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Rebo Rigotti: breve ritratto dell’antesignano genetista

Nel documento Annuario 2018/2019 (pagine 118-122)

di S. Michele

FRANCESCO SPAGNOLLI già Dirigente scolastico

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alcuni degli incroci viticoli effettuati da Rigotti e, viste le mutate norme legislative in materia, di provvedere ad iscriverli (dopo un’appropriata “cerimonia di battesimo”) nel Cata- logo nazionale delle varietà di uva da vino: fu così che l’incrocio Rigotti 107/3 venne inserito, nel 1978, al nu- mero 301 con il nome di “Rebo”. Ma facciamo un passo indietro: Rebo Rigotti nacque a Padergnone, in prossimità dei laghi di Toblino e di Santa Massenza, in un’area vitico- la particolarmente vocata alla pro- duzione del Vino Santo, l’11 luglio 1891 in una famiglia contadina e fu il primo di cinque fratelli (Sennen, Gennaro, Fabio e Quintino gli altri). Compì gli studi agrari a S. Michele (dal 1905 al 1907). Dal 1919 al 1921 fu rilevatore dei danni di guerra al Genio Civile di Rovereto, mentre dal ’21 al ’23 operò come ispettore delle Cantine Sociali della Regione Trenti- no-A.A. e successivamente divenne direttore dei vivai viticolo-pomologi- ci del Consiglio Agrario Provinciale di Trento dove, tra l’altro, collaborò con l’insigne fitopatologo Giulio Catoni. Nel 1928, a seguito di una norma per così dire transitoria, riguardante la professione del Perito Agrario, nor- ma che si riferiva anche ai diplomati della Scuola di S. Michele, in quan- to la stessa fino al 1918 operava nel territorio dell’Impero Asburgico, ed assieme ad altri ex compagni di cor-

so e non, sostenne a Conegliano gli esami per diventare Perito Agrario, a tutti gli effetti delle leggi del Regno d’Italia.

Nel 1936, per concorso ministeriale, approda alla stazione sperimentale agraria di S. Michele dove, nei suc- cessivi 25 anni, svolge un’immensa mole di lavoro di ricerca improntata soprattutto sul miglioramento gene- tico delle principali specie vegetali oggetto di coltivazione in provincia di Trento ed in particolare vite, melo, patata, frumento ed erba medica. Tuttavia il suo terreno d’indagine preferito era rappresentato dalla vite per la quale si prefisse, nell’arco di tempo di un quindicennio (1936- 1950) di realizzare un vasto progetto di miglioramento varietale attraverso una serie di incroci (quindi tra culti- var appartenenti alla specie Vitis vi-

nifiera L.) allo scopo di realizzare viti-

gni di pregio usando come materiale di base varietà “fini” locali e varietà “fini” straniere (oggi si direbbe culti- var autoctone e cultivar alloctone). A proposito di questi incroci, spesso si parla della “birichinata” che a Rebo Rigotti avrebbe combinato Ferdinan- do Tonon (per un certo periodo suo fidato assistente alla sperimenta- zione, anche se di fede politica ben diversa), il quale mescolò i pollini predisposti per gli incroci, facendo così in modo che il “padre” del Rebo non fosse il Marzemino gentile, ben-

Apparecchio Rigotti per la determinazione dell’indice di resistenza nelle uve da tavola

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sì il Teroldego. Lo stesso Tonon, in un convegno svoltosi a Padergnone qualche anno fa, ha ammesso che “una folata di vento entrata dalla fi- nestra avrebbe mescolato i pollini” e che lui li raccolse alla spicciolata rimettendoli negli appositi conteni- tori etichettati, facendo finta che non fosse successo nulla, al fine di evi- tare rimproveri da parte del “Capo”, estremamente suscettibile quando veniva a mancare la “rigorosità del lavoro”. Tuttavia, analizzando obiet- tivamente la storia, sembra che que- sto episodio risulti poco probabile, dal momento che Rigotti effettuò la serie di incroci che portarono al Rebo nel 1948, mentre Tonon gli fu assistente, saltuariamente, dal 1938 al 1946. Siccome anche il Sennen (I.R. 107/2) ha gli stessi parentali (Merlot e Teroldego), è probabile che l’errore sia stato causato da uno scambio di etichette nelle fasi iniziali dei trapianti e/o delle prime moltipli- cazioni (U. Malossini).

