ma spesso determinato da una non-logica, e quindi da