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continuità e discontinuità

1. Il reddito di cittadinanza: una nuova politica attiva del lavoro?

La legge di stabilità per il 20191 ha disposto l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un Fondo ad hoc2 per finanziare l’introduzione nell’ordinamento del c.d. reddito di cittadinanza (RdC). Con il d.l. n. 4 del 28 gennaio 2019 (d’ora in-nanzi decreto) è stata disciplinata nel dettaglio questa misura. Tra i due atti legislativi è possibile notare uno slittamento definitorio

* Le opinioni espresse dall’Autore non impegnano l’Istituto di appartenenza.

1 Cfr. art. 1, comma 255, l. 30 dicembre 2018, n. 145.

2 Tale Fondo ha una dotazione pari a 7.100 milioni di euro per il 2019, 8.055 per il 2020 e a 8.317 a decorrere dal 2021.

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di non poco conto: nel primo il RdC è definito «misura contro la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale», nel secondo, e più recente (lex posterior derogat priori), «misura fondamentale di politica attiva del lavoro»3. Proprio questo slittamento – è dive-nuta una misura di politica del lavoro – giustifica, a nostro avvi-so, l’esigenza di focalizzare l’attenzione sulla disciplina volta ad

“attivare” i beneficiari di questo nuovo sostegno economico, ov-verosia, utilizzando l’accattivante espressione impiegata in occa-sione della presentazione della misura, sulle “norme anti-divano”.

È d’altro canto dagli inizi degli anni Novanta che le massime isti-tuzioni internazionali suggeriscono l’adozione di Politiche attive del lavoro (Pal), in sostituzione delle costose e delle, ritenute inefficienti, politiche passive di mero sostegno economico4. Pe-raltro, almeno a livello europeo, il ruolo delle Pal, è andato nel tempo progressivamente crescendo, una volta sposata la c.d. Fle-xicurity, la strategia coordinata di riforma delle politiche per l’occupazione5. Le politiche attive costituiscono, infatti, la base su cui poggia il triangolo d’oro della flessicurezza, in quanto queste ul-time attivano quanti beneficiano di un sussidio di disoccupazio-ne, poiché espulsi dal mercato a fronte della flessibilità contrat-tuale, per ricollocarli velocemente nello stesso mercato.

3 Cfr. art. 1, comma 1, decreto.

4 Vedi in proposito il Libro bianco c.d. Delors su Crescita, competitività, occu-pazione della Commissione europea del dicembre 1993 e il Jobs Study dell’anno successivo dell’Ocse (settima policy recommendation). In entrambi i documenti si raccomandava l’espansione ed il rafforzamento di queste poli-tiche a scapito di quelle passive.

5 In estrema sintesi, questa strategia coordinata di riforma si fonda su tre componenti politiche principali: forme contrattuali flessibili e affidabili; ef-ficaci politiche attive del mercato del lavoro e, infine, moderni sistemi di si-curezza sociale.

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Nella concezione più risalente di origine scandinava, le Pal sono di tipo inclusivo, rivolte cioè a favorire l’inclusione di gruppi par-ticolarmente svantaggiati nel mercato del lavoro, ma comunque attente all’innalzamento del loro capitale umano. Esulava, pertan-to, da questo approccio originario l’intento di vigilare sui com-portamenti dei soggetti coinvolti nelle stesse politiche ed in parti-colare a condizionare l’accesso alle prestazione del sistema di si-curezza sociale al controllo della disponibilità al lavoro (c.d. con-dizionalità), prevalendo un obiettivo di empowerment. A questa ap-proccio scandinavo, se ne contrappone uno anglosassone, svi-luppatasi verso la fine degli anni Ottanta, ove è privilegiato, a scapito degli obiettivi di innalzamento del capitale umano, la fina-lità di inclusione nel mercato del lavoro (c.d. work first).

L’introduzione di tale meccanismi, oltre ad essere motivato da esigenze di contenimento della spesa pubblica, è giustificato dall’esigenza di contrastare il presunto effetto disincentivante alla ricerca di un nuovo lavoro e alla riqualificazione professionale (c.d. unemployment trap) che deriverebbe dall’elargizione di sussidi alla disoccupazione.