Comunque siano andate le cose, la collaborazione tra i due fu così in- tensa e gli obbiettivi da perseguire ampiamente condivisi, che furono entrambi “pilastri” nella predispo- sizione della “carta viticola della Provincia di Trento”, il documento fondamentale che censiva particella per particella, varietà per varietà, Co- mune per Comune, tutto il sistema vitivinicolo trentino: un vero e pro- prio antesignano dell’attuale cata-

sto, dove i mezzi più o meno potenti dell’informatica hanno sostituito quell’enorme quanto capillare lavoro costituito da minuziosi sopralluoghi con gli strumenti e le metodologie di allora (1951).

Rigotti era perfettamente conscio delle sue conoscenze e del suo va- lore, ma tutt’altro che ambizioso di scrivere il suo nome (non il cogno- me) nella storia futura dei suoi in- croci. Fu così che preferì chiamarli semplicemente “Incroci Rigotti” seguiti da due numeri, il primo dei quali indicava la serie ed il secondo la linea (cioè il semenzale): il 107/3 rappresentava pertanto la vite nata da seme della serie 107 di incroci e dal vinacciolo numero 3.

Rebo Rigotti era, oltre che uno scienziato-agronomo-genetista, an- che un grande divulgatore: sapeva sia scrivere in maniera estrema- mente comprensibile “dai più”, sia parlare ad un pubblico che spesso si dimostrava culturalmente molto variegato; emblematico è il suo “ma- nuale di agraria” dove condensa le conoscenze scientifiche del tempo e le coniuga perfettamente con gli aspetti applicativi (che, tra l’altro, lui aveva vissuto personalmente), come altrettanto frequentate furono le sue “conferenze” dalla cattedra ambulan- te di agricoltura.

Quest’ultimo particolare testimonia che non voleva assolutamente chiu- dersi nella “torre di avorio” della ri- cerca, ma restare ancorato al territo- rio, in particolare a quello della “sua” Padergnone, dove il fratello Sennen gli dava “una mano” nel coltivare se- menzali di vite, innesti melo, campi di patate e di erba medica.

Ma Padergnone e Valle dei Laghi significava anche, allora come ora, “Vino Santo” ed a questa vera e pro- pria “perla enologica” (tra l’altro pro- dotta già dal padre Pietro) dedicò non pochi sforzi per “normalizzare” la tecnologia produttiva e ridurre l’aleatorietà dovuta alle condizioni di appassimento ed al “marciume nobile”: per questo nelle immedia- te vicinanze della casa di famiglia fece edificare l’”essiccatoio”, una co-

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struzione fatta appositamente per l’appassimento delle uve Nosiola da Vino Santo e predisposta in ma- niera tale da sfruttare perfettamen- te l’influenza dell’Ora del Garda, la ben nota brezza che svolge un ruolo tutt’altro che trascurabile nella disi- dratazione degli acini.

Ma il suo “cruccio” era il marciume nobile, di cui aveva intuito il ruolo determinante ai fini organolettici e qualitativi: per questo prese contatti (agli inizi degli anni ’20) con il famo- so micologo solandro don Giacomo Bresadola al fine di poter selezionare qualche ceppo di Botritis Cinerea che potesse essere coltivato, ovviamente su idoneo substrato, e quindi “inocu- lato” per provocare l’infavatura: i ten- tativi non riuscirono, ma la sua intui- zione lasciò un segno indelebile nelle conoscenze dello sviluppo endofitico che tanto caratterizza grandissimi vini di tutto il mondo enologico (Sau- ternes, Beerenauslese, Tokaij, ecc.). Oltre che valido quanto coscienzio- so ricercatore, Rebo Rigotti era an- che una felice penna non solo nel- lo scrivere, ma pure nel disegnare: a dir poco “ammirabili” restano le sue “Tavole” di meteorologia (dise- gni perfetti dei vari tipi di nubi), gli schizzi (dotati di una straordinaria perfezione nell’evidenziare gli aspetti scientificamente rilevanti) relativi agli ecotipi di erba medica da lui stesso selezionati, od alle cultivar di patata ottenute per incrocio: un “Raffaello” dell’agricoltura insomma!

