L’obiettivo qui non è quello di ricostruire le differenze tra il red-dito di base e redred-dito minimo garantito2 ma di concentrarsi sulle diverse ragioni che spingono a scegliere, in linea teorica, per una o per l’altra strada. Il reddito di base, o Universal Basic Income, è una forma di reddito individuale ed universale, che non prevede condizioni di accesso3. I suoi sostenitori adducono diverse ragio-ni che ne giustificherebbero l’adozione. Vi sono ragioragio-ni di tipo economico legate allo sviluppo tecnologico4 che minaccerebbe nel breve periodo l’esistenza stessa del lavoro per gli esseri umani rendendo quindi necessario individuare forme di reddito alterna-tive. Ma non si tratta dell’unico motivo, infatti i suoi sostenitori5 ritengono che il reddito di base garantirebbe una maggior libertà della persona all’interno del mercato del lavoro, non obbligando-la ad accettare obbligando-lavori non in linea con i suoi desiderata perché ricat-tata dalla necessità di un reddito per sopravvivere. Allo stesso
2 A riguardo si consiglia l’agile volume di S. TOSO, Reddito di cittadinanza. O reddito minimo, Il Mulino, 2016.
3 Il riferimento qui è principalmente alla versione proposta da P.VAN P A-RIJS, Y. VANDERBORGHT, Il reddito di base. Una proposta radicale, Il Mulino, 2017 e, più in generale della rete BIEN (Basic Income Earth Network).
4 La prospettiva è illustrata, tra i tanti, da M. FORD, Il futuro senza lavoro, Il Saggiatore, 2017.
5 Cfr. P. VAN PARIJS,Y.VANDERBORGHT, Il reddito di base. Una proposta rad-icale, cit.
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modo si potrebbe leggere il reddito di base come una enorme azione di semplificazione del sistema fiscale ed assistenziale, co-me sostenuto dai promotori della sua declinazione in imposta negativa sul reddito6. Si tratterebbe dunque, corollari a parte, di uno strumento che punta a separare la dimensione del reddito e quella del lavoro. Questo è valido sia nella versione, sostenuta ad esempio da Grillo7, di un reddito per liberarsi dal giogo del lavo-ro e che eviti la condanna ad una disoccupazione tecnologia, sia in quella che vede nella garanzia di reddito una maggior libertà di scelta proprio rispetto al lavoro. Chiaramente questo modello pone non pochi problemi di sostenibilità sia dal punto di vista economico che da quello produttivo: molti lavori indesiderati po-trebbero rimanere vacanti perché le persone popo-trebbero scegliere di non lavorare, piuttosto che svolgerli.
Il reddito minimo garantito invece è una forma di reddito che ha lo scopo principale di combattere la povertà e l’esclusione sociale attraverso un trasferimento monetario che garantisca sia la sussi-stenza sia l’opportunità di riaccedere al mercato del lavoro. Si fonda quindi su una separazione momentanea tra reddito e lavo-ro con lo scopo di riconnettere le due dimensioni. Per tutti quei soggetti pronti (o quasi) a reinserirsi nel mercato del lavoro il reddito minimo garantito è un supporto temporaneo, erogato nella speranza che, dopo un periodo più o meno lungo, si riveli inutile e superfluo. Per tutti coloro che, invece, versano in condi-zioni fisiche, psichiche e sociali particolarmente gravi il reddito minimo garantito è destinato a permanere nel tempo. Non va so-litamente a sostituire i sussidi di disoccupazione ma serve a colo-ro che non ne hanno i requisiti e ha lo scopo ulteriore di
6 Cfr. M. FRIEDMAN, Capitalism and Freedom, Chicago University Press, 1962.
7 Da ultimo in un post sul suo blog dal titolo eloquente La fine del lavoro del 15 febbraio 2018.
Francesco Seghezzi 21
tare la partecipazione al mercato del lavoro laddove tra le condi-zioni della sua erogazione ci fosse la ricerca attiva di un impiego.
Il reddito di cittadinanza adottato in Italia è una forma particola-re di particola-reddito minimo garantito avente uno scopo duplice: la riat-tivazione dei soggetti inattivi e il sostegno alla povertà. Si tratta di due scopi differenti che ampliano le normali funzioni di un reddi-to minimo garantireddi-to, solitamente concentrareddi-to sul capireddi-tolo pover-tà ed inclusione sociale e non su quello delle politiche attive del lavoro che si fondano su strumenti differenti. Il reddito di citta-dinanza si pone dunque come obiettivo quello di essere una ga-ranzia del diritto al lavoro dei beneficiari e in questa chiave è possibile ritrovare una unità tra i due principi, pur con tutte le difficoltà che vedremo. Il provvedimento si fonda quindi sul principio che il lavoro debba essere la principale fonte di reddito e che le forme di reddito alternative possano essere erogate solo quando vi sono ostacoli oggettivi alla possibilità di lavorare o in periodi specifici nei quali il lavoro è sostituito dall’attività della sua ricerca. Per come è strutturato inoltre non vi è traccia di uno strumento che garantisca una maggior libertà nella ricerca di la-voro mediante un reddito che consenta di liberarsi dal ricatto del mercato, se non nel duplice caso della rinuncia di una proposta lavorativa che dovrà essere obbligatoriamente accettata nel terzo caso. Ma anche in questo caso il fatto che all’accrescere di propo-ste rifiutate cresca la distanza geografica della successiva non sembra andare nella direzione di tale liberazione.
Possiamo quindi affermare che, per i suoi principi e per come è strutturato, il reddito di cittadinanza all’italiana si discosti radi-calmente dal reddito di base universale e incondizionato. Vedre-mo però nell’addentrarci nell’analisi delle Vedre-modalità organizzative e di coordinamento del provvedimento, oltre che del tessuto so-cio-economico sul quale si innesta, che una possibile eterogenesi
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dei fini potrebbe riavvicinare, per via paradossale, i due strumen-ti, quantomeno nei risultati.