Sia detto per inciso che, entrambi gli approcci, aldilà della loro diversa finalizzazione (migliorare l’occupabilità dei disoccupati, oppure attivarli per la repentina uscita dal sostegno pubblico), ri-chiedono in fase attuativa un efficace e capillare rete di Servizi pubblici per l’impiego (Spi) per l’erogazione e la gestione delle Pal6 e, proprio per questo, fin dalla legge di stabilità 2019, è stabi-lita una connessione funzionale con questi uffici pubblici, riser-vando una quota non irrilevante del Fondo all’inizio ricordato al

“potenziamento” dei centri per l’impiego (Cpi), anche attraverso

6 Già il Libro bianco Delors chiariva che il passaggio dalle politiche passive a quelle attive richiede: «a considerable increase in public employment ser-vices, the objective being for every unemployed person to be monitored personally by the same employment adviser» (p. 19).

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il sostegno ai fabbisogni di personale di queste strutture regiona-li7.

Considerando l’ordinamento domestico, non può poi essere sot-taciuto che le misure di protezione contro la disoccupazione so-no, in linea di principio, da sempre accompagnate da un mecca-nismo di responsabilizzazione dei beneficiari, posto che l’art. 38 della Costituzione protegge solo la disoccupazione “involonta-ria”8. In Italia, peraltro, la condizionalità non ha mai avuto fortu-na attuativa; anche perché solo all’inizio del nuovo millennio la questione si è veramente posta, una volta adeguati “alle esigenze di vita” gli importi del trattamento base di disoccupazione9. In estrema sintesi, sebbene esigenza sempre sentita dall’ordinamento, in particolare nelle fasi in cui venivano aggior-nati campo di applicazione, quantum e durata dei trattamenti, tut-tavia, la condizionalità perdeva, e perde, di consistenza nel

7 Il comma 258 dello stesso art. 1 della l. n. 145/2018 riserva ai Cpi un im-porto fino a 1 miliardo per ciascuno degli anni 2019 e 2020. Su questa ri-serva insistono anche le risorse necessarie alle Regioni per assumere nuove 4.000 unità di personale da destinare ai Cpi. All’importo complessivo di 2 miliardi verranno sottratti a questo scopo 120 milioni nel 2019 e 160 nel 2020, poi, a decorrere dall’anno 2021, altri 160 milioni annui sono comun-que riservati al fabbisogno di personale dei Cpi mediante corrispondente riduzione del Fondo per il reddito di cittadinanza. Infine, con decreto mini-steriale, e previa intesa in Conferenza unificata, le risorse sono ripartite tra le Regioni.

8 Purtuttavia va segnalato che l’indennità di disoccupazione a requisiti ordi-nari fino a tutto il 1998 era erogata anche in caso di dimissioni volontarie del lavoratore.

9 Si tenga conto che, solo a seguito del c.d. Protocollo welfare del 23 luglio 2007, l’indennità di disoccupazione ordinaria raggiunse livelli comparabili con altri Paesi europei, quanto a durata (8 mesi per i soggetti con età ana-grafica inferiore a 50 anni e 12 mesi per i soggetti con età pari o superiore) e tasso di rimpiazzo (60% della retribuzione perduta, a scendere).

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saggio dalla fase di regolazione a quella della sua concreta imple-mentazione. Infatti, la fase attuativa è condizionata da elementi esogeni alla sua intrinseca regolazione; insomma, la condizionali-tà subisce, per così dire, colpe non sue. In primo luogo, essa fini-sce per risentire della cronica debolezza istituzionale ed econo-mica proprio degli organismi deputati ad attuarne la fase di atti-vazione: gli Spi, scarsamente finanziati e sguarniti di adeguate ri-sorse umane, non sono in grado di attivare i beneficiari di presta-zioni, ciò in particolare in aree territoriali caratterizzate da una scarsa domanda di lavoro ed un eccesso dell’offerta. In secondo luogo, non è mai stata affrontata e risolta, la questione della frat-tura istituzionale fra politiche attive e passive attestate, dal punto di vista gestionale, le prime presso autorità locali (le Regioni) e le seconde presso uffici periferici nazionali (gli uffici territoriali Inps). Solo la creazione di one stop shop (sportelli unici), competen-ti all’erogazione di un’unitaria policompeten-tica per l’occupazione, in cui siano fusi insieme il momento dell’erogazione di un sussidio e quello dell’adeguamento della occupabilità del beneficiario del sussidio stesso, mostra nella esperienza comparata una maggiore efficienza.