Tutti ritengono comunque che il suo capolavoro debbano essere conside- rati l’impegno profuso ed i risultati ottenuti nel campo della genetica della vite alla quale lavorò dal 1924 al 1950; in particolare dal 1937 al 1950 realizzò tutta quella serie di incroci con l’obiettivo di ottenere pregevoli vitigni sotto l’aspetto qua- litativo e che fondessero i requisiti di finezza tra gli stranieri ed i locali: da questo lavoro, oltre al già citato Rebo, ottenne anche il Sennen (I.R. 107/2), il Goldtraminer (I.R. 84/11), il Gosen (I.R. 123/4) ed altri ancora tra i quali due varietà da tavola che, per via della particolare forma dell’acino,

lui stesso chiamò rispettivamente “Dattero bianco” e “Dattero nero”. Fin dai tempi di S.Michele (da stu- dente) ho sempre avuto grande ammirazione per quell’enciclopedi- co personaggio per cui, quando ho incominciato a piantare vigneti in quel di Cimone, non ho potuto fare a meno di dedicare un piccolo ap- pezzamento sperimentale alla col- tivazione di alcuni dei suoi incroci e tra questi Rebo, Sennen e Gold Tra- miner. Dai risultati ottenuti (ormai sono passati più di vent’anni) pos- so affermare che in quell’ambiente e a quella quota (600 m slm circa) il Sennen fornisce risultati decisamen- te migliori del Rebo (grappolo più spargolo e di minor sensibilità alla

Botritis), ma quello che mi ha entu-

siasmato è il Goldtraminer con aci- ni a buccia relativamente spessa, in grado di sopportare perfettamente un appassimento in pianta (vendem- mia tardiva).

Rebo Rigotti, che si è spento a Trento il 9 settembre 1971, è stato ed è spes- so ricordato in molti incontri e conve- gni, un antesignano, mentre il frutto del suo lavoro (in particolare viticolo) ha ormai varcato da tempo i confini provinciali: raccogliere i vini ottenuti dai suoi vitigni, magari proprio a S. Michele (sua scuola e suo principale posto di lavoro), per farne un’interes- sante mostra potrebbe esser un’idea per regalargli un sincero quanto me- ritato “brindisi alla memoria”.

Disegno di Rebo Rigotti, raffigurante l’incrocio 110/1

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Esistono all’interno di qualsiasi per- corso scolastico dei momenti cru- ciali che vengono meditati ed attesi da noi studenti con l’impazienza e la trepidazione che si riserva agli eventi più importanti.

Il Corso Enotecnico è un condensa- to di questi momenti, ma fra tutti il Viaggio di fine corso occupa sicura- mente un posto di primo piano nelle nostre aspettative.

Già a novembre, all’indomani del ri- entro dai tirocini vendemmiali, si ini- zia a discutere sulla possibile meta. Nelle fredde mattinate d’inverno c’è chi propone la tradizionalissima Francia, chi una nuova riscoperta del nostro Belpaese e chi sostiene sia ir- rinunciabile una visita alle soleggiate valli del Douro; ma fra tutte le op- zioni, silenziosamente una diventa predominante: allontanarsi, in sen-

so geografico e non, dalle culle della viticoltura ed enologia tradizionali per scoprire realtà particolarissime come quella dei tropici europei: le isole Canarie.

L’idea ha subito trovato l’entusiasmo e la collaborazione dei nostri docen- ti che, vinte le ultime perplessità, ci hanno aiutato nell’organizzazione. In particolare gli accompagnatori Luca Russo e Sergio Moser si sono subito attivati per contattare agenzie, al- bergatori ed Alessandro Condini, ex studente 6S ora Agronomo e libero professionista, che si rivelerà poi ele- mento fondamentale per la buona riuscita del viaggio.

Così, lasciandoci alle spalle l’espe- rienza dell’Enomarcia da poco con- clusa, domenica 4 maggio ci ritro- viamo seduti su di un volo Ryanair in direzione Tenerife, l’isola con la

GIACOMO SALTORI

ex studente Corso enotecnico

Tra i caschi di banane, ospiti della Finca la Laja (Buenavista del Norte)

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